Ignaz Semmelweis, lo sfortunato dottore delle neo-mamme

Quando Jacob Kolletschka morì di parto, fu immediatamente chiaro al dottor Semmelweis che c’era qualcosa che non andava.
Se non altro per il fatto che Jacob era un maschio: un omone ben piantato, peraltro in ottima salute.

Jacob Kolletschka
Il dottor Jacob Kolletschka, docente di Medicina Legale presso l’Ospedale Generale di Vienna

Indendiamoci: Jacob, pace all’anima sua, non era morto di parto nel senso che era spirato nell’atto di dare alla luce un figlio (e grazie tante).
Eppure era morto trasformandosi una specie di manuale medico vivente alla voce “febbre puerperale”, manifestando ad uno ad uno tutti i sintomi, nessuno escluso, che accompagnavano la rapida agonia di quelle donne che si spegnevano consumate dalle febbri pochi giorni dopo il parto. Parto che, di per sé, era anche andato bene: era proprio per questa ragione che le febbri puerperali erano così temute. Non si capiva perché arrivassero, non si capiva come curarle – e per i medici era incredibilmente frustrante vedere una neo-mamma piangere di gioia abbracciando un neonato perfettamente sano… ed essere consapevoli che, probabilmente, il peggio doveva ancora venire.

Ignaz Semmelweis, dottore in Chirurgia e Ostetrica presso l’Ospedale Generale di Vienna, era letteralmente ossessionato dal desiderio di trovare una cura per questo male. La sua ricerca era diventata una specie di fissazione, acuita dalla inquietante osservazione per cui la misteriosa malattia sembrava colpire quasi esclusivamente le donne che partorivano in ospedale. Quelle che partorivano in casa morivano semmai per complicazioni nel parto… ma quello era già più normale).
Peggio ancora: quella malattia sembrava colpire con particolare sadismo proprio l’ospedale in cui lavorava il medico. In altre cliniche ostetriche, non c’era tutta ‘sta mattanza.
E non finisce qui: essendo presenti presso l’ospedale di Semmelweis due diversi reparti di ostetricia (uno in cui operavano solo levatrici e ostetriche; l’altro, in cui operavano anche medici chirurghi), persino all’interno dello stesso dannato edificio la mortalità nel reparto di Semmelweis era più alta del 10% rispetto a quella del reparto “tutto al femminile”.

Il che, se vogliamo, era pure una cosa inspiegabile. Con tutto il rispetto per le levatrici, sarebbe stato lecito pensare che, dopo anni ed anni di studi, i chirurghi non fossero proprio dei mentecatti incapaci di salvare vite umane.
E invece no, porca la miseria. Come per una oscura maledizione, la Morte se ne stava lì, ospite fissa di quel reparto, pronta a strappar via la vita di tante giovani madri.
Semmelweis non ci dormiva la notte, per ‘sta cosa.

E poi c’era stato quello sconvolgente episodio. Jacob Kolletschka, il professore di medicina legale, era morto con gli stessi identici sintomi che accompagnavano il decesso delle puerpere.
Mi stai prendendo in giro??, deve essersi chiesto Semmelweis a quel punto, cominciando a sentirsi perseguitato dai capricci di una divinità malevola.

Fu disposta un’indagine interna sulle cause del decesso.
Da lì emerse che, pochi giorni prima di contrarre la sua febbre puerperale (?!), Kolletschka aveva tenuto una dimostrazione di anatomia, dissezionando di fronte ai suoi studenti il cadavere di una donna morta per l’appunto di quel male.
Nel corso della dimostrazione, l’assistente di Kolletschka aveva involontariamente graffiato con il suo bisturi il dito del professore. Un graffiettino da niente, solo qualche goccia di sangue, decisamente non una possibile causa di morte.
A meno che, attraverso quel graffietto, “qualcosa” dal cadavere della donna non fosse penetrato nel corpo del dottore.

Era il marzo 1847: questa considerazione, che a noi parrebbe ovvia, ovvia, non era proprio per niente.
Innanzi tutto, l’establishment medico di metà Ottocento aveva la (non irragionevole) convinzione che una malattia che colpisce le donne, a pochi giorni dal parto, avesse a che vedere con le donne e con il parto. Le molteplici ipotesi che erano state avanzate a spiegazione della febbre puerperale avevano tutte a che fare con l’anatomia femminile e con gli sconvolgimenti della gravidanza: si ipotizzava un “ristagno” di fluidi all’interno del ventre materno; si sospettavano danni subiti dagli organi interni a causa dell’eccessiva pressione data dall’utero ingrossato. Non mancavano neppure teorie molto fantasiose, tipo quella che voleva le donne “avvelenate” dal loro stesso latte, forse avariato… per non parlare poi dell’ipotesi che riconduceva le febbri a una sorta di reazione psicosomatica data dallo shock subito dalle pudiche dame nel dover esporre le loro parti intime alla vista di medici maschi.

In ogni caso, tutte le ipotesi ruotavano attorno all’anatomia femminile e all’evento “gravidanza” in sé.
Il che portò molti medici a ridurre la morte di Kolletschka a una strana coincidenza: il dottore era morto accusando sintomi tipicamente associati alla febbre puerperale? Embeh, sicuramente era stato un caso – la stessa cosa che diremmo oggi, se un paziente maschio accusasse sintomi simili a quelli che vengono comunemente associati al cancro al collo dell’utero.
La sola idea che un maschio potesse effettivamente morire di febbre puerperale pareva piuttosto ridicola. Se non altro, perché siamo appunto nel 1847. Luis Pasteur era ancora un semplice studente di medicina, e le sue scoperte destinate a cambiare la Storia erano ancora molto in là da venire.

Semmelweis, infatti, sviluppò una sua teoria, ma non fu neanche lontanamente in grado di motivarla scientificamente.
Piangendo la morte del suo amico Kolletschka, osservò che, se il cadavere di una donna morta di febbre puerperale poteva infettare un uomo attraverso una ferita causata da uno strumento chirurgico, allora era forse possibile anche il contrario. E cioè, che uno strumento chirurgico che aveva toccato un cadavere potesse infettare, attraverso una ferita, una donna che stava partorendo.
Naturalmente, nessuno andava in giro per i reparti accoltellando con lo stesso bisturi cadaveri e partorienti, ma capitava con una certa frequenza che gli studenti di medicina, subito dopo aver “staccato” dalla lezione di anatomia con dissezione d’ordinanza, si recassero nel reparto maternità e prestassero le loro cure alle pazienti.
Semmelweis – che non conosceva ancora l’esistenza dei germi – ipotizzò l’esistenza di inquietanti “particelle cadaveriche” che gli studenti si sarebbero portati appresso, finendo così col contaminare le mucose delle donne in travaglio. Il chirurgo ordinò dunque che, ad experimentum, tutti i medici che entravano nel reparto maternità si lavassero accuratamente mani e unghie con un composto di ipoclorito di calcio (e che le lenzuola delle puerpere fossero cambiate con frequenza).

“E così finalmente la scienza medica debellò la piaga della febbre puerperale!” mi par di sentirvi dire.
E invece no: e così, Semmelweis fu licenziato in tronco.

La sua teoria medica fu giudicata fantasiosa, per usare un eufemismo. L’immagine di questi medici che si portavano appresso frammenti di cadavere e poi li andavano a infilare nelle parti intime delle signore era effettivamente grottesca e offensiva, per come il povero Semmelweis l’aveva formulata nella sua ignoranza.
Essere costretti a lavarsi le mani prima di entrare in una certa stanza fu percepita, da molti chirurghi, come una offesa diretta alla loro igiene personale, perdipiù non motivata da valide ragioni mediche.
La fissa di far cambiare continuamente le lenzuola comportava costi onerosi per l’ospedale, costretto a mandare panni in lavanderia ogni tre per due. E non parliamo poi dei carichi di lavoro extra non previsti da contratto per quei poveri inservienti che di punto in bianco si trovavano costretti a spaccarsi la schiena a furia di rifare letti.
Oltretutto, Semmelweis aveva dato queste disposizioni controllando istericamente che fossero applicate nel “suo” reparto, ma senza avere la reale autorità per poter ordinare alcunché: il nostro amico era solo un medico, non un primario. E anche questo non fece un granché per metterlo in buona luce agli occhi dei suoi superiori, i quali – secondo alcuni storici – avrebbero potuto avere il dente avvelenato anche per ragioni più personali. Semmelweis, infatti, era un immigrato, ebreo, e perdipiù vagamente anarcoide – uno di quegli agitatori che erano scesi in piazza durante i moti del ’48. Insomma, un piantagrane.

Un piantagrane che avrebbe potuto salvare infine vite umane (e infatti, nel periodo in cui Semmelweis fece applicare il suo protocollo medico, il tasso di mortalità per febbre puerperale crollò drasticamente, nel reparto)… ma pur sempre un piantagrane. Che – bisogna ammetterlo onestamente – aveva anche sbagliato il modo di porsi.
Infatti, non appena ne ebbero l’occasione, i dirigenti dell’ospedale decisero di non rinnovargli il contratto.

Non fu questa la fine professionale di Semmelweis, che anzi trovò rapidamente lavoro in un ospedale di Budapest.
Eppure, questa fu in un certo senso la sua fine “umana”.
Nonostante gli sforzi per motivare e far accettare la sua teoria, il medico continuò a scontrarsi, anno dopo anno, articolo dopo articolo, contro un muro di “no” e “non c’è alcuna evidenza scientifica”. Pochi, i colleghi che furono disposti a ritenere minimamente credibili le sue teorie; tanti – e anche di fama – i medici che continuarono a ripetere quanto le ipotesi di Semmelweis fossero infondate e offensive e folli.

Schiacciato dal peso di tante accuse e in preda a una comprensibile frustrazione, Semmelweis finì col soffrire di sensi di persecuzione, complessi di inferiorità e depressione. Non a caso, finì i suoi giorni in manicomio, il 13 agosto 1865. Una quindicina di anni più tardi, le scoperte di Pasteur e di Lipster avrebbero dimostrato la correttezza delle sue teorie.

Scriverà di lui Ferdinand von Hebra, suo collega, amico, e dermatologo di fama: “Quando qualcuno scriverà la storia degli errori umani, ne troverà pochi più gravi di quello commesso dalla scienza nei confronti di Semmelweis”

Ignaz Semmelweis
Ignaz Semmelweis (1818 – 1865)

15 risposte a "Ignaz Semmelweis, lo sfortunato dottore delle neo-mamme"

  1. Laurie

    grazie che hai ricordato quello che purtroppo fu un genio incompreso!
    non conoscevo la parte del medico che si era infettato durante l’autopsia (sapevo che aveva “banalmente” osservato che l’infezione dilagava solo dove operavano anche i medici, i quali eseguivano autopsie su autopsie proprio sulle donne morte di parto, per capire la causa della febbre puerperale, raccogliendo, quindi, germi a piene mani, e che questi non si lavavano mai (!) le loro manacce, a differenza delle levatrici che non eseguivano autopsie e che, comunque (!), si lavavano le mani più spesso dei colleghi medici, quindi aveva fatto 2+2…)

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    1. Lucia

      Eh no, invece pare che la lampadina gli si sia accesa proprio a causa della morte di questo collega, che peraltro – a quanto pare – era anche suo amico: un decesso che lo aveva colpito anche sul piano personale insomma.
      (Decesso avvenuto peraltro mentre Semmelweis era in ferie a Venezia per qualche settimana, quindi probabilmente ci fu anche il dispiacere di non essere stato presente).

      E anche quello mi stupisce: c’era voluta questa morte, per far “accendere la lampadina” appunto. Basandosi sulla sola osservazione dei fatti, nessuno c’era ancora arrivato…

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  2. Lidia

    ciao Lucia! Io ho letto anni fa la biografia di Semmelweis e sto ancora piangendo di rabbia e di dispiacere, per lui e per le poverette morte che avrebbero potuto salvarsi. Nella biografia che ho letto io, lui alla fine si è suicidato, infettandosi proprio con un cadavere. Certo che questa storia fa pensare anche a tante situazioni odierne…

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    1. Lucia

      Su come sia morto ‘sto poveraccio, onestamente, trovo tante di quelle versioni discordanti…

      Alcune fonti (compresa la Treccani) dicono che è morto di setticemia a causa di una ferita infetta, altri siti che ho letto parlano di Semmelweis morto in manicomonio per le percosse (ellamiseria!), altri alludono a un suicidio come dici tu…

      Personalmente, la ricostruzione più verosimile mi sembra quella di Wikipedia inglese: sarebbe morto di setticemia, a causa di una ferita infetta, ma non procuratasi (più o meno volontariamente) dissezionando un cadavere (come avrebbe potuto, del resto, se era in manicomio? O si era infettato prima di essere internato? Ma allora quanto ci mette l’infezione a uccidere?). Wikipedia inglese ipotizza se la sia procurata in manicomio, forse tentando di scappare, o forse per percosse / tentativi di contenimento venuti male da parte del personale medico.

      On July 30, Ferdinand Ritter von Hebra lured him, under the pretense of visiting one of Hebra’s “new Institutes”, to a Viennese insane asylum located in Lazarettgasse (Landes-Irren-Anstalt in der Lazarettgasse). Semmelweis surmised what was happening and tried to leave. He was severely beaten by several guards, secured in a straitjacket, and confined to a darkened cell. Apart from the straitjacket, treatments at the mental institution included dousing with cold water and administering castor oil, a laxative. He died after two weeks, on August 13, 1865, aged 47, from a gangrenous wound, due to an infection on his right hand which may have been caused by the struggle. The autopsy gave the cause of death as pyemia—blood poisoning.

      E comunque,

      Semmelweis was buried in Vienna on August 15, 1865. Only a few people attended the service. Brief announcements of his death appeared in a few medical periodicals in Vienna and Budapest. Although the rules of the Hungarian Association of Physicians and Natural Scientists specified that a commemorative address be delivered in honor of a member who had died in the preceding year, there was no address for Semmelweis; his death was never even mentioned.

      😦

      Devo dire che io posso anche capire i medici dell’epoca, perché in effetti Semmelweiss avanzava “solo” delle teorie che non erano comprovate da nessun fondamento scientifico, all’epoca. Quindi la diffidenza e anche lo scherno posso capirli, ma senz’altro stupisce come i medici abbiano sorvolato sul “dettaglio” che, seguendo le prescrizioni di Semmelweis, le morti calavano per davvero.
      Come a dire, sarebbe solo buon senso: non capiamo perché funzioni, ma, se effettivamente funziona, nel dubbio andiamo avanti… :-\

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      1. Laura

        sapevo che era finito in manicomio, ma non sapevo di una fine così orribile…
        comunque, credo che un paio di settimane per una setticemia possano anche essere un tempo plausibile.
        concordo col fatto che sia stato folle e contrario a ogni principio che una “semplice”, ma evidente, relazione di causa-effetto non sia stata neanche presa in considerazione!
        temo che il pregiudizio dovuto al fatto che fosse ebreo e che fosse la “testa calda che si permette di dare disposizioni non autorizzato” abbiano pesato più dell’evidenza …
        quanti danni possono fare l’invidia, l’ottusità, la piccineria e la cattiveria umane, pensando poi che questo non è né il primo né l’ultimo caso della storia in cui non si prende in considerazione il parere giusto, per motivi ugualmente stupidi, poi!
        ps. illuminante come sempre! (rispondo qui alla risposta di sopra perché altrimenti ti intaso il blog)

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        1. Lucia

          Comunque la sua salute mentale era declinata per davvero eh, quando l’hanno spedito in manicomio. Lo preciso, non per difendere i suoi “persecutori” ma per dare un contesto. Citando sempre Wikipedia inglese, a quanto pare

          In mid-1865, his public behaviour became irritating and embarrassing to his associates. He also began to drink immoderately; he spent progressively more time away from his family, sometimes in the company of a prostitute; and his wife noticed changes in his sexual behavior. On July 13, 1865, the Semmelweis family visited friends, and during the visit Semmelweis’s behavior seemed particularly inappropriate“.

          Infatti subito dopo cita due biografi (tali Carter & Carter) che ipotizzano che a quel punto avesse proprio una malattia mentale seria e a sè stante, indipendente dalla frustrazione di non essere stato ascoltato (o comunque, come dire… trascendente la frustrazione in sè).
          Resta il fatto che… che storia triste e che fine tragica.

          E comunque, sì, sospetto anch’io che il suo carattere problematico (e magari anche qualche suo errore nel modo di porsi coi superiori, perché no?) possano aver giocato un ruolo decisamente importante nel farlo passare per il pazzo di turno. Vabbeh l’ambiente accademico chiuso e vabbeh che, effettivamente, non esistevano al momento basi scientifiche alla sua teoria, ma fatico a credere che “in condizioni normali” nessuno avrebbe prestato fede a una banale relazione causa-effetto, come dici tu.
          A leggere la storia, io ho proprio l’impressione di due diverse teste calde che fanno muro contro muro senza trovare un punto di contatto (cosa che capita non infrequentemente, sul lavoro) :-\

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  3. sircliges

    Molto interessante, avevo letto anni fa la tristissimissima storia di Semmelweis in un libro che mi era piaciuto molto, “il genio incompreso” di Federico di Trocchio,

    https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/03/27/povera-scienza-maltrattata-dagli-scienziati.html

    che racconta vari casi in cui la scienza “ufficiale” non ha funzionato e l’istituzione corporativa (accademie, università) si è rivelata assai più dogmatica, nel senso deteriore del termine, di quanto noi moderni tendiamo a pensare.

    (libro consigliato anche perché spiega chiaramente e “laicamente” come andò davvero il brutto affare del processo a Galileo, e la colpa maggiore non è della Chiesa, ma della lobby accademica aristotelica)

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    1. Lucia

      Uh, interessante quel libro!

      Cercando l’autore, ho scoperto che ha scritto anche un promettente Le bugie della scienza. Perché è come gli scienziati imbrogliano, che, a parte il titolo ad effetto, dovrebbe essere un exursus di tutti i casi in cui gli scienziati hanno fatto delle scoperte basandosi non tanto sulle prove inoppugnabili sul campo, ma più che altro su loro ipotesi, intuizioni, colpi di genio senza però riscontro scientifico effettivo (almeno in origine).
      Un po’ come Semmelweis insomma, che tecnicamente aveva avuto una intuizione, non aveva fatto una scoperta.

      Interessante anche questo!

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  4. apheniti

    “E’ morto il professor Kolletschka.”
    “Ah, pace all’anima sua. Era un brav’uomo ed un ottimo collega. Com’è morto?”
    “Mh… di… ah-ehm, febbre puerperale.”
    “…”
    “….”
    “Il professor Kolletschka è un uomo, mi pare di ricordare.”
    “Ebbene sì.”
    “Ed è morto di febbre puerperale, mi dite.”
    “Almeno così appare.”
    “Solo io trovo che ci sia qualcosa di strano?”
    So che non dovrei, ma pensare alla perplessità dei dottori al responso dell’autopsia m’ha fatto sghignazzare.

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