Coccolare Gesù Bambino

Era una devozione così bella da togliere il fiato, al punto che non mi capacito di come abbia potuto scomparire.
Era una pratica tipicamente femminile, che eventualmente la donna di casa poteva poi estendere agli altri membri della famiglia (ad esempio: i figli piccoli). Ma non era affatto detto: innanzi tutto, e sopra tutto, era una devozione privata pensata appositamente per le donne. Donne che, peraltro, potevano appartenere a qualsiasi ceto, stato, e condizione sociale: la cosa che più m’incanta, di questa devozione, è che davvero era praticata da donne di ogni tipo – giovani spose, madri, signore avanti con gli anni. Ma anche novizie, badesse, oblate, suore.
E badate che non sono mica tante le devozioni private che, nei secoli passati, venivano praticante indifferentemente nella clausura dei monasteri, negli appartamenti delle dame di corte, e nelle casucce del popolino.
Questa, però, sì.
Sarà che era emozionante, profonda, e così bella da togliere il fiato.

Tutto cominciava quando una ragazza lasciava la sua casa paterna.
Noi oggi la facciamo facile: “oh, che bello, sposo l’amore della mia vita”; “oh, che bello, entro in monastero dopo un accurato percorso di discernimento vocazionale”.
Una volta, non era proprio così. In molti casi, chi lasciava la casa paterna non aveva un’idea precisa di cosa la stesse aspettando nella sua vita futura; perdipiù, all’epoca i trasporti non erano agevoli, il telefono non esisteva, e le videochiamate men che meno. La fanciulla che inscatolava la sua dote per costruirsi una nuova vita, lo faceva quasi sempre con un misto di impazienza e nostalgia: era come colui che salpa verso mari misteriosi, e oltretutto sa che potrebbe essergli difficile mantenere rapporti costanti e frequenti con la sua famiglia di origine.
Nessun genitore permetterebbe che la figlia tanto amata debba dire svuotare la sua cameretta con uno stato d’animo così combattuto. Minimo minimo, serve un bel regalo di addio – qualcosa che possa fungere da “coperta di Linus”, confortando la ragazza negli inevitabili momenti di malinconia e sconforto.

E allora, cosa regalavano i genitori di un tempo alla loro figlia che stava per lasciare il nido?
La coperta di Linus più bella della Storia. Un bambolotto, a forma di Gesù Bambino, da amare e coccolare. A cui confidare i propri dolori, e a cui indirizzare le proprie speranze.
E adesso provate a guardarmi negli occhi e a dirmi che non è un regalo semplicemente meraviglioso, per una ragazza titubante che si prepara a lasciare la casa di mamma e papà.

Il dono aveva un significato simbolico molto evidente.
Per la ragazza che stava per andare in sposa, il Gesù Bambino da accudire era una specie di “benvenuto” nella sua nuova vita di moglie e madre. Per la ragazza che entrava in convento, la simbologia del dono era forse ancor più evidente: alludeva al matrimonio mistico della sposa di Cristo e alla maternità spirituale cui sarebbe stata chiamata.
In entrambe i casi, le ragazze che incominciavano la loro Vita-Da-Grandi potevano combattere gli inevitabili momenti di nostalgia stringendo forte un pupazzo a forma di Gesù Bambino. Che se ci pensate, è una roba fantastica: ti coniuga in un solo oggetto l’affettuosità di un bambolotto e il conforto della fede cristiana: i nostri antenati avevano preso il concetto di “coperta di Linus” e l’avevano portato a tutt’altri livelli!

Mi ostino a definire questo Gesù Bambino un “bambolotto”.
Non è che son scema io, talvolta era una statua, ma in molti altri casi era un bambolotto per davvero: una specie di Cicciobello con le fattezze del divino infante. Molto spesso (soprattutto per le ragazze la cui famiglia non aveva molti soldi da spendere…) era letteralmente una bambola con un corpo di pezza, dotata solamente di testa e mani di legno.

Come ci si rapportava dunque a questo bambolotto?
Cielo, come ci si rapporta a tutti i bambolotti da che il primo pupazzo della Storia è stato accolto tra le braccia amorevoli della sua padroncina: con questo bambolotto, ci si giocava.
Lo si adagiava in una culla preparata apposta per lui, e poi lo si accudiva. Di giorno in giorno, col sorriso sulle labbra: perché “giocare” con un Gesù Bambino che dorme in una culla nella tua camera da letto, è un dolcissimo promemoria per ricordarti di onorare sempre quell’altro Gesù Bambino che non è fatto di pezza.

Qual era il modo migliore per “giocare” con questo Gesù Bambino?
In genere, le donne gli cambiavano i vestitini.
Avete presente la tradizione delle “Madonne vestite”? Ogni tanto, se ne vedono ancor oggi: ci sono delle statue della Madonna che indossano vestiti fatti di stoffa vera, cuciti per lei dalle suore e dalle pie donne, come atto devozionale.
I Gesù Bambini bambolotto richiedevano esattamente lo stesso tipo di impegno: la fanciulla che riceveva in dono il suo Gesù Bambino cominciava a confezionare per lui tanti piccoli vestitini. Scarpette, camiciole, cuffiette, copertine, spesso impreziosite con temi religiosi.
Talvolta, i vestitini per il Bambin Gesù erano confezionati nei vari colori liturgici: la “mamma adottiva” del divino infante teneva così traccia del passare dell’anno liturgico vestendo il suo Gesù Bambino con i colori prescritti per quel giorno. In alcuni casi (soprattutto in ambiente monastico, dove non mancava alle suore una certa profondità teologica) il Bambinello veniva vestito con abiti che lo caratterizzavano di volta in volta come Dio, come re, come sacerdote. Sono arrivati a noi alcuni corredini che comprendono vere e proprie vesti liturgiche con cui adornare la statua-bambolotto: casula, pianeta, stola, e così via dicendo.

Il “perché” di questa devozione, in parte, l’ho già accennato: prendere in braccio un pupazzo di Gesù Bambino, carezzargli le guanciotte mentre gli sfili la cuffietta, infilargli un paio di scarpine che hai cucito apposta per lui, e poi tornare ad adagiarlo nella culla, è ovviamente un gesto che suscita una forte risposta emotiva. Prendendosi cura di questo bambolotto, le donne diventavano come delle amorevoli “madri adottive” per il Bambin Gesù – e se anche la devozione si fermasse lì, e mirasse a suscitare solo questa reazione da parte dei fedeli, sarebbe già una devozione profondissima, secondo me.

Ma ovviamente, c’è di più.
Cito le parole di Giovanni Trabucco, che commenta questa usanza nel suo libro Devoti e Creativi. Gesù Bambino, certo, veniva coperto con vestitini da neonato; ma, fuor di metafora, tutti sappiamo che

lo si copre o lo si veste anche o soprattutto con le proprie pratiche devozionali, con le preghiere, con i sarifici e le promesse, e con la propria vita. Spesso il bambino tiene in mano un chicco o un grappolo d’uva, simbolo esplicito dell’eucaristia, che unisce il senso delle due “vestizioni”, quella che riconosce e preserva, prendendosene cura, l’unicità di Gesù […] e quella che vi corrisponde praticamente con il proprio amore. […] V
estirlo è un atto di devozione, che comporta o conduce alla volontà di distaccarsi e di spogliarsi dei propri peccati per conformarsi e rivestirsi piuttosto dei suoi abiti e dei suoi comportamenti.
Si veste Gesù per rivestire se stessi.

E tutte le volte che penso a questa antica devozione, io mi incanto.
Sarà che i bambolotti e Gesù sono le due passioni della mia vita, ma quanto doveva essere bello avere un Gesù Bambino “tutto per te”, da coccolare prima di andare a letto e da baciare al mattino per iniziare bene la giornata. Era un monito quotidiano ad amare quel Dio Bambino che è nato a Betlemme proprio te, e che ti ama con quell’amore incondizionato con cui il bambino ama la sua mamma.

Papa Francesco "porta in braccio" Gesù Bambino nella Messa di Natale 2013

Papa Francesco “porta in braccio” Gesù Bambino nella Messa di Natale 2013

Buon Natale!

13 risposte a "Coccolare Gesù Bambino"

  1. Ilaria

    Bellissima tradizione, non ne sapevo nulla! Un simbolismo semplice ma preciso. Quanto mi sarebbe stato utile inoltre avere quel “bambolotto-Gesù” con me i primi tempi in cui sono andata a vivere da sola. Addirittura le prima notti avevo “paura” a dormire tutta sola nella casa nuova, sentendo tutti i rumori ancora sconosciuti della casa e sapendo che lì dentro c’ero solo io (mi mancava perfino il russare di mio padre!). Avrei preso il bambolotto nel letto con me e mi sarei tranquillizzata subito 🙂

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    1. Lucia

      :-))
      Mi fa sorridere perché quando io ero piccola e facevo gli incubi di notte (o comunque: avevo qualche paura irrazionale), mia mamma mi consigliava sempre di recitare un’Ave Maria, dicendo che la paura mi sarebbe passata.
      Il tuo prendere nel letto Gesù Bambino è un po’ la rivisitazione di quello che facevo io… 🙂

      Ma vero? Io la trovo davvero una devozione bellissima.
      E davvero: in certe occasioni, quanto sarebbe d’aiuto avere un Gesù Bambino da coccolare nei momenti di sconforto! Molto meglio che fiondarsi sul peluche o sulla vaschetta di gelato à la Bridget Jones, voglio dire… 😉

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  2. Emilia

    Io lo sapevo, eccome! Ecco un fatterello della vita di santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, terziaria francescana napoletana, quella della famosa sedia dove molte donne si siedono per chiedere la grazia di un figlio.
    Lei aveva una statuina di Gesù Bambino da vestire, ma era in una posizione un po’ complicata. Si racconta che gli abbia chiesto di aprire le braccia, così da farsi vestire meglio… e così avvenne!

    Buon Natale a te e a tutti i lettori!

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    1. Lucia

      *____*
      A quanto pare, le statue di Gesù Bambino sono molto più collaborative di tanti bambini vivi… 😛
      Grazie per questa chicca, proprio non la conoscevo!

      E buon Natale a te e a tutta la tua famiglia!

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  3. giudig

    Best whishes, dear Lucia 🙂 Molto bella questa tradizione che non conoscevo in pratica ma che mia nonna raccontava. Lei aveva un bellissimo Gesù Bambino dentro una teca di vetro!

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  4. Pingback: I mille volti di Gesù Bambino | Una penna spuntata

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