Il Lebensraum di Haushofer

Non so se avete mai sperimentato quella cosa splendidamente bella ch’è l’amicizia studente-professore.
Io sì: e vi assicuro che è per l’appunto splendida.

Per lo studente, è meraviglioso rendersi conto che quel tizio che ti ha insegnato un sacco di belle cose (e magari, ti ha anche fatto appassionare alla sua materia) non è solamente uno stimato professionista, ma è anche una persona bellissima e completa.
Per il professore, è ancor più bello vedere che quella ragazzina liceale di una volta si è fatta grande, ha incominciato a lavorare, e adesso s’è sposata, e adesso è madre di un bambino…
Insomma: l’amicizia studente-professore è una cosa splendida. Felice l’uomo che la può sperimentare!
E infatti, Karl Haushofer era felicissimo; e ben che stava.

Karl Haushofer, classe 1869, era stato fulminato sulla via di Damasco solamente in tarda età, se così possiamo dire. Prima di diventare professore (docente di Geografia all’Università di Monaco, precisamente), aveva intrapreso la carriera militare: dal 1908 al 1910 era stato in Giappone; dal 1914 al 1918, aveva preso parte alla Prima Guerra Mondiale.
Ed era stato lì – in mezzo alle trincee – che aveva incontrato per la prima volta Rudolf.

Rudolf era un ragazzotto (era nato nel 1894), e c’era un gap generazionale enorme a dividere i due amici. Ma Karl e Rudolf, come vi ho detto, erano diventati per l’appunto amici: Karl aveva aiutato Rudolf con la sua esperienza e suoi consigli di vita militare; Rudolf, spaventato come tutti i ragazzini al fronte, aveva fatto tesoro di ogni insegnamento del suo mèntore, cominciando a guardarlo con stima e gratitudine.
Immaginate un po’ che sorpresa, per il nostro Rudolf, tornare all’Università dopo la guerra, e scoprire che Karl era diventato professore!
Immaginate un po’ che sorpresa, per il professor Haushofer, entrare in aula il primo giorno di lezione, e scoprire che Rudolf era lì fra i suoi studenti!

Certo, non sarà stato facile. Karl si sarà posto qualche problema (e adesso come lo valuto?, riuscirò a essere obiettivo?)… ma era tutto superabile. Al di là delle simpatie personali, Rudolf era in gamba per davvero: era uno degli studenti più brillanti della classe; uno di quelli con cui si può discutere, confrontarsi, analizzar nuove teorie.
C’era una teoria, in particolare, che affascinava lo studente. Era la teoria del Lebensraum, “spazio vitale”.
Il professor Haushofer l’aveva sviluppata dopo alcune riflessioni di geopolitica, da cui si evinceva che la Germania, per ricominciare a crescere, avrebbe semplicemente avuto bisogno di più spazio. Più spazio, più terreni, più industrie, più soldi, più benessere. Insomma, un circolo virtuoso: Karl Haushofer era oziosamente giunto a questa convinzione, puramente teorica nelle sue intenzioni; poi l’aveva buttata lì, a lezione, per stimolare il discorso dei ragazzi… e aveva completamente calamitato l’attenzione di Rudolf.
Il giovanotto era stato molto colpito da questa osservazione, al punto tale che aveva insistito per presentare Karl ad un suo caro amico, che stava pensando di mettersi in politica. Giustamente, in quanto politicante, sarebbe stato interessato a capir meglio questo concetto, per meglio conoscere i bisogni del Paese.
Karl Haushofer accettò, perché gli faceva piacere sentirsi utile.

Il nome completo di Rudolf, purtroppo, era Rudolf Hess.
E l’amico di Rudolf che voleva mettersi in politica… si chiamava Adolf Hitler.

***

Il signor Hitler non fece una grande impressione a Karl, che se l’era immaginato più brillante.
La teoria del professor Haushofer, invece, fece una grandissima impressione a Hitler, che la portò alle estreme conseguenze e la inserì nel suo Mein Kampf.
Dal 1924 in poi, abbandonata l’università, Rudolf lavorò alacremente allo statuto del nascente partito nazionalsocialista, che aveva intenzione di mettere in piedi assieme al suo amico Afolf.
Nel 1930, il loro partito diventava improvvisamente la seconda forza politica in Germania.
Nel 1933, dopo che Hitler ebbe prestato giuramento come Cancelliere nella camera del Reichstag, Rudolf Hess diventò il suo vice. E, da buon amico che era, non si dimenticò certo del suo vecchio professore.

Karl Haushofer fu un nazista?
Dipende da quanto siete estremi nei giudizi; secondo me no, non fu un nazista. O meglio: non un nazista in stile SS, se con “nazista” intendiamo questo.

Oh, certo: accettò l’aiuto di Hess; ci mancherebbe.
Diventò un pezzo grosso dell’università, e poi delle università, e poi dell’organizzazione culturale e universitaria del Terzo Reich; è vero.
Prese parte attivamente alle missioni diplomatiche in Giappone, e fece finta di non vedere i vari crimini nazisti. Se proprio non poteva ignorarli, li definiva gesti singoli di fanatici.
Ma Karl Haushofer era un professore. Un professore che ha espresso la teoria sbagliata nel momento sbagliato con la persona sbagliata, e si è ritrovato invischiato in una situazione più grossa di lui senza riuscire a rendersene conto. Per ambizione, per paura, per arrendevolezza, Karl non ha saputo rifiutare tutti quei trattamenti di riguardo che Hess gli riservava…
… e poi: si trattava veramente di ambizione, o c’era qualcos’altro?

C’era qualcos’altro, dico io.
O meglio: c’era qualcun altro.
C’era Martha Mayer Doss: la madre dei suoi figli, la donna della sua vita, l’amore della sua esistenza, la sposa ogni giorno amata. C’era Martha, nella vita di Karl Haushofer; e c’era con lei un dilemma straziante, che toglieva il sonno ed il respiro.
Perché Martha Mayer Doss era un’ebrea.

Era un’ebrea, perdipiù madre di due figli ebrei, che quindi sarebbero stati soggetti a tutte le restrizioni per i figli nati da matrimoni misti.
E allora, Karl si arrovellava ogni giorno ed ogni notte. Che fare, a questo punto?
Collaborare con un regime che definiva sua moglie e i suoi figli “esseri razzialmente inferiori”? Era ovviamente ripugnante.
Ottenere che Rudolf Hess insignisse Martha del titolo di “tedesca ad honorem”, e dotasse i suoi due figli di un apposito Schutzbrief che li metteva al riparo da ogni restrizione? Continuava a esser vergognosamente ripugnante, ma era anche l’unico modo per non mandare a Auschwitz tutta quanta la famiglia.
Il martirio è una cosa tanto bella, ma non può essere imposto a tua moglie e ai tuoi bambini.

***

E così Karl si dà da fare, e collabora col Reich; e suo figlio Albrecht, giovanissimo, entra al Ministero degli Esteri e fa carriera. Paradossalmente, lui, ch’è mezzo ebreo, ha il compito di organizzare la deportazione degli ebrei nelle terre conquistate.
Sono impressionanti, le sue testimonianze; è impressionante, ad esempio, questa lettera:

Siedo al mio tavolo con una persona il cui compito consiste nel lasciare congelare e morire di fame gli ebrei concentrati programmaticamente nel ghetto di Lublino. Per mezzo di una frase buttata lì, osservando come non valga la pena di spendere i costi del trasporto per gli ultrasessantenni e ultrasettantenni, io posso cercare di far sì che almeno agli anziani vengano risparmiate nuove sofferenze. Ma in questo caso, mi sento rivoltare l’animo.

Ma del resto, che fare?
Potrebbe esserci anche sua madre, nell’orrore di quel ghetto: e allora teniamoci stretta la protezione dei gerarchi; e allora continuiamo a lavorare a testa bassa per ammazzare i non-ariani, noi, che non siamo affatto ariani…
… è disgustoso, è ripugnante, è vergognoso; ma almeno, Rudolf Hess ci vuole bene, e ci protegge. Protegge noi e uccide mille altri, certo; ma la sua protezione ci sta salvando la vita, e sarebbe suicidio rifiutarla.

***

Sennonché, a un certo punto Rudolf Hess scompare.
Per davvero, eh. Ce l’avete presente, la sua storia?
A un certo punto, il 10 maggio ’41, Hess molla baracca e burattini e vola in Scozia, per ragioni mai chiarite. Quel che è certo è che abbandona Hitler, e passa il suo tempo in Scozia a confabulare con gli Inglesi per chiedere un armistizio, contro ogni ordine del Führer.
Hitler è esterrefatto, sospetta che al suo braccio destro abbia dato di volta il cervello; o meglio ancora, sospetta che qualcuno l’abbia traviato e spinto a tradire il Terzo Reich…
… e chi, se non quella perfida famiglia di orrendi ebrei, di cui Hess parlava sempre, e perdipiù con tanto affetto?

, è senz’altro una congiura ebraica: Hitler fa inquisire l’orripilato Haushofer, che passa qualche tempo a Dachau accusato di alto tradimento. Ma non esiste il benché minimo indizio che possa collegare Haushofer alla fuga di Hess; e perdipiù, il regime teme gli affondi della propaganda estera, se mai si dovesse sapere in giro che quel famosissimo accademico è internato in un campo di lavoro.
E insomma, Karl è rilasciato: costretto a dimettersi da ogni carica, si rinchiude in una casetta di campagna e vive assieme alla moglie, senza ormai più protezione.
Quanto al figlio Albrecht (l’ebreo che internava ebrei lavorando per i nazisti), comprende anche lui che la misura è colma: collabora all’attentato ad Hitler del 20 luglio 1944; disgraziatamente fallisce; finisce in carcere e verrà fucilato il 23 aprile del ’45, ad una settimana esatta di distanza dal suicidio di Hitler, ormai così imminente.

Karl Haushofer, che viveva rinchiuso nella sua casa di campagna, verrà informato della morte del figlio con un mese di ritardo.
E, nel frattempo, verrà informato delle atrocità naziste; vedrà le fotografie degli ebrei nei lager; sarà interrogato dagli ufficiali dei comandi alleati; prenderà coscienza – una volta per tutte, completamente, definitivamente – di tutto quello che aveva sempre scelto di ignorare.
Si sentirà responsabile della morte di migliaia (di milioni!) di persone. Si sentirà fautore della morte di suo figlio; si sentirà colpevole di aver chiuso gli occhi; di aver giustificato; di non aver approfondito…
… e alla fine, non resisterà.

Gli angloamericani lo giudicheranno innocente. Indagando su di lui per valutare se processarlo a Norimberga, lo scagioneranno dalle accuse.
Ma lui, lui non si giudicherà innocente: e il 12 marzo del 1946, assieme a sua moglie che non lo volle mai abbandonare, si toglierà la vita ingoiando dell’arsenico, e consegnando ai posteri una straziante lettera d’addio.

Si scoprono storie da film, di tanto in tanto, studiando per un esame di Storia.

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A sinistra: Karl Haushofer. A destra: Rudolf Hess

18 risposte a "Il Lebensraum di Haushofer"

  1. agapetos

    Bella storia!
    Evidentemente a Haushofer era rimasto un briciolo di coscienza, anche se alla fine ne è rimasto schiacciato.
    E come non pensare a chi, anche in Italia, ha appoggiato analoghe atrocità ma non ne ha mai palesato il minimo rimorso?

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  2. utente anonimo

    Molto triste…
    Quest'anno mi pare sia passata un po'in silenzio (o almeno più degli anni passati)  la Giornata della Memoria, invece la ritengo veramente importante

    Daniele

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  3. Lucyette

    Agapetos, io sono ancor più indulgente: secondo me, a Haushofer non era rimasto solo un briciolo di coscienza; secondo me, questo poveretto aveva semplicemente avuto la fatalità di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
    E poi, non aveva saputo o voluto prendere le distanze dal nazismo, certo; ma personalmente sono molto indulgente, immagino che non fosse una scelta facile (tanto per usare un eufemismo).
    Per le analoghe atrocità che spesso cadono nel dimenticatoio… concordo con te, assolutamente.
    Uh, e grazie per la precisazione storica: effettivamente non avevo consultato Wikipedia, e questa notiziola mi mancava!

    Ago, effettivamente il mio libro non approfondiva la storia del secondo figlio… che però, è a sua volta interessante! Heinz Haushofer si era laureato in Agraria, aveva fatto carriera nel Reich esattamente come il padre ed il fratello (curando alcuni studi sui bisogni agricoli del Reich, ad esempio); poi, come il fratello, aveva preso parte all'attentato del 20 luglio 1944. Fallito l'attentato, era stato catturato; ma i Nazisti non hanno fatto in tempo a ucciderlo, ed è stato liberato dagli Alleati. Dopo la sua tragedia famigliare, ha svolto una vita relativamente normale (se così si può dire): ha ripreso i suoi incarichi statali, ed è morto nel 1988.
    La cosa che ho omesso di dire nel post (per il semplice fatto che era già troppo lungo così), invece, è la seguente.
    Il figlio fucilato, Albrecht, non è stato solo un politico; è stato anche uno scrittore. Nel carcere in cui è stato imprigionato dopo la sua condanna (il carcere di Moabit), ha composto una serie di sonetti, che sono stati scoperti solo dopo la sua morte.
    Che io sappia, i Sonetti di Moabit hanno avuto un'unica traduzione, in Italiano, nel 1969 per la casa editrice Guanda, e adesso sono introvabili… però sono toccanti! Io ne ho letto qualcuno in Tedesco, e sono veramente commoventi. Sono riflessioni sulla prigionia, sulla resistenza, sui dilemmi etici di chi si è ribellato troppo tardi; ce n'è uno dedicato anche al padre, e al dramma della sua vita.
    E' un peccato, che non circolino in Italia.

    Aerie, c'è un libro (io non l'ho letto; però so che c'è) che si intitola Uomini comuni. Analizza il comportamento di un battaglione di soldati nazisti di stanza in Polonia, che si è reso protagonista di uno dei più spietati eccidi di ebrei che la Storia ricordi (proprio in termine di violenza, dico. Cioè, qui si parla proprio di case bruciate col lanciafiamme con le donne e i bambini chiusi dentro: anche cose molto cruente, insomma, rispetto alle camere a gas dei lager). Ecco: comunque, l'autore analizza il comportamento di questo battaglione, e cerca di capire come mai questi uomini siano potuti arrivare a tanto. Anche perché non si trattava di sadici antisemiti appena usciti dal manicomio: si trattava di uomini comuni, appunto. Giovanotti, padri di famiglia, gente appena arruolata… persone normalissime, insomma.
    Ci si chiede cosa abbia potuto spingere queste persone a comportarsi in questo modo disumano, e ci si chiede se veramente noi saremmo in grado di comportarci diversamente, in quelle situazioni.
    Penso anch'io che ci sia stata un sacco di gente che ha fatto finta di non vedere; e del resto, l'eroismo non è per tutti.

    Daniele, tu dici?
    Onestamente non saprei: in questi ultimi giorni ho avuto la testa altrove, e non ho prestato molta attenzione a telegiornali & co. Cioè, non so proprio dire se sia passata in silenzio o meno.
    Però, su Facebook, un sacco di miei contatti oggi ha pubblicato link e video in merito. Evidentemente, la memoria c'è!

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  4. Retiarius

    "Non so se avete mai sperimentato quella cosa splendidamente bella ch’è l’amicizia studente-professore".

    Ehm… Su questo sorvolo 
    Ti confesso che quando ho visto la lunghezza del post (che non è lunghissimo, ma oggi sono intronato) volevo evitare di leggere. Poi però ho visto che era interessante e che "si leggeva da solo" 

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  5. utente anonimo

    Penso che se una persona fa finta di non vedere o compie un atto come quello di cui parli, è perchè ha paura.
    Gli ebrei erano diventati il terrore dei tedeschi, i nazisti scaricavano ogni colpa su di loro, anche la storia della razza ariana origina dalla paura.
    La paura del diverso, che entra a casa mia e prende quello che è mio, per cui io devo difendermi, così anche lo sterminio di un'intera razza diventa giustificabile.
    Credo che la maggiorparte dei tedeschi non sapesse esattamente cosa avveniva, a loro bastava che gli ebrei fossero portati lontano, mica si chiedevano che fine facessero.
    Anche il vicino di casa, il compagno di scuola erano diventati una minaccia.
    Avevano paura.

    La cosa tragica è che si continua anche adesso ad essere così cretini.
    Napolitano ha fatto un bel discorso ieri, ha fatto parlare anche una ragazzina rom
    Per inciso, non solo gli ebrei, ma anche rom e disabili fuono sterminati dai nazisti.
    Dovremmo ricordarcelo.
    Eppure ieri c'era un leghista in tv che diceva che non era giusto assegnare delle case popolari (a Milano) ai rom.
    Non conosco la cosa con precisione, ma penso che se il comune l'abbia fatto ci sia una base legale.
    C'era anche una signora (penso una rappresentante dei rom italiana) che sottolineava il fatto che le famiglie interessate lavoravano tutte regolarmente, i loro figli andavano a scuola.
    E il leghista continuava imperterrito a dire che le case non potevano andare a che fa mendicare i figli.
    Ma se ti ha appena detto che sono famiglie ben integrate!
    Che i loro bambini vanno a scuola!!

    A che serve una giornata della memoria fatta così?
    Vediamo le immagini degli ebrei e non vediamo lo schifoso razzismo che ci circonda.
    E di nuovo si diffonde, nell'italiano, la paura del diverso, del rom, del "marrocchino", del "terrone".

    E siamo punto e a capo.

    Aerie

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  6. agapetos

    @Berlic infatti secondo Eugenio Corti i regimi "messianici" del '900 (e non solo purtroppo) sono la migliore dimostrazione della realtà del peccato originale. Su questo poi ha scritto anche "L'isola del paradiso", che oltre ad essere un bel romanzo storico, è una splendida catechesi sull'argomento.

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  7. Lucyette

    Oh! Il bambino con il pigiama a righe
    Argh, non posso vederlo: mi hanno regalato il libro ma non ho ancora avuto il tempo di leggerlo, e temo che vedendo prima il film mi rovinerei la lettura…
    Me la rovinerei, vero?

    Ma grazie mille per la segnalazione, davvero!

    Ho visto che mi sono dimenticata di rispondere agli altri commenti, ma adesso ho troppo sonno per farlo… vabbeh, ritorno 😛

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  8. utente anonimo

    Si rovineresti moltissimo la lettura del libro 😛 quindi presumo che non l'hai visto, meglio, sicuramente prima o poi lo ripasseranno e magari allora avrai letto il libro.

    Tra l'altro se ricordo bene il libro (divorato un giorno caldissimo di maggio in cui avevo la febbre a 40, quindi proprio in preda al delirio più totale!) direi che non hanno stravolto nessun passaggio della storia, se non forse una piccola cosa sul finale, ma giusto per fare più scena, quindi direi che il lavoro è stato piuttosto preciso… ovviamente non dirò niente 😛

     

    Daniele

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