Cinque insospettabili cibi estivi che non esistevano nel Medioevo

Immaginate di avere una macchina del tempo, e di aver organizzato un viaggetto nel Medioevo approfittando di questo ponte. Ed ecco: siete lì, in un paesello medievale, in un caldo week-end estivo, e cominciate a sentire lo stomaco che brontola all’avvicinarsi dell’ora di pranzo. E allora, pigliate ed entrate in una locanda, e ordinate uno di quei piatti estivi freschi e semplici che non possono mancare sulle nostre tavole moderne.
E l’oste medievale vi fissa con sguardo perplesso, grattandosi la crapa con l’aria di chi non ha la più pallida idea di che cosa stiate dicendo.

Parto con un pregiudizio positivo: do per scontato che, in una locanda medievale, nessuno di voi avrebbe l’infelice idea di ordinare cibi che sono stati notoriamente introdotti in Europa solo dopo la scoperta dell’America. No a patate, no a tacchini, no a pomodori, e così via dicendo.
Ma che dire invece di quegli alimenti “insospettabili”, che assolutamente ci aspetteremmo di trovare su una tavola da pranzo medievale… e invece no?

Ecco a voi cinque prelibatezze estive di cui i nostri antenati erano privi – o di cui, peggio ancora, si privavano volontariamente!

***

Le fragole

Fragola

Avete presente quelle belle fragolone succose, rosso acceso, turgide, con la superficie lucida?
Benissimo: nel Medioevo non esistevano.

Per quanto le “fragole” siano senz’altro nominate in diverse ricette dei secoli passati, il frutto dei nostri trisavoli era molto diverso da quello di oggi. Le fragole del passato erano, in effetti, le nostre “fragoline selvatiche”: rispettabilissime delizie boschive, per carità… ma niente a che vedere con i fragoloni che mangiamo oggi in macedonia.
Ecco: quelle fragole lì (le nostre, per capirci) arrivano in Europa all’inizio del XVIII secolo, quando una spia francese chiamata… Frézier (nomen omen! Notate l’assonanza con il francese fraise) viene inviata in missione nell’America Latina, per studiare le strategie difensive delle colonie spagnole in Cile. Lì, lo 007 parigino assapora una specie di fragola a grandi frutti che era fino ad allora sconosciuta ai palati europei. Se ne innamora, stabilisce di portarne a casa i semi, e, una volta tornato in Francia, si adopera per lanciare colture di fragole cilene.

L’impresa non sarà facilissima, a causa delle difficoltà di coltivazione di quello specifico frutto (e infatti, la nostra fragola moderna non è esattamente quella di Frézier, ma un ibrido più resistente nato in anni successivi), ma… tant’è!

Certe belle insalatone estive

Insalata

Lo ammetto: a me non piace l’insalata a base di insalata (cioè, di tutta quella roba verde a foglia larga che mi sembra più adatta alla dieta di una mucca che non alle papille gustative di un essere umano). (Amo invece le insalate di cipolle, di pomodori, e di qualsiasi cosa non sia strettamente insalata).
L’unica cosa che, se proprio devo, riesco a buttar giù, è la cosiddetta “indivia belga”, quella varietà di cicoria dal colore chiaro e dal sapore delicato che dà tanta soddisfazione nelle nostre belle insalatone estive.

Benissimo: in un ipotetico viaggio del tempo, l’insalatona me la sarei giocata: l’indivia belga nasce (intuibilmente in Belgio) nel 1850, per uno di quei tanti colpi di fortuna di cui è piena la Storia. Leggenda narra che un contadino delle parti di Bruxelles avesse dimenticato in cantina alcuni cespi di cicoria. Ebbene: le radici, rimaste abbandonate per mesi nell’ambiente buio ed umido, avevano prodotto germogli allungati con foglie color crema.
Il contadino provò ad assaggiarle, e, con sua sorpresa, scoprì che era “cosa buona e giusta”. Nasceva così l’indivia, che cominciò ad essere coltivata di proposito dal nostro intraprendente contadino, e venne notata, un giorno, su un banco del mercato, da un botanico di nome Brézier. Costui, apportando qualche modifica al prodotto per renderlo più resistente e facilmente coltivabile, cominciò a produrlo in quantità notevoli… e il resto è storia: di lì a poco, l’indivia sarebbe finita sulle tavole di tutti gli Europei!

Certo, gli Europei ante-1850 conoscevano senz’altro infinite varianti di insalata: se non erano schizzinosi come me, qualcosa da mangiare lo trovavano senz’altro.
Però…
E poi, comunque, in fin dei conti che insalata è, senza un qualche bel pomodorone a completare il tutto?

Le susine

Susine

In uno strano unicum di questo mondo globalizzato, pare che solo i Piemontesi (e gli avventori della catena di gelaterie GROM, originaria di Torino) siano soliti gustare nei mesi estivi i deliziosi ramassin della Valle Bronda, un’area boschiva a ovest di Saluzzo. Negli anni vissuti lontano da Torino, non so dire quanto io abbia sentito la mancanza di queste deliziose susine dolcissime e polpose, che invadono le tavole sabaude nei mesi di luglio e agosto.
(Sul serio, gente. Se non conoscete i ramassin, e per caso ne adocchiate qualcuno in vendita al mercato, comprateli a chilate perché sono la frutta più buona del mondo!).

Ebbene: i ramassin nel Medioevo esistevano già (la loro coltura è stata avviata dai monaci benedettini, Dio li benedica), ma in compenso erano sconosciute le susine, che sono forse le loro parenti più strette.

Da non confondersi con le prugne (noi, spesso, utilizziamo i due termini come sinonimi, ma si tratta in realtà di due frutti ben diversi), le susine erano sconosciute ai nostri trisavoli europei per il semplice fatto che crescevano in abbondanza nelle campagne attorno a Shush, città ai confini tra Iran e Iraq. Furono i crociati a portarne in Europa i primi semi, dopo aver assaggiato il frutto nella campagna militare del 1145. Da lì, le susine conobbero particolare fortuna in Francia, per poi diffondersi gradualmente anche negli altri Stati europei.
Quindi… frutto medievale, sì – ma risalente quasi agli ultimi scorci del Medioevo!

Il gelato (o anche solo qualcosa di vagamente simile)

Gelato

Beh: che i popolani del Medioevo non avessero la possibilità di gustare un cono gelato con la facilità con cui lo facciamo noi moderni, si poteva senz’altro immaginare. Ma con altrettanta facilità uno potrebbe supporre: i ricchi, però, un gelato ogni tanto se lo saranno senz’altro fatto preparare! O no?
No.
Proprio no, e per insormontabili ragioni tecniche: nel Medioevo lo zucchero non era utilizzato come dolcificante – e lo zucchero è un ingrediente indispensabile per dare la giusta consistenza al gelato. Il miele non funziona, da questo punto di vista.
Inoltre, nel Medioevo non era noto il processo per cui determinate miscele producono una reazione chimica in grado di abbassare rapidamente la temperatura dei liquidi, permettendo così di lavorare creme di latte freddissime.
Altrimenti, come lo raffreddi, il latte? Ci puoi mettere dentro dei pezzi di ghiaccio, ok, ma che schifezza è un gelato annacquato in acqua fredda?

Per onestà, gli Arabi erano già in grado di abbassare artificialmente la temperatura dei liquidi. Gli Europei, in compenso, fanno propria questa tecnica solo nel XVI secolo – lo stesso periodo in cui comincia a diffondersi (nelle case dei ricchi) la consuetudine di utilizzare lo zucchero come dolcificante. Non è un caso che proprio in quegli anni comincino pian piano ad affacciarsi alla Storia ricette simili a quelle del gelato moderno!

Fino ad allora, l’unica cosa vagamente paragonabile al gelato era il sorbetto di frutta. Grandi quantità di ghiaccio e di neve venivano raccolte in pieno inverno e conservate a lungo in apposite ghiacciaie, protette da foglie e paglia che fungevano da isolante. Da lì, si estraeva al momento del bisogno un po’ di neve fresca, che, mescolata a miele e a frutta tritata, dava origine a una specie di granita ante litteram.

Inutile dire che tali prelibatezze erano esclusivo appannaggio dei ricchi.
Inutile anche dire che, con tutto il rispetto, il gelato vero è un’altra cosa…

L’albicocca

Fruit Nectarine Leaf Fresh Isolated Organic Food

E, per finire, ecco a voi la gustosissima albicocca succosa… che nel Medioevo era perfettamente conosciuta!, sennonché la gente non la mangiava nella convinzione che fosse velenosa (!).
A ben vedere, in questa follia c’è un fondo di verità: è effettivamente velenoso il nocciolo dell’albicocca, che, se ingerito, sprigiona una sostanza sostanzialmente identica al cianuro (!).
Evidentemente bisogna mangiarne un bel po’, di noccioli di albicocca, per morire di avvelenamento da cianuro (e, soprattutto, bisogna essere abbastanza idioti per mettersi a mangiare noccioli di albicocca). Ma tant’è: è questa la ragione per cui i bambini piccoli non dovrebbero essere mai lasciati incustoditi con un’albicocca tra le mani, ed è probabilmente questa la ragione per cui, nel Medioevo, si era diffusa la convinzione che il frutto dal color arancio fosse sostanzialmente portatore di rogne, e dunque da guardare con grandissimo sospetto.

Benefattori dei palati europei? Anche in questo caso, gli Arabi, che di albicocca facevano un consumo intenso e che lentamente contribuirono a riportarla sulle tavole occidentali.
Ci volle del tempo, però. Prima che l’albicocca tornasse alla sua originaria diffusione, eravamo già arrivati al XV secolo: il Medioevo stava quasi per finire…

26 risposte a "Cinque insospettabili cibi estivi che non esistevano nel Medioevo"

    1. Lucia

      :-O
      Mai sentito, giuro! :-O

      (Ma, ehm, a parte la tossicità dei noccioli di albicocca, che a quanto leggo è una cosa vera e non una leggenda metropolitana… ma viene buono? Cioè, ha un buon sapore? Io a naso me lo sono sempre immaginata con gusto di… boh? Legno :\ )

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      1. laurie

        da piccola ero riuscita a sgranocchiare qualche nocciolo (cioè la parte interna: se rompi il guscio dentro c’è tipo una mandorla) e ha gusto di mandorle amare e pure queste possono essere tossiche in gran quantità (non so da che dose/concentrazione in poi).
        comunque non c’entra molto ma in tutti i gialli il cianuro viene identificato grazie al fatto che sa di mandorle amare… se è vero o no non lo so 😉 )

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  1. Mercuriade

    Una varietà di indivia, però, nel Sud Italia c’era già: la “scarola”, cantata nel Cinquecento dal Velardiniello, associata all’isola di Ischia, e che nelle campagne napoletane praticamente si “buttava”.

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    1. Lucia

      Vero!
      Ma a quanto ho scoperto ieri con un certo shock mentre controllavo le informazioni per questo post, la indivia/scarola e la indivia belga, a quanto pare, hanno in comune ben poco a parte il nome :O

      Non me ne intendo di botanica, ma a quanto leggo da pagine tipo questa, sembrerebbe che l’indivia scarola appartenga alla famiglia delle indivie, mentre l’indivia belga, a dispetto del nome, appartiene alla famiglia delle cicorie:
      http://cucina.corriere.it/rubriche/scuola-di-cucina/02-marzo-2010/i-vari-tipi-insalata_07d58a34-2063-11df-a848-00144f02aabe.shtml

      Che storie :-O

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    2. Lucia

      P.S. Il Velardiniello cantava la scarola? 😀
      LOL!
      Si trova online il testo della poesia?
      Posso immaginare che non sia un inno alla scarola punto e basta 😉 , però sarebbe interessante da leggere in ogni caso!

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  2. Laura Zaccaro

    Amavo il Medioevo, fino ad oggi… ahahahah!
    Comunque i ramassin forse no, ma qui in Basilicata le susine si trovano. In questo momento anche nel mio frigorifero. AHAHAH!

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    1. Lucia

      Beh, le susine sì, ci mancherebbe!
      Sono i ramassin che non ho mai visto in giro al di fuori del Piemonte (e della Riviera di Ponente, nota enclave piemontese da giugno a settembre in virtù del gran numero di Torinesi che ci vanno in vacanza :-P), e che paiono proprio essere sconosciute oltreconfine 😉
      Nemmeno a Pavia le trovavo!

      Sono veramente gustosissime e succose, dolci, niente a che vedere con le susine che, al confronto, hanno un sapore più aspro. Capitasse mai di trovarle da qualche parte, assaggiale perché sono davvero una delizia 🙂

      Come accennavo nel post, in genere fanno parte del menù estivo delle gelaterie GROM, una catena nata a Torino e che tenta sempre di proporre gusti alla frutta fatta con frutta particolare, di speci ricercate. In assenza di ramassin puri, anche il ramassin in gelato potrebbe essere un buon ripiego… 😉

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  3. agapetós

    La mandorlina dentro al seme dell’albicocca è molto saporita, in effetti.
    Al-bicocca fa in effetti pensare a un vocabolo arabo. In ferrarese si dice mugnaga che pare derivi da “armeniaca” ossia dell’Armenia.

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    1. Lucia

      Parrebbe che il termine derivi da al-barqūq, quindi sì, vocabolo arabo.
      In realtà i greci e i romani conoscevano benissimo l’albicocca, e se la mangiavano pure, ma la chiamavano con nomi completamente diversi: πραικόκιον in greco e praecoquus in latino (parrebbe, a causa del fatto che l’abicocco è una pianta precoce: dà frutto pochi anni dopo essere stato piantato).
      Poi appunto nel Medioevo l’albicocca, porella, cade nel dimenticatoio e smette di essere mangiata, e il fatto che la riportino sulle nostre tavole gli Arabi si vede anche dal nuovo nome che assume: completamente diverso rispetto a quelli antichi!

      Detto ciò.
      Ehm.
      A parte che non ho idea di che cosa stiate dicendo tu e Fiordicactus (la mandorlina dentro a seme? Perché, c’è una mandorlina all’interno del nocciolo? Cioè, spacchi in due il nocciolo e c’è dentro una mandorlina, ho capito bene?).
      Ehm.
      Cioè, ma anche tu mi stai dicendo che ‘sta mandorlina te la mangi?

      °_°

      Ma… e non dà disturbi? Perché ho controllato online, e pare che le sostanze velenose dentro al nocciolo ci siano per davvero, non sono una leggenda metropolitana. Non che si muoia avvelenati al primo nocciolo che si mangia… però, a quanto leggo, una lieve intossicazione può cominciare dal terzo nocciolo in poi (!). E anche prima per i bambini.

      http://www.ilfattoalimentare.it/semi-albicocca-efsa.html

      Tu te li mangi, quindi? :O

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      1. agapetós

        A volte il seme dell’albicocca (ma anche della pesca) si apre spontaneamente, e dentro c’è proprio una mandorlina, uguale uguale, con la sua pellicina. Ed è molto saporita. Credo che il sapore/odore e sia proprio legato al cianuro (battuta classica da giallo: “il caffè odora di mandorle amare… è cianuro.”) ma al massimo ne mangio una e non sono (ancora) morto! 😉

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      2. vogliadichiacchiere

        Ogni vegetale produce semi . . . alcune piante li racchiudono in un guscio. Ce ne sono alcuni che hanno bisogno del calore forte del fuoco per rompersi e permettere al seme che sta all’interno di germogliare . . . altri devono passare attraverso l’apparato digestivo di qualche animale che li “abbandona” lontano da dove li ha “raccolti” e cominciano a germogliare!
        Perciò, sì, se schiacci con un martello o un sasso quello che trovi in mezzo all’albicocca, lo fai seccare avrai un “frutto” simile alla mandorla.
        Ti rimetto il link dell’ufficio antiveleni della Svizzera dove parla della tossicità della “mandorla” dell’albicocca . . . 😉
        http://toxinfo.ch/rischio-di-intossicazione-da-noccioli-di-albicocca

        Nota etno-dilettal-antropologica . . . l’albicocca a Bergamo la chiamano “Bignaga” quaggiù, ai confini con l’Abruzzo “percoca” 🙂
        Con i gusci, integri, si costruisce uno zuffolo/fischietto

        Ciao, Fior

        Ps. Ricetta (antica) del croccante con i noccioli di albicocca!
        http://www.marieclaire.it/Cucina/ricette/ricetta-croccante-noccioli-albicocca

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  4. marinz

    I noccioli di albicocca contengo un seme che è simile alla mandorla… avevo letto tempo fa, e ho trovato il link che ti incollo in fondo al commento, che i semi sono un antitumorale naturale e se ne possono mangiare addirittura 7 al giorno mentre per essere avvelenato dal cianuro devi mangiarne una quantità che va dagli 80 ai 560!?!?!??!

    Le mandorle “amare” che immagino a questo punto sono parenti di albicocca e delle nespole posso causare avvelenamento da cianuro ma se prese in una certa quantità.

    Vedo che c’è un “ferrarese” (come mia moglie che ti segue e commenta in questo post)… che si dice in modo simile nel mantovano: Armìla / Mugnàga.

    Questo il link: https://www.greenme.it/mangiare/alimentazione-a-salute/11094-semi-di-albicocca-proprieta-antitumore-usi

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    1. Lucia

      Io non avevo la più pallida idea che dentro ai noccioli di albicocca ci fosse un seme (??) né tantomeno che questo seme fosse usato come antitumorale (?!?), ma nell’articolo che linkavo in risposta ad Agapetos leggevo (senza saperne niente, eh), che questa abitudine di mangiare semi di albicocca in chiave antitumorale può procurare più danni che benefici:

      L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) […] ha stabilito che per un adulto bastano 3 semi di albicocca di piccole di dimensioni o mezzo seme grande per superare i limiti di sicurezza. Per bambini molto piccoli basta un seme di piccole dimensioni. […] Sulla base delle ricerche Efsa ha potuto stabilire quanti semi si possono consumare in sicurezza: per gli adulti sono 370 mg, pari a 3 piccoli semi, mentre per i bambini piccoli si scende a 60 mg, cioè mezzo seme piccolo. […] Non è facile stimare l’entità del consumo di semi di albicocca in Europa. I semi sono commercializzati prevalentemente via internet da rivenditori situati in paesi terzi e venduti come rimedio antitumorale. Alcuni siti raccomandano il consumo quotidiano di 10 semi alle persone sane e di addirittura 60 semi ai malati di cancro. In questi casi, la dose acuta di riferimento viene abbondantemente superata, correndo il rischio di avvelenamento. I sintomi da avvelenamento da cianuro comprendono nausea, febbre, mal di testa, insonnia, sete, letargia, nervosismo, dolori articolari e muscolari e ipotensione.

      Quindi, da quanto capisco: non è che se un bambino mangia mezzo seme di albicocca muore sul colpo per avvelenamento da cianuro, ma oltre la somma indicata dall’Efsa possono cominciare ad esserci i primi disturbi. Intossicazione, più che avvelenamento, direi… però comunque uno stato non perfettamente salutare.

      😐

      Detto ciò, ribadisco, io cado dalle nuvole: non avevo nemmeno idea che dentro al nocciolo di albicocca ci fossero semi gradevoli al palato, figuriamoci tutto il resto… 😐

      Certo che se davvero i semi di albicocca sono tossici come dice l’articolo che ho trovato io, e se davvero esistono siti che dicono “via libera al consumo fino a 500 semi al giorno”, davvero siamo di fronte a uno dei tanti esempi di come Internet può essere annoso. Mettiamo anche caso che la verità stia nel mezzo e che il “mio” sito esageri per troppa cautela: comunque non è bello che certe informazioni circolino online così all’acqua di rose… stiamo pur sempre parlando di sostanze che sprigionano cianuro nel corpo umano, cavolo…!

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      1. marinz

        infatti… il problema di internet è proprio questo: la diffusione di informazioni su basi “scientifiche” senza che poi ci sia un riscontro effettivo… nel mio link si parla di popolazioni del Pakistan che hanno un altro stile di vita e magari hanno piantagioni differenti da quelle che coltivate in Europa…

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  5. Blumudus

    Io ho avuto la bella pensata di portare una sera ad amici uno dei dolci prenatalizi di quella catena di supermercati soprannominata Piccol. Ovviamente non è piaciuto, cosa che mi è sembrata stranissima.
    Sono quadrotti di cioccolato con un ripieno a strati, uno strato biancastro in particolare è a base di armelline di albicocca.
    Ho visto a volte l’armellina dal nocciolo spaccato ma non ho mai pensato a mangiarmela, non fidandomi.

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  6. Blumudus

    Però ‘sta cosa delle prugne e delle susine non mi quadra.
    A quanto mi consta, i due termini identificano vagamente un ampio spettro di frutti tutti simili tra loro. E ognuno decide come nominarli. Di solito per esperienza mia si usa dire semplicemente “prugne” dimenticandosi dell’altro termine.
    Vedo che altri arbitrariamente separano, magari in base alla forma o al periodo di maturazione, usando i due termini per identificare due categorie.
    Ho visto che c’è chi afferma che sono tutte susine da crude, e diventano prugne da cotte. Mi oppongo risolutamente.

    I ramassin sono solo una varietà di prugna 😛
    Tra l’altro somigliano ad altri che si mangiano in Liguria.
    Ma davvero non si può dire che le altre prugne/susine siano aspre!
    Le mie preferite sono le Regine, non so se siano Regina Claudia o altro nome: tonde, molto grandi, succosissime, buccia vulnerabile, molto dolci, diuretiche.

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    1. Lucia

      Io leggo (ad esempio qui) che

      I termini “susina” e “prugna” vengono spesso usati come sinonimi. In realtà si tratta di due diverse specie: Prunus domestica e Prunus salicina, comunemente indicati come susini europei e susini cino-giapponesi. Le due specie presentano caratteri differenti di cui tener conto nella scelta dell’una o dell’altra.
      La Prugna è il frutto di un albero (Prunus domestica) originario dell’Asia, in particolare della zona del Caucaso, ed è coltivata in Europa fin dall’anno 1000.
      La Susina è un frutto dal sapore lievemente acidulo (per la presenza di acido malico) con un discreto potere lassativo, grazie alla presenza di una sostanza, la difenil-isatina, che svolge una funzione stimolante a livello intestinale.
      Prugne e susine sono, quindi, due cose ben distinte, anche se a livello popolare sono spesso usate come sinonimi. Si cade spesso nell’errore di indicare frutto fresco come susino e quello essiccato comunque come prugna secca (in realta’ secche vengono fatte le prugne e mai le susine perche’ piu’ acquose e meno saporite).

      Per me (ma questo lo dico senza alcuna auctoritas, cioè, semplicemente riferendomi a come utilizzo io i due termini) ci sono tante varietà di prugna ma una sola di susina (o quantomeno: io al supermercato potrei dire “toh guarda che belle prugne” davanti a un certo numero di frutti, ma “toh guarda che belle susine” davanti a un unico tipo di frutta).
      Poi ci sono i ramassin che non so biologicamente se siano prugne o susine, ma che io mentalmente considero più simili alle susine che non alle prugne.
      Solo che, a differenza delle susine (che secondo me hanno un sapore leggerissimamente acidulo) sono dolci quanto e ancor più delle prugne.

      😐

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    2. senm_webmrs

      A proposito della Regina Claudia qualche interessante contributo francofono (https://fr.wikipedia.org/wiki/Reine-claude).

      La reine-claude est un sous-groupe de variétés de prunes issu du Prunus domestica n-subsp. italica (Borkh.) Hegi., le Prunier d’Italie ou Prunier reine-claude.
      La Reine-claude a été « créée » en France à la suite de la découverte d’une prune verte sur un arbre importé d’Asie. Le prunier fut apporté à François Ier par l’ambassadeur du royaume de France auprès de la Sublime porte, de la part de Soliman le Magnifique. Ces prunes ont été nommées ainsi en l’honneur de Claude de France (1499-1524), femme de François Ier et surnommée La bonne reine. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/50/Claude_de_France_%281499-1524%29.jpg

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