Se fossi un sacerdote…

La bravissima Emilia del blog Testimoniando mi ha sorpresa, qualche giorno fa, con un post decisamente fuori dal comune. In occasione delle ordinazioni sacerdotali che stavano per tenersi nella sua diocesi, Emilia aveva fantasticato su che tipo di sacerdote sarebbe stata lei… “in un’altra vita”, come si suol dire.
L’ho trovato uno spunto di riflessione curioso e interessantissimo: immaginarmi nei panni di un sacerdote è stato un esercizio non da poco (sostanzialmente conclusosi con la consapevolezza che non sarei fatta per il sacerdozio). E insomma, il giochino mi è piaciuto così tanto che, rubando l’idea a Emilia, ho deciso di… presentarvi il don Lucio che (non) avrei potuto essere.

Chissà: per i laici che mi leggono potrebbe, forse, essere divertente mettersi alla prova in questo gioco di immaginazione.
E quanto ai sacerdoti che mi leggono… chissà che la lettura di questo tipo di post non sia interessante pure per loro!

***

Se fossi un sacerdote…

Sarei un sacerdote diocesano, nonostante la fascinazione che eserciterebbero su di me gli ordini religiosi (tipo Gesuiti, Salesiani, Rosminiani, per capirci). Sarei “tentata” fortemente, non tanto dall’opportunità di fare vita comunitaria, quanto più dalla possibilità di dare alla mia vita un indirizzo ben preciso, abbracciando un carisma specifico e magari molto settoriale.
Sarei fortemente tentata, dicevo, ma probabilmente desisterei, perché la vita comunitaria può essere bellissima ma anche no, e credo che sperimentare la seconda eventualità potrebbe realmente farmi morire dentro.
Un sacerdote “normale” che vive da solo nella sua canonica potrà avere un mucchio di problemi, ma non quello di trovarsi bloccato in una comunità in cui non riesce proprio a “ingranare” con confratelli e superiori. Il che, secondo me, è un po’ come ritrovarsi in un matrimonio infelice in cui non vai più d’accordo con tuo marito. Sostanzialmente, un incubo.

Sognerei neanche tanto segretamente di essere assegnato a un ufficio di curia, ma non per far carriera! Semplicemente, perché credo che lì potrei mettere a frutto i miei talenti. Se fossi un sacerdote, penso che potrei fare discretamente bene prestando servizio presso l’archivio diocesano, occupandomi del settore “cultura”, seguendo le postulazioni per le cause dei santi.
(In pratica, se fossi un sacerdote, sognerei di fare quello che attualmente faccio come laica coniugata. Aehm. Una vocazione sacerdotale molto forte e motivata ‘nsomma…)

In ogni omelia, inserirei un aneddoto ad impatto attorno a cui sviluppare il discorso, perché vedo di solito che funziona. Un fatterello tratto da una agiografia, da un libro di Storia, o anche solo dall’attualità (meglio ancora se buffo e/o comunque capace di catturare l’attenzione), potrebbe essere un buon incipit per ogni mia omelia (che in ogni caso ruoterebbe attorno alle letture del giorno, ci mancherebbe).

Approfitterei delle omelie anche per spiegare il significato di certi momenti liturgici – non per altro, ma perché mi sembra che di liturgia si parli molto poco. E così, un giorno vai a Messa e ti trovi il prete avvolto in una casula rosa che sembra uscita dal guardaroba di Barbie, e nessuno ti spiega il significato di questo gesto, e tu stai lì a pensare “…mbeh?”.
Credo che nel corso dell’anno non mancherebbero le occasioni per un breve excursus sul significato di questo o quel gesto liturgico (lo scambio della pace, la distribuzione dei rami d’ulivo, il segno della croce con l’acqua santa, il suono delle campane…). Potrebbe pure essere interessante, per i fedeli!

A proposito: se non si fosse ancora intuito, seguirei scrupolosamente tutte le tradizioni del tempo che fu, anche quelle che stanno cadendo in disuso. Indossare il rosaceo e il nero sarebbe un must nei momenti opportuni; i miei parrocchiani riscoprirebbero il significato di “rogazioni”. Utilizzerei il benedizionale con frequenza ed abbondanza; riproporrei quelle devozioni tipo la benedizione della gola a San Biagio e la benedizione degli occhi a Santa Lucia.
Le proporrei anche ai bambini del catechismo, che secondo me hanno l’età giusta per entusiasmarsi all’idea di far benedire il barboncino nella festa di Sant’Antonio (previa adeguata preparazione da parte del parroco, perché la devozione non sfoci in folklore).

Proverei a proporre ai miei parrocchiani la celebrazione di una Messa in forma straordinaria, con adeguato battage pubblicitario per incuriosire la massa e con adeguata preparazione di chi si è lasciato incuriosire. Probabilmente darei appuntamento agli interessati una mezz’ora prima della Messa per spiegare, col piglio di Alberto Angela, what’s going on.

Siccome mi piace il famolo strano, proverei a cambiare il consueto orario delle Messe.
In questo senso: non mi capacito ancora della situazione che si verificava nei quartieri del centro storico di Pavia, dove c’era una chiesa praticamente ogni due isolati, e ognuna di quelle chiese diceva Messa alla stessa ora. La Messa vespertina poteva iniziare alle 17:30 piuttosto che alle 18, la Messa dei bambini poteva essere alle 11 piuttosto che alle 10:30… ma più o meno, lì eravamo.
Ma io dico: differenzia un po’ l’offerta…!
Se la situazione me lo permettesse, io, da parroco, proverei ad inserire Messe ad orari decisamente inusuali, tipo alle 16:30 (guarda un po’, io impazzirei di gioia per una Messa alle 16:30).
O alle 21, per chi ahilui lavora e non ha avuto tempo prima.
O alle 14 della domenica, per chi ha fatto le ore piccole il sabato e l’indomani vuol poltrire a letto.
Inoltre, stabilirei una serata settimanale in cui confesso, e mi metterei a disposizione – poniamo – dalle 17:30 alle 21: sono convinta che molti studenti e lavoratori ringrazierebbero. Se poi non viene nessuno, hai avuto l’occasione per leggerti un buon libro.

In confessione, farei il sacerdote e non lo psicoterapeuta. Se mi sentissi chiamato a dare consigli esistenziali, mi procurerei una seria formazione psicologica di base.
Credo che poche esperienze possano essere più irritanti che il ritrovarsi faccia a faccia con un sacerdote il quale, ricevuta la tua confessione, comincia a sparare sentenze senza conoscere te o la tua situazione. Dietro a un “odio mio marito” magari c’è una situazione familiare disastrosa che tu non immagini nemmeno, e che in alcun modo può essere sanata da un “eh ma prova a dire grazie prego e scusa e vedrai che tutto si sistemerà”.
Se mi sentissi chiamato a fornire circostanziati consigli operativi a chi viene a confessarsi (il che può pure essere ‘na cosa utile, eh, chi dice di no?), avrei cura di procurarmi una seria formazione di base, consapevole che l’approccio sbagliato può causare seri danni e che, in quel caso, il peso ricadrebbe sulla mia coscienza.

Cercherei di rendere la mia parrocchia punto di aggregazione per il quartiere, tenendo conto delle esigenze specifiche della zona ma con un punto fermo che cercherei di attuare ad ogni costo, e cioè rendere la mia chiesa anche (o soprattutto?) un piccolo polo culturale.
Allestirei una bibliotechina e un servizio di bookcrossing; organizzerei doposcuola e corsi di [cucina / disegno / vattelapesca] per i bambini dell’oratorio; scriverei libretti di storia locale che metterei in vendita a scopi benefici; per gli adulti, organizzerei conferenze su temi di interesse.
Globalmente, io cercherei di attirare i “non molto praticanti” con una parrocchia-centro-culturale, più che con una parrocchia-parco-divertimenti.
Ma non per altro: è che con l’adolescente che entra in chiesa solo per andare gratis alla cristoteca tunze tunze, non sono perfettamente in grado di poterci combinar qualcosa. Conoscendo i miei limiti e le mie inclinazioni, cercherei anzi tutto di avviare un dialogo con quei “lontani” con cui potrei dare il meglio – cioè quelli che magari entrano in canonica una volta all’anno, ma lo fanno per sentire la conferenza di Storia dell’Arte.
Con quelli, almeno, potrei avere un reale punto di contatto…

Curerei con molta attenzione il foglietto della domenica. Penso che possa essere uno strumento utile, se redatto bene: oltre ai normali avvisi per la settimana, inserirei ogni volta un brano da meditare, scritto da me o ricavato da mie letture.
A proposito: gli avvisi per la settimana entrante li darei all’inizio dell’omelia, non dopo la comunione. Non mi piace quando la mia preghiera viene interrotta ex abrupto dal sacerdote che annuncia l’avvio del corso di ginnastica dolce per il gruppo terza età.

Farei valere il concetto “mio il castello, mie le regole”.
Se ti sposi nella mia parrocchia, non puoi trasformare la Messa nuziale in una festa mondana degna di Trimalcione. Se passi i tuoi pomeriggi nel mio oratorio, non puoi indulgere in discorsi e comportamenti contrarii al decoro e alla carità cristiana.
Eccetera eccetera eccetera.
Mi pare molto semplice.

Con garbo e delicatezza, parlerei apertamente di regole di modestia nel vestire. Ad esempio, appendendo alle porte della chiesa il classico cartellino con le indicazioni del dress code richiesto, e mettendo a disposizione delle fedeli un cestino con foulard da usarsi alla bisogna. (Sì, il continuo acquisto di foulard per sostituire quelli rubati metterebbe in pericolo la tenuta economica della parrocchia, lo so).

Dress code chiesa

Il catechismo avrebbe la priorità assoluta e dovrebbe essere gestito nel modo più professionale possibile, il che vuol dire che la collaborazione della volenterosa sciura Adelina è senz’altro molto gradita, ma non la manderei allo sbaraglio senza essermi prima sincerato sulle sue qualità didattiche (e dottrinali).
Ove possibile, vorrei gestire il catechismo in prima persona; ove non possibile, cercherei di essere comunque molto presente e di avere sempre il polso della situazione.

I corsi di formazione al matrimonio sarebbero in gran parte personalizzati, ovvero: fatto salvo alcuni momenti affidati a specialisti e presentati in contemporanea a tutta la “classe” (es. la canonica lezioncina sui metodi naturali), fisserei incontri privati con ogni coppia di fidanzati, per approntare assieme a loro un percorso ad hoc. Tipicamente, suggerirei la lettura di alcuni testi a partire dai quali avviare una discussione.
Sarebbe un win-win:
– se ci tieni a prepararti adeguatamente al matrimonio, una catechesi su misura è quanto di meglio esista al mondo (lo so, perché ho avuto la fortuna di provarla);
– se per te il corso prematrimoniale è solo un proforma in vista del Big Day con location artistica, quando ti viene chiesto un impegno simile, inorridisci e vai altrove.
Il che per me sarebbe già un grande successo, perché odierei l’idea di dover celebrare matrimoni che, con ogni probabilità, sono già nulli di partenza. Ovverosia sono delle ridicole farse di fronte a Dio, allestite in luogo sacro per il solo gusto di avere un bell’album di nozze.

Indosserei sempre l’abito talare (o quantomeno un clergyman).
Non capisco per quale ragione tanti consacrati amino girare in borghese (capisco che la talare sia oggettivamente scomoda, ma il clergyman?). Se è una scelta deliberata allo scopo di “mimetizzarsi meglio”, mi stona tanto quanto mi stonerebbe scoprire che mio marito ha deciso di non indossare più la fede nuziale, “ma solo per non inibire le ragazze che incontro al bar, amò, ché se scoprono che sono sposato hanno tutt’un altro atteggiamento…”

Presterei particolare attenzione anche ai miei abiti liturgici, selezionando capi di buona fattura e di buon gusto.

Paramenti Pentecoste

Potrei dover ipotecare i miei beni personali pur di indulgere alla shopping-mania nell’e-commerce della Slabbink.

Il clergyman imparerei a stirarmelo, e in generale tenterei di avere la vita il più normale possibile. Perché non siamo più negli anni ’50, e un prete che non è capace di vivere senza l’aiuto di una perpetua è decisamente fuori luogo e fuori tempo massimo. Con tutta l’indulgenza per chi è entrato in seminario tanti anni fa, vedere un giovane consacrato che, oggi, non ha idea di quanto costi un litro di latte, non è capace a stirarsi una camicia, non ha mai sentito parlare di “tariffa bioraria” e non sarebbe in grado di cambiare il filtro a un aspirapolvere… beh
Se certe abilità base finalizzate alla sopravvivenza quotidiana oggigiorno si pretendono (giustamente) da tutti i mariti, non vedo perché non le potrebbero pretendere anche i fedeli da parte del loro “padre” spirituale.

***

‘nsomma, credo che come sacerdote sarei un impiastro e che riuscirei a farmi odiare dal vescovo nell’arco di pochi mesi. Ribadisco la mia convinzione per cui darei il meglio richiuso in un ufficio di curia: come archivista, agiografo o storico della Chiesa, che potrei dare un buon contributo alla causa!
Anzi: a ben vedere, un ancor più efficace contributo alla causa lo do se smetto di fantasticare sul nulla e torno effettivamente sul mio posto di lavoro, a far l’archivista, l’agiografa e la storica della Chiesa.

Ma non prima di aver chiesto: e voi?
Vi siete mai immaginati nei panni di un sacerdote o un frate?
E se sì, che tipo di religioso pensate che potreste essere?

12 risposte a "Se fossi un sacerdote…"

  1. Laura Zaccaro

    Saresti per almeno metà delle cose un sacerdote della mia parrocchia. 😀 Su altre no, ma non dubito del fatto che si possa chiedere, sono persone alla mano. 😀

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    1. Lucia

      Oh, caro sacerdote, mi sta già simpatico! 😀
      Quanti anni ha per curiosità?
      Non è una curiosità fine a se stessa: scrivendo, mi sono chiesta quanti di questi buoni propositi derivino da fattori anagrafici (essere cresciuti in un certo modo, in un certo mondo, circondati da certi stimoli), e quanti invece siano “universali”.
      Cioè, rileggendo questo identikit secondo me si vede lontano un chilometro che l’autore è un giovane attorno alla trentina: un religioso di mezza età, secondo me, a certe questioni avrebbe già un approccio diverso… Chissà se è una impressione mia o no!

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      1. Laura Zaccaro

        Tieni conto del fatto che io frequento due parrocchie. Nel senso. Vado a Messa e partecipo alle diverse attività della parrocchia dove i miei genitori si sono sposati, ma vado anche a Messa e mi confesso nella mia parrocchia di appartenenza geografica (hanno spostato il mio sacerdote di riferimento per la confessione, e quindi per questo “servizio” mi sono spostata anche io). In totale frequento assiduamente, quindi, quattro sacerdoti. Lungi da me dare giudizi di valore ai vari sacerdoti, ma, in linea generale: paradossalmente i due più giovani (leggermente sotto i trenta e leggermente sopra) sono i più “tradizionalisti”, ma diciamo che la 3 e la 4 (aneddoti e spiegazione dei momenti liturgici, li accomuna un po’ tutti e 4. La 5, forse perché siamo in un piccolo paese, è abbastanza presente. Ricordo di certo la benedizione della gola di San Biagio (l’altra sinceramente no, ma forse non c’ero io) in una delle due parrocchie (sinceramente non ricordo se l’hanno fatta anche nell’altra… ahah!). In confessione sono tutti abbastanza preparati anche sulla questione psicologica (in realtà ne ho provati soltanto tre, ma le mie confessioni, essendo studentessa di psicologia, sono particolarmente difficili, non so come non mi mandino al diavolo… ahah), uno addirittura segue seminari di “Pastoral Counseling”, quindi, direi che siamo a posto. Per quanto riguarda la parrocchia come punto di aggregazione del quartiere, abbiamo fatto bingo: tra presentazioni di libri, concerti, mostre e compagnia cantante, certe volte non mi ricordo neanche a quanti eventi DOVREI partecipare. “Mio castello, mie le regole” vale in una parrocchia più che in un’altra (ma devo dire che gli sposi non tutti sono particolarmente entusiasti (non che mi aspettassi diversamente). Quasi tutti usano talare o clergyman, li vedo quasi sempre vestiti così, anche se capita raramente (specie in estate) vederli in abiti “borghesi”. Certo, in un piccolo paese non cambia poi molto… nel senso, SAI che quella persona è un sacerdote, non hai bisogno del clergyman, tuttavia lo mettono quasi sempre.
        Per il resto, non so esattamente come si svolgano i corsi prematrimoniali o le pulizie della canonica, tuttavia so che quest’anno, per esempio, non tutte le coppie hanno “superato” il corso, anzi, alcuni hanno deciso di aspettare perché non si sentivano pronti per il matrimonio, quindi, anche se magari non è proprio “a tu per tu”, non è lassista. Fatto sta che io mi trovo piuttosto bene, devo ammetterlo. Non mi posso proprio lamentare. Cambierei pochissime cose, e solo perché il Signore – EVIDENTEMENTE – era ubriaco quando ha scelto l’epoca in cui farmi nascere. 😛 (scherzo!)

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  2. Emilia

    Anzitutto, grazie per aver rilanciato la mia idea. Non immaginavo che avrebbe avuto un tale successo! 😮
    Quanto alla tua lista, mi hai fatto ricordare un altro aspetto che avevo dato per scontato: anch’io sarei un sacerdote diocesano, per lo stesso motivo che hai esposto tu.
    Quanto al lavorare in Curia, possibilmente al Servizio per le Cause dei Santi, mi piacerebbe anche nella vita reale. Di solito però chi lavora lì passa per un arido burocrate, che ha ben poco il polso della situazione delle reali comunità, o di essere sprecato “(Potrebbe fare tanto bene in parrocchia….”). A me, in realtà, non è quasi mai accaduto, nei miei giri per i vari uffici, d’incontrare sacerdoti così.
    Anche a me, poi, piacerebbe più rendere la mia parrocchia un centro culturale, più che un ‘”parco giochi”. Inviterei anche “don Lucio” per qualche conferenza! 😆
    Infine, penso che anch’io domanderei il dono di commuovermi sempre alla Consacrazione. Uno dei sacerdoti della mia parrocchia, quando pronuncia le parole in quel momento, mi fa mettere i brividi per il tono con cui lo fa. Figuriamoci come si deve sentire dentro!

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  3. Ilaria

    Io adorerei avere un “don Lucio” nella mia città e frequenterei la sua parrocchia! So che le sue omelie (che da come le hai descritte immagino molto somiglianti ai post di una certa blogger che leggo, tale Lucia) sarebbero interessanti, divertenti e uscita dalla chiesa avrei in testa mille curiosità da approfondire anziché un piatto di tortellini da pregustare. Appoggio l’idea della parrocchia come luogo (anche) di cultura. Concordo sullo stirarsi le camicie e sul filtro dell’aspirapolvere… che lavino i piatti e imparino a tenere bene se stessi e la casa, su!
    Riguardo a me… premesso che anch’io diverse volte ho fatto questo “esercizio mentale” di immaginare che sacerdote sarei potuta essere (concludendo che anche se fossi nata uomo non sarei stata granché portata per la vita sacerdotale), penso che “don Ilario” sarebbe sicuramente un sacerdote non diocesano perché dei preti (e delle suore) ho sempre “invidiato” la vita di comunità e penso di esserci tagliata; credo sarei un salesiano (d’altra parte sono convinta che la mia scelta di essere una pedagogista sia stata enormemente influenzata dall’appartenere fin dalla nascita a una parrocchia salesiana) anche se sarei stato profondamente tentato dall’entrare invece nell’ordine dei gesuiti, e in effetti non è detto che alla fine non avrei ceduto; credo che presterei particolare attenzione alle omelie e alla confessione: le prime, cercherei di strutturarle in modo che non siano pesanti o noiose ma neanche delle barzellette compiacenti, vorrei che lasciassero qualche stimolo, qualche provocazione sensata tratta dalle letture e qualche significato, inoltre qualche riferimento storico e culturale ci sarebbe sempre; la confessione, cercherei davvero di non “buttarla via”. Una delle mie più cocenti delusioni riguarda certe mie confessioni in cui mi è davvero costato ammettere il mio peccato, trovandolo anche oggettivamente, e “catechisticamente”, grave e dall’altra parte ho trovato il prete che minimizzava, mi giustificava non richiesto… con le migliori intenzioni, certo (quelle di non “spaventarmi”, di non allontanarmi, di essere accogliente) ma che hanno ottenuto solo il risultato di lasciarmi confusa e non a posto con la coscienza. Onde evitare polemiche preciso che queste confessioni all’acqua di rose sono avvenute ben prima di papa Francesco.
    Farei sicuramente scappare la maggior parte delle coppie di fidanzati. Ma meglio così rispetto all’accettare tutti e poi condurre un’intera cerimonia di nozze (omelia compresa) in stile passivo-aggressivo, facendo costantemente dell’ironia verso lo sposo ateo-che si era sposato in chiesa per fare piacere alla mamma e alla suocera e verso il fatto che tra gli astanti vi fosse il piccolo figlio della coppia; una situazione davvero penosa alla quale ho assistito recentemente.
    Come sacerdote penso che il mio carisma sarebbe principalmente espresso nell’accoglienza (anche delle pecorelle più smarrite), nell’ascolto, nella gioia dello stare insieme e del fare cose insieme, nell’amore verso i giovani e verso le loro faniglie… che poi sono già le cose che pratico nel mio lavoro di pedagogista, a ben vedere… ^_^

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  4. ago86

    Se fossi sacerdote, non potrei essere un diocesano,in quanto per via di come sono fatto non penso che il mio posto sia la parrocchia, ma il convento. Il carisma che sembra fatto apposta per me è quello di san Domenico, perché una delle poche cose che sono fare è lo studio teoretico. Per quanto riguarda le omelie, le incentrerei sulle letture bibliche – del resto l’omelia è nata appunto per quel fine, non per raccontare barzellette. “Condire” l’omelia con aneddoti è un’ottima idea, penso potrei svilupparla, magari chiedendo consulenze storiche a don Lucio 😉

    Quanto ai corsi per fidanzati, sono sulla stessa linea: se volete sposarvi ma non vi importa nulla del sacramento e della vita cristiana, sposatevi altrove. Anche calibrare i corsi sulle necessità dei singoli è necessario: ottima idea.

    Per ultimo, l’abito lo porterei il più possibile, anche perché è molto bello ed elegante.

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  6. Elisabetta

    Leggo ora questo topic. Io credo sarei un gesuita. A 12 anni feci un viaggio a Roma coi miei. Ne tornai con l’amore per l ‘arte (true love) e rivalutai la figura del prete (ebbene sì a 12 anni avevo già avuto delusioni clericali) dopo la visita alla bellissima chiesa di S. Ignazio.
    Anni dopo mi ho ricevuto le stesso consiglio in confessione da due preti gesuti che non si conoscevano, in due città diverse, in due momenti diversi parlando di cue cose diverse. Mi hanno sciolto un nodo nel cuore…..

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    1. Elisabetta

      Ah ! Scordavo… mio padre da piccola mi minacciava di mandarmi in collegio dai gesuiti…lo diceva scherzando.
      I gesuiti non ci sono nella mi città, ma mi sento vicina ai bendettini e ai domenicani (credo sarei diventata domenicano per la mia naturale inclinazione allo studio, ma sarebbe stato meglio essere gesuita).
      Quindi alla fine sarei caduta sotto qualche ordine….
      Una cosa che avrei fatto è sicuramente ospitare i poveri in canonica e dar loro da mangiare. Ho visto suore e preti privarsi di cibo e regali che gli erano stati regalati dopo aver fatto voto di povertà. Il mio don ospitava bisognosi in canonica. Da prete non potrei mai mandare via qualcuno che mi chiede un posto dove dormire avendo a disposizione un intero convento!

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