Un Babbo capitalista?

Provate a dare un’occhiata al video qui sotto.

 

Tutto molto carino (o stucchevole, a seconda dei punti di vista): ma Babbo Natale cosa c’entra, in questa visione delle feste?
Nel senso. Mentre il bambinetto dai capelli biondi vaga distribuendo fette di pandoro agli sconosciuti in strada, Babbo Natale non è presente perché impegnato nella sua fabbrica a confezionare gli ultimi doni.
Ma se Babbo Natale fosse presente, che ruolo potrebbe svolgere in questa scenetta? Voi ce lo vedete, Babbo Natale, mentre riappacifica la coppietta religiosa o fa l’elemosina a un artista di strada?

Mh… non so voi, ma io non ce lo vedo. Questo tipo di “miracoli” sono più “alla San Nicola”, o alla “è Natale e siamo tutti più buoni”.
Ma Babbo Natale, di per sé, non è che abbia mai combinato più di tanto, a parte far la cortesia di distribuire regali una volta all’anno.

Nel libretto che ho già citato, i due psico-socio-antropologi che hanno studiato Babbo Natale ci tengono parecchio ad evidenziare come il vecchietto vestito di rosso abbia ben poco a che vedere con l’ideale astratto di “festa di Natale”.
Sì, insomma: secondo loro, esiste Babbo Natale con tutto il suo contorno di tradizioni, e poi esiste il motto “a Natale siamo tutti più buoni”, che si è imposto in Europa, sostanzialmente, sulla scia del successo strepitoso del Canto di Natale di Dickens.
Che, all’epoca, ha avuto un successo strepitoso per davvero, eh. Un aneddoto riporta che, dopo aver ascoltato Dickens che presentava il suo libro in una conferenza a Boston, un ricco industriale che era presente nell’uditorio decise di concedere un giorno di ferie a tutti i suoi operai nella festa di Natale e di regalare loro un tacchino.
Dopo l’uscita del Canto di Natale, erano peraltro apparsi sul mercato un sacco di libretti che riprendevano lo stesso tema sulla falsariga del romanzo di Dickens. Il concetto di “festa natalizia” comincia ad essere associato a sentimenti di gioia, armonia, e pace universale. Si prende anche l’abitudine di festeggiare il Natale in un grande pranzo di famiglia con tutti i parenti (tradizione che prima non era affatto presente, e che (ahinoi?) è a tutt’oggi in voga).

Ma, argomentano gli psico-socio-antropologi del Natale: in tutto questo, cosa c’entra Babbo Natale?
C’entra ben poco, a detta loro: “se dovessimo collocarlo in una cena di famiglia, prenderebbe probabilmente il posto di un nonno, forse un po’ bizzarro, che abita lontano e di cui ci si ricorda una volta all’anno”.

Ché in effetti Babbo Natale è una figura di rara infelicità, se ci pensate.
‘sto vecchio solo e soletto.
Di cui si dimentica per circa undici mesi all’anno.
Senza famiglia e senza amici.
Ad esclusione di Mrs. Claus, che comunque non è universalmente conosciuta, l’unico essere antropomorfo con cui viene in contatto ‘sto poveraccio sono i piccoli elfi che lo aiutano.
E che comunque sono dei dipendenti al servizio di un datore di lavoro; mica parenti.
La cosa più simile a un amico che possa vantare ‘sto pover’uomo, è un pupazzo di neve e una pariglia di renne.
Non si può dire che Babbo Natale incarni lo spirito del Natale “alla Dickens” – altrimenti, non ci sarebbe mica voluto tanto a inventare per lui una famiglia affezionata, una torma di nipotini, un background preciso sul suo passato, e una serie di figlioli che magari lo aiutano pure nel suo lavoro.
Non ci sarebbe mica voluto niente, se si fosse voluto farlo: ci andava giusto un minimo sforzo, a rendere il personaggio di Babbo Natale una vera incarnazione del concetto di “Natale in famiglia”.

Secondo il mio libretto, non si è fatto questo sforzo, perché, semplicemente, Babbo Natale non era stato affatto progettato per incarnare questo concetto. A detta dei due autori,

la festa con Babbo Natale protagonista non è più la festa inglese della famiglia, della carità e dell’infanzia. È il Natale americano, la festa di un nuovo capitalismo e di una nuova famiglia. Il Natale dei consumi.
L’Inghilterra ha esportato in Europa e negli Stati Uniti il Natale della famiglia, e gli Stati Uniti hanno ricambiato regalando Babbo Natale a tutto il mondo. […] Dalle ricette per il cenone alle cartoline d’auguri, dalle canzoni per le feste alle decorazioni per l’albero di Natale, ogni Paese del mondo ha dovuto fare i conti con il nuovo Natale del consumo.

E, sia chiaro: dal mio punto di vista, non è nemmeno detto fosse necessariamente migliore il primo modello di Natale (o viceversa). Dal mio punto di vista, la cosa interessante è la semplice evoluzione storica, per cui, come argomentano i due antropologi,

fino ai primi anni del Novecento le spese di Natale delle famiglie si concentravano acora su cibo e bevande per festeggiare la giornata. Nella prima metà del XX secolo, il regalo di Natale più comune per i bambini francesi era un’arancia. È solo con la grande crescita postbellica dell’industria americana (che inserì nel mercato dei beni in eccesso) che il rituale dello shopping e del dono si è modificato.
Progressivamente sono tramontate sia l’usanza di regalare cibo sia quella di offrire oggetti fatti in casa. Le riviste americane hanno sempre più incoraggiato ad acquistare i regali invece che a farli da sé. Parallelamente si è diffuso l’uso di presentare come unici e personali i regali comprati nei grandi magazzini: incartare i regali, rimuovendo le targhette con il prezzo, è un obbligo sociale. Le spese dello shopping natalizio sono oggi una parte fondamentale delle celebrazioni

e in effetti, diciamocelo: messo da parte l’aspetto religioso (quando c’è), che Natale sarebbe senza qualche pacco colorato da scartare sotto l’albero?

La secolarizzazione della cultura dei consumi e della realizzazione del desiderio come motore delle relazioni sociali e della produzione di beni, ha collocato il sacro nel cuore del materialismo. […] Ed è logico che il nuovo Natale commerciale abbia prodotto Babbo Natale come suo autorevole rappresentante. È nel Natale commerciale, infatti, che Babbo Natale trova una giusta collocazione. La sua funzione di donatore e la sua invidiabile capacità distributiva lo rendono un’icona perfetta del consumo e dell’eccesso, quanto di più nuovo, e nello stesso tempo antico, vi sia nella festa del Natale.

"s.p.e.w. does not approve", di Makani. Questa la capiscono solo i fan di Harry Potter...

“s.p.e.w. does not approve”, di Makani. Questa la capiscono solo i fan di Harry Potter…

Non è un caso, secondo i due sociologi, che Babbo Natale si sia affermato con tutto un contorno di tradizioni fra cui figura, ad esempio, la fabbrica di Babbo Natale in cui c’è un grande proprietario che impartisce ordini ai suoi elfi dipendenti. È non è che questa voglia (necessariamente) essere una critica al capitalismo – è una pura constatazione. Né San Nicola, né Santa Lucia, né la Befana, né Gesù Bambino, hanno mai sentito l’esigenza di adottare questi metodi di produzione.

Babbo Natale sì, invece. D’altro canto, è figlio del suo tempo: una figura che si è sviluppata durante la crescita dell’economia dell’Ottocento, e il cui successo è poi esploso negli anni a cavallo fra le due guerre mondiali. Era anche ovvio, che l’immaginario collettivo dell’Occidente industrializzato producesse un personaggio in linea con la forma mentis di quegli anni.

E voi, che ne dite? Condividete questa lettura?
In Russia facevan bene a dire che Babbo Natale era un pericoloso alleato dei capitalisti, o sono solo i due psicologi che hanno dato una lettura un po’ di parte?
Dal mio punto di vista, e pur senza aderire spassionatamente a questa tesi, mi sento di darle in parte ragione. Sarà pur vero che Babbo Natale incarna “lo spirito del Natale”… ma francamente non saprei che dirgli, se mi dicessero che me lo troverò a tavola al cenone della Vigilia.
Gli direi “grazie per i regali”, okay, ma poi? Ci mettiamo a parlare del mangime per le sue renne?

12 risposte a "Un Babbo capitalista?"

  1. Francesca

    Beh, il “a natale siamo tutti più buoni” e “natale è la gioia di dare” sono collegati a babbo natale in quanto babbo natale, in teoria, elargisce doni senza chiedere nulla in cambio e tutti dovrebbero seguire il suo esempio…
    Quanto agli elfi, la differenza tra babbo natale e la befana è che babbo natale da doni e la befana dolcetti… i bambini sono più affascinati dalla creazione dei giocattoli che da quella delle caramelle, quindi trovano più affascinante l’idea di una gran fabbrica di giocattoli… inoltre babbo natale è sempre stato meno “magico” della befana, che invece ricorda molto più una strega… quindi gli elfi che lo aiutano sono necessari, e il più delle volte non sono rappresentati come dipendenti ma sono rappresentati come amici, o una grande famiglia, un po’ come grande puffo e gli altri puffi… da più l’idea di nonnino se è lui a fabbricare i doni, ma se li fabbricasse senza aiuto ci sarebbe da invocare i diritti degli anziani… poi se vogliamo è una rappresentazione un po’ razzista, voglio dire… perché gli altri sono elfi ma il rappresentante ha un aspetto umano? 😛

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    1. Andrea

      senza chiedere nulla?
      vero senza chiedere nulla di oggettivo, ma a quanti ricatti devono sottostare i piccoli in nome dei doni di babbo natale? E non sarebbe neanche il peggiore dei mali, ma spesso le loro “biricchinate” sono solo una richiesta di attenzione.

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  3. AlphaT

    “Ahinoi?” dici? Ma ti danno così fastidio le riunioni di parenti? 😛

    Trovo assurdo il prendersela col Babbo Natale in quanto capitalista, i tempi sono questi. Piuttosto mi ha sempre colpito l’idea che i bambini ricchi, evidentemente a giudicare dai doni, sono sempre i più buoni.

    Mi ricordo una bambina che qualche anno fa diceva: questo me l’ha portato Babbo Natale, questo la nonna, questo gli altri nonni, questo papà e mamma, quest’altro… Insomma, in una sarabanda di regali, quello “magico” arrivato chissà come da un personaggio mitico, era un po’ come una cosa che te la passa la mutua, la base minima istituzionale. Come soluzione al problema delle disuguaglianze con gli altri bimbi, non mi sembra il massimo.
    E temo che ora siamo in una nuova fase: colle cose che costano sempre meno, uno oggi non compra giochi tutto l’anno? I bambini ora non saranno saturati di regali? E quindi il Natale diventa cosa, l’obbligo per i genitori di inventarsi un regalo enorme, che superi tutto il resto e giustifichi il senso di eccezionalità?

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    1. Lucyette

      😀
      A me personalmente, le riunioni coi parenti a Natale non creano nessun problema anche perché sono poche, in sostanza ne ho solo una (se parliamo di pranzoni/cenoni che ti impegnano per ore. Gli altri parenti li vediamo qualche ora di pomeriggio per un tè, quindi è molto meno impegnativo).
      Ma in linea di massima, non conosco anima viva che sia contento dei grandi meeting familiari sotto Natale… anche solo per una pura questione logico-alimentare: metti anche solo quattro pranzi o cene piene di portate, concentrati nell’arco di due-tre giorni al massimo…
      Ma perché, voialtri vi divertite ai pranzoni di Natale? >.>

      Quanto al Babbo Natale capitalista… oh ma infatti, io non avevo nessuna intenzione di prendermela con Babbo Natale per questo: i tempi sono questi, e trovo interessante notare che Babbo Natale è figlio dei suoi tempi 😀
      In compenso in effetti è molto sensata l’osservazione che fai sulla quantità di regali che piovono addosso ai bambini in ogni periodo dell’anno, ormai. Non ci avevo mai pensato ma è proprio vero, rischia di snaturare (o di privare di senso, almeno) la figura di Babbo Natale in sè.
      Per quanto mi riguarda, io posso dire due cose:
      1) sono in effetti contrarissima al dare o ricevere regali 365 giorni all’anno. Un conto è il pensierino che arriva regolarmente (tipo il papà che ogni domenica ti regala l’ovetto Kinder, per dire); ma penso che ricevere a casaccio regali “di una certa importanza” abbia come solo risultato quello di rendere meno felice il povero destinatario di cotanta generosità. E’ verissimo.
      2) io forse rientravo parzialmente nella categoria di bambini che dici tu. In fondo sono nata nell’88, e non è che non ricevessi giocattoli solo a Natale o al compleanno. Diciamo che raramente ricevevo regali al di fuori di queste occasioni; però, se volevo un gioco e se insistevo, spesso e volentieri ottenevo il permesso di comprarlo (anche senza occasioni speciali in vista). Quello che rendeva speciali ai miei occhi i regali di Natale non erano tanto gli oggetti in sè, ma il modo in cui mi arrivavano. Il regalo misterioso da scartare sotto l’albero, senza avere idea di cosa potesse celarsi dentro quel pacco (MAI scritto letterine a Babbo Natale & co., anzi trovo che fare una lista dei desideri tolga molta poesia alla cosa). I regali di Natale erano speciali per la suspance, per l’emozione di trovare il pacco colorato e spacchettarlo e chiedersi “questo chissà cos’è?”. Gli altri giocattoli che mi venivano regalati durante l’anno, li vedevo in vetrina e li domandavo per piacere ai miei genitori; non c’era assolutamente il fattore “sorpresa”. Quello che rendeva speciali i regali di Natale, invece, era proprio la sorpresa e l’incognita (e aggiungo che io non ho mai creduto a Babbo Natale o simili, i miei genitori avevan blandamente provato a parlarmi di Gesù Bambino ma non ci avevo mai creduto veramente (c’era tutta una serie di circostanze particolari che mi “disincantavano”, non ero io ad esser più precoce di altri bambini). Quindi ho sempre saputo che i regali di Natale me li compravano mamma e papà e zii e parenti eccetera; però erano più speciale degli altri giocattoli perché erano una sorpresa, appunto).

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  5. AlphaT

    Mah, sulla sorpresa nei regali mi sa che i più non sarebbero contenti, perchè si aspettavano altro.

    Sui pranzi col parentado di Natale (o meglio: Natale con i nonni, Santo Stefano con anche zii cugini ecc., con replica a Capodanno invertendo la famiglia ospitante), io li ricordo con una grande nostalgia; e sul momento per me duravano troppo poco ed erano troppo pochi (la cosa comprendeva ovviamente pomeriggi di giochi e videogiochi). Veramente, fatico a capire il fastidio.

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    1. Lucyette

      Guarda… per quanto mi riguarda, il fastidio del pranzo coi parenti è estremamente contenuto, per non dir “nullo”, anche perché io ne ho solo uno il 26 dicembre, e basta. L’unica cosa che mi “infastidisce”, toh, è che il luogo del pranzo è lontano un’ora d’auto da casa mia e io soffro il mal d’auto: odio il concetto di “viaggiare per andare a mangiare nel tal posto” perché ci arrivo con la nausea… ma vabbeh, quello è un problemia mio 😉

      Il fastidio del pranzo coi parenti per altre persone, è il seguente. Ti descrivo l’agenda natalizia di una mia amica, che giusto qualche giorno fa si lamentava con me disperatamente.
      – Cenone della Vigilia a casa sua, in compagnia della sua famiglia e dei parenti da parte di sua madre (nonni e zii).
      – A mezzanotte, con la digestione ancora in corso, tassativamente tutti a Messa nella tal chiesetta del tal paese (a 20 minuti d’auto dal luogo del cenone) per ricongiungersi coi parenti di parte paterna;
      – Verso l’una di notte, finita la Messa, si va a casa di una delle zie paterne per fare un brindisi e mangiare il panettone, alla presenza dei nonni paterni e degli altri loro figli, con moglie e prole. Non importa se sei pieno come un uovo e caschi dal sonno, perché i nonni paterni reclamano la presenza del papà della mia amica almeno in questa circostanza, avendo dovuto “cederlo” alla famiglia acquisita nel momento in cui lui s’è sposato.
      – Si torna a casa, stanchissimi e pieni come un uovo, verso le due e mezza, tre.
      – La mattina dopo, alle undici meno qualcosa bisogna di nuovo esser in macchina, perché la mia amica è invitata al pranzo di Natale della famiglia del suo fidanzato-ormai-futuro-sposp.
      – Malcontento fra i genitori dell’amica, che le hanno “permesso” di passare il Natale con un’altra famiglia ma sotto sotto ci son rimasti un po’ male.
      – Infatti il pranzo di Natale in famiglia (nella famiglia della mia amica) è posticipato a quella sera. Vengono invitati solo i nonni paterni che sennò si sentono esclusi, però si fa un bel cenone con tutti i crismi con primo, secondo, antipasto e dolce, come tradizione comanda.
      – A Santo Stefano, genitori e figli sono invitati a pranzo da una coppia di carissimi amici di famiglia a cui non si può dir di no.
      Si aggiunga che sia il papà che la mamma della mia amica hanno quattro fratelli a testa, tutti sposati e con figli, per cui non è verosimile organizzare UN unico pranzo di famiglia con tutti i nonni e gli zii, perché materialmente manca lo spazio per far sedere a tavola trenta persone (ammesso e non concesso di trovare una data e un’ora che va bene a tutti quanti).

      Per ‘sta povera disgraziata, i giorni dal 24 al 26 dicembre sono veramente un incubo, sia per ragioni logistiche (continui spostamenti) sia per ragioni… alimentari, come dire. ‘Sta poveraccia deve sorbirsi quattro pranzi di Natale nell’arco di 36 ore: al quarto, ci arriva che è piena come un uovo e l’unica cosa che avrebbe voglia di mangiare è un brodino caldo.

      Poi aggiungici magari le “lamentele” dei vari membri della famiglia, tipo la nonna paterna che non riesce a farsi una ragione del fatto che suo figlio non passi più la Vigilia con lei perché deve andare al cenone organizzato da moglie e suoceri…
      …io son fortunata perché son figlia unica (e lo è anche mia mamma), ma in caso di famiglie numerose ‘sta cosa può anche creare malumori, se non riesci ad accontentare tutti…

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