Il Presepe che non torna

Chissà perché, ma ho come l’impressione che, per commentare un’opera d’arte, sarebbe di una certa utilità avere qualche vaga idea sull’artista che l’ha composta.
Disgraziatamente per voi, io non conosc affatto Richi Ferrero.

Colpa mia, senz’altro (non è che sia l’ultimo arrivato: sono io che non mi intendo di arte contemporanea!) – e  in realtà a Torino lo conoscono tutti, di nome. Negli ultimi anni, Ferrero ha creato numerose installazioni luminose sparpagliate qua e là per la città, nell’ambito della rassegna “Luci d’Artista”.
Purtroppo, queste sono le uniche informazioni che ho su di lui. Non conosco la sua poetica, per così dire: non ho idea di come leggere le sue opere, se non con l’interpretazione “a pelle” che posso darci io, da profana che ci si accosta per il piacere di veder qualcosa di bello.

E infatti in questo post non ho nessuna intenzione di disquisire sul suo Presepe che non torna: anzi, ve lo faccio vedere punto e basta, sperando che piaccia a voi così com’è piaciuto a me.
Anche questa è un’opera esposta a Torino nella mostra #Presepio, di cui avevo già parlato qua.
E anche questo è un pezzo d’arte contemporanea che è riuscito a colpirmi non poco…

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014. Fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 – fotografia mia

“L’opera”, recita la didascalia proposta dai curatori della mostra, “sottolinea la contraddizione tra la realtà dell’uomo e il messaggio di bontà che la Natività annuncia”.
E infatti, di fronte alla massa crudele e irriconoscente dell’umanità, il Dio fattosi uomo assume – letteralmente – le sembianze di un agnello sacrificale. “Letteralmente” nel vero senso della parola: nella mangiatoia di Richi Ferrero, riposa non un bambino, ma un piccolo agnello.
Attorno al Bambin Gesù, si stringono Maria e Giuseppe, che si fondono, in quest’opera, con l’immagine del bue e dell’asinello. La mucca – simbolo per eccellenza della maternità e della cura amorosa verso la prole – si presta a rappresentare la Madre di Dio, mentre l’asino – animale umile ma deciso, determinato fino all’ostinazione nel portare a termine il lavoro che gli è assegnato – simboleggia le qualità che siamo abituati ad associare a San Giuseppe.

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 - fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 – fotografia mia

Di fronte a questa Sacra Famiglia, ecco il presepe che non torna: non un’assemblea di pastorelli adoranti, ma – per dirla con la didascalia della mostra – “un’umanità razzista, gretta e violenta, fatta di figure mostruose e disperate”. Guardando oltre ai volti dei personaggi, deformati dal dolore, ho scorto la madre che assassina il figlio neonato, le milizie armate che atterriscono la gente comune, la coppia avanti negli anni che si interroga sul mistero della morte, la madre che getta in fronte a Cristo tutta la sua sdegnata disperazione per la menomazione del suo bambino incolpevole.

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 - fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 – fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 - fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 – fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 - fotografia mia

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 – fotografia mia

Adagiato nella sua piccola mangiatoia, “l’agnello di Dio” – prosegue la didascalia della mostra, “intenzionalmente destinato a togliere i peccati dal mondo, esprime il conto che non torna, il messaggio che non è stato colto, il sacrificio inutile”.

…ma si tratta davvero di un sacrificio inutile?

Metto le mani avanti: non so quale fosse il messaggio che voleva trasmettere l’artista (magari lui voleva proprio dire “sì, il sacrificio è stato inutile”); però, so qual è il messaggio che “di pancia” ci ho colto io.

No: il sacrificio di Cristo non è stato inutile.
In questo presepio composto da tanti personaggi dolenti, angosciati e abbrutiti da una sofferenza straziante, possiamo comunque sorridere, nel notare che nessuno di loro è stato dimenticato, o escluso dal progetto divino.
Talvolta può essere difficile crederci, ma è così. E infatti, chi riuscisse ad astrarsi dai singoli drammi che animano la vita dei personaggi – chi riuscisse, insomma, a guardare dall’alto questa umanità dolente, dando al “quadro” uno sguardo d’insieme – noterebbe che tutti questi personaggi, nessuno escluso, sono disposti a formare un’enorme croce.

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 - fotografia del museo d'arte antica "Palazzo Madama"

Il Presepe che non torna, Richi Ferrero, 2014 – fotografia “rubata” dal sito del Museo d’arte antica “Palazzo Madama”

Una croce sfolgorante, pura e luminosa. Un po’ come il sacrificio d’amore che ci redime e che dà un senso alle nostre sofferenze e ai nostri drammi: dà un senso alle nostre vite.

4 risposte a "Il Presepe che non torna"

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