I miei quattro catto-trip del momento

Siccome l’assenza è stata lunga ed è da tanto tempo che non ci si legge, ci starebbe anche che qualcuno esordisse con un “wè! Come va? Cos’hai fatto di bello in tutto questo tempo?”.
Prevengo la domanda e fornisco subito la risposta, o almeno parte della risposta. Ho fatto tante cose, ho visto tanti posti, ho letto tanti libri che spero di “sfruttare” presto su questo blog… ma, soprattutto, ho sviluppato delle dipendenze.
Delle catto-dipendenze.
E siccome non è giusto che debba essere io l’unica a soffrire, adesso le racconto pure a voi così non sarò più sola nel tunnel.

Uno. Catholic Trivia

trivia

Mi è stata segnalata da mio marito, che ne aveva sentito parlare su uno dei periodici cattolici americani che segue, e da allora è stato un mai-più-senza. Ci gioco ovunque: sui mezzi, in pausa pranzo, a letto prima di andare a dormire, sempre. È una applicazione che dà grave dipendenza.

È stata sviluppata, qualche anno fa, da fra’ Matthew Boland  – questo qua:

fr-matthew-boland

che, oltre a fare il frate domenicano, si diletta anche di programmazione informatica. La app, come dice il nome stesso, è sostanzialmente un trivial cattolico: il giocatore parte dal livello 0 di novizio, ed è chiamato a scalare via via le gerarchie ecclesiastiche – diventando diacono, prete, vescovo e così via dicendo – a suon di domande su Santa Madre Chiesa.
Nei vari quesiti ci sono parecchia teologia, parecchio catechismo, giuste dosi di agiografia e di storia della Chiesa… e, soprattutto, tanta tanta ironia: talvolta, tra le varie opzioni tra cui scegliere, si trovano risposte deliziosamente sarcastiche o auto-ironiche. Last but not least, le domande sono dannatamente serie (e dannatamente difficili): ci si diverte, ma si ripassa anche il catechismo – sul serio. E si imparano tante cose nuove.
Ogni concorrente ha a disposizione tre Papa-vite che gli consentono di dare fino a tre risposte sbagliate, dopodiché si viene espulsi dal gioco con un game-over costituito da un coro gregoriano che canta “Ite!”.
Adoro.

Due. Jane the Virgin

community_image_1430219803

Non per tirarvela, ma, visto che stiamo entrando nella stagione delle influenze: se vi capitasse di essere bloccati a casa e di voler fare una maratona di telefilm, scegliendo qualcosa di leggerino e lieve perché non avete testa per seguire trame troppo complesse… beh: date una chance a Jane the Virgin. Lo trovate su Netflix (un mio altro grosso trip del momento), e, credetemi: davvero, non è malaccio.
Jane è una ragazza latinoamericana che ha deciso di conservare la sua verginità fino al matrimonio. Peccato che, durante una visita di controllo dalla ginecologa (una donna con problemi di acolismo, che si presenta al lavoro completamente sbronza) Jane vada incontro a – ehm – un lieve errore umano. Invece di essere sottoposta a un pap-test, Jane viene sottoposta, a sua insaputa, a un intervento di inseminazione artificiale. Che ovviamente ha come esito un test di gravidanza positivo!

Comincia così una soap-opera in piena regola. O meglio, comincia così la parodia di una soap-opera, con colpi di scena a ripetizione, personaggi caricaturali e situazioni inverosimili di cui la voce narrante si prende apertamente gioco, arrivando a pronunciare frasi tipo “ed eccoci giunti al topos grottesco ma immancabile in cui la protagonista decide di…”.

L’avrete capito: Jane the Virgin è una soap-opera parodiata, leggera, a commedia, di quelle che guardi per mettere in stand-by il cervello. Però, sotto sotto non è malaccio: affronta temi mica da poco, tipo “davanti a una gravidanza drammaticamente indesiderata, l’aborto è davvero una soluzione accettabile?”. Oppure: “di fronte a un’ecografia che evidenzia anomalie, è o non è opportuno accettare i rischi di un’amniocentesi, anche solo per arrivare al parto preparati?”. Oppure ancora: “la protagonista della soap è una cattolica vergine che ha deciso di conservarsi pura fino al matrimonio: è una cretina bigotta, o avrà le sue ragioni?”.
Le risposte a queste domande non sono sempre e necessariamente in linea al 100% con il Catechismo di Santa Romana Chiesa. Però, posso dire che, fino al punto della serie a cui sono arrivata, i protagonisti si stanno comportando globalmente molto bene – e, soprattutto (incredibile ma vero) la serie non fa passare come bigotterie cattoliche le scelte “impopolari” dei protagonisti.

È un telefilm che farei vedere con la massima tranquillità anche a una figlia adolescente, e che comunque io sto godendo mica poco.
Dirò di più: se lo sta godendo pure mio marito (!), e chi conosce i suoi gusti in fatto di telefilm sa che decisamente lui non è un tipo da soap. Ma questa soap-parodia-delle-soap ha così tanti diversi piani di lettura che può piacere anche a chi una “vera” soap non la affronterebbe mai.
Provatela!

Tre. Le Trappiste di Vitorchiano

edizioni-trappiste-come-lavoriamo-005

Perché, , ci si può intrippare anche su una comunità monastica (se sei Lucia)!

Ho scoperto le Trappiste qualche tempo dopo il mio matrimonio, mentre cercavo un piccolo ringraziamento tangibile da lasciare alle tante persone che avevano pregato per noi. Saltando di link in link, sono finita per puro caso sul sito delle Trappiste, che gestiscono una roba che potrei definire una via di mezzo tra una tipografia e una casa editrice di piccola cartolibreria.
‘nsomma: per mantenersi, ‘ste Trappiste hanno un vasto (ma proprio vasto) catalogo di segnalibri, biglietti d’auguri, cartoline di ringraziamento, e chi più ne ha più ne metta, che si offrono eventualmente di personalizzare secondo i vostri bisogni.
Per capirci: io non ho usufruito di questo servizio, ma le Trappiste si offrono anche per preparare le vostre partecipazioni, il vostro libretto di matrimonio, etc. O i vostri ricordini per la prima comunione e per il venticinquesimo di ordinazione, i foglietti personalizzati per la benedizione delle case dei vostri parrocchiani…

Perché sono entrata in trip?
a)      Perché li ho cercati in lungo e in largo prima di fare l’ordine, ma dei prodotti belli come i loro io non li ho trovati altrove
b)     Perché ho piazzato l’ordine verso le undici di sera di una domenica, e nella notte tra domenica e lunedì le Trappiste mi hanno risposto (e hanno risposto proprio a me, non era una mail automatica). Roba che manco gli operai sfruttati di Amazon.
c)      Perché qualche giorno fa, spinta da un presentimento assai infelice (per le mie tasche) sono tornata sul sito delle Edizioni Trappiste e ho scoperto che, OMG, il loro catalogo di prodotti di Natale (tutto infarcito da calendari dell’Avvento, biglietti di auguri, poster per gli oratorii) è ancor meglio di quanto avessi immaginato.

Quattro. Head Covering & Sunday Best

ddecf0efa09bbcd02e1b5b7a9f10f67a

Li definisco coi termini inglesi, perché i cattolici americani sono un po’ più attenti su questi temi, che in Italia invece sono decisamente fuori moda. E infatti non mi risulta che esista in lingua italiana un corrispettivo del Sunday Best (l’abito buono della domenica che indossi per andare a Messa) né men che meno dell’Head Covering (l’abitudine di entrare in chiesa a capo coperto se sei una donna)… ma tant’è.

Tutto è cominciato molto gradualmente, circa un anno fa, quando ho iniziato a vivere a Roma per alcuni mesi all’anno. Il caso vuole che vicino alla mia casa romana ci sia una chiesa in cui si celebra ogni domenica la Messa in forma straordinaria (quella “in Latino”, per capirci).
È scontato dire che non ho alcuna simpatia per gli scismatici lefebvriani, così come è scontato dire che mi affascina tutto quello che ha sapore di antico. Ho cominciato a frequentare periodicamente questa Messa, trovandomici bene (dopo questa affermazione ci sarebbe spazio per molti approfondimenti a tema, che ora non faccio per non allungare troppo il brodo… ma se volete li facciamo!).

Da lì, è partito un singolare effetto domino.
Alla Messa in forma straordinaria, le donne partecipano tradizionalmente a capo coperto: ergo, io mi sono adeguata al costume, indossando sempre un velo da Messa o un cappellino.
I cappellini e i veli da Messa sono mediamente elegantini: ergo, se hai una acconciatura che sembra uscita dal set di Downton Abbey, è ovvio che ti viene istintivo vestirti elegantina da testa ai piedi.
Oggidì, una donna normale non si veste abitualmente con tailleurino e pizzi e trini nel suo tempo libero; ergo, se la domenica ti butti giù dal letto e, invece di infilarti nel primo paio di jeans che trovi, tiri fuori dall’armadio i tacchetti e il tubino nero delle Grandi Riunioni Di Lavoro, qualcosa dentro di te ti suggerisce a livello inconscio che, oh wow, allora stai per andare in un Posto Importante, a fare Una Cosa Grossa.

E… sapete? Detto questo, non ho altro da aggiungere.

Da un po’ di tempo a questa parte ho cominciato ad adottare sistematicamente la pratica del “Sunday Best” non perché io mi arrocchi su strane idee per cui a Dio fa piacere se io vado a Messa col cappottino buono e bla bla bla. Sono persuasa che a Dio non gliene possa importar di meno, del mio cappottino.
Però, il gesto cosciente di indossare il cappottino buono e non la solita giacca a vento, aiuta me ad entrare nella disposizione d’animo per cui la Messa è un’occasione importante, e sto facendo una cosa grande ed importante.

Sono più che persuasa che Dio non rischi uno scompenso, se vede entrare in chiesa il mio caschetto castano. Però, se appena appena le circostanze me lo permettono (cioè: se non rischio di dare troppo nell’occhio – in inverno ad esempio lo si può fare tranquillamente), mi piace fare il piccolo sforzo cosciente di indossare sempre qualcosa sui miei capelli, quando so che sto per entrare in una chiesa. Anche solo un berretto di lana, anche solo un cerchietto alla moda o una fascia per capelli. Non per altro, ma perché, nella sua piccolezza, questo minimo, stupido gesto mi aiuta a ricordarmi – fin da quando mi preparo a casa davanti allo specchio – che non sto uscendo per andare in un posto a caso. Sto uscendo per andare a un evento extra-ordinario, che onoro con piccole attenzioni che esulano dalla mia ordinarietà.

Ora, io non dico di cominciare dal nulla ad andare a Messa col berretto, che, mi rendo conto, può sembrare una scelta hardcore. Peraltro, io ho una storia personale per cui non mi dispiace indossare i cappelli (e, al di là delle Messe capitoline in forma straordinaria, frequento parrocchie in cui ci sono parecchie altre signore – aehm, tutte quante over-70 – che d’inverno tengono in testa il cappello in chiesa).
Però, quello di provare a vestirsi carine (o carini) prima di andare a Messa, quello sì, è un suggerimento che do per davvero.
Nella sua piccolezza e nella sua indiscussa inutilità a livello globale, su di me è stato molto utile a livello personale.
E allora, come direbbero gli americani: why not?  

5 risposte a "I miei quattro catto-trip del momento"

  1. Pingback: L’abbiccì del mio viver la Quaresima nel quotidiano – Una penna spuntata

Lascia un commento