Per una lettura cattolica del pianto notturno del neonato

Gilberto di Nogent nasce nel 1055 in una famiglia della piccola nobiltà francese; nel venire alla luce, per poco non manda al Creatore se stesso e la madre, avendo avuto la bella pensata di vedere cosa succede se provi a percorrere il canale del parto non di testa, non di piedi, ma di schiena. (Lo considero invero un interrogativo di grande interesse, tant’è che a suo tempo anch’io avevo deciso di tentare lo stesso esperimento).
Dopo un travaglio assai complicato, Gilberto deduce che farsi partorire di schiena è veramente una pessima idea ma non necessariamente un’idea suicida, a patto che la partoriente ottenga un miracolo dalla Madonna. A mo’ di ex voto, la mamma di Gilberto consacra suo figlio alla Vergine Maria promettendo che, una volta fattosi adulto, il bambino diventerà monaco. E così è: Gilberto, in effetti, seguirà il cammino di Benedetto e a un certo punto diventerà l’abate dell’abbazia a Nogent, in Piccardia.

Questo post, però, non è dedicato a Gilberto, bensì a sua mamma: una donna bellissima, forte, intelligente, ferma nelle sue decisioni, che aveva avuto la disgrazia (o forse la fortuna) di rimanere vedova dopo pochi anni di matrimonio.
Dico “fortuna” perché di certi uomini è bene liberarsi in fretta, e il padre di Gilberto non era propriamente un gran campione di virtù. Proprio per questo è interessante notare il modo in cui si sviluppa, in vita e dopo la morte, il rapporto fra la donna e suo marito: un individuo violento, infedele e vizioso in tutti i possibili sensi.

Un bel dì la madre di Gilberto, ormai vedova, si assopisce dopo la recita del Mattutino. Ed ecco, la volontà divina la rende oggetto di una singolare grazia: la donna si trova infatti a visitare il Purgatorio, incontrando le anime di molti suoi conoscenti che ivi scontano le loro pene.
Le appare, fra i tanti, anche il defunto marito: le si presenta come una specie di zombie con un corpo che per metà è normale e per l’altra metà è “completamente sfregiato da innumerevoli ferite, tali che alla loro vista chiunque sarebbe preso da orrore e da una commozione viscerale”, per citare le parole con cui Gilberto di Nogent descriverà l’episodio nel suo De vita sua. Ma l’orrore non finisce qui: l’anima purgante è costantemente accompagnata da un gemito acuto e insistente, simile al pianto di un bambino.
La moglie fissa il marito e fa qualche domanda sulle linee di “ma che è ‘sto schifo?” – al che il marito le risponde che quella è la pena che è costretto a scontare per aver abbandonato suo figlio neonato.

No, non Gilberto, un altro: un figlioletto nato da un rapporto occasionale che il brav’uomo aveva avuto con una delle sue tante amanti. Dopo un po’ di tempo dal fattaccio, la donna s’era scoperta incinta, aveva chiesto aiuto al padre del bambino, e lui aveva bellamente fatto spallucce. Col risultato che il bambino, nato negli stenti, era morto poco dopo il parto e senza nemmeno esser stato battezzato: colpa gravissima, questa, che ricadeva tutta sulle spalle dell’adultero.

Lo smembramento del fianco rappresentava la rottura della fedeltà coniugale; le urla di quella voce insopportabile, invece, erano la dannazione del bambino procreato nel male.

***

Come reagire di fronte a una tale scoperta circa il passato di tuo marito?
Molte di noi probabilmente direbbero “ben ti sta” e tornerebbero serenamente alle loro occupazioni di vedova – ma la madre di Gilberto era invero una santa donna e decise di dover fare qualcosa per alleviare le pene del defunto coniuge.
Messe, elemosine e preghiere per i defunti sono preziosissime ma sono come una goccia nell’oceano, le spiegò infatti l’anima del marito (che, evidentemente, anche in morte aveva conservato una notevole faccia tosta): lui avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più, una qualche offerta più incisiva…

E così, la povera donna cominciò ad arrovellarsi sull’annosa questione: come riparare i misfatti di un’anima purgante che sconta la colpa di aver abbandonato il figlio neonato, se il figlio neonato nel frattempo è morto?
Agendo per analogia, la pia donna decise di prendersi cura di un altro neonato abbandonato: uno a caso, per compensare il male commesso dal marito. E così, la vedova fedele decise di accogliere in casa sua un bambino di pochi mesi rimasto privo dei genitori.

E qui inizia, signori che mi leggete, la parte più straziante del racconto, quella con la quale ogni neo-genitore potrà facilmente empatizzare. Citando testualmente le parole con cui un manoscritto medievale del primo XII secolo, proveniente da area monastica (!) cita il dramma di una neo-madre:

Il diavolo era invidioso della pia intenzione e della non meno religiosa azione, e, mentre di giorno il bimbetto stava tranquillo, passando il tempo a giocare o a dormire, torturava però tutte le notti mia madre e le serve con vagiti e clamori talmente alti che a nessuno era consentito dormire.
Ho saputo con sicurezza da mia madre che le nutrici erano colmate di premi affinché tutte le notti non smettessero di agitare il sonaglietto davanti al viso di quel povero bambino, stranito non a causa della sua natura, ma a causa di un istigatore nascosto. Tuttavia, a nulla valse l’astuzia femminile per scacciare colui che tormentava il neonato.
La pia donna era afflitta da un immenso dolore, poiché, tra tutti quegli stridori, non c’era niente che valesse a calmare le tormentate ore notturne – e nemmeno una persona con la testa vessata e stanca sarebbe riuscita a abbandonarsi al sonno, quando sopraggiungeva il nemico ad aizzare tutto il furore del bambino, stimolato dall’esterno.
Mia mamma dunque trascorreva le notti insonne: tuttavia, mai fu trovata impreparata agli offici divini che si tengono di notte, […] né scacciò mai il bambino dalla sua casa né si mostrò meno premurosa nei suoi confronti. Anzi, decise di subire serenamente qualsiasi discordanza nascesse, qualsiasi sofferenza il diavolo le imponesse, non dubitando di contribuire così alla purgazione del suo sposo.

Sì, insomma! Amica (o amico) che mi leggi: hai gli occhi lucidi per il sonno e la disperazione, dopo che il tuo pupetto adorato ha pianto per tutta la notte, e ti vien da singhiozzare e domandarti “ma cos’ho fatto di male per meritare tutto questo?”.
Non hai fatto niente di male: anzi, a quanto dice il teologo, stai facendo molto bene. Così bene che il demonio ce l’ha con te e cerca in tutti i modi di deprimerti e sfiancarti.

(“Beh”, commentava una mia amica mommy-blogger, quando l’ho messa a parte di questa lettura teologica delle notti in bianco: “è migliore di molte altre spiegazioni in cui ho avuto la ventura di imbattermi. Spiega anche le coliche, credo, e la temuta Varicella Il Giorno Prima Di Partire Per Le Vacanze”.
“E anche il perché i bimbi facciano immancabilmente la cacca mentre mamma e papà stanno cenando”, commentava un’altra mamma che mi legge, a sua volta colpita da questa scoperta illuminante).

14 risposte a "Per una lettura cattolica del pianto notturno del neonato"

    1. Lucia

      E poi dicono che nel Medio Evo l’uomo non percepiva assolutamente se stesso come singolo, ma solo ed esclusivamente come parte di qualcosa. E certi dettagli di autobiografie così “moderne”, come li spieghi con questa lettura? 😉

      Se non mi sbaglio di grosso (non ho i suoi testi a portata di mano in questo momento) anche il mio adorato Opicino de Canistris – il prete psicopatico della Pavia medievale – faceva iniziare la sua autobiografia prima ancora della sua nascita, mi pare al momento del suo concepimento… 🙂

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    1. Lucia

      😀 😀 😀

      Quand’ero piccola, io piangevo sempre.
      Sempre.
      Mi rifiutavo di mangiare, vomitavo con una frequenza di almeno due-tre volte a settimana (in modo continuativo, per i miei primi due-tre anni di vita), e mi prendevo qualsiasi tipo di schifida malattia. Niente di grave, ma entro i sei mesi di vita avevo già avuto un timpano perforato dall’otite, una congiuntivite purulenta che mi aveva appiccicato le palpebre con il pus, e molte altre schifide malattie di questo genere.
      E soprattutto: piangevo sempre, nessuno è mai riuscito a capire quando e se dormissi, e vomitavo in continuazione.

      Quando ho scoperto l’ermeneutica di Gilberto di Nogent, sono corsa da mia madre per metterla a parte della cosa, e…
      …la povera donna ha tratto grande consolazione dalla scoperta, ecco.

      😉

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  1. Mirtilli Rossi

    Mi ha fatto ridere, ma mi ha fatto anche piangere. Perche’ ineffetti, quando hai un figlio cosi’ ti fa stare davvero male, una tristezza profonda che colora tutta la vita. Quest’idea, spiegazione non mi sembra cosi’ matta e aiuta un po’. Grazie!

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    1. Lucia

      :-*

      Un forte abbraccio, soprattutto se questa situazione la stai vivendo adesso, e non è solo un ricordo lontano. Io penso che davvero sia molto dura (…e forse di una durezza che tante volte viene trascurata. O tenuta nascosta. Ché sembra brutto dire che sei sfinito e esausto quando tutti si aspettano da te le lodi del tuo bimbetto delizioso. Non so: io non ho figli, ma ho come l’impressione che talvolta ci sia come una ritrosia a parlare di questi problemi… il che, bene non fa).

      Smack!
      Se la spiegazione è vera 😉 vale sempre il motto: non prevalebunt!

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