Il guardaroba di mia mamma ci racconta un Sessantotto diverso e meno conosciuto

Si dice che la moda sia lo specchio di una civiltà, e io credo fortemente in questa tesi.
Anche guardando indietro nel tempo e facendo una veloce carrellata mentale dei secoli, non mi viene in mente neppure un caso in cui l’abbigliamento non sia in grado di dire qualcosa sulla società che ha scelto di indossare certe vesti.

Proprio per questa ragione sono sempre stata molto perplessa di fronte al guardaroba sessantottino di mia mamma.

Mia mamma, classe ’47, ha vissuto il ’68 nel fiore della sua gioventù. Non era una che andasse a far le barricate o a okkupare la sua facoltà, tutt’altro. Però, ecco: era viva, in quegli anni. L’epoca di Woodstock, del sesso libero e dell’LSD è stata l’epoca della sua giovinezza.
Ecco: se io sbircio nel guardaroba di mia mamma (o di mia zia, di qualche anno più giovane, che oltretutto i suoi vestiti li ha conservati per davvero) mi trovo davanti a capi di abbigliamento che io non metterei, per uscire, nemmeno con una pistola puntata alla tempia…
…ma non perché siano sconci, sexy e provocanti! Perché sembrano usciti dal set di Via col Vento o dal guardaroba della mia trisnonna – bellissimi, eh, ma se io ci vado in giro rischio di essere sottoposta a un TSO.

Sul perché diavolo, negli anni della rivoluzione del ’68, fossero in commercio (e, presumibilmente, pure di moda) capi di abbigliamento che non stonerebbero in un quadro dei Preraffaelliti, mi sono arrovellata per diversi anni della mia esistenza. E poi, qualche mese ha, ho finalmente trovato una risposta sfogliando le pagine del (curioso e consigliatissimo) The Chronology of Fashion, un libro di NJ Stevenson che illustra, con una miriade di foto, l’evoluzione della moda negli ultimi due secoli.

Mi verrebbe da dire, dopo la lettura di queste pagine, che durante il Sessantotto è esistito più di un Sessantotto. Se, da un lato, esisteva la rumorosa Woodstock, con i suoi hippy promiscui e strafatti, dall’altro lato esisteva un Sessantotto di giovanotti che, , volevano rivoluzionare la società, ma basandosi su valori di tutt’altro tipo.

Era consapevole, mia mamma, di ‘sta cosa, quando entrava in un negozio per comprarsi un abitino? Molto probabilmente no – ma se è vero (e secondo me è vero) che la moda è lo specchio della civiltà, ecco cosa ci racconta, a cinquant’anni di distanza, il guardaroba sessantottino di mia mamma.

1) “Segretamente, avevamo nostalgia del passato”

Iniziamo col botto.
Regà: ma voi ci uscireste, oggigiorno, conciate in questo modo?

Folk Stile Romantico 1973

Proposte moda dalla rivista per teenager “Seventeen”, estate 1973

Io magari sì, nel senso che lo stile mi piace molto, ma giusto per andare in un posto disabitato a farmi qualche foto artistica per Instagram prima di togliermi di dosso questo imbarazzante accrocco. Eppure, questo abito appare nella rassegna di moda del giugno ’73 nella rivista americana per teen-ager Seventeen, assieme a molti altri vestiti dello stesso genere

1973 Seventeen 2

Proposte moda dalla rivista per teenager “Seventeen”, estate 1973

che io, oggi, troverei deliziosi come abiti da sposa, ma che all’epoca erano proposti per la vita di ogni giorno.

E se vi vien da dire “vabbeh, ma era moda da passerella, la gente non andava mica vestita così in ufficio”: mia mamma andava in ufficio vestita esattamente così, anzi pure peggio. Ho un mente un suo vestitino invernale, grigio, maniche a sbuffo e colletto arricciato, che sembrava uscito dal set di Piccole Donne e che è sopravvissuto fino ai tardi anni ’90. Quando io l’ho visto nell’armadio e me ne sono innamorata, iniziando a usarlo – non a caso – come costume di Carnevale.

NJ Stevenson parla, a questo proposito, di “un nostalgico tentativo di ricreare il passato” in reazione a una società che, evidentemente, non piaceva. Mentre i più sognavano di trasformarla a suon di “spakka tutto”, “cloro al clero e diossina alla DC”, c’erano altri che sognavano di costruire un mondo migliore guardando al passato, per riviverlo alla luce dei moderni valori.

2) “Essere sexy non era la priorità di tutte”

Nel guardaroba di mia zia, esistono ancor oggi alcuni vestiti che… mettiamola così: se me li portasse a casa una figliola adolescente, la mia prima reazione sarebbe “sì mia cara, se ti piacciono va bene. Ma che ne dici se sabato andiamo a fare shopping, e ti compri qualcosa di più femminile, senza andare giro conciata come ‘na suora?”.

Occielo: forse, la fonte di ispirazione erano le monache tibetane più che le suore cattoliche (se non altro perché le suore hanno abiti che almeno evidenziano il punto vita), ma, comunque, lì siamo. Incredibile ma vero, nel bel mezzo del Sessantotto c’erano signore (anzi: giovanissime e piacenti signorine) che si avvolgevano in abiti di questo tipo:

Vogue 1968

Vogue Pattern America, 1968

che, non per dire, ma a me ricordano molto da vicino certe collezioni di moda per mussulmane osservanti.

Negli anni del sesso libero, non tutte le donne volevano esser provocanti. All’epoca della minigonna e dei primi topless, potevi pure trovare kaftani lunghi fino ai piedi che nascondevano completamente le tue forme, in quella che NJ Stevenson definisce “le mille varietà di una contro-cultura onnicomprensiva che mescolava vecchio e nuovo, Oriente ed Occidente”.

Guy Laroche 1973

Guy Laroche, collezione 1973

Reso popolare dal Beatles durante un loro celebre tour in India, il kaftano ammiccava alla spiritualità orientale, a uno stile di vita più riflessivo e più lento: una dichiarazione d’intenti precisa e chiara. Così rivoluzionaria da ricordare i costumi di scena di The Handmaid’s Tale.

Elizabeth Taylot Kaftan

Elizabeth Taylor in un kaftano pure parecchio anonimo, primi anni ’70

3) “Davvero piacere agli uomini non è la priorità!”

Avete presente la canzone These Boots Are Made For Walking di Nancy Sinatra, la grande hit del 1966?

Se anche non conoscete il testo, ricorderete sicuramente la melodia, se non altro perché recentemente è stata utilizzata come colonna sonora di uno spot pubblicitario. Ma, accantonando la base musicale, io adesso vorrei focalizzarmi sul testo – quello in cui Nancy, prendendosela con un uomo che l’ha illusa in amore facendo un pasticcio con una con cui non era proprio il caso di farlo, gli fa presente: “li vedi, questi stivali? Questi stivali sono fatti apposta per camminare, e uno di questi giorni cammineranno sopra di te”.

Non è un caso che questa canzone, simbolo dell’empowerment femminile, citi un elemento che, secondo me, ha cambiato in meglio per davvero la vita della donna. E cioè: l’introduzione sul mercato di scarpe femminili fatte apposta per camminare.
Perché se siete donne, e se avete provato a trascorrere un’intera giornata di lavoro su una décolleté dal tacco alto (stolte!!), magari pure con la prospettiva di dover andare a fare la spesa una volta uscite dall’ufficio: ecco, sapete di che cosa sto parlando.

Diciamolo: fino a metà anni ’60 (quando la donna borghese, mediamente, stava a casa a far la casalinga) le calzature femminili alla moda non erano fatte apposta per camminare. Perché, in effetti, le donne non passavano tutto il giorno in movimento (o, se lo facevano, si dovevano arrangiare con tacchi a rocchetto e tanto male ai piedi, poveracce loro).

È solo a partire da fine anni ’60 che – restando nel campo delle scarpe “stilose” da copertina – i tacchi si abbassano vistosamente. Le scarpe diventano simili a quelle confortevoli di una preadolescente che comincia cauta a camminare sui primi tacchetti.

Fine anni 60

Pubblicità delle scarpe Sears, fine anni ’60

Sulle piste da ballo, imperversano gli iconici go-go boots, bianchi, alti al polpaccio e con tacco basso.

Go Go Boots 1968

Da un numero di “Vogue” del 1968: gli iconici, comodissimi Go-Go Boots

Cominciano ad essere avvistate sulle riviste di moda addirittura le scarpe ortopediche con plantare (!), come nel caso dei Birkenstock e dei sandali Pescura che adesso fanno inorridire i benpensanti (“iiihhh! Le scarpe antisesso!”) ma che all’epoca erano proposti come scelta modaiola e femminista. Perché io sono una donna completa, non ho bisogno di vestirmi per piacere a un uomo.
E anche questa è rivoluzione (e che rivoluzione!)

Birkenstock 1968

Pubblicità delle scarpe Birkestock (1968)

4) “Se ti schifa l’idea di comprare abbigliamento vintage, probabilmente c’è qualcosa che non va nella tua scala di valori”

Fino alla rivoluzione del ’68, comprare abbigliamento usato era, effettivamente, la scelta di ripiego dei poveracci. Non esisteva concettualmente, il pensiero di poter ricorrere al mercato del second-hand, se appena appena si aveva la possibilità economica di far diversamente.

A portare in auge la (bella e giusta) consuetudine di dare una seconda vita agli abiti dismessi, sono proprio i giovani rivoluzionari sessantottini. I quali, in aperta protesta con il consumismo divampante, rifiutano di arricchire i già lauti portafogli di quegli imprenditori simbolo del capitalismo tanto odiato, e ripiegano verso le botteghe dell’usato. Le quali sono ben contente di diventare improvvisamente luoghi alla moda per giovanotti abbienti, e cominciano a darsi da fare per proporre abiti sempre più selezionati e particolari.

Portobello Road e Carnaby Street diventano le vie iconiche del vintage che sono ancora oggi, e realizzazione di kolossal hollywoodiani in costume contribuiscono a rendere popolari e graditi all’occhio stili che noi diremmo improbabili, come quello militare o quello anni ’20.
A Londra, botteghe vintage come I Was Lord Kitchener’s Valet iniziano addirittura a vendere delle vere divise militari dismesse, indossate decenni prima dalla guardia reale o da corpi inglesi. È un successo: buffissimo, stilosissimo, ma è un successo.

I was Lord

Giovanotti sessantottini decisamente molto sui generis, di fronte “I Was Lord Kitchener’s Valet”

Ed è anche un non-sottile movimento di protesta: contro lo sperpero di denaro e risorse, per l’appunto.

5) “Vorremmo solo mollare tutto e rifugiarci in un piccolo mondo dove i valori sono più sani e la vita è più piena”

Ogni tanto noi giovini ce ne dimentichiamo, e pensiamo che la peggior crisi ambientale mai vissuta nella Storia pesi (o peserà) sulle nostre fantole spalle.
Ecco, ehm: non per sminuire, ma vorrei timidamente ricordare che nel mio album di famiglia ci sono foto di gente che circolava in piena Torino a dorso d’asino o su un calessino, a causa della crisi energetica del ’73.
Le ragioni della crisi erano diverse da quelle che ci impensieriscono oggi, ma resta il fatto che, tra il ’73 e ’74, l’Occidente ha capito davvero – e nel modo più brusco immaginabile – cosa voglia dire vivere in un mondo che dipende interamente dalla tecnologia (e che, da un momento all’altro, può scoprire di non essere più in grado di mantenersi).

1972 Folk

Abiti in vendita da un catalogo per corrispondenza, nel 1972

Si sente l’eco di queste considerazioni, nello stile folk che si sviluppa di lì a poco nel campo della moda. “In America e in Europa”, scrive NJ Stevenson, “uno stile di vita all’insegna dell’idillio bucolico era sognato come un paradiso”. E, per sognarlo meglio, le donne si agghindavano con vestiti (improbabilissimi) dal taglio folk, talvolta ottenuti con l’accostamento di tessuti diversi in stile patchwork, all’americana; talvolta, ispirati alle tecniche artigianali dei paesi balcanici o dell’Est Europa.

Paesani 1970

Contadine balcaniche alla conquista delle passerelle, dalle pagine di “Vogue” (1970)

Insomma, “ornamenti fatti a mano e vestiti dal taglio particolare, che si credeva fossero già di per questo imbevuti di valore e di significato”.

Laura Ashley

Fotografia pubblicitaria per la collezione di Laura Ashely, popolare stilista inglese che (casomai voleste) esiste ancora oggi

E, sapete cosa?
Tutto considerato, questo Sessantotto qua a me piace un sacco.
Se dovessi ribellarmi alla società occidentale d’oggi, io mi ci ribellerei grossomodo così.
Senza bisogno di andare fino in India per abbeverarmi alla spiritualità orientale… ma, per il resto, direi che ci siamo.

È un peccato che “abbia vinto”, e sia passato alla Storia, quel Sessantotto che ci viene in mente quando pensiamo a Woodstock e… beh: al Sessantotto.

17 risposte a "Il guardaroba di mia mamma ci racconta un Sessantotto diverso e meno conosciuto"

  1. Celia

    Ma tu ti rendi conto, che gli abiti del punto 1), del punto 2) e persino (in parte) del punto 5) io li porterei eccome, anche tutti i giorni (anzi sicuramente tutti i giorni, proprio per la comodità e la… boh, carineria)?
    Manca soltanto il sari, e per il resto c’è poco di meglio 🙂

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    1. Elisabetta

      Anche io ho notato una deriva della moda degli anni ‘ 70 verso lo stile bucolico e contadinello…. da piccola usai un vestito di mia madre anni ’70 per far la pastorella in un presepe vivente. Vestito opportunamente ristretto ma dallo stile bucolico, con annesso grembiule….

      Oggi pensiamo alla moda legata alla rivoluzione sessuale come un mettersi qualsiasi cosa che esponga il corpo…. all’epoca però si usava molto più stoffa e i vestiti potevano essere tagliati e riadattati diverse volte!
      Anche io invecchiando (e ingrassando?)sogno di avvolgermi in informi caftani…

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  2. blogdibarbara

    Un po’ è vero e un po’ no. Nel senso che non c’è stato questo sessantotto qui da una parte e quell’altro sessantotto lì da un’altra, ma era sempre lo stesso. Io portavo la minigonna e portavo le gonnellone lunghe, qualcuna portava solo le minigonne e qualcuna solo quelle lunghe. Le gonnellone in genere erano la divisa delle femministe dure e pure (“non devo piacere agli uomini”) e naturalmente erano preferite da quelle molto religiose. Io non le ricordo, né per me né per le altre, come un richiamo a valori meno effimeri, ma unicamente come un fatto estetico.
    Quanto alle scarpe, i tacchi sono completamente spariti verso la metà degli anni Sessanta; cioè, non è che siano arrivate anche le scarpe basse, che del resto erano sempre esistite: per quasi dieci anni sono esistite solo quelle, in nessun negozio si potevano trovare scarpe col tacco, neanche tra i fondi di magazzino, ed eravamo tutte molto infastidite di dover andare in giro conciate come le tedesche, perché erano proprio brutte, ineleganti, rozze. Naturalmente chi le aveva già, come mia madre e le mie zie, ha continuato a portarle fino alla consunzione. Io le mie prime scarpe col tacco le ho portate nel ’73 o ’74, e tanto aveva pesato l’astinenza, che non le toglievo neanche in casa.
    Due parole sulla crisi del ’74, anche se hai già provveduto a precisare che quella era diversa. Si è infatti trattato di una crisi strumentale, provocata dai Paesi arabi che, in seguito alla guerra del kippur, al duplice scopo di punire gli stati che non si erano schierati con gli arabi, e di ricattare lì’Occidente, hanno messo in atto un embargo del petrolio. Cioè, non è che non ci potessimo permettere di comprarlo (anche se ne avevano contemporaneamente quadruplicato il prezzo): non lo avevamo perché non ce lo davano. Di conseguenza, per far fronte alla penuria, è stato vietato l’uso dell’auto la domenica, è stato ridotto l’orario di programmazione della televisione eccetera. E quindi capitava anche, di domenica, oltre a vedere molte più biciclette che nei giorni feriali, e che chi aveva un animale da trasporto tirasse fuori anche quello.
    Bel post, comunque, come al solito.

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    1. Pellegrina

      Senza contare che le minigonne sono andate di moda prima degli anni ‘70, cioè nei ‘60 e ben prima del ‘68, che se le è trovate a portata di mano ma non le ha mica inventate. E poi sono tornate di moda negli ‘80, epoca all’antitesi del ‘68, e ancora nei ‘90 e ancora adesso… ma non sono più dirompenti perché sono solo riproposizioni. Idem per le scarpe basse, le ballerine esistevano già negli anni’50, nei film di James Dean, ad esempio. La “rivoluzione” dell’abbigliamento ha preceduto il ‘68 che semmai ha rifiutato la moda ufficiale, intesa come vestito formale, tacchi a spillo, giacca e cravatta, cappotto… capi diversi per uomini e donne, mentre i jeans erano unisex… una idea borghese di decoro, di perbenismo. I vestiti comodi per le donne iniziano nei ‘60, quando si afferma un minimo di benessere anche tra le donne non borghesi che dovevano andare a lavorare quindi vestire “Carine” ma comode, ed è un’esigenza non contestataria ma banalmente di nuova organizzazione del lavoro e dei rapporti di produzione. Dal’72 più o meno le gonne si allungano ma il ‘68 è finito e sepolto, tra esotismi, crisi economica, esaurimento della spinta contestataria, diffusione di droghe in funzione anti protesta, e escono fuori ‘sti vestitini qui mezzi Belle Époque che oggi sembrano casti ma all’epoca erano civettuoli e comodi, visti malissimo perché erano da giorno ma lunghi come da sera, avevano forme fuori dal canone e colori diversi da quelli flash del decennio precedente davano un’idea di ritorno alla natura, di ecologia, di rifiuto di un sistema di produzione industriale e capitalistica in serie
      Ad ogni modo pensare che il ‘68 fosse fatto da un lato di festival di hippie strafatti o dall’altro di donne che non volevano sedurre è una semplificazione inverosimile: il ‘68 è stato anzitutto un rifiuto dell’organizzazione capitalistica dei rapporti di produzione (cioè di un certo sistema del lavoro e della proprietà) che ha investito tutti gli aspetti della vita. É stato sconfitto ma il suo senso originariamente era questo, non la droga che infatti anche questa era venuta di moda prima, tra i beat, nella prima metà dei ‘60 (e comunque era sempre esistita) come la mini gonna.

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      1. blogdibarbara

        Aggiungerei che dalla metà degli anni Sessanta in poi è il periodo in cui si diffonde il motorino, e molte ragazze lo usano per andare a scuola o al lavoro, molto più comodo degli autobus affollati (con l’immancabile porcello di mezza età con la mano morta), e anche lui richiede un abbigliamento comodo.

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  3. Claudia

    Articolo carinissimo. Aggiungerei anche che esiste una “hemline theory” che collega la lunghezza delle gonne alla situazione economica della società. Non è uno scherzo!! È stata elaborata negli Stati Uniti ed in base a questa teoria più la gonna è corta, più l’economia va bene. Le gonne si accorciano negli anni ’20 quando la borsa era alle stelle. Poi si allungano negli anni 30 (con la grande depressione). Incerto il periodo 40-50 dove le gonne più corte erano dovute al razionamento dei tessuti e per reazione si ampliano negli anni 50 alla fine della guerra. Nel periodo del boom economico (anni 60) le gonne si accorciano come non mai e negli anni 70 (crisi economica e inflazione) si allungano. Negli anni 80 si accorciano di nuovo e da lì in poi situazione altalenante.

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  4. Dolcezze

    Nel vestitino folk ristretto e adattato x carnevale mi riconosco anch’io. Per il resto, mia madre è del 32 e nel 68 la sua unica trasgressione era la gonna AL GINOCCHIO (mai sotto) e, ma solo per stare in casa, i vestiti senza maniche. Per il resto, i caffetani e i lunghi vestiti informi sono molto attuali (io li definisco “modello Romina”) e svolgono l’encomiabile ruolo di coprire rotondità. Vestiti “alla collegiale” li ho portati anch’io, ma erano già gli anni ’80

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  5. Claudia

    Certo che dopo il 68/70 niente è stato più come prima nella moda. Sono spariti i cappelli e i guanti (tranne quelli con funzione anti freddo), ed il concetto di eleganza, artigianato e qualità ci ha pian piano salutato (parlando della moda in generale ovviamente).

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  6. Claudia

    A dimenticavo la finezza delle spalline del reggiseno in bella mostra e anche della fascia dietro lasciata completamente scoperta dalle magliette che lasciano la schiena nuda. Ieri al supermercato ne ho viste delle belle!

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      1. Elisabetta

        Io se dovessi farne una, metterei (nella kia intendo) anche le gonne trasparenti e ovviamente gli shorts inguinali…
        Ma questi sono grandi classici di tutte le epoche…..Adesso c’è la nuova frontiera… fasce senza spalline della larghezza di un reggiseno usate come pezzo sopra… e pantaloni con vita alta, pence e quant’altro per coprire ombelico ( va sempre conservato il pudore)..nella classifica metterei anche i costumi interi sgambati e ridotti sul sedere, quelli che vanno apposta fra le natiche per intenderci……..li ho visti spopolare in piscina fra le giovamissime. Poi anche la maglietta bianca con disegnato il senso e i capezzoli stilizzati…… oppure due fiorellini o stelline proprio lì… e i leggins di HM con stampe improponibili tipo gatti spaziali o dollari . Abbianti a magliette che arrivano in vita ovviamente.

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        1. blogdibarbara

          Una cosa che trovo assolutamente ridicola sono i vestiti (o gonne) cortissimi con sopra una roba lunga trasparente: vuoi mostrare le gambe, mostrale e falla finita. Vuoi coprirle pudicamente? Coprile sul serio.
          I costumi col filo interdentale veramente non si possono vedere. L’altra settimana al mare c’era una incintissima (le donne incinte con la pancia nuda in mostra le trovo una cosa orrenda), sicuramente otto mesi compiuti, col filo interdentale dietro, e davanti doveva avere sicuramente la depilazione integrale, perché se fosse rimasto anche solo mezzo centimetro sicuramente si sarebbe visto. Terribile.
          Poi aggiungerei i cosiddetti vestiti asimmetrici, cioè quelle robe sbilenche, tagliate male e cucite peggio, evidentemente disegnate da uno stilista misogino in preda a un attacco di emorroidi, che cascano da tutte le parti e fanno sembrare sciancata anche la modella più perfetta. E quelle specie di pantaloni con metri di stoffa e il cavallo all’altezza delle caviglie. Vabbè, fermiamoci qui.

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  7. Klaudija

    Elisabetta mi hai fatto ricordare quando mia figlia qualche giorno fa in un negozio di abbigliamento mi ha mostrato una cosa (che fortuna mia non voleva indossare). Io le ho risposto “che bella fascia per capelli” e lei ha replicato “Mamma, è una maglietta!”

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  8. Laurie

    interessante questa visione… però, guardando le foto di Woodstock e degli hippy, ho visto tanti vestiti così. forse, era un modo per esprimere informalità, nel senso di rifiuto del mondo “borghese”, fatto di vestiti più rigorosi, anche se magari più corti. ciò non toglie che alcuni vestiti anni ’60-’70 mi piacciano molto, e che potrei anche pensare di usarli.
    può essere che queste scelte della moda, involontariamente pudiche, delle ragazze hippy siano poi state accolte anche come proposta di moda per chi non volesse andare in giro con mini gonne, che si accorciavano sempre più fino a diventare veramente indecenti e imbarazzanti, senza neanche passare per bacchettone, visto che le usavano anche le femministe.
    per quanto riguarda le mini gonne, mi risulta che sono state inventate da Mary Quant negli anni ’60 e, in origine, erano proposte con calze coprenti (un po’ come i mini abiti di oggi con i leggins: un abbinamento che mi piace, anche se mai mi metterei in mini gonna con le gambe nude o metterei i leggins con una T-shirt!), poi sono arrivate le proposte di gonne lunghe, magari orientaleggianti o di seconda mano (altra cosa che mi piace, ma sempre nel “giusto contesto”). mentre i jeans e le ballerine/scarpe basse si usavano già prima, ma in casi/contesti particolarissimi: le ballerine erano per le adolescenti o per casa, i jeans per le scampagnate e nessuna adulta le avrebbe usate in altri casi, mentre poi sono stati sdoganati.
    tante di queste cose sono rimaste nella moda estiva, e le trovo piacevoli: un vestito lungo e orientaleggiante, per esempio, va bene per una festa, ma non è neanche un problema per entrare in una chiesa, oppure le classiche magliette tinte con i nodi possono essere un’opzione allegra, anche se (molto) casual, e penso che ci siano poche scarpe comode come le birkenstock… (quello che non farei mai, è vestirmi completamente come un hippy o in modo tutto orientale, ma un tocco qua e là è allegro, secondo me.)
    oramai, penso che ci si può veramente vestire come si vuole perchè, con quello che si vede in giro, tutto è ammissibile!

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