Marguerite de La Roque, la Robinson Crusoe in gonnella

Il 16 aprile 1542, la nobildonna Marguerite de La Roque salpava da La Rochelle a bordo della Valentine. Direzione: le nascenti colonie della Nuova Francia.

Cosa diamine ci facesse un’aristocratica giovane e nubile a bordo di un veliero destinato a un viaggio transoceanico: questa, è cosa poco chiara. Di norma, le donne nobili non si trasferivano da sole dall’altro capo del mondo. Certo, Marguerite era in compagnia di Jean-François de la Rocque Signore di Roberval, un uomo di qualche anno più grande di lei, che le fonti definiscono alternativamente come uno zio o un cugino di incerto grado: ‘nsomma, erano parenti. Per comodità, d’ora in poi, io deciderò arbitrariamente di definirli “cugini”.
Ma (sebbene Roberval esercitasse su Marguerite la custodia legale, sostituendosi così ai suoi defunti genitori) diciamo che ci sarebbero stati svariati molti modi più confacenti per custodire bene una ragazza altolocata. Tipo, che ne so, sistemarla in un buon matrimonio e farle fare la bella vita a Parigi.
E invece no: in quell’aprile 1542, mentre la Valentine mollava gli ormeggi, Marguerite era appoggiata al parapetto della nave al fianco di Roberval; impaziente forse, o forse preoccupata, per il futuro misterioso e incerto che l’avrebbe attesa in quella terra d’oltremare.

La nostra amica era nata attorno al 1515, figlia unica (o unica figlia sopravvissuta) di due genitori anziani che erano morti quando lei non era ancora ventenne, lasciandola erede di una notevole fortuna. Oltre a vasti appezzamenti terrieri che possedeva a titolo personale nella Linguadoca, Marguerite donna governava sul territorio di Pontpont, su cui esercitava una co-signoria congiuntamente con suo cugino Roberval.

Quanto a lui, era nato attorno al 1500 nella città di Carcassonne, di cui suo padre era governatore. Era uno di quegli uomini che definiremmo “arrampicatore sociale”: uno di quelli che sono sempre molto attenti a frequentare i giri giusti e a tessere le giuste frequentazioni, con l’obiettivo finale di avere un guadagno dalle loro amicizie.
Ecco: nel disperato tentativo di amicarsi il re di Francia, Roberval aveva speso tutto se stesso, arrivando addirittura al punto di indebitarsi e di dover vendere alcuni suoi possedimenti pur di mantenere uno stile di vita consono al giro in cui cercava di entrare. Correva voce che a un certo punto lui, esperto navigatore, si fosse addirittura dato alla pirateria (!), forte della speciale protezione che gli aveva sempre concesso il suo amico, il re.
Quella stessa protezione che, per esempio, gli aveva permesso di superare indenne le guerre di religione nonostante la sua fede ugonotta.
Quella stessa protezione per cui, in quel 16 aprile 1542, Roberval lasciava la Francia con l’incarico mica da poco di governarne le nascenti colonie in Canada.

Il successo di una vita, il coronamento di tanti anni di fatiche, il trampolino di lancio per chissà cos’altro. Cosa mai avrebbe potuto rovinare i suoi piani, a questo punto?

Eh.
Un marinaio nel fiore degli anni con la pelle ambrata dal dardeggiar del sole che saliva e scendeva dal sartiame in un guizzo di muscoli ben torniti, per esempio.
Quel maledetto marinaio per cui Marguerite, nel corso della navigazione, aveva finito pian piano col perdere la testa. E purtroppo non solo quella – ché anche la verginità della ragazza se n’era andata, alla fine lei aveva dovuto ammetterlo.

Quando Roberval scoprì la tresca tra i due, reagì con una rabbia furiosa e inconsulta. Non volle nemmeno sentire spiegazioni e non diede ai due amanti alcuna possibilità di redenzione. Non appena la nave scorse “TEERRA!”, il nobiluomo ordinò, forte della sua autorità di luogotenente, che facesse rotta verso il Golfo di San Lorenzo. E lì costrinse il marinaio, Marguerite, e la sua dama di compagnia Damienne (che, poveretta, non c’entrava niente!) a calarsi assieme a lui su una scialuppa.
Con l’irremovibile fermezza di un cuore duro ad ogni supplica, remò fino ad una minuscola isoletta pittorescamente segnalata sulle carte nautiche col suggestivo nome di “Isola dei Demoni”. E, dopo essersi assicurato che il territorio fosse sufficientemente inospitale, ripartì, abbandonando lì i tre malcapitati.
Anzi: i quattro malcapitati – ché Marguerite era rimasta incinta, nel frattempo.

Ai “naufraghi”, Roberval lasciò in dotazione lo stretto indispensabile per una lenta agonia: qualche provvista alimentare, un moschetto, un set di coltelli, della polvere da sparo, una Bibbia. Tutto l’occorrente per poter sopravvivere per qualche tempo, insomma, condannando i disperati a un lento stillicidio di stenti, rimorsi e inevitabile tensione.

Il primo a morire fu lui, il marinaio di cui neppure conosciamo il nome. Non sappiamo come: a me piace immaginarlo caduto in un incidente di caccia, o magari morto nel tentativo di difendere le due donne da una belva feroce.
Poi, morì la dama di compagnia. Di malattia, a quanto pare. Marguerite si trovò da sola, con una gravidanza a termine, abbandonata su un’isola deserta, schiacciata dai sensi di colpa per aver condannato a quella fine ignominiosa se stessa, il figlio che portava in grembo, e due delle persone che più aveva amato al mondo. E tutto per colpa sua, tutto a causa del suo peccato.

Ché poi, qui ci sarebbe da aprire una parentesi.
Posto che l’episodio in questione è successo davvero (i cronisti potranno forse averci ricamato un po’ sopra enfatizzando qualche dettaglio della permanenza dei tre sull’isola, ma è storicamente acclarato che Roberval abbia realmente abbandonato sua cugina nel bel mezzo del nulla), gli storici giustamente si interrogano sull’annosa questione: ma cosa gli diceva, il cervello, a ‘sto pazzo?
Chi è che compie un gesto così efferato e truce?

Alcuni puntano il dito sulla fede religiosa del nobiluomo: ché i calvinisti non ci sono mai andati molto per il sottile, su questioni di morale e di pubblici peccatori.
Ok, d’accordo, ma manco si può dire che fosse abitudine comune tra i calvinisti buttare  letteralmente a mare tutti quelli che venivano scoperti ad allungare le mani prima del matrimonio. E che è?

Alcuni ipotizzano dunque che lo sdegno morale di cui Roberval si era ammantato prima di procedere verso l’Estremo Gesto fosse in realtà null’altro che una nobile scusa dietro cui nascondere la sua vera motivazione: avidità. Morta Marguerite, lui si sarebbe trovato a ereditare tutti i suoi beni, abbeverandosi così a una nuova linfa di cui il suo conto in banca aveva disperatamente bisogno.

Oppure (terza ipotesi, che sarà particolarmente gradita alle signore amanti delle soap) è possibile, come suggeriscono alcuni storici, che Roberval abbia agito così perché… punto sul vivo. Non era affatto inconsueto, all’epoca, sposarsi tra cugini di incerto grado, e un buon matrimonio combinato tra i due signori di Pontpont sarebbe indubbiamente stato manna dal cielo, dal punto amministrativo e finanziario. Magari Roberval e Marguerite erano informalmente fidanzati; magari noi non lo sappiamo, ma i coloni che avevano viaggiato assieme a loro, invece, sì.
E sarebbe stato oggettivamente imbarazzante, per il futuro luogotenente della Nuova Francia, dover vivere a stretto contatto con la donnaccia che l’aveva cornificato con l’ufficiale di bordo sotto gli occhi di tutti i suoi coloni. E che oltretutto era pure incinta del frutto del peccato. E che oltretutto sarebbe pure stata capace di pretendere un matrimonio riparatore con quel terzo incomodo.
Una situazione come minimo indesiderabile, per l’ambizioso luogotenente con idee di carriera. Un danno d’immagine non da poco, un’onta da lavare col sangue – ma a freddo, con il raffinato sadismo di chi ha avuto una intera traversata oceanica di tempo per meditare la sua vendetta.

Sennonché, nella vendetta di Roberval, c’è un problemino.
Ovverosia il fatto – contrariamente a qualsiasi ragionevole aspettativa – Marguerite sopravvive.
Seppellisce il suo amato, seppellisce la sua amica, partorisce da sola e senza assistenza il suo figlio adorato, che è poi costretta a seppellire a sua volta: neppure il piccolo ce la fa.

Eppure, incredibilmente, Marguerite .

Nel gelido inverno di un’isola deserta al largo del Canada, la nobildonna cresciuta tra pizzi e trine impara a usare moschetto e coltelli (avrà fatto in tempo ad insegnarglielo il suo amante, immagino, prima di morire). Si nutre dei pochi frutti della natura e, per il resto, caccia piccole prede. Una volta, con un colpo di moschetto ben assestato, riesce ad uccidere un orso. Lo scuoia e usa le sue pelli per proteggersi dal freddo gelido, trovando riparo dalle intemperie in una caverna che diventa la sua casa. Notte e giorno viene assalita da quelli che lei ritiene essere i demoni cui l’isola deve il suo sinistro nome, venuti dagli Inferi per tormentarla. Cattolica, a differenza di suo cugino, Marguerite si affida ripetutamente alla protezione della Vergine… e diciamo che la Madonna doveva aver veramente preso a cuore il dramma umano di ‘sta ragazza, perché la sua sopravvivenza in quel contesto ha letteralmente del miracoloso.

Per più di due anni Marguerite vive, da sola, su quel minuscolo appezzamento di terra strappato al mare (probabilmente l’odierna Harrington Island). La sua grande occasione arriva nel momento in cui scorge improvvisamente le vele di una nave che si sta avventurando in esplorazione all’interno del Golfo. Consapevole di star dando fondo alle preziose scorte di polvere da sparo, carica il suo moschetto e comincia a sparare all’impazzata, riuscendo in fine ad attirare l’attenzione dell’equipaggio della nave – un mercantile basco, che col tempo la riporterà in Francia.

Tornata in patria, Marguerite racconta la sua storia in lungo e in largo (curiosamente, però, senza adire vie legali nei confronti di Roberval, che nel frattempo aveva rivendicato come sue le terre appartenute alla “dispersa” cugina, ormai “data per morta”). Davvero doveva essere influente e ben ammanicato, quest’uomo, contro il quale neppure le autorità ritengono di dover intervenire d’ufficio!, nonostante la storia della naufraga si diffonda a macchia d’olio. Per esempio, trova posto nell’Heptameron di Margherita di Navarra e, di lì a pochi anni, nei ricordi di viaggio del francescano André Thevet, che – dopo aver a sua volta visitato l’Isola dei Demoni – tornato in patria aveva desiderato incontrare la coraggiosa donna che quei demòni li aveva tenuti a bada per anni, sola con le sue sole forze.

***

Poco si sa sulla vita di Marguerite dopo il suo ritorno in patria. Spogliata dei suoi beni e palesemente poco intenzionata a mettersi contro Roberval in un’aula di tribunale, visse in modo relativamente ritirato fino a tarda età, ospite a Notron presso lo Chateau de la Mothe, ove la donna aveva fondato una scuola per le fanciulle del luogo.

Roberval? Visse anche lui fino ad un’età ragionevolmente tarda, dopo aver retto le colonie francesi in Canada per qualche tempo per poi ritornare in patria. In una sorta di gustoso contrappasso, fu proprio la sua fede religiosa (quella che almeno in teoria aveva determinato in lui una reazione così fondamentalista e folle di fronte al peccato della cugina) a causarne malamente la morte. All’età di sessant’anni, lui e altri ugonotti cui s’accompagnava furono pestati a sangue da una banda di cattolici nell’ambito delle guerre di religione che stavano spaccando in due la Francia.

E, sebbene non sia carino affatto pestare a sangue la gente, men che meno se in nome della propria religione… sotto sotto, non posso non pensarlo: ben ti sta, Roberval!


Per approfondire: Edward Brooke-Hitching, L’atlante immaginario. Quando le mappe raccontavano sogni, miti e invenzioni (Mondadori, 2018)

18 risposte a "Marguerite de La Roque, la Robinson Crusoe in gonnella"

  1. Lucia

    Le due voci biografiche dedicate a Marguerite e Roberval, casomai vi foste incuriositi alla storia:


    http://www.biographi.ca/en/bio/la_roque_marguerite_de_1E.html

    http://www.biographi.ca/en/bio/la_rocque_de_roberval_jean_francois_de_1E.html

    Non l’ho (ancora?) letto, ma segnalo che a quanto pare esiste anche un romanzo storico per adolescenti liberamente tratto dalla storia di Marguerite, in cui la nobildonna francese è dipinta come una ragazza cattolica in fuga dall’ambiente asfittico e rigidissimo della sua famiglia iper-protestante. Segue love story, “nautragio”, etc, e il resto è Storia (anzi, storia romanzata):

    https://www.goodreads.com/book/show/982213.Paradise

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    1. Lucia

      Beh, alla fine è morto a peggio.
      Pestato a sangue in mezzo alla strada da una banda di facinorosi armati nel corso di una rissa mi sembra anche un modo più doloroso e umiliante di finire i propri giorni…

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    1. Lucia

      Davvero in gamba!
      Passi la resistenza fisica, ma soprattutto a livello di forza d’animo… che tempra!, per non essersi mai lasciata andare.

      Comunque… non so, io personalmente propendo per la versione da soap “erano segretamente fidanzati e noi non lo sappiamo”. Ci fosse “solo” stato bisogno di una opportuna morte per ereditare i beni della ragazza… sai, gli incidenti capitano, la vita nelle colonie è pericolosa, la gente si ammala misteriosamente e viene trovata morta nel letto. Non c’era bisogno di fare un gesto così eclatante, e letteralmente sotto gli occhi di tutti gli altri coloni.
      Ma se invece si trattatava di un modo (malato, eh >.>) di “recuperare l’onore perduto” e di riaffermarsi come il vero leader della spedizione… ha già più senso. Almeno, secondo la mia personalissimissima visione eh 😉

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    1. Lucia

      Ma veramente!

      E la Storia è piena di casi di questo tipo eh. Mi viene in mente ad esempio Jane Parker, la dama di compagnia di Caterina Howard (una delle mogli di Enrico VIII): quando l’adulterio di Caterina viene scoperto, Jane viene accusata di aver sempre coperto la relazione extra-coniugale della regina (come in effetti faceva) (anche perché rifiutarsi non era una ipotesi contemplata), e alla fine è decapitata assieme a Caterina.

      O la venerabile Maria Teresa Luisa di Savoia, dama di compagnia di Maria Antonietta: viene uccisa come molti altri aristocratici durante la Rivoluzione, ma tutte le fonti concordano nel dire che i suoi aguzzini si accanirono contro di lei con particolare lena, proprio per farle “scontare” la particolare vicinanza avuta con l’odiata regina.

      Alla fine sì, era un mestiere pericolosissimo. Vivevi così a stretto contatto con i “potenti” da diventare custode dei loro pericolosi segreti, e qualsiasi intrigo attorno ai “big” finiva col riguardare anche te. Epperò, alla prova dei fatti, in realtà eri solo una pedina da poco, facilmente sacrificabile all’altare del “bene più grande” se diventava necessario. Un mestiere pericoloso per davvero.

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      1. Daniele Pietro Ercoli

        La principessa di Lamballe venerabile? Ma se ha tenuto un amante per tutta la vita, era iscritta alla loggia massonica, ecc… ?? In wikipedia dicono che Pio XI l’abbia dichiarata venerabile, ma non aggiungono nessun altra fonte, io non mi fido.

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        1. Lucia

          Ehm… mi spiace (ma per davvero: ché non sarebbe stata una cosa da fare, secondo me, se non altro per prudenza), ma pare che sia venerabile per davvero.
          Pio IX l’ha dichiarata martire nel 1929 (e già la data spiega tante cose…), e dunque dobbiamo presumere che la principessa sia stata purificata dal suo battesimo di sangue. Trovo la stessa versione in un sacco di siti e testi diversi, non ultimo “Santi, Beati e Venerabili di Casa Savoia” di Giuseppe Costanzo e “I Savoia” di Walter Barberis, quindi presumo che sia proprio vera.

          Non molto consolante in effetti :\ ma…

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      2. Daniele Pietro Ercoli

        Secondo me è una “fake news” (oggi le bugie e le bufale si chiamano così). Non ce n’è traccia sul sito vaticano con tutti i testi di Pio XI. Bisognerebbe che qualche storico ci dedicasse un po’ del suo studio.

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        1. Lucia

          Lo studio che sto per citare non dirime totalmente la questione, ma proprio in questi giorni sto leggendo il (bel) libretto I Savoia sugli altari di Lorenzo Bortolin (edizioni Effatà), e ovviamente si parla anche della Lamballe.

          In effetti le notizie sono confuse. Teoricamente, dovrebbe rientrare nel numero dei “martiri di settembre” della rivoluzione francese beatificati nel 1926: se fosse, a rigor di logica, la donna dovrebbe esser lì nel mucchio. Però in effetti il suo nome non compare nella lista che fu stilata nel 1926. Ci sono però due storici (Giuseppe Costanzo in Santi, beati e venerabili di Casa Savoia, 2016, e Federica Contu in Maria Clotilde di Francia regina di Sardegna, tesi di dottorato discussa a Cagliari nel 2010), che sostengono che Pio XI volle corregge nel 1929 questa “dimenticanza” e diede anche a lei la qualifica di martire. Ed evidentemente a fronte del martirio si considera perdonata anche una vita non proprio immacolata.

          Bisognerebbe consultare i saggi di Costanzo e Contu per vedere qual è esattamente la fonte che citano.
          Per quel che vale la mia opinione, io trovo molto plausibile l’intero scenario qui descritto: con la Lamballe che non viene inserita tra i martiri nel 1926 salvo poi essere recuperata tre anni dopo, in una data guardacaso molto suggestiva. Bisognerebbe vedere se nel 1929 è stata effettivamente fatta un’integrazione all’elenco originario del 1926. Ad avere un po’ di tempo da perderci, non dovrebbe essere difficile risalire ecco!

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    2. Lucia

      Peraltro… probabilmente tu non hai presente quei telefilm ad ambientazione storica che van di moda ultimamente, tutti a base di intrighi, violenza, love-story, sesso. Cose tipo I Tudors, Versailles, o, volendo, anche Reign (una specie di teen-drama per ragazzine molto liberamente ispirato alla vita di Maria Stuarda).
      (Io li guardo perché, da brava storica che sono, mi interessano, ma non sono niente di particolarmente culturale e/o edificante, eh >.>)

      Ecco, comunque: con tutti i difetti che hanno, trovo che ‘sti telefilm abbiano il merito di mettere ben in luce quanto effettivamente fosse difficile la vita delle dame di compagnia. E’ tutto un continuo di dame di compagnia coinvolte loro malgrado in complotti politici; costrette ad andare a letto col re che se n’è invaghito vedendole al fianco di sua moglie; accusate di reati innominabili pur di toglierle di torno, in una specie di vendetta trasversale contro la loro Signora, nel gioco di potere che c’era a corte…
      E lì magari la sceneggiatura ci calca un po’ la mano, per la passione per i dettagli scabrosi e drammatici che hanno ‘ste serie. Però, grossomodo, rendono bene l’idea. Alla fine, sì, era davvero un mestiere pericoloso.

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  2. Claudia

    Che storia! Robinson Crusoe e una storia che mi terrorizza…al femminile è ancora peggio considerando che la prima cosa che ha dovuto fare è un cimitero per i suoi compagni di sventura.

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    1. Lucia

      E sapendo oltretutto di essere incinta… la miseria oh: passi, sopravvivere per due anni in un’isola deserta seppellendo tutti i tuoi compagni di sventura, ma partorire completamente sola, seppellire anche tuo figlio neonato,e poi riprenderti per andare avanti… brr!

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