Quando i Valdesi della Val Pellice inventarono l’Amazon dell’Ottocento

Qualche tempo fa, ha tristemente chiuso i battenti l’ultima libreria che ancora sopravviveva nel mio quartiere.
Aveva resistito per anni, stoicamente, sfidando siti come Amazon e grandi librerie come Feltrinelli… ma un giorno, ha dovuto dichiararsi sconfitta. E così ha chiuso, gettando nella disperazione i vecchietti del quartiere… perché okay, è facile dire “compri su Amazon” o “ne approfitti per fare una passeggiata in centro”… ma se Amazon non sei capace a usarlo e il centro-città è troppo lontano, per un vecchietto malfermo che non ama viaggiare sui mezzi pubblici?

Se questo è vero ai nostri giorni, pensate quanto più doveva esser vero ai tempi in cui in Amazon non esisteva e la libreria più vicina poteva esser lontana molti chilometri, composti perlopiù da tornanti e mulattiere. Era esattamente quella la situazione in cui si trovavano i Valdesi della Val Pellice, ai tempi dell’Unità d’Italia.

Val Pellice: anche solo di nome, probabilmente la conoscete. È quella vallata alpina posta a sud di Torino, ai confini con la Francia; storicamente, ospita numerose comunità valdesi, presenti in quelle terre fin dal pieno Medio Evo. Furono proprio loro a escogitare un modo geniale per risolvere i loro problemi, inventando (o meglio ancora, applicando alla letteratura) la pratica del colportage.

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Il colportage (o “colportaggio”, all’italiana) nasce come risposta educativa al problema di cui sopra sopra: di libri su cui istruirsi, ce ne erano pure… però, è scomodissimo andare a prenderli. Immaginate di essere un Valdese di metà Ottocento: già hai l’aggravante di professare un credo che non è proprio ben visto dalla maggioranza (non è che tutte le librerie di Torino avessero un settore di catechistica valdese, giusto per capirci); perdipiù, non vivi in città ma bensì in una sperduta vallata alpina, in cui sarebbe un suicidio economico pensare di poter mantenere una libreria dedicata.

E dunque?
Rinunciare in partenza alla sola idea di formarsi sui libri, permanendo in uno stato di aurea ignoranza?
Affrontare chilometri e chilometri, ogni volta, fino alla città più vicina, pregando di trovare ciò che serve nella libreria di fiducia?
Mannò: manco a pensarci! E così, i Valdesi si inventarono una nuova e geniale forma di trasmissione del sapere… ovverosia, la libreria-scuola-ambulante.
Non serviva molto, dopotutto: bastava una raccolta di libri di spiritualità, un carretto su cui trasportarli e un libraio sufficientemente colto. Ovverosia: un libraio che quantomeno conoscesse i libri che mette in vendita e che avesse quel minimo di doti comunicative necessarie a presentare il contenuto di quei testi anche a chi stava valutando se comprarli o meno. O a chi non li avrebbe mai comprati neppure volendo, perché aveva studiato poco e non era in grado di leggere.

Come scrive in Alfabeti d’Italia Giorgio Chiosso, professore di Storia della Pedagogia all’Università di Torino,

Con la loro biblioteca ambulante raccolta in una borsa, in un carretto, o, nel migliore dei casi, in una vera e propria carrozza trainata da un cavallo (“la carrozza biblica”), i colportori furono attivi soprattutto nelle realtà rurali. Si fermavano nei paesi durante le fiere e i mercati settimanali, frequentavano le locande e bussavano ai casolari isolati, accompagnavano la vendita del libro (e della Bibbia in particolare) con la lettura ad alta voce e poi con la spiegazione e il commento dei testi, dando così luogo ad una predicazione itinerante.

L’iniziativa era geniale sotto diversi punti di vista. Non solo il colportore era un Amazon ante litteram, che ti metteva nelle condizioni di poter comprare tutti i libri che volevi senza dover correre ogni volta fino alla Città Lontana. Non solo: il colportore si trasformava anche in un operatore della cultura itinerante, in un divulgatore porta-a-porta, in un educatore cristiano che si formava sui suoi libri e poi li usava come spunto per catechizzare i popolani. Non solo un commerciante di libri, quindi, ma molto più: il colportore era un formatore a tutto campo.

Una "carrozza biblica" della casa editrice Claudiana
Un “carro biblico” della casa editrice Claudiana

Chiosso, analizzando la pratica del colportage, sottolinea come i colportori fossero consapevoli di fare un mestiere delicato, costretti com’erano a rapportarsi con individui che, spesso, erano scarsamente alfabetizzati. Voglio dire: non è che puoi pigliare, andare da un montanaro di metà Ottocento, e attaccare a parlargli di teologia come se niente fosse. Quello non ci capisce niente, poveraccio: è già tanto se sa leggere e scrivere.
No: in casi come questi, occorreva studiare una strategia comunicativa ad hoc, fatta di racconti edificanti, scenette a tema biblico, storielle con morale, racconti educativi. Bisognava insomma trovare un modo per catechizzare anche quei contadini ignoranti che, di un libro di esegesi biblica se ne sarebbero fatti ben poco. E quindi, ecco apparire sui carretti dei colportori anche

un’ampia letteratura che spaziava su vari generi, non dissimili da quelli presenti nell’editoria popolare cattolica: fogli volanti, almanacchi, semplici opuscoli, apologetica evangelica, biografie esemplari, ma anche racconti e romanzi.

Un colportore - Archivio Fotografico Valdese
Un colportore – Archivio Fotografico Valdese

E dunque, il colportore viaggiava per le vallate alpine trascinandosi appresso il suo carretto, vendendo libri religiosi o leggendone brani sulla piazza del paese, aggratis, a vantaggio di tutta la popolazione.
Rispondeva alle domande che gli venivano poste, se ce n’erano; tentava di stimolare egli stesso la discussione, se aveva l’impressione di trovarsi di fronte a un’assemblea un po’ troppo “spenta”. Sapeva guardare negli occhi i montanari e decifrare i loro sguardi: capiva perfettamente quand’era il caso di smetterla con la catechesi biblica e e di passare a qualche accattivante nota storica o alla una biografia del tal uomo illustre.
Ché se ci pensate, è anche una scenetta potenzialmente comica (un libraio itinerante morto di fame che, da autodidatta, si improvvisa rètore per un auditorio semi-analfabeta)… però, è anche in questo modo che la fede valdese è riuscita a mantenersi viva e vitale, in un contesto in cui tutto quanto (ivi compresa la geografia!) sembrava opporsi alla sua diffusione. Mica stupidi, i Valdesi.

Pubblicavo originariamente questo post il 10 maggio 2014, e sebbene da allora abbia deciso di editarlo per migliorarne la forma e aggiungere qualche dettaglio, per ragioni affettive m'è piaciuto conservare la chiusa che facevo all'epoca, per quanto ormai obsoleta.
Nel maggio 2014, chiudevo questo articolo scrivendo che: "non so perché, ma, la primissima volta in assoluto che ho sentito parlare del colportage il mio pensiero è immediatamente corso a noi blogger cattolici. Con i dovuti distinguo, direi che abbiamo molte cose in comune: innanzi tutto, siamo quasi tutti autodidatti (è raro trovare dei “professionisti della cultura”, sia fra le nostre che fra le loro fila); in secondo luogo, ci mettiamo volenterosamente a disposizione della causa... “e poi vediamo cosa ne viene”. E anche noi, se guardati nell’insieme, proviamo a offrire soluzioni “per tutti i gusti” pensate per tutti i tipi di Internauti: dai blog seri e impegnati che parlano di alta teologia, fino ai blog delle ragazzine che scrivono storielle sui santi per far sorridere. E a tal proposito – by the way – quest’oggi sono nove anni esatti che il mio blog ammorba Internet con le sue storielle"

6 risposte a "Quando i Valdesi della Val Pellice inventarono l’Amazon dell’Ottocento"

    1. Lucia

      Mannaggia, proprio vero! Capisco ovviamente la comodità di Amazon, e capisco ancor di più il fascino della grande distribuzione con le sue tessere fedeltà, i punti-premio e quant’altro… però, bisognerebbe davvero fare qualcosa per tutelare in qualche modo le piccole librerie. Non si tratta nemmeno di “tutelare il piccolo commerciante”: in questo caso ci sono proprio in gioco l’abitudine alla lettura e tutto quello che ne consegue.
      Amazon (e simili) ovviamente vanno benone per chi è già un lettore abituale e sa cosa vuole comprare, ma chiudendo la libreria di quartiere viene meno l’effetto “oh wow, questa cosa che ho visto in vetrina mi ispira, forse potrebbe essere di mio gusto? Sarà il caso di provare a entrare e comprare un libro per la prima volta in cinque anni?”.

      O si fa qualcosa per tutelare le piccole librerie e/o per incentivare l’apertura di librerie nuove (non necessariamente indipendenti) anche nei quartieri di periferia, oppure bisogna potenziare le biblioteche di quartiere.

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    1. Lucia

      Beh, sì: arrivano 🙂
      A dire il vero, però, penso di poter dire che scriverei abbastanza serenamente anche senza soddisfazioni dall’esterno, nel senso che mi rendo conto che tenere un blog mi aiuta a restare sempre “sul pezzo” leggendo libri, visitando mostre, approfondendo cose, “sennò cosa scrivo, la settimana prossima?”. Insomma: al di là del gradimento altrui, trovo che tenere un blog (di questo tipo) sia proprio utile a me, per prima cosa.

      Me ne sono accorta nei mesi in cui avevo messo il blog in stand-by: a un certo punto ho realizzato che erano passate settimane dall’ultima volta che avevo aperto un testo di saggistica, e sono inorridita… 😛 😛

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