Una penna spuntata

Non si sa, di preciso, come abbia avuto inizio questa usanza.
C’entra senz’altro un certo tipo di santità femminile tardo-medievale, tutta fatta di visioni mistiche e deliqui, estasi di fronte al tabernacolo e sommovimento delle viscere. C’era stato un periodo, fra il Quattro- e il Cinquecento, in cui queste esperienze si moltiplicavano con una frequenza che aveva finito per insospettire le autorità ecclesiastiche.

Il misticismo è un fenomeno che la Chiesa ha sempre considerato veritiero e degno di attenzione; il fatto è che, prima di allora, non se n’era mai vista una tale fioritura, con centinaia di presunte mistiche che spuntavan come funghi. Calcolando che molte di queste donne erano contadinotte facilmente suggestionabili, e che l’analisi delle loro esperienze mistiche faceva aumentare esponenzialmente i dubbi dei prelati, era sorto il sospetto di avere a che fare con una sorta di esaltazione collettiva che si auto fomentava.

Le direttive “dall’alto”, in questo caso, erano state semplici e dirette. Se un sacerdote riceveva le confidenze di una fanciulla che rivelava di avere certe inclinazioni, doveva invitarla, almeno in un primo momento, a tenere per sé queste esperienze: a farne tesoro prezioso, a meditarle nel suo cuore. E, possibilmente anche a metterle per iscritto: perché no?

Tenere un diario personale è un’operazione psicologica di altissimo spessore, soprattutto se ci riversi dentro speranze, preghiere, riflessioni e sentimenti: scrivendo un’esperienza, la rivivi col senno del poi e soprattutto la rielabori, in uno sforzo di introspezione non indifferente.
Per quanto riguarda poi il nostro caso specifico, l’invito a scrivere le proprie riflessioni tutelava in qualche modo l’esperienza mistica di queste donne: esperienza che non veniva più gridata ai quattro venti, ma filtrata appunto attraverso la scrittura. Il che, auspicabilmente, avrebbe aiutato le donne a discernere se si trattasse veramente di esperienza mistica… o se non si fosse trattato forse di banale suggestione. E se poi la Chiesa fosse addivenuta alla conclusione di essere realmente di fronte a una mistica: a quel punto, un resoconto dettagliato di tutte le visioni della donna avrebbe assunto un valore preziosissimo, come è facile intuire.

***

Insomma: l’unico intento di questa direttiva era per l’appunto quello di invitare le fedeli a interiorizzare e meditare le tappe della loro vita spirituale; nulla più. La cosa buffa, però, è che questa direttiva portò con sé un interessante effetto collaterale: l’alfabetizzazione di massa di un bel po’ di donnettine incolte.

Capiamoci: stiamo parlando di donnicciole di umili origini. Massaie, contadine, mogli di piccoli artigiani. Non stiamo parlando di intellettuali che erano già abituate a lavorar di penna: stiamo parlando di donne che erano arrivate all’età adulta senza aver mai sentito l’esigenza di imparare a leggere, e che adesso si vedevano costrette a tenere un diario di giorno in giorno perché era la Chiesa di Roma a comandarglielo.

Non erano capaci, povere donne.
Erano contadinotte dell’Italia cinquecentesca; madri di famiglia, sartine, ricamatrici. Donne dall’esistenza anonima che non avrebbero assolutamente avuto alcuna chance di passare alla Storia, men che meno per i loro meriti letterari (!), se non fosse stato per il ghiribizzo di qualche sacerdote che, letteralmente, le costrinse a imparare a scrivere.
E badate: letteralmente sto parlando di un’alfabetizzazione a livello base, coi preti che prendevano da parte quelle parrocchiane strambe e insegnavano loro a mettere assieme le lettere dell’alfabeto, insistendo per farsi consegnare di giorno in giorno una mezza paginetta di pensieri. E, non so voi, ma io mi incanto nel pensare a queste donnettine che si guadagnano un posto nella Storia grazie alla loro forza di volontà, e grazie al coraggio con cui hanno affrontato tutte le difficoltà dovute alla fatica di imparare a scrivere.

“Fatica”, sì.
A noi sembra una cosa scontata: ma provate a pensare alla fatica assurda di imparare a scrivere a trent’anni, in un mondo in cui la scrittura sembra un vezzo da intellettuali che non apporta alcun beneficio concreto alla tua vita di ogni giorno. Pensate alla fatica di imparare l’abbiccì con i bambini che scorrazzano attorno, il marito che ti prende per pazza, un cascinale da portare avanti e la difficoltà tecnica di tenere in mano il pennino d’oca, di gestire il calamaio, di non rovinare la costosa carta. Messe di fronte a un foglio bianco, queste ragazze si sentivano impacciate, impedite, inadeguate: sono sentimenti che riecheggiano spesso nelle pagine dei loro diari e che vengono espressi in maniera particolarmente chiara da una paginetta composta verso il 1675 da una giovane terziaria domenicana residente a Modena.

Graziata (o così almeno lei diceva) da frequenti visioni mistiche, la giovane analfabeta aveva ricevuto dal suo confessore l’ordine di imparare a scrivere e di tenere quotidianamente un diario delle sue esperienze spirituali. E a un certo punto, tra i suoi appunti, la ragazza descrive questa sua visione:

Dicendo al Signore che n’era gran fatica il scrivere, e per la pigrizia nello scrivere e per il male nelli occhi, mi parve di vedere un bambino in età di 6 anni [il] quale pigliò una penna spuntata […], e vidi la mano che scriveva, ma non so quale parole fossero, e mi disse: “vedi? Sì bene questa penna è spuntata, scrive”.
E vidi che dalla [sua] faccia venivano raggi; e doppo, restai molto consolata.

La nostra amica, come tante altre donne prima e dopo di lei, doveva insomma sentirsi “una penna spuntata”: uno strumento difettoso, imperfetto, buono a nulla. Che però, se si lascia guidare dalle mani giuste, con un po’ di applicazione riesce a fare grandi cose.

Non so perché, ma ho sempre trovato dolcissima quest’immagine. Mi pare ai limiti del commovente, pensare a questa penna che, sì bene spuntata, scrive: e ha scritto così bene da passare alla Storia, pur spuntata come era. Cerco di immaginarmi l’espressione di questa ragazza se le avessero detto che i suoi scritti, sopravvissuti ai secoli, sarebbero finiti in saggi accademici di livello e avrebbero ispirato un giorno il titolo di un blog. Mi immagino la sua faccia, e vorrei sorriderle.

Mi sono imbattuta in questa scenetta diversi anni fa, preparando un esame universitario, e dal quel momento mi è entrata nel cuore. E tutto sommato ho pensato che potesse essere un titolo adatto, per questo blog in versione 2.0. Un titolo che parla di storia, di santi, di scrittura e di Chiesa (…e – se vogliamo – di forme di religiosità così anomale e bizzarre da sembrar dubbie pure ai preti. Eddai: non è esattamente questa la mia linea editoriale?).

Un titolo che, in fin dei conti, parla anche di “me”.
Chi lo sa: forse sarà per questo motivo che la scenetta mi ha colpita così tanto: c’è qualcosa che mi accomuna a quella donna seicentesca. Anche lei, quell’altra penna spuntata, si chiamava Lucia. Proprio come me.

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Gerard Terborch, “Donna che scrive una lettera”, 1655 ca., Mauritshuis, The Hague

22 risposte a "Una penna spuntata"

  1. Denise Cecilia S.

    Ma dai! Pure Lucia si chiamava… bella storia, davvero.
    Soprattutto, commovente la cornice storica – non sapevo del fatto che le donne venissero incoraggiate a mettere su carta le proprie “visioni”, ma l’idea di fatica nell’imparare a scrivere l’ho trattenuta, per fare solo un esempio, da “Un cappello pieno di ciliegie” della Fallaci.

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    1. Lucyette

      Essì, in origine era una direttiva nata proprio per “controllare” in qualche modo questi eccessi di misticismo che sembravano quantomeno un po’ sospetti.
      Poi, in realtà, l’abitudine si è estesa fino a coinvolgere anche delle ragazze che non necessariamente avevano visioni mistiche, ma che sembravano avere una vita spirituale degna di nota e che meritava d’esser ricordava. Ci sono anche diari del tutto privi di visioni varie, ma ricchi di riflessioni, preghiere, meditazioni, e così via dicendo…
      Un piccolo tesoro di spiritualità, insomma. Prezioso proprio perché non proviene dalle carte di una qualche intellettuale, ma da donne comuni come tante 🙂

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  2. Ilaria

    Non potevi inaugurare il “nuovo corso” con un post migliore; è davvero emozionante pensare a quelle donne che imparavano a scrivere (ma anche a quei preti che glielo suggerivano e glielo insegnavano!) e in particolare, davvero, quella ragazzina come poteva immaginare che, pur nella sua “incapacità”, le sue parole sarebbero arrivate fino a noi e fino a dare il titolo a un blog (e valle a spiegare che cavolo è un blog!)? Bellissimo (e bella la Storia!) 🙂

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    1. Lucyette

      Sì, io davvero mi incanto nel pensare a queste ragazzine incolte che sono passate alla Storia, addirittura finendo nei manuali universitari. Mi immagino queste contadinotte del Cinquecento che piangevano lacrime e sangue mentre cercavano di scribacchiare nel loro diario, chiedendosi “ma che senso ha questa tortura?” e magari subendo anche gli scherni e la disapprovazione di parenti e vicini che le accusavano di perdere tempo…
      Se avessero anche solo potuto immaginare che i loro scritti, a distanza di secoli, sarebbero stati oggetto di studi e di dissertazioni…

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  3. ClaudioLXXXI

    La storia raccontata in questo post è chiaramente falsa.
    Tutti sanno che la Chiesa ha sempre ritenuto la donna un essere inferiore, forse anche senz’anima, meno intelligente del maschio e da relegare nell’ignoranza.
    Preti che insegnano alle donne a leggere e scrivere? Contraddice tutto quello che mi hanno insegnato a scuola, dunque non può essere successo.

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  4. marinz

    Leggendolo mi è venuta in mente la figura di Madre Teresa che disse: “sono una piccola matita nelle mani di Dio” 🙂

    E mi sembra un bel post per iniziare (continuare) questo cammino

    Un sorriso

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    1. Lucyette

      Maddai?
      Non conoscevo questa frase di Madre Teresa (che in effetti è un personaggio che conosco troppo poco, dovrei decisamente approfondire).
      Io mi ricordavo semmai “Signore, fai di me uno strumento della tua pace”, ma la frase di Madre Teresa è davvero splendida (e molto in linea con questo post).
      Insomma, grazie!! 🙂

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      1. Lucia

        Sì, vero? Mi sono resa conto poco tempo fa che, in effetti, questo post non si notava proprio. L’avevo linkato delle FAQ, alla domanda “da dove arriva il titolo del blog?”… ma evidentemente nessuno ha l’abitudine di leggere a fondo le FAQ 😛
        Così ho pensato di dare maggior evidenza alla pagina.

        (Ma in effetti, manco io le leggo mai, le FAQ, quando finisco per la prima volta su un sito nuovo… >.>)

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    1. Lucia Graziano

      Beh sì, poi comunque fu anche un fenomeno numericamente poco significativo, se invece di guardare ai casi singoli facciamo la proporzione col resto delle donne sul territorio. Restarono comunque casi isolati insomma, sicuramente non generarono una moda ecco 🙂

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    1. Lucia Graziano

      Beh lei però partiva già da una posizione di “privilegio” non da poco, se vogliamo! Era ricca di nascita e istruita fin dall’infanzia: vuoi mettere con una contadinotta che impara a scrivere a trent’anni perché glielo comanda il prete? 😀 Questa sì che è una storia assurda… 😛

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