Carling Sunday

Quell’anno, c’era la fame.
Ma non la fame di “uh, che languorino!”; non la fame di “mannaggia, questa Quaresima è tremenda e ho così tanta fame che mi mangerei un bue intero!”.
No.
Quell’anno, c’era la fame nel senso di fame vera; fame di gente che muore di fame perché non ha più niente da mangiare.
Occielo: a quegli estremi, non ci si era ancora arrivati… ma, a giudicare dai volti emaciati e dalle ossa in bella vista, si cominciava a pensare che, seriamente, non potesse volerci più di tanto.

Il problema non era neanche tanto la Quaresima. Voglio dire: d’accordo, in Quaresima non bisognerebbe mangiare né questo né quell’altro; okay. Ma se l’alternativa all’astinenza dalle carni è la morte per malnutrizione, evidentemente, il precetto viene meno.
Ma non era quello il problema, appunto. Il problema era che – astinenza o no – non c’era più neanche la carne. Non c’erano verdure. La farina scarseggiava. I frutti sugli alberi erano già stati raccolti.
Quell’anno c’era la fame; la fame vera, quella che fa paura.
E, come se il Creatore avesse voluto accanirsi su quella gente provata, emaciata, senza cibo e senza forse, era da una settimana abbondante che una bufera senza pari infuriava sul paese. Secchiellate di acqua gelida cadevano giù dal cielo rovesciandosi sui tetti, allagando le strade e trasformandosi in fanghiglia. Non si poteva uscire, non si poteva lavorare; non si poteva andare nelle città vicine in cerca di lavoro, o anche solo di un po’ di cibo. Nei campi coltivati, le verdure stavano marcendo invece di maturare: e la gente, spaventata, innalzava inni al cielo affinché il Signore avesse pietà di quei poveri peccatori, ormai giunti allo stremo.

Era la prima domenica di Passione, proprio come se fossi oggi.
(Sì, perché prima del Concilio Vaticano II, la prima domenica di Passione era la quinta di Quaresima, e la domenica delle Palme era la seconda domenica di Passione, N.d.R.).
Se esisteva al mondo uno spettacolo più lugubre di quello a cui si assistette in chiesa, alla Messa mattutina, è difficile pensarlo. Le statue dei Santi erano state velate in segno di lutto – si avvicinava ormai la morte del Signore – e così anche il Crocifisso. Il colore viola dominava sull’ambiente;  l’atmosfera era lugubre, posata, come quando entri nella stanza di un malato con la consapevolezza che ormai gli restano una decina di giorni di vita, a occhio.
E tutt’intorno, c’erano scheletri.
Dico “scheletri” perché è difficile definire “esseri umani” quei poveri paesani: facce emaciate, paura nello sguardo; ossa che spuntavano fuori dalla pelle delicata e pallida, rovinata dalla fame.

Si pregò a lungo, quella mattina.
Si pregò il Signore e lo si pregò di aver pietà: aver pietà di quella povera gente, mandare un segno dal Cielo per aiutare i contadini a farsi forza, a resistere. A sopravvivere.
E mentre fuori dalla chiesa infuriava una tempesta senza pari, con fulmini agghiaccianti e vento che soffiava, la gente pregava in ginocchio davanti al Crocifisso velato. E supplicava.
Quando infine la tempesta si fu calmata, i primi fedeli cominciarono a uscire dalla chiesa. E si salutarono sul sagrato, battuto dalla pioggia, e presero la strada di casa: alcuni si allontanarono nelle viuzze del paese; alcuni scesero a riva, per tornare alle casette che sorgevano vicino al mare.

E fu allora che li videro.

I resti di un naufragio – perché non poteva che trattarsi di resti di un naufragio – galleggiavano vicino alla costa, sospinti dalla marea.
C’erano assi di legno, frammenti di quello che doveva esser stato l’albero maestro… e poi c’erano barili. Botti. Sacchi inzuppati d’acqua. Casse di legno, apparentemente intatte.
Mentre sostava sulla spiaggia a contemplare quello spettacolo, ci fu un secondo – un solo istante – in cui la gente di Newcastle fece due più due. E il cuore di tutti palpitò all’istante.
E poi, i più giovani si gettarono in mare, incuranti delle onde e dell’acqua gelida. Nuotarono controcorrente, arrivarono alle prime casse: si aggrapparono al legno per riprendere le forze e poi tornarono a riva, trascinando con sé barili e sacchi.
Quando arrivarono sulla spiaggia, la gente trattenne il fiato. E i nuotatori – tremanti per la fatica, per il freddo, e soprattutto per l’emozione – fecero leva per togliere il coperchio alle casse portate a riva.
“PISELLI!!!”.

E allora, il grido risuonò di bocca in bocca: nell’arco di pochi minuti, la voce corse lungo il paese. La tempesta aveva causato il naufragio di una nave: e il carico della nave, arrivato miracolosamente a costa, consisteva in null’altro che… centinaia e centinaia di barili di piselli.
Inginocchiati sulla spiaggia, sotto la pioggia battente e a capo chino, gli abitanti di Newcastle ringraziarono il Signore per la clemenza dimostrata.
E tornarono a casa, e mangiarono abbondantemente: e pian piano, la gente recuperò le forze; e il latte ricominciò a sgorgare nei seni delle mamme. E passò una settimana, e i bambini recuperarono la voglia di correre e gridare; e le guance della gente erano già un po’ più gonfie e rosee, la Domenica delle Palme.
E poi arrivò la Pasqua; e allora, la vita rifiorì di nuovo.

***

La tradizione, ormai, è quasi caduta nel dimenticatoio.
Però, in passato – e fino ad arrivare, suppergiù, all’era vittoriana – era abitudine diffusa, nel Nord dell’Inghilterra, festeggiare la quinta domenica di Quaresima con un piatto di piselli.
In realtà non è neanche detto che le origini della tradizione siano veramente quelle che ho scritto sopra: potrebbe trattarsi benissimo di una leggenda… o forse no: chissà? Chi può dirlo, in fondo.
Ma in fin dei conti, il problema mi tange relativamente poco. Quel che è certo è che, per secoli e secoli interi, nel Nord dell’Inghilterra – Northumberland, Lancashire e quelle zone lì, per chi ha presente – c’è stata la tradizione di festeggiare la quinta domenica di Quaresima (e quindi, all’epoca, l’ingresso ufficiale nel tempo di Passione) con un piatto di piselli.
E io, per non essere da meno, mi son goduta il mio piatto di piselli, a pranzo.

9 risposte a "Carling Sunday"

  1. Lucyette

    Ecco qualche informazione in più, da CatholicCulture.org.

    Since early times the fifth Sunday in Lent has been called Carling Sunday, and it is the custom to eat carlings, or peas, which are soaked in water overnight, fried in butter, and seasonsed with pepper and salt. Sometimes, as in Northumberland, sugar and rum are added for greater tastiness. The practice of eating carlings is particularly popular in northern England, and Scotland. Although the custom is not so universal as in olden times, Rothbury, Belford, and other Northumbrian towns, as well as various Yorkshire communities, still eat carlings on Passion Sunday.

    In Nottinghamshire there is a folk rhyme:

    Care Sunday, Care away Palm Sunday and Easter Day

    Which means, of course, that Care Sunday is just two weeks before Easter.

    From time immemorial boys and girls have used carlings in fortune-telling games; for, according to tradition, the person getting the last pea in the dish will be the first to marry!

    Carling Sunday goes by many different names, which vary from place to place, according to local dialect and custom. Carline, Carlin, Carl, and Care, probably meaning the period of care or sorrow connected with the Lord’s Passion, are other forms applied to the day. In early Worcestershire records the day is referred to as Patient Sunday, which some think is a colloquial form of Passion, and others an indication that patience still is needed to get through the rest of Lent! In parts of Cambridgeshire Whirlin’ Sunday was the name once applied to the day because of a special delicacy known as “Whirlin’ Cakes.” Burnley, in Lancashire, on the contrary, eats fig, or fag, pies on this Sunday”

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  2. Maturin

    Qualcosa del genere successe al mio paese. Non si era in Quaresima ma in tempo di guerra (che anche lì come fame non si scherzava). La mattina di Capodanno le acque del porto “si riempirono” letteralmente di boghe e tutto il paese potè sfamarsi. Si parlò di miracolo ma più probabilmente fu l’effetto (per una volta positivo -anche se non per le boghe, direi-) di un bombardamento in mare.
    Però… immaginate la festa di quel giorno!

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  3. Pingback: L’abbiccì del mio viver la Quaresima nel quotidiano – Una penna spuntata

  4. Vincenzo Fausto Maria Messina

    Simile alla storia della siciliana “cuccìa”, frumento bollito e condito in vari modi, dalla dolce ricotta al semplice filo d’olio.

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