Il contadino della Boemia

Quando la Morte gli si presentò – terribile, maestosa; uno scheletro imponente di un bianco innaturale, avvolto in un mantello nero simile ad ali di pipistrello – il contadino non tremò. Anzi: accecato dall’odio, per un attimo sentì l’impulso di aggredire la Signora Morte – di strapparle di mano quella lunga falce insanguinata, piantargliela nel cranio con tutta la forza che aveva in corpo, e insistere, e insistere, fino ad aver ridotto quello scheletro maledetto a un cumulo informe di ossa spezzettate.
Ma il contadino della Boemia riuscì a controllarsi: e del resto, quale uomo potrebbe mai uccidere la Morte?

Aspettava questo momento da troppo tempo, per rovinarlo con qualche insensato atto di violenza. Non riusciva nemmeno più a ricordare quante notti avesse passato nel tentativo di evocare la Morte; non avrebbe nemmeno più saputo nominare tutti i libri e tutti i sapienti che aveva consultato, nella speranza di riuscire a trovarsi infine a faccia a faccia col Tristo Mietitore.
E adesso che la Morte era finalmente lì, davanti a lui, il contadino della Boemia non poteva lasciarsi scappare quell’occasione. Trattenendo con un fremito il suo sdegno e la sua rabbia, l’uomo puntò i suoi occhi, gelidi, nelle orbite vuote del teschio che si ergeva di fronte a lui. E poi gli sputò addosso, e scandì lentamente: “nel nome di Dio Onnipotente, Signora Morte, io ti maledico”.
E poi restò immobile, cercando di nascondere i brividi che gli gelavano la schiena, e soprattutto cercando di venire a patti con quello che aveva appena fatto.
Una maledizione nel nome di Dio Onnipotente. Alla Morte. Wow.

Al gesto seguì qualche secondo di silenzio, che parve un’eternità.
Il teschio vuoto della Signora Morte sembrava in qualche modo trasmettere una sensazione di sorpresa, e si udì un lieve scricchiolio di ossa mentre il Tristo Mietitore abbassava leggermente la testa, come a voler guardare meglio il tale che gli aveva appena sputato addosso.
Tu”, scandì lentamente, rivolta al contadino – e c’era come un’incredulità beffarda, nel tono in cui parlava. “Tu hai appena maledetto me? La Morte?”.
Il contadino della Boemia si sentì improvvisamente molto stupido, ma lottò per non darlo a vedere. Mentre le gambe gli si facevano molli, lui si schiarì la gola e sollevò il capo con un guizzo d’orgoglio, replicando: “proprio così, Signora. E finché avrò vita – e anche dopo la mia morte, per tutta l’eternità – giuro sulla mia stessa anima che sarò il più spietato tra i tuoi nemici e il tuo avversario più feroce”.
La Morte rimase immobile per qualche istante, come a voler soppesare le parole di quel bizzarro mortale. E poi, senza abbandonare il suo ghigno beffardo, domandò: “posso dunque conoscere il nome di un tanto acerrimo nemico, e sapere cosa causa tanta acrimonia nei miei confronti?”.
Quel tono irrisorio fece montare la rabbia del contadino. “Mi chiamo Johannes, e vengo dalla Boemia. E la ragione del mio odio”, aggiunse con ferocia, riuscendo a stento a controllare il tremito della voce, “è che tu hai distrutto la mia vita. Hai portato via tutto ciò che avevo e hai svuotato di senso la mia esistenza”.
La Morte si allontanò di un passo e il mantello fluttò attorno alle sue ossa; sembrò soppesare le parole del contadino. E poi, il suo teschio si illuminò come di un ghigno. “Margaretha?”.
”, ruggì il contadino, e probabilmente avrebbe anche aggiunto qualcos’altro, se improvvisamente non si fosse bloccato, attonito, nel vedere la Morte scoppiare a ridere.
“Oh, sì, ora capisco”, commentò lo scheletro, e adesso il suo tono era beffardo al di là di ogni ragionevole dubbio. “La ricordo bene: chi non lo farebbe? È raro anche per me incontrare una donna del genere: pura, fedele, onesta, casta, devota. Immagino di star parlando con il suo vedovo affranto: immagino lo sgomento che alberga nel tuo cuore, al pensiero del suo corpicino roseo, delle sue labbra carnose, delle sue dolci guance piene che adesso si abbandonano nel mio abbraccio, e piano piano si fanno cener…”.
Stavolta, il contadino non riuscì a controllarsi e tirò un pugno in faccia alla Morte. Naturalmente non successe un bel niente, sennonché la Morte si mise a ridere ancor più forte.
“Sì, sono il suo vedovo”, gridò l’uomo con un misto di rabbia e di disperazione: “lei era la mia stella polare, il mio bastone, il mio scudo, il mio tesoro. E io ti maledico nel nome di Dio Onnipotente e di tutte le sue creature: che Nostro Signore possa ridurti in cenere, costringerti a un’eternità di dannazione e liberare il mondo dal tuo impero!”.

La Morte smise di ridere, e stette immobile per qualche istante contemplando il contadino. “Povero, piccolo uomo senza cervello”, disse poi, lentamente. “Tiri in ballo il Signore Dio, senza nemmeno capire quello che stai dicendo. Parli del mio potere sul mondo, senza nemmeno renderti conto di cosa implichi veramente. Spiegati, allora: cosa vorresti? Che io, andando contro il progetto stesso del Creatore, scomparissi improvvisamente da questo mondo?”.
Il contadino avrebbe voluto ribattere qualcosa, avrebbe voluto con tutto il suo cuore, ma si trovò improvvisamente senza parole e con gli occhi lucidi di lacrime.
“Ti rendi conto di cosa dici, piccolo arrogante senza criterio? Cosa vorresti: una vita eterna senza morte, per tutta l’umanità? Con uomini costretti a uccidere e a divorare a vicenda i propri simili, spinti dalla mancanza di cibo, di spazio e di risorse con cui sostenersi?”. Tacque per un attimo per poi ricominciare, e stavolta c’era una nota di rabbia nella sua voce: “parli del mio potere sul mondo, e non sai nemmeno quello che dici. Ti rendi almeno conto che, se solo lo volessi, l’intero mondo potrebbe essere mio impero Quale re, quale papa, non mi donerebbe all’istante la sua corona, se solo io gli garantissi di non tornare mai più da lui per reclamare la sua vita?”.
Il contadino aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza esser riuscito a dire niente. La Morte puntò contro di lui un dito scheletrico, accusatore. “Piccolo omuncolo che parli senza capire! Dovreste ringraziarmi, tu e i tuoi simili, per il lavoro che svolgo ogni giorno, e per volontà del Padre Eterno. Senza chiedere nulla in cambio, trattando tutti come pari, senza mai abusare del mio potere”.
Johannes sentì gli occhi che gli si riempivano di lacrime, e gridò: “ma lei era mia! Era la mia moglie adorata!”.
“Lei era tua?”, ripeté la Morte, incredula. “Sei tu che l’hai creata dal fango, che hai soffiato dentro di lei il soffio della vita, che hai scritto il suo destino negli astri?”.
Non era ancora il momento!”, gridò Johannes. “Era giovane, era bellissima, era nel fiore della sua vita: l’hai strappata dalle mie braccia quando era appena diventata mia sposa, non avevi alcun diritto di portarla via così presto – non…”.
“Come se un bel corpicino dovesse farmi indietreggiare in preda all’orrore! Come se dovessi rimandare la mia venuta solo per concedere vani sprazzi di piacere a voi creature mortali”, commentò la Morte con sarcasmo. “Piccolo uomo stolto ed ignorante: nel momento stesso in cui l’uomo riceve da Dio il dono della vita, in quel preciso istante egli è già abbastanza vecchio per poter restituire questo dono al suo Creatore”.
Non nominare il nome di Dio!”, gridò Johannes singhiozzando. “Non nominarlo! Se Dio è veramente buono, allora non è lui a richiedere la morte dei bambini, dei giovani, degli innocenti! Anche Dio ti maledice per quello che tu fai: e lo ripeto – che Dio possa annientarti, umiliarti, privarti di ogni tuo potere, e costringerti a un’eternità di strazio e sofferenza!”.

La Morte indietreggiò. L’uomo la vide stringere la mano scheletrica sulla sua falce, e improvvisamente un tuono squarciò il silenzio della notte. La Signora ringhiò “tu non puoi parlare così all’emissario del Signore”; stese il suo braccio verso il contadino, e Johannes sentì le dita scheletriche e gelide della Morte stringersi attorno al suo collo e sollevare lentamente il suo corpo da terra.
E poi fu tutto buio, e poi vi fu una grande luce, e Johannes riaprì gli occhi per trovarsi in una specie di grande aula di tribunale, luminosa e totalmente altra da qualsiasi cosa lui avesse mai visto. La Morte era ancora al suo fianco.
Il contadino della Boemia posò il suo sguardo sul giudice che sedeva, austero, sullo scranno davanti a lui, e all’istante crollò in ginocchio. Davanti a lui stava il Signore Dio Onnipotente, assiso in trono.

Dio guardò il contadino, e poi la Morte. Poi ancora il contadino.
Scosse il capo e sospirò, come un padre deluso per le marachelle dei suoi figli, e poi cominciò a parlare. “Voi uomini vivete la vostra esistenza come se la vita e la morte fossero di vostra proprietà. Come se vi fossero dovute. Tu, contadino, sei rabbioso per la tua perdita, e non ti fermi a riflettere sul fatto che, così facendo, mostri di aver considerato tua moglie come uno qualsiasi dei tuoi beni, di cui potevi disporre come volevi e di cui adesso lamenti l’ingiusta sottrazione. Ma tua moglie, Johannes”, disse gravemente, “non è mai stata tua: è, e sarà per sempre, innanzi tutto mia. E tu non hai nessun diritto a lamentarti del modo in cui io dispongo di un mio bene, che ti era solo stato affidato in custodia”.
Con la coda dell’occhio, Johannes vide la Morte sogghignare – ma Dio, quasi con rabbia, puntò su di lei il suo scettro. “E tu, Signora Morte, commetti l’errore uguale e opposto. Lodi il tuo potere e il modo in cui lo amministri saggiamente, ma dimentichi che questo potere non è tuo e non durerà per sempre. Anche nel tuo caso: ti è solo stato affidato in custodia. Tieni bene a mente che in alcun modo ti appartiene”.
“In ogni caso”, concluse Dio con un sospiro amaro, “la vostra disputa non è del tutto infondata. Il contadino della Boemia, umanamente schiacciato dal dolore, rivendica il suo diritto a lamentare la sua perdita; e la Signora Morte, di fronte alle accuse ingiuste del contadino, rivendica il suo diritto a le cose come stanno. E cunque la mia sentenza è questa”, concluse l’Onnipotente, rifulgendo di luce maestosa: “al contadino Joannes, l’onore delle armi; e, alla Signora Morte, la vittoria in questa battaglia. Ma badate” – e tacque per un istante. “Ho detto: in questa battaglia”.

Contadino della Boemia

Si conclude con questa morale Der Ackermann aus Böhmen, un’operetta tedesca risalente al primo Quattrocento, anche nota come Il contadino boemo – traduzione letterale del titolo – o Disputa fra il contadino e la morte.
L’operetta – che sembrerebbe essere una pietra miliare della letteratura tedesca medievale in prosa – è stata composta verso il 1401 da tal Johannes von Tepl, all’epoca rettore della scuola di Latino di Saaz, in Boemia.
Una pura opera letteraria fine a se stessa, a mo’ di utile meditazione sui temi della morte? Ahimè no: nel momento in cui Johannes lavorava al suo scritto, stava ancora affrontando il lutto per la morte di Margaretha, la sua amatissima moglie che era scomparsa nell’agosto dell’anno precedente. Der Ackermann aus Böhmen – che, peraltro, contiene fra le righe un non-troppo-consueto elogio dell’amore coniugale, calcolando l’epoca in cui è stato scritto – di conseguenza può anche essere considerato un vero e proprio lavoro di introspezione psicologica; un tentativo disperato di elaborare il lutto e di dare un senso a una morte crudele e inattesa, per molti versi inspiegabile.

In effetti, l’ultimissimo capitolo dell’opera contiene una preghiera che il contadino Johannes rivolge a Dio Onnipotente, dopo aver ascoltato la Sua sentenza e dopo aver sentito decretare la sua sconfitta. La trovo una preghiera così bella che penso valga la pena di riproporla:

Dio di tutte le cose, potente signore Gesù: accogli misericordiosamente l’anima della mia amata moglie. Donale l’eterno riposo, bagnala con la rugiada della tua grazia, custodiscila e proteggila all’ombra delle tue ali. Accoglila nel tuo regno di ricchezza, dove anche il più piccolo trova la soddisfazione dei potenti, e consentile di vivere per sempre con te in compagnia dei beati.
Soffro per la morte di Margaretha, la donna che mi era stata destinata in sposa. Signore ricco di misericordia, consenti che lei possa specchiarsi e rimirarsi eternamente nella tua grazia – e fa sì che mi aiutino tutti coloro che riposano nella tua pace, affinché io un giorno possa dire, dal profondo del mio cuore: Amen; sia fatta la tua volontà!

6 risposte a "Il contadino della Boemia"

    1. Lucia

      Sì, davvero: io la trovavo veramente bella.
      Quel “e fa’ che io un giorno possa dire dal profondo del mio cuore: Sia fatta la tua volontà” è davvero… bello, ecco.

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    1. Lucia

      Mi piace tantissimo!!!

      Anzi, mi pregio di aver letto addirittura la prima edizione italiana del romanzo di “Morty l’apprendista”, quella in cui la traduzione cambiava sesso alla Morte trasformandola in un personaggio femminile (per ovvie ragioni grammaticali nella nostra lingua).
      So che successivamente è stato corretto “l’errore” di traduzione, ma quando ho letto io i libri Morte era ancora una signora 😁

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