Il silenzio delle Tenebre

Pochi giorni dopo il matrimonio, mio marito ha portato a casa un grazioso orologio a cucù.
Mi ha stupita: non ricordavo di avergli mai parlato della mia passione per i cucù, e di come, da tempo, desiderassi comprarne uno (ma, fra una cosa e l’altra, non ero mai passata “all’azione”).
Eppure, tant’è. Oggi, il cucù troneggia sulla libreria del nostro salotto, e il suo leggiadro cuculìo (?) ci tiene compagnia a ogni battito d’ora. Col tempo, è diventato un suono familiare e rassicurante: quando le lancette dell’orologio si avvicinano al cinquantanovesimo minuto, noi aguzziamo l’orecchio e ci mettiamo in ascolto, e sorridiamo nel sentire il cucù del nostro cucù.

Ve lo racconto, non perché debba interessarvi la nostra routine familiare, ma perché, forse, l’esempio del cucù di casa potrebbe essere utile a spiegare il legame di affetto che si creava, un tempo, tra gli abitanti di un paesello e le campane del loro campanile.

Noi, oggigiorno, manco ci facciamo più caso, alle campane del nostro campanile.
Tutt’al più c’è qualcuno che denuncia il parroco per disturbo della quiete pubblica; ma, per il resto, chi è che è ancora in grado di capire il linguaggio delle campane? Chi è che sa distinguere una campana che suona a lutto da una campana che suona per annunciare che tra un quarto d’ora inizia Messa?
Pochi; pochissimi, direi.
Ancor meno, quelli che organizzano le loro giornate basandosi sul battito delle campane.
Diciamocelo pure: se improvvisamente tutte le campane delle nostre chiese sparissero improvvisamente, come per magia, la nostra vita non subirebbe chissà quale sconquasso emotivo. Detto molto onestamente, con ogni probabilità manco ci accorgeremmo della differenza.

E invece, una volta, era tutt’altra Storia.
In un mondo in cui solo i fortunatissimi potevano vantare un orologio privato e dunque il suono delle campane aveva anche una rilevanza pratica (e in un mondo in cui non esistevano ancora radio, tv, smartphone e clacson a sommergerci in un caos di continui stimoli sonori…), il rintocco delle campane era qualcosa che davvero non passava inosservato. Tra il popolo e il campanile si instaurava un dialogo quotidiano, fatto di sonate per battere il corso del tempo ma fatto anche di veri e propri messaggi in codice, che noi probabilmente non saremmo più in grado di interpretare ma che una volta erano chiari anche ai bambini.

A seconda del modo in cui suonava la campana (o addirittura, a seconda di quale campana veniva azionata dal campanaro) il suono squillante, diffondendosi su tutto il paese, poteva lanciare messaggi diversi. Le campane potevano suonare a festa o a morto (indicando, nel caso, se il defunto fosse uomo o donna, giovane o vecchio). Una singola campana poteva esser fatta suonare a distesa per segnalare la presenza dell’esattore delle tasse venuto a riscuotere le gabelle o di un altro funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni. Le campane rintoccavano per segnalare un temporale che si vedeva avvicinarsi all’orizzonte; suonavano, in uno stormo pressante di rintocchi, per segnalare qualche emergenza: un edificio in fiamme, un esercito in arrivo.

Davvero le campane dialogavano con i fedeli, e non è una figura retorica utilizzare questo vocabolo.
Davvero le campane erano “quotidianità” e “casa”. In quante pagine di romanzi abbiamo visto il protagonista sorridere dopo un lungo viaggio nell’avvicinarsi al suo paesello natìo e nel distinguere di lontano il rintocco familiare del campanile?

Ecco: immaginate ora che le vostre amate campane smettano improvvisamente di suonare, lasciando precipitare il paese nel silenzio e nell’incertezza (che ora è? Farà bel tempo? È tutto a posto? L’anziana signora che abita dall’altra parte del paese e che è molto malata, sarà ancora viva?).
Immaginate che le vostre campane smettano improvvisamente di suonare – o che, se preferite, si guasti di punto in bianco l’orologio a cucù che batte il corso delle ore nella quiete del salotto e che è ormai diventato una parte dolce e irrinunciabile della vostra routine di ogni giorno.
Immaginate che tutti i suoni che vi erano più familiari scompaiano all’improvviso, lasciandovi in un freddo, tetro silenzio innaturale e carico d’angoscia.

Noi moderni ce ne accorgiamo a malapena, perché abbiamo troppe distrazioni sonore tutt’intorno; ma per i nostri progenitori, era davvero un brivido lungo la schiena trascorrere ore e ore immersi nel silenzio più completo, mentre le campane tacevano il Venerdì e il Sabato Santo, in attesa della Resurrezione.
Quel dialogo continuo, rassicurante e familiare veniva improvvisamente troncato. Le campane tacevano – e tacciono tuttora – dalla Messa in coena Domini fino all’annuncio della Resurrezione. E mentre Gesù era condotto al patibolo, agonizzava, moriva in croce e giaceva nel sepolcro, l’intera cristianità sprofondava in un silenzio luttuoso, interrotto solamente da alcuni lugubri colpi di legno secco.

"La bussata del troccolante" - link sull'immagine per visualizzare la fonte
“La bussata del troccolante” – click sull’immagine per visualizzare la fonte

In qualche museo etnografico le trovate sicuramente in mostra. Se siete fortunati (e/o provenite da una famiglia sufficientemente stanziale) potreste trovarne qualcuna anche nella soffitta di casa vostra: mio padre conserva ancora, con gelosia, quella che lui usava da bambino.

Raganella (o, in dialetto piemontese, "cantarana") - click sull'immagine per visualizzare la fonte
Raganella (o, in dialetto piemontese, “cantarana”) – click sull’immagine per visualizzare la fonte


Sto parlando di quelli che, in dialetto piemontese, si chiamano “tenebre” (prendendo il nome dall’Ufficio delle Tenebre che, prima della grande riforma liturgica, caratterizzava i giorni del Triduo) ma, con nomi diversi, erano usati un po’ dappertutto, e anzi sono ancora adesso in voga in certe Passioni del Meridione.

Si tratta, per capirci, di quegli strumenti in legno che “sostituivano” il suono delle campane il Venerdì e il Sabato Santo.
In genere erano appannaggio dei chierichetti che, in barba al clima penitenziale, si divertivano come matti a percorrere le vie del paese armati delle loro raganelle rumorose, per annunciare, con crepitio di legni grattati, che era l’ora dell’Angelus; era l’ora dell’Ave Maria; mancava mezz’ora alla funzione; erano le tre del pomeriggio.

"Tabella della Settimana Santa" (così si chiama in dialetto piemontese), usata per il battere il corso delle ore. Click sull'immagine per accere alla fonte
“Tabella della Settimana Santa” (così si chiama in dialetto piemontese), usata per il battere il corso delle ore. Click sull’immagine per visualizzare la fonte

Altri strumenti più massicci, formati da un’asse di legno su cui cozzavano alcuni anelli di metallo, erano stretto appannaggio del campanaro. Era lui a percorrere le vie del paese, di ora in ora, per scandire il corso del tempo e annunciare che erano trascorsi altri sessanta minuti.
Dei battiti tetri e cupi provenivano anche da quelle che, in Piemonte, si chiamavano assicelle: aggeggi a percussione da suonare come nacchere o da far rintoccare come fossero delle campanelle. Venivano percosse, con ritmo lento e regolare, durante le processioni del Venerdì Santo, annunciando mestamente fra le vie del paese il passaggio imminente di Cristo e della sua croce santa.

Assicelle della Settimana Santa (in dialetto piemontese) - click sull'immagine per visualizzare la fonte
Assicelle della Settimana Santa (in dialetto piemontese) – click sull’immagine per visualizzare la fonte

Come faceva notare un antropologo sul catalogo di una mostra dedicata a questi strani oggetti e tenutasi a Parigi nella Pasqua 1980 (e citata qui),

era forte il contrasto tra il suono squillante e nobile dalle campane e il suono dimesso e vile del legno. Gli spiriti demoniaci non erano più respinti dal suono delle campane, o dal tintinnìo delle campanelle d’altare; dunque, gli inferi erano sulla terra – e, assieme a loro, anche il suono roco e crudele delle raganelle e dei battagli. Questi strumenti di legno, per alcune ore, diventavano come delle “contro campane”; l’esatto opposto delle campanelle armoniose.

Ma il silenzio del Venerdì e del Sabato Santo non aveva unicamente una valenza popolare. Come commentava nel 1280 il vescovo Guglielmo Durante, nel suo Rationale divinorum officiorum:

[Venerdì e Sabato Santo] tacciono le campane, per significare che, nel tempo della Passione, tacquero gli apostoli.
Si danno però dei segnali con percosse di tavola per significare l’umiltà di Cristo; secondariamente, si percuote la tavola perché con tal suono si eccita nel popolo il timore.
Terzo, si percuote il legno con il martello, per significare Cristo sospeso alla croce.
Quarto, si percuote il legno per richiamare il legno causa della caduta di Adamo.
Quinto, tacciono le campane ma non i legni, per simboleggiare, nelle campane, il silenzio degli apostoli, e negli altri istrumenti di suono minore il pianto delle donne, le quali, nel tempo della Passione, non si nascosero come gli apostoli, ma seguirono Gesù fin sotto alla sua croce.

Ma il silenzio non sarebbe durato per sempre.
Al momento del Gloria nella prima Messa di Pasqua, il sacerdote avrebbe colpito con il palmo della mano il suo breviario. E questo sarebbe stato il segnale per i chierichetti, che avrebbero cominciato a far suonare le loro raganelle. E poi, nello strepito prodotto dal legno (e dalle mani dei fedeli, che battevano ritmicamente sui banchi della chiesa) avrebbero ricominciato a squillare le campanelle d’altare. E dopo le campanelle d’altare avrebbero rintoccato forti e solenni le campane del campanile e da un campanile all’altro tutte le campane avrebbero finalmente ricominciato a suonare a festa per annunciare al mondo la risurrezione di Cristo Signore.

E allora sì che i fedeli, guardandosi negli occhi, avrebbero potuto – raggianti – augurarsi “buona Pasqua”.

16 risposte a "Il silenzio delle Tenebre"

  1. giudig

    Che bel post, Lucia! Davvero interessante. Come persona nata e vissuta in un piccolo centro, adoro il suono delle campane. La mia parrocchia e poco fuori le mura di cinta del centro storico di Sansepolcro e si serve di un campanile elettrico ma molto ben funzionante. Da casa so l’ora delle lodi al mattino, dell’Angelus a mezzogiorno, del cenno di chiamata all’Eucarestia quotidiana che suona tre volte ogni 15 minuti. Purtroppo riconosco pure il tocco di campana che annuncia la morte di qualche parrocchiano. Prima di abitare dove vivo adesso, sono vissuta dentro il centro storico, ricco di campanili. I più importanti sono quelli a cuspide della Cattedrale e della chiesa di San Francesco. Si trovano uno di fronte all’altro. In centro, le campane, sono suonate dai campanari facenti parte del Gruppo campanari della Valtiberina. Il sabato e la domenica si “scatenano” Gli altri giorni suonano l’Angelus a mezzogiorno. Sono volontari che lavorano e non hanno il tempo da assicurare il servizio quotidiano. Ospitiamo spesso il festival nazionale dei campanari. Mi piacerebbe tu fossi a Sansepolcro per il momento in cui si “sciolgono” le campane che annunciano La Resurrezione di Cristo. E’ davvero emozionante l’atmosfera ricca di gioia che si avverte. Nel campanile di San Francesco c’è una campana speciale, la “raniera” fusa in occasione di un anniversario della morte del Beato Ranieri, il cui corpo incorrotto è nella cripta della chiesa stessa. E’ il patrono delle partorienti; ogni donna in attesa, se crede, va a fare benedire la camicia che indosserà nel momento del parto. Se sentiamo il suono della Raniera verso le 18 di sera è segno che è nato un bimbo/a. Quindi gioia piena di ogni persona che ne riconosce il suono. Gioia per gioia auguro a te e Claudio una Santa Pasqua!

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    1. Lucia

      Giudig, che commento bellissimo (e anche interessante, pieno com’è di curiosità).
      Qualche anno fa parlavo con un mio conoscente, non a-cattolico, ma sai… di quelli che tendono un po’ a darsi delle arie dicendo “ah, io sono cattolico ma quest e questa cosa della Chiesa sono superate”. Ecco, in quel frangente il tipo si era messo in testa di criticare l’usanza di suonare le campane della chiesa, ché ormai, salvo particolari momenti liturgici, non servono più a niente, e ottengono come unico risultato quello di disturbare la gente che dorme.
      (Posto che in effetti certi campanili suonano per davvero a tutto volume nelle prime ore del mattino O.o mentre ero a Roma sono rimasta sconvolta dal chiasso che fanno al mattino presto di domenica le campane della chiesa vicino al Capranica. Ma roba che persino io mi lamenterei discretamente col sacerdote, se avessi la ventura di abitare lì vicino… cioè, cavolo, era proprio forte, e di mattino presto! Comunque: posto questo), io cercavo di far capire a questo mio conoscente la bellezza, la ricchezza, il valore culturale (e anche di fede per chi ci crede, ma anche proprio solo culturale!) di un campanile che suona a intervalli regolari, mandando messaggi ben precisi e decodificabili, per chi è in grado di farlo.
      Ovviamente il tizio non si è convinto perché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, ma un commento come il tuo sarebbe da far leggere a tutti quelli che criticano il suono delle campane per partito preso. C’è davvero così tanta Storia, e così tanta cultura, in un campanile che suona… 🙂

      Buona Pasqua, carissima!

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  2. Francesca

    Qui le campane di legno suonano ancora, almeno a mezzogiorno. Le ho viste in azione proprio oggi. Sassello, entroterra savonese, AD 2016. Buona Pasqua!

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    1. Lucia

      Che bello! In Liguria? Non sapevo!
      Io sapevo che sono ancora in uso in certe Passioni del Centro-Sud, e già e stata una sorpresa scoprire (mentre cercavo le immagini per questo post su Google Immagini) che le raganelle si usano ancora oggi dalle parti di Brescia.
      Ma in Liguria non avevo mai e poi mai sentito di questa usanza ancora viva – e dire che in Liguria ci ho passato tutte le Pasqua della mia infanzia (ma eravamo sulla costa imperiese, quindi un po’ più in là).

      E com’erano fatte queste campane, per curiosità? Raganelle, tabelle, assicelle…?

      Buona Pasqua di cuore, e grazie anche per questa curiosità che proprio non mi aspettavo!

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  3. nihilalieno

    Al mio paesello (Trana) il campanile batte le ore E le mezz’ore. E mia mamma, benchè provvista di orologi per ogni dove (ne aveva due in ogni stanza e uno al polso) basava la sua giornata sul campanile. Me la vedo ancora, appallottolata sulla poltrona in giardino insieme al cane, aprire un occhio sonnacchioso per dirmi “erano due colpi, vero? NON SONO MICA GIA’ LE TRE e mezza???” quando doveva andare al lavoro… 🙂

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  4. mariluf

    Ho sentito bene prima la campanella del chierichetto e poi le campane dal campanile, nel Gloria, sia della veglia pasquale che della Messa del giorno di Pasqua… Io ho una passione per le campane e campanelle, e di queste ultime ho una piccola collezione. A Torino si sentono poco, è vero, ma su in Val Grande di Lanzo i.suoni li riconosco ancora….
    Ri-auguir! mf

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    1. Lucia

      E’ vero, a Torino si sentono poco (quantomeno, nella mia zona non si sentono proprio, o quasi)… io ho imparato ad amarle, ed anche a conoscerle, quando mi sono trasferita a Pavia al primo anno di università. A Pavia è pieno di campanili, tutti quanti in azione; ricordo che anche l’università stessa ha il suo caratteristico campanile, con un carillon ovviamente diverso da quello delle chiese, ma proprio per quello inconfondibile.

      Ecco: se c’è una cosa che proprio mi dispiace, di Torino, è l’assenza di campane in ogni angolo. Certo, se ne sentono tante in pieno centro, ma per il resto poco poco. E questo mi manca sì 🙂

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  5. marinz

    Intanto Buona Pasqua.
    Mentre leggevo il post ripensavo al ritmo della giornata regolato dal suono delle campane. Mi è capitato di farci caso tutte le volte che sono stato in Etiopia dove il giorno inizia alle nostre 6 mentre per loro inizia la prima ora del giorno quindi 12 rintocchi. E via così per tutta la giornata. (Era un campanile ma con orologio elettrico, il problema, quasi giornaliero è che saltando la corrente non sempre si sapeva che ora era esattamente se non si guardava l’orologio al polso)

    Poi mi è venuto in mente la scena di Don Camillo con Peppone, nel secondo film se non erro, in cui al campanile parrocchiale veniva contrapposto l’orologio della “voce del popolo” sul comune… e ognuno tirava avanti 1 minuto per farlo suonare prima dell’altro… alla fine non si sapeva più che ore erano.

    Per finire sono un appassionato di campane… da giovane chierichetto le suonavo prima della messa, quando avevamo ancora le corde, e a Pasqua, al momento della Risurrezione avevamo collaudato una “staffetta” dalla porta della sacrestia che dava sul presbiterio, al corridoio, poi alla base del campanile e sulle scale del campanile. Al segnale partiva la voce e poi si raggiungevano gli altri e si prendeva ognuno la proprio corda… che spettacolo 🙂

    Ps ogni tanto vado a sentire qualche concerto di campane

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  6. AlphaT

    A questo punto posso solo dire “Buon Tempo di Pasqua!”

    Davvero molto interessante. A Genova non avevo mai sentito parlare dell’uso del legno al posto delle campane, ma mia madre mi raccontava della tradizione, al momento della ripresa del suono delle campane al Sabato Santo, di correre ad un trogolo o fontanella per bagnarsi gli occhi.

    Sono abbastanza vecchio da aver vissuto da piccolo la situazione di non avere orologio (e ovviamente i telefonini non esistevano), quindi nel bosco davanti casa qualche volta ascoltavo il campanile per sapere che ora si era fatta. Bel ricordo.

    Invece non mi aspettavo che suonassero anche per i temporali, e che nei rintocchi dell’agonia si distinguesse vecchio e giovane… che facevano, stabilivano una età limite?

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    1. Lucia

      Credo di sì, che si stabilisse un’età limite.
      Erano usi che variavano da zona a zona evidentemente, non è che ci fosse un testo unico per suonare le campane in tutto l’orbe terracqueo, ma si stabiliva un’età limite, spesso andando di pari passi con quella normalmente accettata dalle varie confraternite laicali che si occupavano di pregare per i morti del paese/della città. Capitava, spesso, che ci fossero confraternite di giovani, che partecipavano solo ai funerali dei giovani e pregavano in maniera specifica per l’anima dei giovani. Ecco: probabilmente le consuetidini locali stabilivano un’età limite; con lo stesso criterio, presumo, si facevano suonare le campane.
      Ho anche sentito dire di paesi in cui, normalmente, si faceva rintoccare a lutto un’unica campana (che era sempre quella), salvo nei casi in cui il morto era un bambino e/o una giovane donna nubile (nel qual caso, se ne faceva rintoccare un’altra).
      Venendo ad epoche molto più recenti, anche la mia parrocchia di Pavia – quella delle faccine romaniche e del mio matrimonio – ha due modi di far suonare il lutto: uno, nel caso di defunto maschio, e uno nel caso di defunta femmina.

      Bagnarsi gli occhi in una fontanella nel momento in cui le campane vengono sleagate il sabato notte? Che strana tradizione! Chissà perchè?
      Forse una qualche forma di purificazione, un’eco del proprio battesimo? Boh?

      In compenso… Federica qui sopra mi scriveva che, dalle sue parti (e cioè, non troppo lontano dalle tue) questi strumenti di legno vengono ancora utilizzati, e poi, in reazione al mio stupore incredulo, mi inviava su Facebook documentazione fotografica della cosa: qui.

      Nel Savonese!

      Continuo a stupirmi. Sapevo che questi strumenti erano ancora in uso in certe Passioni dell’Italia centro-meridionale, ma lì c’è tutta una componente di folklore che in genere manca, nelle “normali” vie Crucis. Non so se a Sassello facciano cose particolarmente strane 😉 in occasione della Settimana Santa.
      Come forse dicevo già a qualcun altro qui sopra, ho anche scoperto, mentre cercavo foto dei legnetti su Google Immagini, che sono ancora in uso anche in diocesi di Brescia. Lì, apparentemente, li mettono in mano ai chierichetti durante la Via Crucis in giro per il paese, e vai così.
      Qui a Torino (ma pure a Pavia…) sarebbero cose dell’altro mondo: io conoscevo l’esistenza di questi legni, ma giusto solo perché me ne aveva parlato mio padre attingendo ai suoi ricordi d’infanzia!

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