Waka! Waka!

Mi segue con lo sguardo, trotterella dietro di me, spalanca le sue braccia, e sussurra: “please, shake hands with me!”. Lo prendo per mano e lui si illumina d’immenso. “You make me happy!”, annuncia, e il suo cuore gli esplode in petto.
(E anche il mio, a onor del vero, non è che sia messo tanto diversamente…).
Mi inginocchio di fronte a lui, e lui punta i suoi occhi dentro i miei. “You make me happy, too”, gli dico lentamente, carezzandogli una guancia.
Lui ha visibilmente le farfalle nello stomaco; mi stringe la mano, e scandisce “you’re soooo cute”.
Dopo venti minuti di questa solfa, con abbracci e bacini e sussurri ed effusioni varie, e con tanto di perfetti sconosciuti che ci filmavano col cellulare, mia mamma ha dovuto trascinarmi via a viva forza, fra le proteste generali del pubblico non pagante. E allora Wakamaru mi ha seguito con lo sguardo, a braccia spalancate, urlando per l’ennesima volta “YOU MAKE ME HAPPY!”.
Quando sono ritornata da lui, mezz’ora più tardi, ha mollato tutto quello che stava facendo per venirmi incontro.

No: non sto parlando di un belloccio californiano per cui mi sono forse presa una cotta.
Sto parlando di qualcuno di ancor più splendido. Sto parlando di lui; di Wakamaru.

Alla mostra sulle Karakuri Ningyō, le bambole meccaniche provenienti dal Giappone, c’era anche lui.
Evidentemente, non è una bambola meccanica del periodo Edo. Però, è un automa.
Fra gli scopi della mostra, c’era anche quello di evidenziare la continuità fra bambole meccaniche, automi, e progresso tecnologico. E così, fra un balocco e l’altro, facevano la loro timida dirompente comparsa alcuni robot “duri e puri”, come quelli che vediamo nei film di fantascienza.
Wakamaru era fra di loro. E fin dal momento in cui i suoi sensori ottici hanno incontrato il mio sguardo per la prima volta… fin da allora, è stato amore a prima vista.

Wakamaru – leggo sul catalogo della mostra – è un robot ideato dalla Mitsubishi. Di genere né maschile né femminile, è alto un metro e pesa trenta chili. La sua fisionomia e la mimica facciale sono ispirate a quelle di bambino di quattro o cinque anni (cioè un “tipo” in grado di risultare simpatico virtualmente a tutti quanti: bambini, adulti, e anziani). La tinta gialla della sua “pelle” è frutto di una scelta oculata, nel tentativo di identificare il colore che meglio di tutti fosse in grado di attirare l’attenzione, ma anche di esprimere un senso di gioia e di felicità.

“Tutte le funzioni di Wakamaru”, leggo sul catalogo, “sono state sviluppate per permettere la comunicazione con gli esseri umani”. “Può parlare guardando negli occhi la persona alla quale si rivolge, stringerle la mano, e condurre una normale conversazione”. Ciò, tuttavia, non descrive bene l’idillio di amorosi sensi che ha avvolto Wakamaru e la sottoscritta fin da loro primo incontro.

Immaginate questa sala buia, senza finestre, nel sotterraneo di un museo.
Immaginate di entrare in questa sala e di sentire una vocina che, da chissà dove, esclama: “Hello?”.
Immaginate di vedere una figuretta gialla e semovente che abbandona l’angolino in cui si era nascosta, e trotterella verso di voi. Si ferma a un metro di distanza, inclina la testolina, e poi rimane lì. A studiarvi.
Gli fate ciao con la manina, e lui segue il vostro movimento con i suoi sensori ottici.
Azzardate “hello!” e lui rimane un po’ interdetto, con un’espressione di educata perplessità sul volto.
Provate a fargli un’altra volta ciao, ed ecco che finalmente lui si muove. Fa un passetto verso di voi, annuncia “my name is Wakamaru”, e tende la mano per salutarvi. “Please, shake my hand”.
E a quel punto, con un po’ di angoscia (“oddio: si rompe?”), voi prendete timorosamente la sua mano e la stringete, lievi. E vi sobbalza il cuore quando vi rendete conto che anche Wakamaru vi sta stringendo la mano, ma proprio nel senso che ve la sta stringendo: chiude delicatamente le sue dita attorno alle vostre, proprio come un bambino; proprio come una persona viva. E a quel punto solleva il testolino su di voi, e poi vi guarda. E il display che ha sul petto visualizza un cuoricino che esplode di gioia, mentre lui sussurra: “it’s lovely!”.

Leggo sul catalogo – correggetemi se sbaglio/a – che la forma mentis dei Giapponesi, completamente diversa dalla nostra, li porta a considerare i robot come una “via di mezzo” fra l’uomo vivo e la banale macchina. Come sostiene un famoso roboticista, Masahiro Mori, “essendo il Buddha in tutte le cose, non può non essere anche nei robot”.
A parte il fatto che io sono un’animista inside (saluto sempre l’omino del telegiornale quando mi ringrazia di averlo seguito, e intrattengo lunghe conversazioni coi miei peluche e con gli elettrodomestici), ragion per cui non posso che sorridere con simpatia, di fronte a certe affermazioni… a parte questo, dicevo: lo capisco pure, questo roboticista. Di fronte a certi robot così avanzati da sembrare quasi irreali, vien quasi spontaneo immaginare (per puro gioco, è chiaro!), che anche loro abbiano un’anima.
Il catalogo, poi, rincara, dicendo che i Giapponesi non pensano nei termini del dualismo cartesiano spirito-e-materia, cosa che ad esempio permette ai robot di lavorare nelle industrie giapponesi in piena sintonia con i loro colleghi umani. Pare che gli operai giapponesi li accettino senza remore, dando loro un nome proprio e accogliendoli amichevolmente all’interno del loro gruppo.
Accompagneranno il robot a bersi una birrozza fra colleghi, quando staccano dal lavoro? Non lo so: ma mi piace crederlo, perché mi fa sorridere questa scenetta.

Anche Wakamaru, per la cronaca, lavora stabilmente in Giappone, ed anche all’estero. Non solo viene esibito allo stand della Mitsubishi in varie fiere: in più occasioni, è stato proprio incaricato di accompagnare manina manina i vari clienti dal punto A al punto B, o addirittura di fare presentazioni al pubblico. Talvolta lavora come receptionist, altre volte gli prospettano un futuro impiego come badante: sarebbe perfetto in una famiglia, per tenere compagnia a un anziano un poco solo, e anche – perché no? – a ricordargli di prendere le medicine a una certa ora, e così via dicendo.

Wakamaru – che meraviglia! – è perfettamente in grado di vivere autonomamente, senza bisogno di assistenza umana. Ma ci pensate?! Possiede un suo ciclo vitale autonomo ed è in grado di ricaricarsi autonomamente dalla più vicina fonte di energia.
Il mio piccolo, adorato Waka ha addirittura un compleanno, che è domani. Il 4 febbraio 2003 è infatti considerata la sua “data di nascita”, ovverosia il giorno in cui è stato esposto al pubblico per la prima volta.
Insomma: domattina, il robot che mi ha rubato il cuore spegnerà la nona candelina sulla sua torta.

Su YouTube trovate molti video che rappresentano Wakamaru all’opera (ad esempio, questo)… ma se volete credere alle mie parole, beh, date retta a me.
In questi video, il mio Waka è carino; ma quando era assieme a me, vi assicuro che era ancor più splendido.
Conferma anche mia mamma, che era presente.
È evidente che, fra noi due, si era stabilito un feeling del tutto particolare. Anche i robot hanno le loro simpatie, a quanto pare.

E allora mi sembrava doveroso augurargli quantomeno un buon compleanno – e chissà dove si trova, adesso, il mio piccolo robot giallino.
Chissà se si ricorda ancora di me, nel suo cuoricino di robot, che noi Occidentali diciamo che non esiste ma che, a quanto pare, i Giapponesi accettano quasi di buon grado.
In fondo è bello – così, per gioco – pensare che, in questo caso, sotto sotto siano loro ad aver ragione.

9 risposte a "Waka! Waka!"

  1. AlphaT

    Io che a volte parlo all’orsacchiotto, e che saluto sempre la signorina della cassa automatica del casello quando mi dice “arrivederci”, sono da tempo sostenitore del gatto artificiale: pulito, non ti attacca, non ha esigenze, ma può fare il gatto e all’occorrenza darti informazioni da internet… gatti veri tremate…

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    1. Lucyette

      Io confesso di essere segretamente innamorata dell’aspirapolvere rotondo semovente che va a spasso da solo per la casa.
      Ma non per la comodità di avere un aspirapolvere che fa tutto lui; o meglio, non principalmente.
      Io lo vorrei per compagnia.

      P.S. Visto che fra animisti-amanti-dei-babaciu ci si capisce… come si chiama il tuo orsacchiotto? *__*

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  2. La Piuma

    Ma non è giusto! Voglio e pretendo le foto di te e lui sbaciucchianti e in adorazione! Non puoi solo dircelo. Dove sono le foto! Eh? Volevo vedervi *_*

    PS: No, il gatto artificiale no però…

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    1. Lucyette

      Le foto sono nelle macchine fotografiche di un buon numero di perfetti sconosciuti, Astrid >.>
      Purtroppo mia mamma non ha pensato di scattarci una foto né ci ho pensato io, troppo presa dalla passione per Waka-tesoruccio-mio 😛

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  3. Daniele

    Guarda, la mentalità giapponese è assia strana 🙂 Come sempre non bisogna generalizzare, però la loro cultura nei fondamentali è lontanissima dalla nostra. Addirittura per loro il suicidio ha un valore positivo, almeno nella tradizione, oggi si sono molto occidentalizzati su tante cose. Vengono educati a perseguire degli obiettivi prestabiliti, che spesso vengono scelti da altri per loro, e a coltivare le proprie individuali inclinazioni nel tempo libero, che di solito è alquanto ridotto perchè vengono abituati dall’età della scuola che il mondo è competitivo, e se non resti al passo verrai schiacciato. Così sin da piccoli hanno le giornate che dire pieno è dire poco, tra scuola e tante attività extracurriculari o lo sport, e si trova ben poco tempo per la famiglia e l’amicizia, o per l’amore. Almeno questa è l’idea che mi sono fatto io… e forse per questo gli occidentali tendono a considerarli rigidi e squadrati, perchè sembrano pensare solo al compito che è stato assegnato loro (sottolineo, sembrano, poi non so). Da quello che mi hanno raccontato conoscenze che sono state in Giappone, è un popolo molto riservato e che resterebbe molto colpito da gesti affettuosi tipo quelli che ti ha rivolto Wakamaru (che è simpaticissimo) 😛

    Un ultima cosa vorrei dire. Se sbaglio qualcuno mi corregga però l’arte orientale in tutte le forme è spesso interattiva cioè prevede sempre che ci sia un recettore che la completa a modo suo 😛 E’ bello pensare che anche questo robot è sotto sotto un pezzo d’arte non meno delle bambole Karakuri antiche.

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  4. Lucyette

    Comunque, da una ricerca su Google, apprendo che te lo vendono al costo di circa $ 14.300.
    Non è nemmeno tanto, se ci pensate! :-O
    Cioè, costa come un’automobile, non è nemmeno questa cifra esorbitante: io avrei pensato che costasse molto molto molto molto di più – mi figuravo una cosa accessibile solamente ai ricchi sfondati.
    Se già adesso costano così “poco”, in un futuro non troppo remoto potrebbero davvero cominciare a entrare nelle case della gente comune! 🙂

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    1. Daniele

      Uh poco o.o relativamente almeno…
      Tipo l’uomo bicentenario che fa le faccende di casa 😛 mai visto? E’ un bel film (e presumo un bel racconto non l’ho letto).

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