Ai tempi in cui Adamo ed Eva conversavano con gli animali

Avete presente quel vegetarianesimo di matrice cristiana, secondo il quale è sbagliato consumare carni e prodotti animali “perché Adamo ed Eva non li consumavano”?

Io non sono vegetariana e sorrido sempre un po’, di fronte a queste affermazioni… però, a ben vedere, questi hanno anche ragione. A leggere il primo capitolo della Genesi, non c’è spazio per ambiguità. Dopo aver creato il mondo, l’uomo e gli animali,

Dio disse: “Ecco, io vi do ogni sorta di graminacee produttrici di semente che sono sulla superficie di tutta la terra, e anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l’alito di vita, io do come nutrimento le erbe verdi.

Effettivamente, Gn 1, 29-30 ci dipinge un quadro in cui non solamente l’uomo è vegano, ma non esistono carnivori neppure tra gli animali. L’universo è così armonico e perfetto che tutto il creato vive in armonia in un letterale Paradiso Terrestre.

Passa il tempo, succede quel pasticciaccio del peccato originale e gli uomini vengono cacciati dall’Eden. La situazione si ribalta completamente.
Quella comunione idilliaca che vedeva il creato vivere in simbiosi s’è spezzata brutalmente, e l’uomo, d’ora in poi, dovrà coltivare (con fatica!) la terra, per procurarsi da mangiare. Ma non solo: quando Adamo ed Eva stanno per abbandonare il Paradiso terrestre, Dio li riveste di tuniche di pelliccia (Gn 3, 21). Ché uno magari non ci pensa, ma è un’affermazione grossa: Dio (mica Adamo: proprio Dio!) ha ammazzato degli animali per farne pellicce per l’uomo.

Che differenza lampante tra il prima e il dopo! Che divario enorme si viene a creare tra quell’umanità e quel mondo animale che, fino a pochi minuti prima, vivevano assieme in edenica armonia.

È questa osservazione ad aver generato, nei secoli, una curiosa credenza che riguarda il breve periodo in cui l’uomo e gli animali vissero assieme in armonia.
E cioè, la credenza per cui gli animali, un tempo, erano in grado di parlare con l’uomo.

Ne accenna Chiara Frugoni nel suo ottimo Uomini e animali nel Medioevo (ed. Il Mulino). E parte da una considerazione che è un dato di fatto incontrovertibile: almeno un animale parlante, prima della caduta, ce l’abbiamo per davvero, nel Libro della Genesi. Il serpente, che è indubbiamente un animale, non parla forse a Eva per convincerla a mangiare la mela?
E comunque, prima ancora di quel momento, se Adamo perde un mucchio di tempo a dare un nome a ogni singolo animale, dobbiamo come minimo immaginare che gli animali fossero quantomeno in grado di capire le parole del nostro progenitore. Sennò dovremmo pensare ad Adamo come a un pazzo che parlava da solo.

Tra uomini che parlano agli animali e animali che tentano a parole l’uomo, era più che ragionevole che nascesse la credenza di una sorta di lingua franca primigenia che anticamente accomunava tutto il creato. Ad esempio (ma è solo un esempio tra i molti), secondo il libro dei Giubilei, un apocrifo dell’Antico Testamento composto in area etiope, gli animali persero il dono della parola (o, alternativamente: l’uomo perse l’abilità di parlare con gli animali) in conseguenza del peccato originale:

In quel giorno, la bocca di tutte le fiere, degli animali e degli uccelli, di quelli che camminano e di quelli che si muovono, smise di parlare. Infatti, tutti loro, in precedenza, avevano parlato l’uno con l’altro, un sol labbro e una sola lingua.

In toni decisamente più coloriti, ripropone la stessa credenza anche Gioachino Belli nel suo Le bbestie der paradiso terrestre, ove scrive:

Prima d’Adamo, senza dubbio arcuno
er ceto de le bbestie de llà ffori
fascéveno una vita da siggnori
senza dipenne un cazzo da ggnisuno.

Ggnente cucchieri, ggnente cacciatori,
nò mmascelli, nò bbòtte, nò ddiggiuno…
E rriguardo ar parlà, pparlava oggnuno
come parleno adesso li dottori.

Secondo l’ironica ricostruzione di Belli, fu l’egoismo di Adamo, più che il peccato originale in sé, a determinare la frattura tra uomo e animali:

Venuto però Adamo a ffà er padrone,
ecchete l’archibbusci e la mazzola,
le carrozze e ’r zughillo der bastone.

E cquello è stato er primo tempo in cui
l’omo levò a le bbestie la parola
pe pparlà ssolo e avé rraggione lui.

finendo peraltro col tirarsi la zappa sui piedi:

E l’animali, a ttutte ste molestie,
de la nescessità, ccome noi dimo,
fasceveno vertú, ppovere bbestie.

Nun ce fu cch’er Zerpente, che, vvedute
tante tiranneríe, disse p’er primo:
«Mó vve bbuggero io, creste futtute».

Fatto sta che gli animali e l’uomo, per un breve periodo, avevano comunicato – o, quantomeno, così voleva la credenza popolare.
Una credenza che sembrava anche in grado di spiegare altri casi di miracolose chiacchierate uomo-bestia. Del resto, non è forse piena l’agiografia di santi che parlano agli animali, tipo san Francesco agli uccelli? Ecco: evidentemente, la particolare grazia di cui era ricolmo il santo gli aveva permesso di recuperare quella abilità perduta dai suoi progenitori.
Oppure ancora: non racconta forse la Bibbia di come Balaam avesse un’asinella la quale era in grado di parlare, lamentarsi per le percosse e mettersi in comunicazione con Dio e con gli angeli?
Embeh, questi esempi sono chiaramente la prova di come gli animali siano in grado di parlare, e di come l’uomo possa aspirare a comunicare con loro attraverso un profondo cammino di santità!
O almeno, così volevano la credenza e il folklore.

Di diverso avviso fu Dante, che, interrogatosi sul tema del De vulgari eloquentia, argomentò con una certa ragionevolezza che

agli animali di specie diverse, non solo non era necessario un linguaggio che li unisse, ma anzi, esso sarebbe stato per loro sommamente dannoso, dato che tra queste specie non doveva esserci alcun rapporto amichevole.
E se qui qualcuno, pensando al serpente che comunicò con la prima donna, o all’asina di Balaam, obietta che entrambi hanno parlato, rispondiamo questo: che sono stati l’angelo con l’una e il diavolo con l’altro ad operare in maniera tale che gli animali stessi mossero i loro organi in modo tale da far uscire fuori una serie di suoni articolati come un vero e proprio discorso. Ma l’atto dell’asina non fu nulla di diverso da un raglio, e quello del serpente fu null’altro che un sibilo.

È grossomodo all’epoca di Dante che la credenza, gradualmente, scompare – o, quantomeno, smette d’esser presa sul serio e analizzata come plausibile dagli studiosi. Perché in realtà rimane viva a lungo, almeno a livello popolare, come dimostrano peraltro i sonetti del Belli, composti un bel po’ di secoli dopo. Anche le fiabe per bambini, ad esempio, sono sempre state molto disinvolte nel mettere in scena animali e esseri umani a dialogare tra di loro. Ma non solo: qualcuno di voi potrebbe forse aver già sentito nominare l’antica credenza del centro e del nord-Europa, secondo la quale, nella notte di Natale, gli animali recuperano il dono della parola e iniziano a parlar tra di loro.
Grave sciagura sarebbe, per un uomo, ascoltare queste conversazioni – ché tutti quelli che l’hanno fatto, si sono sentiti profetizzare la loro stessa morte di lì a dodici mesi.
Ma non è un caso che sia proprio quella di Natale, la notte magica in cui tale prodigio può avere luogo. Nel momento in cui Dio torna a vivere con l’uomo per fare nuove tutte le cose: ecco, per un attimo il creato si ferma e torna indietro, e assapora per qualche istante l’armonia dolce dell’Eden.

9 risposte a "Ai tempi in cui Adamo ed Eva conversavano con gli animali"

  1. ago86

    Oggi si è molto premurosi e gentili con gli animali, spesso per nascondere l’avversione verso il prossimo e il disgusto verso l’umanità. A molti animalisti, visto quanto sono cattivi e incancreniti contro gli esseri umani, verrebbe da dire “sei fortunato che gli animali non parlano, altrimenti ti manderebbero al diavolo anche loro” – cit. tratta da un aneddoto di una mia amica.

    Al di là degli scherzi, fate caso ad una cosa: ciò che attira negli animali è sempre una qualche somiglianza con le persone. Intelligenza, affetto, “comprensione”, simpatia, etc. tutte caratteristiche umane. L’animalismo ha di fondo una grande umanizzazione dell’animale, spesso travisando la realtà del mondo animale.

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  2. Claudia

    Penso che in molti casi gli animali domestici abbiano ” sostituito” i bambini. A parte un caso molto triste di una mia conoscente che non è riuscita ad avere figli e ora si presenta come la “mamma di xxxx” (e xxxx è il cane), in generale vedo anche single o persone che non si sentono pronte per un fglio che umanizzano il cane o il gatto.

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    1. Lucia

      Molto vero.
      Io potrei anche citare il caso di una coppia di amici che non si sentono ancora pronti per un figlio perché desiderano godersi ancora un po’ la loro libertà e la loro dimensione di coppia (scelta rispettabilissima).
      Embeh, nel frattempo si son presi un cagnolino, per cui stravedono.
      Il fatto è che ‘sto cagnolino limita comunque molto “la loro libertà”, nel senso che la sera non vogliono fare tardi perché poi il cane rimasto a casa si spaventa e abbaia, in ferie non sono più liberi di scegliere le vacanze a caso perché hanno bisogno di trovare alberghi che accettino i cani ecc. ecc., a un certo punto il cagnetto si è ammalato in modo serio e loro hanno speso per curarlo una somma che secondo me è equivalente al budget da accantonare per i primi mesi di vita di un neonato…
      …e insomma, noi ogni tanto glielo diciamo pure, scherzando: calcolando che dicevano di non volere figli subito per potersi godere ancora un po’ di libertà, hanno scelto un modo ben liberticida per godersi questi ultimi anni di svago XD

      (Così eh, come pura constatazione. Ovvio che fare un figlio non è nemmeno paragonabile al prendersi un cane, e ovvio che una volta che il cane c’è devi giustamente occupartene nel migliore dei modi, pora bestia. Però mi fa sorridere l’accoppiata di “voglio ancora godermi la mia libertà e indipendenza” e di “mannaggia, sono le due di notte ma devo scendere a portar giù il cane sotto la pioggia” 😛 )

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  3. blogdibarbara

    Ahiahiahi signora Lucia, mi è caduta sulla mela! Nella Bibbia si parla unicamente di frutto, che non viene mai identificato.
    Vorrei, se mi è consentito, soffermarmi un momento sul comportamento di Adamo ed Eva quando vengono chiamati a rendere conto delle loro azioni. Eva, onestamente, dice: “Il serpente mi ha tentata e io ho mangiato”. E quel pirla di Adamo? Ah, io non so niente, è stata la donna, quella che Tu mi hai messo accanto – ricordatelo, sei stato Tu! – ha fatto tutto lei, è stata colpa sua… E da allora, niente è cambiato.

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  4. sircliges

    Molto interessante, metto qui una citazione da “I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili” di Andrea Moro:

    Attorno agli anni ’70 del secolo scorso, soprattutto negli Stati Uniti, si iniziò a sperimentare l’apprendimento del linguaggio umano sui primati. In alcuni gruppi di ricerca, come per esempio nei lavori di Gardners, Premack, Rumbaugh (citati nel lavoro di Terrace et al. 1979), ad alcuni scimpanzé vennero insegnate forme di linguaggi artificiali basate su piccoli oggetti colorati o sul linguaggio dei segni americano (ASL: cfr. Neidle et al. 1999). Chi ha mai letto articoli su questi esperimenti ricorderà i nomi di Washoe, Sarah, Lana, come « stelline » della scienza capaci di meravigliare, per quanto sostenevano i ricercatori, nell’apprendere il linguaggio umano. Forse il caso più famoso è però quello di Koko, una femmina di gorilla che avrebbe appreso più di 400 differenti « parole » dell’ASL. Apparentemente, dunque, il « trucco » di non basarsi sulla produzione sonora, per il quale i primati si trovano effettivamente in svantaggio anatomico, a favore di sistemi simbolici di altra natura, in particolare l’ASL, dava risultati incoraggianti a favore dell’ipotesi che anche i primati potessero manipolare simboli allo stesso livello di complessità degli esseri umani. Nel 1979, in un lavoro cui partecipò una studiosa canadese che ha dato anche recentemente contributi importanti proprio nello studio dell’ASL, Laura Petitto, quest’ipotesi fu approfondita in modo sistematico, con il risultato di scardinare di fatto la tesi per la quale il semplice fatto di non utilizzare suoni verbali renderebbe in grado i primati di utilizzare lo stesso linguaggio dell’uomo (si tratta del già citato Terrace et al. 1979). Non c’è da stupirsi se anticipo che il componente linguistico nel quale i primati falliscono in modo clamoroso è proprio la sintassi. Il gruppo di ricerca di Laura Petitto allevò, dall’età di due settimane fino a quattro anni, un cucciolo di scimpanzé, Neam Chimpsky (soprannominata poi, in un tentativo di rimediare all’ovvia « goliardata», solo «Nim»). Per quattro anni, Nim visse in una casa con una «famiglia» di esseri umani che parlavano tra loro usando solo l’ASL. Per quattro anni, i ricercatori registrarono meticolosamente ogni progresso di Nim. In poco tempo, Nim riuscì a imparare 125 parole diverse in ASL. I ricercatori furono molto scrupolosi nel catalogo. Una parola veniva ritenuta appresa solo se venivano soddisfatte due condizioni: prima, almeno tre « osservatori » (o membri della neo-famiglia di Nim) avevano indipendentemente registrato l’uso di tale parola; seconda, questa parola doveva essere utilizzata spontaneamente da Nim per i cinque giorni successivi alla prima volta in cui l’aveva utilizzata. Con questo criterio c’è poco da dubitare che il catalogo registrato dagli sperimentatori fosse ottimisticamente amplificato: Nim era dunque in grado di arrivare ad avere un vocabolario minimo in ASL. La sorpresa, rispetto alle troppo ottimistiche conclusioni dei ricercatori precedenti, venne dall’esame delle «frasi» di Nim, cioè dall’uso concatenato delle parole in ASL. I ricercatori trascrissero e filmarono quasi 20.000 frasi e sottoposero i dati a un serio vaglio statistico e linguistico. Innanzitutto, più della metà di questi enunciati erano « frasi » di due soli segni in ASL, il cui ordine non era predicibile (Nim poteva dire indifferentemente: mangiare banana o banana mangiare con esattamente lo stesso significato). Inoltre, nei casi di più di due segni, la « frase » conteneva spesso la semplice ripetizione di un elemento appena prodotto (banana mangiare banana) o addirittura la ripetizione della stessa sequenza (mangiare banana mangiare banana). Non solo: in nessun caso, quando la « frase » passava da due a più segni, la parola aggiunta aveva una funzione strutturale. Mi spiego. Laura Petitto usa un esempio molto chiaro in inglese. Un bambino inglese che dica sit daddy chair (sedere papà sedia) nella stragrande maggioranza dei casi con l’aggiunta di daddy (papà) vuole specificare che la sedia è di papà. Si tratta di tutt’altro che una semplice giustapposizione di parole! L’aggiunta tra sit e chair della parola daddy ha una precisa funzione strutturale: specifica l’appartenenza di un oggetto a una persona, come poi l’adulto farà, dopo aver appreso per bene la morfologia inglese quando dice sit on daddy’s chair (sedere sopra la sedia di papà), utilizzando quello che per chi conosce i rudimenti della grammatica inglese si chiama « genitivo sassone » manifestato dal morfema -s aggiunto alla parola daddy. Possiamo invece immaginare che se il bambino avesse pronunciato le tre parole in un ordine diverso, come per esempio daddy sit chair, avrebbe verosimilmente voluto dire una cosa affatto diversa, cioè che papà si siede sulla sedia. L’ordine delle parole – la sintassi – conta dunque in modo decisivo. In sintesi, non solo le « frasi » di due segni non avevano struttura, ma aumentando il numero dei segni, Nim non dimostrava di voler arricchire le strutture più semplici: era solo in grado di produrre catene slegate di segni. Come se, ammettendo per ipotesi che Nim fosse riuscita a pronunciare le due frasi, daddy sit chair e sit daddy chair volessero dire esattamente la stessa cosa. Le differenze di Nim rispetto a un bambino non si fermano qua. A circa 26 mesi, la lunghezza media di produzione delle frasi di alcuni bambini che vennero coinvolti nell’esperimento si sovrapponeva più o meno a quella di Nim (per brevità non riporto il metodo utilizzato per calcolare la lunghezza media); a 52 mesi Nim era ferma, mentre i bambini producevano frasi 8 volte più lunghe. Infine, ultimo dato, una differenza sostanziale tra Nim e i bambini venne osservata: nel 71 per cento dei casi Nim parlava simultaneamente all’interlocutore, mentre i bambini imparano prestissimo a capire che parlare è un « gioco » nel quale si fa a turno: uno parla e l’altro ascolta (il che la dice lunga sul comportamento di certi adulti umani, ma questa è un’altra storia). Inoltre, in moltissimi casi, Nim semplicemente imitava l’interlocutore, non produceva segni autonomi. In sintesi, con questo elegante esperimento Laura Petitto e i suoi colleghi mostrarono chiaramente che, sebbene l’uso dell’ASL possa facilitare l’apprendimento di singole parole in un primate, come il cucciolo di scimpanzé Nim, non si può nemmeno lontanamente comparare la sintassi di uno scimpanzé con quella di un bambino che apprende la lingua madre, e tantomeno di un adulto: gli scimpanzé non arrivano mai allo stesso livello finale cui arriva un essere umano. La ricchezza della sintassi del codice linguistico rimane, dunque, un fatto caratteristico della nostra specie: l’Homo grammaticalis, se così possiamo chiamarlo, è in fondo la prova di un anello mancante nella scala evolutiva o, più semplicemente, un punto isolato.

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    1. blogdibarbara

      Esattamente come il pappagallo può imparare Maria è bella e Francesca è simpatica, ma con questi pezzi non riuscirà mai a costruire Francesca è bella e Maria è simpatica.
      Sulla questione dell’anello mancante Tom Wolfe ha costruito il suo meraviglioso “Il regno della parola”, un gioiello tutto da godere.

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  5. mikahel369

    I testi sacri devono essere interpretati, e ci vogliono fior fior di teologi, ma nun se trovino.
    Comunque, intanto la Genesi che lei ha letto è tradotta in Italiano? No perchè dal diventare una cosa in altra ci vuole poco, nemmeno l’originale è più originale, figuriamoci.
    Poi c’è da comprendere almeno un paio di cose. Quando Adamo ed Eva vengono separati ed inviati in Terra, a loro viene destinata un anima (il cuore o i sensi) un corpo (di terra) ed una psiche (coscienza), di queste 3 cose, i sensi ovvero l’ego hanno il corrispettivo di un animale, per cui il rivestirli potrebbe (forse, chissà) voler dire questo, Dio riveste i loro sensi con attributi ANIMAleschi.
    Poi il discorso che gli animali erano vegetariani, e lo sono rimasti, è nell’eden celeste, quello terrestre [una brutta copia] li ha fatti divenire nemici gli uni degli altri.
    Non è così semplice la parola sacra, ma con le dovute maniere… si comprende qualche cosa.
    Mi permetta di invitarla a dare un’occhiata a qualche cosa che ho scritto… in forma più semplificata della sua però.
    Comunque il suo articolo per come è scritto ed i vari collegamenti è gradevole, mi è piaciuto.

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    1. mikahel369

      Ah, ho dimenticato “la parola”, non è la bocca degli animali che parla, ne l’uomo parla agli animali con la sua bocca, e nemmeno gli oggetti parlano con la bocca, tantopiù che non ne hanno. Eppure anche un sasso, con la dovuta dose energetica … un bel redbull spirituale, e lo sentirà parlare.

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