Il campione della Madonna Consolata (parte I)

“Certo che in effetti fa proprio pena”, commentò il mugnaio.
“Se capitasse a me la disgrazia di un figlio simile…”, sospirò la cuoca.
“Il signor padrone deve aver commesso qualche peccato, in gioventù”, osservò il garzone sommessamente. “E Dio l’ha punito per la sua colpa”.
Lenora versò l’acqua in secchio di metallo e lo appese sul camino per farla riscaldare.
“Uno così non avrebbe nemmeno dovuto nascere”, rincarò la cuoca: “cioè, che cosa fa, al mondo?”.
“Fa impazzire il signor padrone, ecco cosa fa”, ridacchiò il mugnaio.
Lenora prese un lungo respiro profondo. “Io lo trovo una splendida persona”, s’intromise freddamente.
La servitù esplose in un coretto di risate. “Ma se è un idiota!”, ribatté il garzone. “Mi spiegate qual è il suo apporto alla comunità? Non combatte, non scrive, non legge, non lavora, non sta stare a cavallo, ha bisogno di una balia per far qualunque cosa…”.
“Non sono la sua balia”, sibilò Lenora fra i denti.
“Beh, in effetti qualcuno potrebbe anche usare un altro”, commentò la cuoca flautatamente, “ma probabilmente poi vi sareste offesa…”.
Lenora si irrigidì di fianco al suo secchiello. “Ma come vi permettete?”, protestò scandalizzata.
Alla sola idea, la servitù rise ancor più forte. “Non prendetevela, scherzavo”, le sorrise la cuoca seduta al suo sgabello. “È che siete probabilmente l’unica donna sulla faccia del pianeta a cui piaccia quell’idiota…”.
La ragazza si sentì avvampare, e cominciò a trafficare col secchiello giusto per far qualcosa. “Non è che mi piaccia”, disse un po’ troppo precipitosamente: “cioè, mi piace come persona. È un ottimo padrone. Preferisco servire lui che i suoi fratelli. Lui è gentile, mi tratta bene: è rispettoso”.
(“Appunto”, mormorò il mugnaio alzando gli occhi al cielo. “L’avete mai visto, un nobile rispettoso della servitù? Ma andiamo…”).
“Comunque, per quel che può valere”, ridacchiò il garzone, “secondo me, una bella ripassatina ve la darebbe volentieri pure lui”.
Lenora rischiò seriamente di far cadere per terra il secchio; spalancò la bocca per protestare.
“… solo che probabilmente non sa come si fa”, concluse il mugnaio scatenando un coro di risate.
Lenora era così sconvolta che non trovò nemmeno la forza per lamentarsi. Si limitò a commentare: “fate tutti quanti veramente schifo” piegando le labbra in una smorfia disgustata.

***

Prese la brocca, uscì dalla cucina, e salì le scale che portavano alle stanze dei signori. Arrivata di fronte alla camera del signor Jean, bussò alla porta e poi entrò senza aspettare, com’era solita. “Ben svegliato!”, lo salutò con voce squillante. “Oggi è un bel giorno, splende il sol…”.
“Dove sono i miei vestiti?”, si sentì chiedere in risposta con tutta fretta.
Si immobilizzò sulla soglia, un po’ sorpresa. “Ve li prendo subito”, mormorò con un sospiro, entrando.
Jean Ravais si era già alzato; si era anche tolto il suo abito da notte. Camminava avanti e indietro nella stanza e intimò a Lenora di fare in fretta, “subito!”. Lei si lasciò scappare un sospiro e posò la brocca sul tavolo di legno. “Vi ho portato l’acqua calda per la toeletta”, tentò a bassa voce. “Se volete che vi aiut…”.
Non ho tempo per la toeletta! Ti ho detto che voglio i miei vestiti, immediatamente!”.
Lenora non si preoccupò nemmeno di trattenere un’occhiataccia e si avvicinò alla sedia per prendere il farsetto. “Ecco qua”, disse in tono monocorde. Si avvicinò al padrone, gli prese un braccio, lo aiutò ad indossare l’abito; lui le ripeté ancora una volta di fare più in fretta, e a quel punto, Leonora, che aveva già iniziato la giornata nel peggiore dei modi, non ce la fece proprio più a trattenere l’irritazione. “Avete molto da fare, oggi?”, gli chiese freddamente; e fu con suo stesso orrore che notò una vena di sarcasmo nel tono della sua voce. Abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Il signor Jean, invece, rimase immobile per qualche istante; poi abbozzò un sorriso di scuse, mettendosi a sedere sul letto. “Oh, Lenora, scusatemi, le disse a voce bassa. “Sono stato rude. E proprio con voi, che siete sempre così gentile…”.
Lenora iniziò silenziosamente ad allacciargli il vestito.
“È che”, mormorò Jean, lasciandola fare, “stranamente sì… ho molto da fare, oggi. Veramente”.
Lenora gli lanciò un’occhiata perplessa, finendo di annodare gli ultimi lacci. “Davvero?”, buttò lì in tono propositivo. “Che bello. E cosa fate?”.
“Io…”. Jean esitò, poi abbozzò un sorriso, poi mormorò a voce bassa: “lo so, adesso penserete che sia impazzito…”.
“Ma niente affatto”, ribatté Lenora, andando a prendere i pantaloni.
“Io… non sto scherzando”, mormorò, e la sua voce vibrava di entusiasmo. “Io vi giuro che è tutto vero. Lo giuro su quanto ho di più caro al mondo. Stanotte… Lenora, ci credete? Questa notte, ho visto la Madonna!”.

Calò il silenzio.
“La Madonna”, ripeté Lenora, giusto per esser certa di aver capito bene.
Jean annuì e il suo volto era raggiante.
“Cioè, la Vergine Maria”, ripeté Lenora.
“Era Lei”, sorrise Jean. “Era qui: era bellissima…”.
“La Madonna era nella vostra camera da letto”, disse lei per la terza volta.
“Sì”, rincarò Jean. “Era proprio qui. Se mi fossi avvicinato, avrei potuto toccarla”.
Lenora rimase zitta per un attimo, domandandosi cosa fare a questo punto. Avvisare i padroni che il figlio era impazzito?
“Voi mi credete, vero?”, chiese Jean non senza una certa ansia.
Nel panico, Lenora pensò bene di passargli i pantaloni, giusto per trovar qualcosa da fare.
“Mi credete, vero?”, ripeté Jean, stavolta con più ansia.
“Io…”, abbozzò Lenora.
“Voi non mi credete”, sospirò Jean con amarezza. “Lo sapevo. Non mi crederà nessuno. Mi diranno che son pazzo”.
“Non è che non vi creda”, andando a prendere le scarpe. “È solo che… cioè. La Madonna?”.
“Era Lei! Io ve lo assicuro, Lenora, era Lei!”.
“E voi l’avete vista”, ripeté la serva.
“Sì!”.
“E potreste giurare che non fosse un sogno”, calcò Lenora.
“Io l’ho vista! L’ho vista coi miei occhi, era qui, e mi ha parlato…”.
Lenora prese un profondo respiro, alla disperata ricerca di un modo diplomatico per farglielo notare. E poi glielo disse, a bassa voce, in un sussurro. “Mio signore. Siete cieco dalla nascita”.

Lo so! Lo so, è… non capite? È un miracolo! È stato un miracolo della Vergine!”.
Lenora si ritrasse, spaventata. “Cioè, mi state dicendo che adesso potete vedere?”.
“No”, disse Jean precipitoso, “non in questo momento, ma la scorse notte, Lenora, ve lo giuro, io l’ho vista… L’ho vista coi miei occhi, era bellissima, e mi ha parlato”.
Lenora colse la palla al balzo per cambiar discorso. “Ah sì?”, chiese distrattamente. “E che vi ha detto?”.
“Mi ha detto…”. Jean esitò, fece un sospiro. “Lo so, mi rendo conto che può sembrare folle, ma mi ha detto…”. Scosse il capo. “Mi ha detto di pregare molto…”.
“Non è folle: è una bella cosa”, disse la domestica molto velocemente.
“… e di andare a cercarle un quadro”, concluse Jean, con un tono da oltretomba.
Ci fu un altro lungo silenzio. Lenora ci mise dieci secondi buoni per elaborar l’informazione. “Di cercarle un quadro” disse alla fine, a voce bassa.
“Un quadro. Che sta a Torino”.
Lenora dovette seriamente sforzarsi per non ridere. “Cioè, la Madonna è apparsa nella vostra camera da letto per dirvi di andarle a cercare un quadro”.
“… sì”.
“Che sta a Torino”.
“Sì”.
Lenora scosse la testa e sorrise divertita. “Ditemi un po’: cos’avevate mangiato, ieri sera, mio signore?”.
Jean scattò in piedi, con tanta violenza che Lenora sobbalzò allarmata. “Non vi permetto di scherzare su questa cosa!”, gridò il ragazzo. “Era la Madonna, io l’ho vista, non sto scherzando: era qui, e mi ha detto di recuperare il quadro!”.
“Va bene”, sussurrò lei molto in fretta, “d’accordo. Non vi arrabbiate. Ma scusate”, aggiunse in tono pratico: “perché mai la Madonna dovrebbe apparirvi in sogno…”.
“Non era un sogno! Io l’ho vista!”.
“… dovrebbe apparirvi in qualche modo“, si corresse Leonora con un sospiro esasperato, per dirvi di cercarle un quadro?”.
Jean prese un respiro; tornò a sedersi sul suo letto. “Ha detto che era un quadro di se stessa. Una icona della Vergine. E si trova da qualche parte a Torino. Originariamente era in una chiesa. Poi gli eretici hanno distrutto il santuario e il quadro della Vergine è sepolto lì, fra le macerie, e Lei vuole che io vada a recuperarlo”.
Lenora avrebbe avuto una gran voglia di avvicinarsi a Jean ed abbracciarlo, perché era veramente irresistibile la tenerezza di quel povero ragazzo reso monco dalla malattia che si convinceva di essere stato contattato dalla Vergine…
“Scusate”, gli fece notare a voce bassa, dolcemente divertita. Fra tutte le persone del mondo, perché avrebbe dovuto chiedere proprio a voi…?”.
Non lo so!”, ripeté Jean; e c’erano note di vera paura della sua voce.
“… che, voglio dire, nelle vostre condizioni…”, mormorò Lenora. “Come pensereste di arrivarci, da Briançon a Torino? A piedi? E poi”, aggiunse, col realismo impietoso di chi vuol riportar qualcuno coi piedi per terra, “come diamine si presuppone che dovreste trovarlo, questo quadro? Non potreste nemmeno…”.
“…vederlo?”, concluse Jean a voce bassa, con un sospiro.
Lenora esitò. “Insomma, io non credo che la Madonna verrebbe mai a chiedervi una cosa simile”, gli disse dolcemente. “Ragionateci un po’ sopra. È stato solamente un sogno”.
“Ma non era…”, cominciò lui in tono sconsolato.
Lenora ridacchiò, sperando di non suonare troppo irrispettosa. “Ma scusatemi. Ve l’ha detto, almeno, la Madonna, dov’era questa chiesa distrutta di Torino?”.
Il ragazzo scosse il capo.
“E allora voi vorreste partire per Torino a cercare un quadro che non sapete dove sia, scavando per terra in tutta la città nella speranza di trovarlo?”.
Jean si morse un labbro.
Cioè. Non per essere irrispettosa, ma se fossi la Madonna vi avrei almeno dato una mappa, no?”, osservò Lenora in tono scherzoso. “Non vi manderei così al macello”.
Jean scosse il capo. “Lo so che può sembrare assurdo”, disse in un sussurro, “ma ve lo giuro…”.
Lenora sorrise, e scosse il capo a sua volta. “Facciamo così. Se la Madonna ci tiene veramente così tanto, farà in modo di farvi arrivare una mappa con su scritto dove andare”. E gli sorrise. “In caso contrario, sono certa che è molto comprensiva, e si cercherà un campione un po’ più adatto a portare al termine la sua cerca”.
“Ma io devo andare…”, tentò Jean in una disperata resistenza.
“E allora aspettate le indicazioni stradali”, scherzò Lenora, ironicamente. “E nel frattempo”, aggiunse in tono pratico, “ribadisco che c’è l’acqua calda per la toeletta. Su, ché oggi arrivano anche ospiti al castello, vostro padre ci tiene a dare un’ottima impressione…”.

***

E meno male che gli ospiti eran dei monaci benedettini, elaborò Lenora mentre portava l’arrosto in tavola scoprendo che i figli del conte li avevano giudicati un buon uditorio a cui raccontare barzellette zozze. Posò il vassoio, si allontanò rapidamente, e mentre si allontanava lanciò un’occhiata al povero Jean, che tastava il tavolo alla ricerca del suo piatto. Il fatto che tutti i suoi parenti si ostinassero a ignorare il suo problema, non contribuiva propriamente a valorizzare Jean agli occhi della gente.
Uno dei monaci ospiti a banchetto sembrava quasi essere a disagio. Guardava il ragazzo cieco e aveva tutta l’aria di volergli chiedere se avesse bisogno di una mano: Lenora lo vide avvicinarsi a Jean, aprire la bocca per parlare, richiuderla incerto dopo un paio di secondi, e restarsene lì immobile, a soppesar la situazione.
Quando Lenora ritornò nel salone dei signori per portare in tavola un altro gran vassoio di portata, notò con sollievo che Jean e il monaco avevano effettivamente cominciato a chiacchierare. Il ragazzo aveva trovato il suo piatto, e il monaco conversava con lui a bassa voce: siccome il bicchiere del monaco era vuoto, Lenora aggirò il tavolo e si avvicinò al benedettino, per riempirgli il calice con vino allungato…
“E ditemi, da dove arrivate?”, gli stava chiedendo Jean cortesemente.
“Adesso vivo in un monastero qui vicino”, replicò il monaco addentando il pane, “ma sono originario di Torino. Sapete, quella città oltre le Alpi. Ho vissuto lì per tutta la mia vita”.
Lenora si allungò verso la brocca di vino; Jean sussultò, seduto alla sua sedia. “Torino? Vi prego, ditemi, fratello: ho assolutamente bisogno di parlare con qualcuno che conosca la città. Avete mai sentito la storia di un quadro della Vergine andato disperso dopo una razzia?”.
Lenora prese la brocca e scosse il capo, tentando disperatamente di non ridere. Incominciò a riempire la brocca… rischiando seriamente di far finire tutto il vino sul tavolo, per la sorpresa, quando il benedettino aggrottò la fronte fissando Jean. “Sì, perché?”, chiese perplesso. “Come fate a saperlo? La notizia è giunta fino a qui?”.
Jean sobbalzò sulla sua sedia. “È una storia lunga. Vi prego, in nome di Dio: raccontatemi tutto quello che sapete sull’icona”.
Lenora si attardò a riempire la brocca, con molta, molta lentezza. Il monaco fissò Jean, un po’ stupito, e mormorò: “era proprio un’icona, sì, un’icona dall’Oriente… mi stupisce che ne siate a conoscenza!”. E aggiunse, mentre il ragazzo si illuminava: “fu portata nelle nostre terre dall’Oriente, secoli fa, per sottrarla alla furia iconoclasta. Il santo Eusebio, vescovo di Vercelli, la donò a san Massimo, evangelizzatore di Torino…”.
“Vi prego, andate avanti”, disse Jean con un fil di voce, perché il monaco si era interrotto per bere un sorso.
“Era custodita nella chiesa di Sant’Andrea”, proseguì il monaco, sempre più perplesso, “ma il santuario fu distrutto dai Longobardi quando invasero Torino. Non avevo idea che la notizia fosse giunta anche in queste terre!”, esclamò stupito. “Avete per caso conosciuto altri pellegrini che…?”.
Jean non gli rispose nemmeno; Lenora decise che quello era un buon momento per mettersi a pulire il coltello di portata.
Vi prego. In nome di Dio. Ditemi che sapete dov’era collocata quella chiesa”, sussurrò Jean, febbrile.
“Ma che diamine…?”, esclamò il monaco, che sembrava genuinamente perplesso. “Sì, era alle porte di Torino, nei pressi della borgata Puteum Stratae, ma posso chiedervi il perché di tanto interesse? Ci sono solo i ruderi, ormai: la chiesa non è mai stata ricostruita: non capisco il perché di un simile…”.
Jean si coprì il volto con le mani, (il monaco lo fissò allibito): singhiozzò di gioia.
Lenora, molto lentamente, si allontanò dal tavolo, arretrando spaventata. Fissò Jean come se lo avesse visto solo in quel momento per la prima volta in tutta la sua vita e ripensò alla conversazione del mattino.
Sgranò gli occhi, incredula, mentre il cuore cominciava a batterle forte nel petto.

Il ragazzo cieco, il povero imbranato, il fallito che non avrebbe nemmeno dovuto nascere, aveva una ragione per stare al mondo; e lei avrebbe voluto gridarlo a tutta quella tavola. Il suo padrone, Jean Ravais, aveva davvero visto la Madonna!

Fine prima parte

(Seconda parte)

13 risposte a "Il campione della Madonna Consolata (parte I)"

  1. Lucyette

    Beh, non è una scusa… mica posson limitarsi solo a Maria Ausiliatrice, solo perché son Salesiani… :-PPPPer fortuna che c'è Internet per colmar certe lacune… :-PQuanto al template: grazie! E' tornato a grande richiesta dall'estate scorsa, dopo che avevo dovuto toglierlo perché si visualizzava male con IE (scatenando un coro di proteste… :-P)Adesso si vede bene, vero? Veeeero?

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  2. Lucyette

    Daniele, ti giuro che quando ho visto il tuo commento (cioè: quando ho visto che qualcuno aveva commentato il post), stavo scherzando con una persona e le ho detto, testualmente: "toh, invece di perdere tempo in 'ste scemenze, vado a leggere cos'hanno commentato nel mio post sulla Consolata: quella sì che sarà una riflessione di sostanza… ".Ecco, appunto

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