Il Terrore degli Alpini

ovverosia

Tutto quello che i veri alpini non ammetteranno mai,
ma che Lucyette è pronta a raccontarvi

Torino è un brulichio di penne nere, e le nappine colorate sui cappelli sembrano un’unica, immensa, tavolozza di colori. C’è un miscuglio di dialetti e di parlate, così lontani ma così – stranamente! – comprensibili. I “bela tosa!” si uniscono agli apprezzamenti per le madamin-e piemonteise; si ascolta la fanfara, composti ed ordinati, e poi si beve un po’ di grappa. Fra il serio ed il faceto, si onora la bandiera e poi ci si lancia in canti alpini e avvinazzati.
A Torino, in queste ore, si è appena conclusa l’84a adunata nazionale alpini. Ci son stata trascinata gioco-forza, da un padre alpino ed appassionatissimo che non ha accettato repliche. Son tornata a Torino senza nessuna aspettativa, e mi sono stupita di trovarmi così presa e appassionata: perché quella degli alpini è stata una festa vera, di popolo, entusiasta e entusiasmante. I reduci di Russia si mescolavano ai ragazzi della naja breve, e si vedeva che questa gente era proprio felice di esser lì. Disposta anche a macinar chilometri e a dormire in una tenda, pur di dire “, io c’ero”.

Persa in questo mare di cappelli verdi e variopinti – che, pian piano, sto imparando a leggere! – cammino al fianco di mio padre e, confesso, un po’ lo invidio. Circondata di penne nere, mi sento quasi menomata: lo vorrei pur io, il mio cappellino bello.
Uffa.

“Beh… ma se vuoi comprartene uno, compralo!”, osserva mio padre, orgogliosamente propositivo. “Guarda: è pieno di bancarelle che li vendono. Non vuoi?”.
No, non voglio, naturalmente: il mio desiderio sarebbe quello di un cappello vero, originariamente alpino. Mica voglio quei cappelli finti per turisti, ahò.
“Se vuoi un cappello vero, puoi andare in quel negozio di articoli militari che c’è di fronte alla caserma”, osserva mio padre (ancor più orgoglioso, ed ancor più propositivo). “Lì, vendono le divise ufficiali per soldati”.
Mannò, protesto scandalizzata: non è la soluzione! Punto primo, costeranno un capitale; punto secondo, non mi permetterei mai di appropriarmi indebitamente di una divisa militare che non mi spetta.
Mica sono alpina, io. Son soltanto appassionata.

Mio padre è ancor più orgoglioso: mi fissa con l’aria di dire “, questa è mia figlia”.
Ma poi sgrana gli occhi, inorridisce, mi guarda con un misto di vergogna e di terrore. “Cioè. Tu mi stai dicendo che vorresti un cappello vero da alpino, ma solo per gioco, e comunque senza pagarlo?”.
“Beh, sì”, commento io, distrattamente. “Non che lo voglia davvero, ma in teoria mi piacerebbe”.
Mio padre sbianca, disperato. “Signore, ti prego, dimmi: cosa ho fatto di male, per meritare tutto questo? Cosa?”.
Gli lancio uno sguardo interrogativo, e lui mi fissa ancor più affranto. “Non è possibile. Mia figlia è come quelle perfide francesine approfittatrici. Non riesco a crederci”.
Inarco le sopracciglia. “Le perfide francesine approfittatrici? Che stai dicendo?”.
“Massì, massì!”, sbuffa mio padre. “Quando ho fatto l’alpino, eravamo a Aosta, e venivano sempre delle ragazze francesi che oltrepassavano il confine. Pure loro volevano il cappello. Proprio come te”.
“Ah”.
“Sì. Le odiavamo tutti. Però in effetti ottenevano quello che volevano, quindi stai molto attenta, figlia mia. Adesso ti spiego come devi fare”.
“?”.
“Allora. Devi metterti una minigonna, molto corta, o un vestito, molto bello”.
Scusa?!”.
“Sì, figliola mia. E poi, prendi di mira un alpino in libera uscita, che possibilmente abbia bevuto”.
“…”.
“E poi, sai com’è… ti avvicini, balli con lui… qualche moina…”.
“Scusa, papà. Mi stai dicendo che devo prostituirmi per comprare un cappello da alpino?”.
Mannò! Non credo che arrivassero a tanto. Oddio, almeno spero. Bastava ballare vicini vicini: qualche carezza, su spalle e collo, e qualche parola dolce, così l’alpino è contento e si rilassa…”.
“E questa non è prostituzione?”.
“Beh, no. A un certo punto, nel bel mezzo del ballo, queste delinquenti facevano un movimento fulmineo e ti fregavano il cappello. Poi scappavano via urlando, e tirandoti dietro epiteti umilianti”.
“…”.
. L’alternativa, in effetti molto praticata, era lo scippo dalla decappottabile. Loro salivano su una decappottabile, si avvicinavano a tutto gas a un gruppetto di alpini, e ti fregavano il cappello senza fermarsi. E poi, via”.
“Ma veramente?”.
“Ossì. Erano il terrore di tutta la caserma. Noi sapevamo fronteggiare cannoni, mortai, mitragliatrici, ma non riuscivamo a tenere a bada quelle donne. Erano il nostro incubo”.
“…”.
“E farsi derubare del cappello era una vera infamia. Io stesso, ai tempi, ho dato qualche punizione ai miei allievi, se si facevano fregare per più volte consecutive”.
“…”.
“Per cui, figliola, vedi un po’ tu il da farsi. Se ti sbottoni un po’ la camicetta e ci provi con quel tizio là, che è palesemente brillo, forse forse…”.

È bello nascere da una famiglia religiosa e unita, in cui tuo padre ti indica la strada della virtù tramettendoti i suoi saldi principi.

… e comunque, alla fine ho vinto io, e senza uso di lascivia.
Come dovrebbe ben sapere ogni figlia femmina, unigenita creatura di anziano padre maschio… non ci va una grande scienza, per farsi concedere almeno un piccolo cappello.
E per un giorno… son stata alpina anch’io!

7 risposte a "Il Terrore degli Alpini"

  1. Lucyette

    Sì, è stata inaspettatamente piacevole
    Più che altro, io ho potuto godere della "guida" di mio padre, che è stato un alpino appassionatissimo e che comunque si è sempre tenuto aggiornato su armi, tecniche di difesa, eccetera. (Per hobby, eh: poi in realtà ha fatto tutt'altro, di lavoro).
    Quindi, la parte più interessante di tutto questo è stata la possibilità di far visita al posto in cui gli alpini avevano allestito un museo storico, e messo in esposizione varie macchine da guerra.
    Il museo storico me lo son goduta io, l'esposizione di macchine da guerra ha beneficato della attenta e approfondita spiegazione di mio padre… e insomma, adesso ho imparato come funzionano le mine antiuomo, come si aziona un mortaio, e così via dicendo…
    E' stato interessante, dai! 😀

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  2. Lucyette

    s.m.t, l'acconciatura è venuta fuori immonda… non mi capacito di come abbia potuto formarsi quel buco in mezzo al collo, giuro che in genere non ce li ho così, i capelli :-DD

    IlParra, ma grazie! 😛
    Uhm, con l'elmetto non mi ci vedo proprio… ma il cappello d'alpino era il mio sogno di bambina, quando mio papà mi prendeva da parte e incominciava a raccontarmi storie di alpini, di marmotte, e di montagne… 😉

    Diego, il mio papà ha detto che me lo lascia in eredità… quando lui sarà morto, dovrò andare ai raduni degli alpini in sua memoria!
    Ooooohhh!

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