Il campione della Madonna Consolata (parte II)


Lenora posò in terra il secchio pieno d’acqua e s’inginocchiò sul pavimento. Strizzò lo straccio umido e cominciò a pulire in terra, cercando di ignorare i rumori che arrivavan dalle stanze dei padroni.
La signora e le sue figlie lavoravano al telaio e chiacchieravan fra di loro scherzando a bassa voce, e fin lì tutto nella norma; il signor padrone, nella sua stanza, tanto per cambiare stava urlando.
In effetti, anche quello era tutto nella norma. Sennonché stavolta sembrava arrabbiato per davvero, osservò Lenora distrattamente, e non invidiò l’oggetto della sua ira.

Strofinò lo straccio in terra e intanto ripensò ancora al pranzo di quella mattina. Per l’ennesima volta, cercò di darsi una spiegazione logica che non comprendesse la reale apparizione della Vergine al suo povero padrone.
Per carità: un bravo ragazzo, eh. Niente da dire. Una bravissima persona, diversa dai suoi parenti: lui era gentile, non ti guardava dall’alto in basso solo perché era un nobile. Però, da lì al penare che la Madonna potesse…
(“Dovreste solamente vergognarvi, siete un insulto a tutta la mia famiglia!”, urlò il signor padrone dalla stanza affianco).
Però, Lenora non riusciva realisticamente a credere che il suo padrone, il suo padrone in carne ed ossa, proprio lui, proprio quello lì, avesse visto la Madonna. Cioè, la Madonna è lì che sta in chiesa: non è che vada in giro per il mondo a incaricar la gente di cercarle un quadro, no? Quando mai s’era sentito?
(“Vi abbiamo dato tutto, la casa, la vita, e voi volete ricambiarmi facendovi pellegrino?”).
Eppure, lei era presente e l’aveva sentito con i suoi occhi: il Benedettino aveva confermato la versione del ragazzo… e quanto era realisticamente verosimile che Jean avesse sentito quella storia tempo prima, per poi dimenticarsela, per poi sognare la Madonna il giorno prima di incontrare il monaco?
(“Scommetto che non è nemmeno il mio sangue a scorrere nelle vostre vene, avremmo dovuto abbandonarvi alla nascita, davi a un qualche contadino!”).
Lenora continuò a pulire il pavimento, freneticamente, anche perché quella consapevolezza la riempiva di paura. Che il suo padrone… che proprio il suo padrone fosse un veggente, un santo, come quelli della Messa… era un pensiero incredibile, che le faceva venire i brividi.
(“E per cosa poi? Un quadro?? E ve l’avrebbe detto la Madonna??”).
Lenora si immobilizzò, cogliendo uno stralcio di conversazione.
“Che foste storpio lo si sapeva, ma noto che evidentemente ha smesso di funzionarvi anche la testa!”.
La porta si spalancò di scatto, e una figura in lacrime uscì dalla stanza correndo in mezzo al corridoio. Lenora cercò di spostarsi, ma era troppo vicina alla porta e non fece in tempo: Jean corse in avanti, ovviamente non la vide, si inciampò sul suo corpo, le cadde addosso, e Lenora sentì l’umido delle sue lacrime mentre allungava le mani per sorreggere il povero cieco.
“Scusate. Scusate. Io non volevo. Io…”. Jean stava singhiozzando, visibilmente.
“Non importa”, disse Lenora molto velocemente. “Va tutto bene. Sono solo io”.
“Scusate. Sono uno stupido. Non riesco nemmeno a vedere dove vado a sbattere…”.
“Ehi!”, ripeté Lenora. “Mica è colpa vostra, oltretutto sono io che stavo in mezzo al corridoio”.
Jean tirò su col naso. “Ha ragione mio padre, sono solo un peso per questa famiglia, deve essere stata una punizione per qualcosa che ho fatto…”.
“Una punizione?”. Lenora, incredula, lo prese sottobraccio e lo guidò verso la sua camera, con fermezza. ““Siete la persona migliore che ci sia qui dentro, smettetela di dare un peso alle parole di vostro padre. Del resto non sono l’unica a pensarlo. È a voi…”. Prese un respiro, per darsi forza. “Che è apparsa la Madonna”.
Jean sospirò. “Ma se neanche voi mi credete…”, disse amaramente.
“Non è vero. Io vi credo. Ho sentito tutto, a pranzo, mentre parlavate con quel monaco”. Esitò. “Sono incredula, ma vi credo”.
Jean si asciugò gli occhi vuoti col dorso della mano. “Io devo partire…”, disse pianissimo.
Lenora non rispose, anche perché non trovava argomentazioni valide con cui dissuaderlo. No, infischiatevene della Madonna?
“Io devo partire”, ripeté il ragazzo, “con o senza la benedizione e l’aiuto economico di mio padre”.
Lenora aprì la porta della camera del signore. “Sarà molto difficile”, gli disse cautamente. “Nelle vostre condizioni”.
“Lo so”, e Jean sembrava sinceramente spaventato. “Ma è stata la Madonna…”.
Lo so”.
Lenora rimase a guardarlo, con la vaga impressione di aver appena mandato a morte certa un povero disabile. Ci fu il silenzio. E poi se lo sentì uscire dalle labbra, prima ancora che il cervello fosse riuscito a elaborar l’informazione: “vi accompagno io”.
Sgranò gli occhi orripilata, processando troppo tardi quello che aveva appena detto. Il problema è che Jean non colse la sua espressione e si illuminò radioso, tendendo le mani verso Lenora e chiedendo: “veramente?”.
Ehm…”, prese tempo la ragazza.
“Io non posso chiedervelo, cioè, voi non siete tenuta. Avete sentito mio padre, non mi permetterà mai di portarmi dietro un servo continuando a considerarvi poi a suo servizio”.
“Lo so, ma io…”. Lenora esitò; e quel che è peggio, aveva come la vaga impressione di starlo facendo per qualcosa che c’entrava molto poco, con la Madonna. Prese un respiro per farsi forza. “Non è un problema. Cioè. Non importa. Io vengo con voi, voglio aiutarvi. È… per una buona causa. Immagino. Non potete certo andar da solo. E poi, insomma, la Vergine…”.
Mentre Jean, incredulo, l’abbracciava fra i singhiozzi, Lenora avvertiva questa vaga sensazione di non averci fatto un grande affare.

***

Partirono da soli, come due pezzenti, perché neanche i parenti di Jean eran venuti a salutarlo. Quanto a Lenora, il resto della servitù l’aveva comprensibilmente presa per idiota.
Partirono al mattino, al sorgere del sole, con un cappello a tesa larga e una bisaccia per il cibo. Percorsero il primo tratto in compagnia di un gruppo di pellegrini che viaggiava verso Roma lungo la via francesca: pregarono con loro, spiegarono la loro storia, li impressionarono profondamente con il racconto di Jean sulla Madonna. Ma quando arrivarono alle pendici del Monginevro, per Jean iniziò il supplizio: il poveretto incespicava sui sassi, non vedeva gli ostacoli dei sentieri montani, inciampava sbucciandosi le ginocchia e rallentando tutti. Quando i pellegrini arrivano all’hospitale che era stato allestito lungo il percorso, colui che stava a capo della comitiva prese da parte la stanchissima Lenora e le parlò molto francamente. Jean era debole, cieco, non vedeva dove andava: non sarebbe mai stato in grado di tenere il passo della comitiva. E il viaggio, per loro, era ancora lungo: i soldi degli altri erano contati, e non era proprio pensabile mettere a repentaglio la sicurezza del gruppo per star dietro a un cieco… “lo capite, non è vero?”.
E Lenora annuì, senza protestare: perché in effetti avevano ragione, e lei li capiva benissimo.
Quella notte, nel giaciglio dell’hospitale, pianse silenziosamente nascondendo la testa nella paglia: perché era troppo stanca; perché era troppo spaventata; perché attraversare un valico alpino da sola con un menomato era decisamente troppo per le sue forze.
“Mi spiace”, disse piano la voce di Jean, facendola trasalire. “Potete tornare indietro, finché siete in tempo: non siete costretta a venire”.
“Lo so benissimo”, disse lei in un sussurro. E il giorno dopo, accomiatatisi dai pellegrini, si concessero un buon pasto, grazie all’ospitalità dei monaci. E poi, loro due soli, ripresero il cammino.

Quando Jean cadde la terza volta, ferendosi a un ginocchio, Lenora sentì una grande voglia di mollarlo lì con le sue visioni, e chi s’è visto s’è visto.
Quanto cadde per la quinta volta, fu così intenerita dalla sua espressione che gli ordinò di mettersi seduto, e incominciò a pulirgli i graffi.
“Davvero. Seriamente, non siete costretta a accompagnarmi. Potete andare, quando volete”, le disse Jean, timidamente.
Lenora lo guardò nei suoi occhi vuoti, e poi sorrise. “Non potrei mai lasciarvi qui da solo”, replicò con molta calma; e pulì la ferita sul suo ginocchio con la massima delicatezza possibile, attenta a non fargli male.
Jean non sorrideva. “Secondo voi ce la faremo mai?”, le chiese a voce bassa. “A arrivare a Torino sani e salvi? Da soli? Attraversando i monti?”.
Lei gli fasciò il ginocchio, e non rispose.
“Io credo che ci sarebbe molto utile pregare la Madonna”.
Una minuscola parte del cervello di Lenora elaborò che la prospettiva non era propriamente confortante, ma visto che non aveva niente di meglio da proporre…
Jean si schiarì la voce, e poi cominciò a cantare, a bassa voce. “Stella splendens in monte ut solis radium miraculis serrato”.
Exaudi populum”.

E la Madonna, evidentemente, esaudì le preghiere di quel piccolo gregge, considerato che, contrariamente ad ogni ragionevole aspettativa, i due riuscirono a oltrepassare il valico senza cadere in un crepaccio, senza farsi sbranar dai lupi, senza essere aggrediti dai briganti. Di tanto in tanto, avevano anche incontrato altri pellegrini, e carovane di mercanti con cui avevano percorso un tratto. “Ormai non deve mancare più di tanto”, osservò Lenora una mattina, tenendo Jean per il suo polso e camminando avanti a lui, per fargli strada. “Stiamo scendendo a valle – attento, c’è una curva – il peggio è già passato…”.
“Grazie”, le disse Jean, “siete sempre così gentile. Siete l’unica che mi tratta con tutte queste cure”.
Lenora sorrise fra sé e sé. “Il vostro unico problema è che siete sempre stato circondato di gente stupida che non hanno saputo apprezzarvi per quello che siete”.
Anche Jean sorrise. “Grazie”. Allungò il suo braccio verso di lei: lo posò sulla sua spalla, poi lo fece scorrere verso il basso finché non trovò la sua mano. Intrecciò le sue dita in quelle di lei. “Se non vi offende, così più facile per tutti”.

Il giorno dopo, tenendosi per mano, arrivarono alle porte della città di Olcs.
Pagarono il dazio con gli ultimi soldi che restavano nelle loro bisacce: “da qui in poi, dovremmo affidarci alla carità della gente”, osservò Lenora, inespressiva. Jean sorrise, e sembrava divertito: “per una volta in tutta la mia vita, forse riesco a rendermi veramente utile. Un cieco che parte a piedi da Briançon, solo e accompagnato unicamente da una donna, per andare a Torino perché glielo ha detto la Madonna…”.
Lenora fu molto lieta che il cieco fosse cieco, perché le sarebbe parso brutto che lui la vedesse ridacchiare. Ma in effetti, Jean diceva il vero e riuscì letteralmente a salvar la situazione: nell’arco di un paio d’ore, raccontando la sua storia, era riuscito a rimediare cinque pagnotte e dettagliate indicazioni per l’hospitale più vicino.
Quando arrivò alle porte del ricovero, tenendo sotto braccio il sacco pieno di pane, Lenora splendeva di gioia già per conto suo. Innanzi tutto, non era morta in mezzo ai monti; secondariamente, stava finalmente per dormire in un giaciglio. Tutto poteva aspettarsi dalla vita, fuorché il monaco addetto all’accoglienza si facesse dare i loro nomi, chiedesse loro dov’erano diretti, e poi sbiancasse, guardandoli fisso con stupefatta ammirazione. “Il Signore sia benedetto”, mormorò il monaco pianissimo, giungendo le sue mani. “Allora siete voi, siete arrivati, la Vergine Maria ha protetto il vostro viaggio!”.
Lenora lanciò un’occhiata a Jean, e anche lui sembrava piuttosto sconcertato. “Prego?”, disse piano la ragazza.
“I pellegrini in transito per Roma sono stati qui la scorsa settimana, ci hanno raccontato la vostra storia”, sussurrò il monaco con palpabile entusiasmo. “Ci hanno detto di avervi dovuti abbandonare, abbiamo pregato così tanto perché riusciste a oltrepassare il valico”. Guardò Jean, radioso: gli sorrise. “È un onore potervi aiutare: tutta Olcs conosce il vostro viaggio; sulla via francesca non si parla d’altro, se non del cieco che ha visto la Madonna!”.
Lenora sgranò gli occhi, sconcertata. Jean, invece, sorrideva serenamente, come se quella fosse la notizia più naturale che si fosse mai sentito raccontare. “Vi ringrazio di cuore per le vostre preghiere”, disse quieto al monaco, “e vi supplico di ricordarci ancora. Grazie veramente”.

Quella sera, Jean, Lenora, e tutti gli altri pellegrini, pregarono assieme ai monaci, cantando inni alla Madonna.
E la cosa si ripeté di città in città, giorno dopo giorno, man mano che i ragazzi proseguivano nel loro viaggio: da Olcs a Segusio; da Segusio a Buceleti; da Buceleti ad Avigliana, cantando inni, pregando la Madonna, raccontando la loro storia ai pellegrini che immediatamente li riconoscevano, si inginocchiavano di fronte a Jean, baciavano il dorso delle sue mani, gli chiedevano ciocche dei suoi capelli per poterle usare come talismano e come reliquia. Una sera, mentre si scaldava accanto al fuoco nell’hospitale dell’abbazia della Novalesa, Lenora si scoprì a fissare Jean e lo trovò bellissimo. Forse perché era la prima volta nella sua vita che sentiva di avere uno scopo.

Raggiunsero Torino in un pomeriggio soleggiato nel giorno della festa di san Baino, quando mancavano sedici giorni alle calende di luglio. Jean non parlava – era stato taciturno per tutto il giorno – e Lenora, del resto, era stanchissima. Avevano percorso l’ultimo tratto molto velocemente, impazienti di raggiungere Torino: e quando finalmente toccarono le mura della città, erano stanchi e madidi per il sudore.
La ragazza raggiunse il banco delle gabelle, tirò fuori dalla sacca i soldi per le tasse. Lasciò Jean un po’ in disparte, e cominciò a informarsi col gabelliere di dove fosse la chiesa che stavano cercando. Non era impresa facile: l’esattore delle tasse nemmeno sapeva che fosse esistita, una chiesa intitolata a Sant’Andrea.
“Vi prego”, insisté Lenora. “Ci hanno detto che sorgeva alle porte della città, nella borgata di Puteum Stratae: fu distrutta dai Longobardi, ma ancora restano le sue…”.
Il gabelliere si strinse nelle spalle, contando i soldi. “Non so che dirvi: non conosco questa chiesa. La borgata di cui parlate è proprio qui, nei pressi di…”. Sollevò per un attimo lo sguardo, aggrottò le sopracciglia, e si interruppe. “Scusate”, aggiunse un po’ perplesso: “il cieco col bastone è assieme a voi?”.
“Sì, perché?”, chiese Lenora, senza staccare gli occhi dalle sue monete che il gabelliere teneva in mano.
Il gabelliere fece un cenno con la testa. “Quello secondo me ha una malattia attaccaticcia, e i contagiosi non entrano in città: sia chiaro”.
“I contagiosi?”, cominciò Lenora senza capire. “Ma quando mai la cecità si è trasmessa per contatto?”.
Ma quando il gabelliere precisò che la cecità era l’ultimo dei problemi, lei si voltò di scatto, con un nodo allo stomaco, cercando Jean in mezzo alla folla. Quando lo vide, sentì i polmoni svuotarsi in un istante: Jean era crollato a terra, era in ginocchio; era pallidissimo, e tremava.
“JEAN!”.
Nessuna reazione.
JEAN!”, gridò più forte, e corse verso di lui, terrorizzata.

Il miracolo finiva, pensò Jean con una minuscola parte del suo cervello. Tutto si faceva più sfocato, i contorni meno nitidi, e lui si sentiva morire dentro perché tutto quello che avrebbe voluto fare nella vita, ora e per sempre, era di stare lì in ginocchio: a guardare Lei, a contemplare Lei, ad ammirare Lei; a cantarne le Sue lodi.
La Vergine parlò, e Jean schiuse le labbra in un sorriso, con la certezza che mai in tutta la sua vita avrebbe potuto esser più felice che in quell’istante.
E poi la Vergine scomparve, e per un lungo, infinito istante Jean riuscì ad abbracciare con lo sguardo il marrone delle mura, l’azzurro del cielo terso, e vide Torino muoversi, o meglio: capì che era lui che si muoveva, perché c’era qualcuno di fronte a lui che urlava qualcosa e lo scuoteva con violenza…
“Vi prego! Ditemi qualcosa, mi state spaventando…”, gridò Lenora fra i singhiozzi, scuotendo Jean e prendendo il suo volto nelle mani.
Fu solo un attimo. Poi tornarono le tenebre. Ma a Jean scappò da ridere quando la spaventatissima Leonora gli gettò le braccia al collo: aveva passato così tanti anni, così tante avventure assieme alla sua domestica, eppure non aveva mai pensato che potesse essere così bella.

***

Lenora conservò solo delle memorie un po’ confuse di quello che successe nei giorni successivi: l’entusiasmo, l’emozione, l’impazienza avevano confuso i suoi ricordi simili a quelli di un sogno.
Jean che si alzava, la prendeva per mano, entrava in città e la guidava a colpo sicuro, “e poi c’è una viuzza a destra”, : così, da cieco che era, in una città sconosciuta, come se ci fosse una mano invisibile a guidarlo.
I ruderi di Sant’Andrea, proprio dove Jean aveva detto: “ecco. Dovremmo essere arrivati”.
Lui che si inginocchiava, cominciava a pregare silenziosamente; e lei che crollava in ginocchio tremante e emozionata, e si univa alle preghiere del ragazzo.
I passanti incuriositi. Le domande. Le risposte. Poche, per non interrompere le preci.
Il vescovo, Mainardo, giunto sul luogo assieme a una folla immensa non appena aveva ricevuto la notizia, anche lui in ginocchio accanto a Jean.
Le lodi. I canti. Tre giorni ininterrotti di digiuno e di preghiera.
E poi, Jean che sollevava un braccio, stendeva il dito e indicava un punto. “È lì”. E sorrideva. “Il quadro è lì. È dove sto indicando. Dovete scavare”. E sorrideva, sicuro di sé, bellissimo.
La folla diradarsi. Il vescovo scavare.
L’attesa, la fatica, la polvere, la gioia.

Ci fu un unico boato, quando dalle macerie di sant’Andrea riemerse, dopo secoli di abbandono, l’antica icona dall’Oriente.
Jean si portò le mani agli occhi; rise fra le lacrime; urlò di gioia.
La folla cadde in ginocchio, il vescovo alzò il quadro e urlò con tutta la sua forza, la voce rotta dalla commozione, “ora pro nobis! Intercedere pro popolo tuo, Virgo Consolatrix!”.
Ci fu la gioia; la commozione; l’entusiasmo; la preghiera. E poi, un po’ in disparte, mescolata ai popolani, Lenora vide Jean rialzarsi.
Lo vide esitare, un po’ perplesso, lo vide guardarsi attorno (?!) e poi lo vide sorridere, raggiante, e incominciare a camminare: a passo sicuro, veloce, fra la folla, scansando mille ostacoli.
Si fermò a mezzo metro da Lenora, si avvicinò, carezzò il suo volto. E poi la guardò, puntando gli occhi suoi nei suoi, come se non avesse fatto altro per tutta la sua vita – e quelli non erano più gli occhi vuoti di un cieco, erano gli occhi di chi ci vede benissimo.

In effetti, pensò Jean perdendosi nello sguardo di Leonora, la donna che era da sempre stata al suo fianco era proprio come l’aveva intravvista giorni prima. Era bellissima.

 
***

 

Nota dell’autrice: Questa è la storia del miracoloso ritrovamento del quadro della Madonna Consolata, la cui festa, sentitissima, si celebra ogni anno il 20 giugno nella mia Torino. Le ragioni per cui la Madonna Consolatrice sia diventata, a Torino, una Consolata, risiedono nelle perversioni del nostro dialetto.

Evidentemente, la storia che avete letto è leggermente romanzata, ma molto meno di quanto si possa immaginare.

È tutta vera (o quantomeno, tutta riportata dalle fonti agiografiche in nostro possesso), la storia del cieco di Briançon, Jean Ravais (o Giovanni Ravacchio, italianizzato). Sono realmente citati nell’agiografia la sua visione della Madonna, la sua guarigione miracolosa dopo aver trovato il quadro, il suo arrivo a Torino il 20 giugno del 1104; e l’agiografia specifica veramente che lo accompagnava la sua domestica, segretamente innamorata del padrone.
L’unica cosa che l’agiografia non specifica è il nome della ragazza, quindi l’ho inventato io di sana pianta (dal provenzale Hellionor, “cresciuta nella luce”, che mi sembrava anche pertinente).
Non è citato esplicitamente nell’agiografia il rapporto conflittuale di Ravais con il resto della sua famiglia; ma diciamo che tenderei a darlo per scontato, visto che ‘sto povero disgraziato s’è fatto a piedi 120 chilometri in salita senza che gli abbian dato nemmanco un mulo.
In compenso, è drammaticamente vero, anche perché non mi sarei mai inventata una cosa così stucchevole, il dettaglio iperglicemico del cieco che guadagna temporaneamente la vista per vedere la Madonna, e prima di sprofondare nelle tenebre riesce a intravvedere il volto della domestica innamorata.

Per quanto stucchevoli, le agiografie non sono un Harmony, quindi non ci è dato di sapere che ne sia stato alla fine della povera Lenora. Ma a me piace pensare che, se scali un monte per star dietro a un cieco che attraversa mezza Europa per cercare un vecchio quadro, come minimo ci sia in serbo per te un bel lieto fine.

23 risposte a "Il campione della Madonna Consolata (parte II)"

  1. utente anonimo

    A me questo post è piaciuto tantissimo!Scrivi decisamente strabene! Sei troppo severa con te stessa!Mi astengo da citare riferimenti che non conosco per niente, e non dò la colpa al mio liceo, più probabile che sia la mia attenzione a fare cilecca…solo un appunto: devi correggere all'inizio con "seconda parte", altrimenti rischi che qualcuno sorvoli… io lo stavo facendo, per fortuna mi sono fermato in tempo!Diego

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  2. utente anonimo

    A me questo post è piaciuto tantissimo!Scrivi decisamente strabene! Sei troppo severa con te stessa!Mi astengo da citare riferimenti che non conosco per niente, e non dò la colpa al mio liceo, più probabile che sia la mia attenzione a fare cilecca…solo un appunto: devi correggere all'inizio con "seconda parte", altrimenti rischi che qualcuno sorvoli… io lo stavo facendo, per fortuna mi sono fermato in tempo!Diego

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  3. Lucyette

    Ehm… hai anche ragione Nella mia logica mentale, la scritta "prima parte" avrebbe dovuto essere universalmente interpretata come "questo è il secondo post in merito, quindi se volete leggere il primo cliccate sul link 'prima parte' e arriverete all'inizio della storia"…… ma, ehm, in effetti mi rendo conto che non posso costringere il resto del mondo a leggermi nel pensiero ;-PGrazie!

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  4. Lucyette

    Ehm… hai anche ragione Nella mia logica mentale, la scritta "prima parte" avrebbe dovuto essere universalmente interpretata come "questo è il secondo post in merito, quindi se volete leggere il primo cliccate sul link 'prima parte' e arriverete all'inizio della storia"…… ma, ehm, in effetti mi rendo conto che non posso costringere il resto del mondo a leggermi nel pensiero ;-PGrazie!

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  5. marinz

    Bellissimo questo racconto e lo hai scritto davvero bene… ho letto tutta la storia e ho immaginato questi due poveri "cercatori" della luce sulla della via Francigena… e mi sono immaginato io fra un mesetto e passa a fare il pellegrino anche se io non sono alla ricerca di qualcosa di specifico e sarò solo :o)Non ho colto riferimenti ma io sono informativo e al massimo posso citare qualche nome fantasy… Leonora mi sembra sia ripreso in qualche racconto elficoUn sorriso 🙂

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  6. marinz

    Bellissimo questo racconto e lo hai scritto davvero bene… ho letto tutta la storia e ho immaginato questi due poveri "cercatori" della luce sulla della via Francigena… e mi sono immaginato io fra un mesetto e passa a fare il pellegrino anche se io non sono alla ricerca di qualcosa di specifico e sarò solo :o)Non ho colto riferimenti ma io sono informativo e al massimo posso citare qualche nome fantasy… Leonora mi sembra sia ripreso in qualche racconto elficoUn sorriso 🙂

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  7. Lucyette

    Ecco: un qualche giorno di pellegrinaggio (non dico sul Cammino, ché probabilmente mi mancherebbe proprio la voglia di osare tanto, ma anche solo sul tratto di via francigena che hanno aperto qui a Pavia) è una cosa che mi piacerebbe tantissimo fare…. e che ovviamente non potrò fare mai, a causa dei miei fastidi al piede :-PUffa: qui a Pavia stanno facendo un lavoro bellissimo per valorizzare la via francigena, e ci hanno lavorato molto anche i medievisti (ovviamente), ma io son ferma alla teoria… :-)Allora approfitterò dell'occasione (tua) per una "pillola di Storia" sui pellegrinaggi medievali… e in compenso non sapevo che il nome di Lenora fosse stato ripreso dagli autori fantasy! Beh, in effetti è molto medievaleggiante…In compenso, pare che si sia diffuso proprio in Francia, a partire dal XII secolo… quindi ho anche avuto una colossale botta di fortuna, nella scelta onomastica! 😀

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  8. Lucyette

    Ecco: un qualche giorno di pellegrinaggio (non dico sul Cammino, ché probabilmente mi mancherebbe proprio la voglia di osare tanto, ma anche solo sul tratto di via francigena che hanno aperto qui a Pavia) è una cosa che mi piacerebbe tantissimo fare…. e che ovviamente non potrò fare mai, a causa dei miei fastidi al piede :-PUffa: qui a Pavia stanno facendo un lavoro bellissimo per valorizzare la via francigena, e ci hanno lavorato molto anche i medievisti (ovviamente), ma io son ferma alla teoria… :-)Allora approfitterò dell'occasione (tua) per una "pillola di Storia" sui pellegrinaggi medievali… e in compenso non sapevo che il nome di Lenora fosse stato ripreso dagli autori fantasy! Beh, in effetti è molto medievaleggiante…In compenso, pare che si sia diffuso proprio in Francia, a partire dal XII secolo… quindi ho anche avuto una colossale botta di fortuna, nella scelta onomastica! 😀

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  9. marinz

    Ho cercato il nome e mi sono ricordato dove lo avevo sentito.. è il nome di un Drago nella saga di Eragon… trovi qui un sunto dei Draghi: http://www.eragonitalia.it/draghi.phpMentre questo un altro dettaglio:Elfi della Luna Tagliente – Irin-Dah ‘Lim (Abitatori della Luna Tagliente)Abitano le pianure sterminate dell’altopiano di Rall in Lenora, nell’Isola del Levante. Si tratta di una colonia degli Elfi di Lur che a poco a poco si e’ adattata all’ambiente tropicale, fondando una propria comunita’ autogestita.Circa la via Francigena è un "desiderio" che ho dopo il cammino :o)Un sorriso 🙂

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  10. marinz

    Ho cercato il nome e mi sono ricordato dove lo avevo sentito.. è il nome di un Drago nella saga di Eragon… trovi qui un sunto dei Draghi: http://www.eragonitalia.it/draghi.phpMentre questo un altro dettaglio:Elfi della Luna Tagliente – Irin-Dah ‘Lim (Abitatori della Luna Tagliente)Abitano le pianure sterminate dell’altopiano di Rall in Lenora, nell’Isola del Levante. Si tratta di una colonia degli Elfi di Lur che a poco a poco si e’ adattata all’ambiente tropicale, fondando una propria comunita’ autogestita.Circa la via Francigena è un "desiderio" che ho dopo il cammino :o)Un sorriso 🙂

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  11. Ester05

    Anch'io ho trovato il post bellissimo. Pensa che dopo la prima parte volevo protestare perché costretta ad attendere il seguito! Ma poi lui è tornato ad essere cieco? Già che c'era, la Madonna poteva completare l'opera e ridargli definitivamente la vista, no?

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  12. Ester05

    Anch'io ho trovato il post bellissimo. Pensa che dopo la prima parte volevo protestare perché costretta ad attendere il seguito! Ma poi lui è tornato ad essere cieco? Già che c'era, la Madonna poteva completare l'opera e ridargli definitivamente la vista, no?

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  13. Lucyette

    No!!O mannaggia, come faccio a renderlo più esplicito? (Non è una domanda retorica, accetto consigli per davvero… tanto prima o poi 'sto coso dovrò riscriverlo: io vi ringrazio, ma a me continua a sembrar brutto) (E in effetti, se manco si capisce come va a finire… ;-P)No no: Jean Ravais recupera definitivamente la vista grazie all'intervento miracoloso della Madonna, non appena il quadro torna alla luce. Peraltro, se andate a Torino nel santuario della Consolata, c'è anche un dipinto che raffigura il momento del miracolo.Le storie come questa (e Torino n'è pienissima) sono state un po' il pane della mia infanzia (assieme alle storie sulle masche). Mi mettevo sulle ginocchia di mia nonna, mangiavo pane e salame, e la ascoltavo mentre mi raccontava queste storie (rigorosamente in Piemontese)…… fossi nata a metà Ottocento, mi avrebbero tirata su in maniera non dissimile :-DMarinz: beh, per la via Francigena puoi sempre cominciare a percorrere il tratto qui a Pavia; mi sembra che stian facendo un buon lavoro. Peraltro, se ne occupa una mia bravissima professoressa dell'Università… :-)Grazie per l'informazione onomastica (in effetti non ho mai letto Eragon), e in compenso…… prossima volta che vai a Torino, fatti accompagnare alla Consolata, a questo punto! :-PCaspita, è bellissima, è LA chiesa di Torino: è atroce che uno venga a Torino e non veda la Consolata!! 😉

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  14. Lucyette

    No!!O mannaggia, come faccio a renderlo più esplicito? (Non è una domanda retorica, accetto consigli per davvero… tanto prima o poi 'sto coso dovrò riscriverlo: io vi ringrazio, ma a me continua a sembrar brutto) (E in effetti, se manco si capisce come va a finire… ;-P)No no: Jean Ravais recupera definitivamente la vista grazie all'intervento miracoloso della Madonna, non appena il quadro torna alla luce. Peraltro, se andate a Torino nel santuario della Consolata, c'è anche un dipinto che raffigura il momento del miracolo.Le storie come questa (e Torino n'è pienissima) sono state un po' il pane della mia infanzia (assieme alle storie sulle masche). Mi mettevo sulle ginocchia di mia nonna, mangiavo pane e salame, e la ascoltavo mentre mi raccontava queste storie (rigorosamente in Piemontese)…… fossi nata a metà Ottocento, mi avrebbero tirata su in maniera non dissimile :-DMarinz: beh, per la via Francigena puoi sempre cominciare a percorrere il tratto qui a Pavia; mi sembra che stian facendo un buon lavoro. Peraltro, se ne occupa una mia bravissima professoressa dell'Università… :-)Grazie per l'informazione onomastica (in effetti non ho mai letto Eragon), e in compenso…… prossima volta che vai a Torino, fatti accompagnare alla Consolata, a questo punto! :-PCaspita, è bellissima, è LA chiesa di Torino: è atroce che uno venga a Torino e non veda la Consolata!! 😉

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  15. Ester05

    Ah, meno male! In effetti mi era parso strano che non riacqwuistasse definitivsamente la vista. Ma no, stai tranquilla: ho capito male io. Il post resta bellissimo. Anche mia zia (sorella di mia nonna) mi raccontava sempre delle masche. Diceva che si trasformavano in gatti per girare indisturbate per le campagne. Naturalmente, piemontese anche lei e IN piemontese (alessandrino, però).

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  16. Ester05

    Ah, meno male! In effetti mi era parso strano che non riacqwuistasse definitivsamente la vista. Ma no, stai tranquilla: ho capito male io. Il post resta bellissimo. Anche mia zia (sorella di mia nonna) mi raccontava sempre delle masche. Diceva che si trasformavano in gatti per girare indisturbate per le campagne. Naturalmente, piemontese anche lei e IN piemontese (alessandrino, però).

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  17. martayensid

    allora posto che il riferimento non l'ho colto nemmeno io, tu devi spiegarmi una cosa: ma come fai a mettere link in un blog manco fosse una pagina qualunque in html?

    L'altro trucchetto che non ho ancora capito (e che forse non c'è) è come fai a fare la cancellatura delle parole nei post. Hai beccato un modo veloce o ti metti con la Santa Pazienza a digitare l'apposito tag?

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  18. martayensid

    allora posto che il riferimento non l'ho colto nemmeno io, tu devi spiegarmi una cosa: ma come fai a mettere link in un blog manco fosse una pagina qualunque in html?

    L'altro trucchetto che non ho ancora capito (e che forse non c'è) è come fai a fare la cancellatura delle parole nei post. Hai beccato un modo veloce o ti metti con la Santa Pazienza a digitare l'apposito tag?

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