La triste storia del prode Anselmo

Era cresciuto. Era cambiato. Era diventato uomo. Aveva goduto. Aveva fatto penitenza, anche. Si era costruito la sua vita.
E poi, di punto in bianco, aveva sbattuto il naso contro la realtà e aveva sgranato gli occhi, terrorizzato. “E mo’, come lo dico a mamma?”.

Quando, molti anni prima, navigando in mare, era caduto nelle mani dei pirati saraceni, aveva gridato al cielo tutta quanta la sua disperazione. Aveva pianto, supplicato; aveva innalzato preghiere a Dio onnipotente; aveva fatto penitenze, voti, e promesse di ogni genere.
Poi, visto che Dio onnipotente non sembrava intenzionato a entrare in campo, aveva pensato bene di cambiare referente.
Sì, insomma: si era convertito all’Islam.

La sua nuova vita da islamico non gli sembrava poi neanche troppo male, a dire il vero. Attorno all’anno Mille – è in questo periodo, suppergiù, che si svolge la nostra storia – le vicende di questo tipo avevano generalmente un lieto fine. Il malcapitato di turno veniva catturato dai pirati saraceni; era fatto prigioniero; cominciava a servire i saraceni come schiavo; poteva decidere di convertirsi all’Islam; capitava anche che riuscisse a costruirsi un’esistenza relativamente normale, nella sua nuova vita. C’è gente che s’è sposata e ha messo su famiglia, in questo modo.
Se ti andava proprio di lusso, poteva addirittura capitare che qualche cristiano raccogliesse un certo gruzzolo e poi scendesse a patti con gli islamici, per contrattare il tuo riscatto. C’erano interi ordini religiosi deputati alla bisogna (no, non sto scherzando).
Tutto ciò partiva, chiaramente, dal presupposto che il cristiano di turno, liberato finalmente dalla trista schiavitù, cominciasse a piangere dalla gioia e tornasse felicemente in patria per abbracciar la sua famiglia.
Ricevuta la notizia della sua liberazione e del suo imminente ritorno in patria, il nostro Anselmo, invece, si era limitato ad alzare gli occhi al cielo. E poi a sgranarli, terrorizzato. E infine a sussurrare, afflitto: “ma che davvero?”.

Non sapeva come dirglielo. Il problema era semplicemente questo.
Quando pensava alla sua famiglia, così ansiosa di riabbracciarlo, si sentiva una stretta al cuore e continuava a domandarsi: “e mo’, come glielo spiego?”. Insomma: erano passati anni dal giorno della sua cattura; lui aveva cambiato idee, mentalità, abitudini, religione, fede…
…e mo’ come glielo spiego, al babbo?

Il babbo – che si chiamava Arnoldo il Vecchio, ed era il fondatore del potentissimo lignaggio degli Ardres – sembrava peraltro aver adottato una curiosa strategia di auto-difesa.
Negava.
Negava tutto.
Negava anche l’evidenza.

“Papà”, aveva sussurrato Anselmo, riabbracciando il vecchio padre. “Io sono contento di essere tornato a casa. Ma c’è una cosa che devo dirti, innanzi tutto. Mentre ero in Oriente, io mi sono convertito all’Islam”.
“Oh! Sciocchezze, figlio mio!”.
“No, quali sciocchezze. Sono serissimo. È importante che tu lo sappia”.
“Non preoccuparti, piccino. Sei confuso”.
“Non sono confuso, papà: sono musulmano. È diverso”.
“Oh, non dire stupidaggini. Domani andiamo a parlare con un prete e andrà tutto meglio, piccolino”.
“Papà: non m’interessano i preti, sono musulmano, parlo solo con gli imam!”.
“Evvabbeh! Non è un problema, dai! Andrà tutto bene!”.

Anselmo s’era rifiutato di andare a Messa la domenica. E la famiglia aveva fatto spallucce. “È solamente in una brutta fase”.
Anselmo aveva cominciato a pregare vistosamente in direzione della Mecca. E la famiglia aveva sorriso benevolmente. “È solo un modo alternativo per esprimere la propria fede”.
Anselmo aveva preso a citare costantemente Allah, e a raccontare di Maometto. E la famiglia aveva ascoltato con attenzione, fiera. “Ma tu guarda com’è interessante questo affascinante seminario di religioni comparate, caro”.

Anselmo, dopo qualche mese di questa solfa, stava sprofondando nella disperazione. Solo chi ha sperimentato la frustrazione di vivere in una famiglia che si ostina a volerti diverso da come sei, potrà forse capire i sentimenti di ‘sto poveraccio – che, fondamentalmente, aveva una gran voglia di ritornare dai Saraceni e di ricominciare la sua vita di sempre… altro che serate in famiglia e partitelle a briscola coi fratelloni!
Ma i suoi parenti erano irremovibili. Indefessi. Pur di non vedere che il loro figlio s’era convertito all’Islam, sarebbero stati capaci di negare anche l’evidenza.

E poi, Anselmo aveva deciso di tentare il tutto e per tutto.
O mi prendono a botte in testa,  si era detto, o si rendono conto che davvero faccio sul serio; davvero non sono più cristiano.
Con i brivi nel corpo per la consapevolezza di quanto fossero ineluttabili, oramai, le sue azioni, il nostro Anselmo si era seduto a tavola, un venerdì mattina…
…e aveva ordinato alla servitù che gli fosse portato un tavola un piatto di carne, succulenta.

E allora, nello sconcerto generale, tutti i presenti avevano sgranato gli occhi: e c’erano state scene di pianto, di isterismo, di incredulità e di disperazione. Perché a quel punto, che la cosa non poteva esser più negata. Passi, non andare a Messa; passi, non dire le preghiere; passi, contestare i punti fermi della fede cristiana…
…ma mangiare carne un venerdì: quello proprio no!
Tutto il resto poteva essere giustificabile, poteva passare inosservato; ma un piatto di carne il venerdì?! Allora la situazione era seria. Allora quel povero figliolo si era convertito all’Islam per davvero!

Mi ha sempre colpita un sacco, questa storia.
Mi ha anche fatta sorridere, se vogliamo.
Nel pieno Medioevo, il modo più evidente per rinnegare la fede cristiana in modo plateale e inequivocabile era, banalmente, quello… di mangiare carne il venerdì.
Sul serio.
“Cristiano”, in quel periodo, era quella persona che – come requisiti minimi – faceva la Comunione una volta all’anno, faceva battezzare i figli, pagava le decime alla Chiesa, e si asteneva dalla carne in Quaresima, e di venerdì. Ogni altra mancanza veniva dopo – e, in ogni caso, agli occhi dell’altra gente, non era automaticamente sinonimo di “rinnegare pubblicamente la propria fede”.
Un piatto di carne in Quaresima, invece sì.

È una curiosità storica, una di quelle che piacciono a me: una di quelle chicche che uno non s’aspetterebbe, perché sembrano lontane anni luce dal nostro modo di vedere; e invece…
Per quanto mi riguarda, io avevo letto questa storia tanto tempo fa, per caso. E mi aveva fatta sorridere tanto, ma proprio proprio tanto.

9 risposte a "La triste storia del prode Anselmo"

  1. Denise Cecilia S.

    Wow! Da sganasciarsi (a patto di non essere un Anselmo).

    Direi che è un po’ come essere gay e pensare di doverlo spiegare a mamma.

    Degli ordini religiosi dediti al riscatto in massa di cristiani convertiti sapevo (se non erro, per averne letto nella biografia di Marinetti scritta da Bruno Guerri; in qualche punto), ma della carne in Quaresima come punto di sicuro disonore e rinuncia alla fede – diciamo così – no, pur sapendo che i metri di allora erano certo diversi da quelli di ora.

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    1. Lucyette

      Io sto ancora ridendo adesso al pensiero di quando ho letto due notizie sulla vita di un certo Santo che era stato mercedario. Scritto così. Io avevo istintivamente letto “mercenario” e mi ero detta: caspita, un mercenario!
      Poi in realtà avevo letto meglio e avevo scoperto che i Mercedari erano quelli che chiedevano mercede, cioè raccoglievano le elemosine, per poter pagare il riscatto con cui liberare i cristiani che erano stati rapiti dai pirati saraceni durante le loro tante scorrerie 🙂

      Proprio un altro mondo, eh… 🙂

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    1. Lucyette

      Beh: in fin dei conti, anche l’astinenza dalle carni era un comportamento.
      O meglio: al limite, qualcuno potrebbe definire “consuetudine” anche il fatto che noi andiamo a Messa ogni domenica e nelle feste di precetto – eppure noi diamo giustamente molta importanza a questa cosa, e la presenza alla Messa domenicale è un po’ la cartina di tornasole che ci permette di fare la divisione, quantomeno, fra “cattolici praticanti” e “cattolici non praticanti”. Fra mille anni può anche darsi che la sensibilità sia cambiata (oddio, io spero di no), e che come “cartina di tornasole” per il “grado di cristianità” di una persona si utilizzino altri parametri. Per dire.

      Non so se ci son riuscita, ma volevo difendere in prospettiva storica l’atteggiamento dei cristiani dell’anno mille 😀
      Evidentemente, per loro l’astinenza dalle carni era un aspetto molto importante – in fin dei conti, quella era un’epoca in cui la religione permeava naturalmente ogni singolo aspetto della vita quotidiana, e si faceva sentire molto anche a tavola… quindi, era anche normale che facessero “due più due”. E’ che noi abbiamo una mentalità molto diversa, e quindi facciamo fatica a capir la loro… ma personalmente non so nemmeno se c’è un “meglio” o un “peggio”; erano solo molto diverse 🙂

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    1. Lucyette

      Così si conclude la storia (vado a memoria ma il senso è quello): “e dunque, diventato ospite non più gradito ai suoi parenti cristiani, lasciò i suoi genitori per le terre d’Oltremare e non fece mai più visita alla sua famiglia”.

      Una storia a lieto fine, insomma (a parte il fatto che cristianamente spiace per l’apostasia, com’è ovvio 😉

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  3. AlphaT

    Io non riesco a ridere per la situazione in sè, pensando a quanto sono stati manipolati tanti e tanti figli rapiti, vittime dei Saraceni e dell’Impero Ottomano… fino ad essere fanatici combattenti contro i loro parenti e a favore dei propri oppressori…

    Sulla carne come vero segno distintivo, beh… diciamo che un tempo uno aveva più scuse per non andare a messa, noi invece di lavorare tutti i giorni 14 ore, stacchiamo spesso alle 18 di venerdì (come il sottoscritto tra poco…aaahhh) per poi riprendere il lunedì alle 9… non è che sia così impraticabile farsi trovare presenti per meno di un’oretta in quei due giorni e passa… invece la bistecca a me e a tanti non dice molto, ma potrei mangiarla tutti i giorni, quindi è una rinuncia molto relativa. Fino a poco tempo fa era comunque un cibo di maggior valore da non mangiare così spesso, scegliere di mangiarla proprio di venerdì suonava davvero come uno sfregio beffardo…

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    1. Lucyette

      A proposito dei tanti modi (anche molto diversi da quelli che useremmo oggi!) per opporsi alla religione nel Medio Evo, cito il libro Il Medio Evo degli increduli di Paolo Golinelli (io non ho ancora letto questo libro ma ho studiato alcuni articoli dell’autore sullo stesso tema, e li ho trovati interessantissimi).
      Curioso, anche perché è un argomento poco indagato 🙂

      Verissimo quello che dici sulla Messa: una volta ho letto una agiografia di un Santo disperato perché era morto in piena estate, quindi in un periodo in cui i lavori nei campi duravano fino a tardi e i contadini non avevano tempo / voglia di sacrificare preziose ore di luce per andare in chiesa a sentir la Messa per il Patrono… 😀
      Beh, forse c’è anche da dire che, oggigiorno, noi percepiamo la Messa come un evento di straordinaria importanza perché alla fine della Messa possiamo fare la Comunione. In alcuni periodi del Medio Evo, non era affatto permesso alla gente comune di fare la Comunione tutte le volte che andavano a Messa (cos’è tutta ‘sta confidenza col Padreterno, ché pretendi di prenderLo in te ogni settimana?!). Anche quello va tenuto in conto, perché si trattava comunque di una differenza non da poco rispetto al nostro modo di prendere parte alla Messa, oggi.
      Non che la Messa domenicale non venisse considerata importante, eh! Assentarsi era comunque un peccato; solo che, in genere, veniva probabilmente considerato un peccato un po’ meno grave di come lo consideriamo adesso.

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