Perché i cristiani non sono tutti ambientalisti?

Quanti cattolici conoscete, che siano anche degli ambientalisti? Ma ambientalisti seri, dico: di quelli che realmente si interessano (e magari parlano) di ecologia.
Non so voi, ma io personalmente ne conosco tre. Per contro, navigare tra le bacheche social dei cattolici rivela spesso una acrimonia nei confronti dell’ambientalismo che ha del sorprendente, con una Greta Thunberg che, a tratti, sembra essere invisa alla cristianità quanto e più di Emma Bonino.

È una cosa che non mi spiego. E, a questo punto, sarà bene precisare che io non mi definirei una ambientalista particolarmente sfegatata o hardcore. Ma, se ognuno di noi può legittimamente decidere a che punto piazzare i temi ambientali all’interno della sua personale scala di priorità, resta il fatto che di fronte a certe battute tra lo scettico e l’irrisorio, sembra di assistere non non tanto a una varietà di diverse sensibilità sul tema, ma proprio a una bizzarra dissociazione di massa rispetto a quanto predica la Chiesa a suon di encicliche e di “giornate per la custodia del creato”.

Ma allora, perché tutto questo tepore da parte dei credenti?
Perché l’ecologia è diventata appannaggio di fricchettoni new-age e attivisti radicali, mentre le brave famigliole borghesi guardano con una certa irrisione agli incarti plastic free?

Una risposta che m’è parsa interessantissima l’ha fornita Norman Wirzba, docente di Teologia Cristiana presso la Duke Divinity School e autore di numerose opere dedicate al tema dell’ecologia. Nel suo The Paradise of God – Renewing Religion in an Ecological Age, Wirzba si pone il mio stesso interrogativo e tenta anche di darsi una risposta. Secondo la sua tesi, il distacco che molti cristiani del 2000 provano nei confronti dell’ecologia non dipende dal fatto di essere cristiani; dipende dal fatto di essere uomini del 2000. E cioè, uomini che vivono immersi in una cultura che “ha completamente eroso le basi pratiche e teoretiche che sono necessarie all’uomo per fargli percepire il mondo come creazione”.

Wirzba ritiene che questa erosione abbia avuto luogo, sotto molteplici livelli, nel corso degli ultimi secoli di Storia (grossomodo, dalla fine del Medioevo). Sia chiaro: l’autore non critica gli ultimi secoli di Storia. Scorrendo questo articolo, vedrete salire sul banco degli imputati elementi come “il metodo scientifico” e “il progresso tecnologico”, cose che sarebbe folle definire negative. E infatti, Wirzba non le definisce negative in sé, ma sostiene che questi cambiamenti socio-culturali abbiano modificato profondissimamente la nostra percezione del mondo. Puro e semplice.

Ovviamente,

il mondo fisico non è diverso rispetto a come era all’inizio dei tempi. […] A essere stata pesantemente alterata è la cornice, e cioè i termini con cui noi percepiamo il mondo e vi ci approcciamo. Filosoficamente, la nostra percezione dell’uomo come quella di un essere facente parte del creato […] è mutata profondamente nel corso dell’età moderna, allontanandosi, in modo deciso, dalla visione dell’uomo così come emergeva dalle Sacre Scritture.

Quando, come, e soprattutto perché?
Wirzba elenca quelli che secondo lui sono stati i cinque momenti-chiave di questa rivoluzione.
(E suggerisco di leggerli uno per volta, perché ‘sto articolo è più lungo della Quaresima)

1) Il rigetto dell’interpretazione allegorica delle Scritture

Adesso penserete che Wirzba si droghi, ma invece ha le sue ragioni.
L’allegoria – ben lungi dall’essere solo una figura retorica utile a spiegare con parole semplici concetti troppo complessi – aveva originariamente uno scopo ben preciso, che era quello di

ricordare al lettore che il significato di un passo biblico non è limitato al testo scritto: il testo scritto si rispecchia nelle realtà del mondo che ci circonda, le quali sono esse stesse segni o simboli di un mondo superiore che noi non vediamo.
L’interpretazione allegorica rifletteva una mentalità secondo cui il testo sacro, il mondo creato e infine Dio formavano un unico “tutto”, attraverso cui poteva circolare un messaggio.

In un certo senso, dice Wirzba, la Chiesa medievale basava il suo insegnamento non solo sul libro sacro, ma anche sul cosiddetto “libro della natura”, nel quale ogni singolo elemento del creato era (e doveva essere letto come) espressione della volontà di Dio.
Per dirla con le parole di Ireneo: “dove vi è Dio, non vi è nulla che sia privo di scopo o di significato”.
O, se preferite, diciamola con le parole del proverbio: “non si muove foglia che Dio non voglia”.
Per l’uomo antico e medievale, insomma, la natura non era un semplice insieme di elementi inseriti in un ecosistema, ma era innanzi tutto e sopra tutto creazione, voluta e mossa da Dio per un suo insondabile scopo.

Con l’avvento della scienza moderna, la cultura si discosta brutalmente da questo approccio.
Accantonati i presunti significati divini dei fatti di natura, la scienza inizia a indagarli con metodo razionale. Secondo Galileo, il linguaggio nella natura “è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche”. Il creato non è più uno strumento da studiare per avvicinarsi a Dio – è un insieme di cose, con un loro meccanismo di funzionamento che può essere pienamente compreso e indagato da una mente razionale. L’esistenza di Dio non viene negata; viene però negato che sia indispensabile pensare a Dio per comprendere – che ne so – la fotosintesi clorofilliana.

Lo sviluppo del pensiero scientifico ha avuto come effetto quello di disallineare il libro della natura e il libro delle scritture.
Come sottolinea [lo storico] Peter Harrison, senza la separazione tra testo sacro e mondo creato resa possibile dal rigetto dell’interpretazione allegorica, lo sviluppo della scienza moderna sarebbe probabilmente stato molto più lento. Ed è abbastanza curioso notare come il rifiuto della lettura allegorica non sia sorto a causa di un attacco secolare agli insegnamenti della Chiesa, ma abbia preso piede a causa degli sforzi dei riformatori protestanti per ristabilire l’autorità della sola Scriptura.

In questa visione del mondo, Dio diventa sempre più una entità infinitamente altra, totalmente misteriosa, inconoscibile e impredicibile, il cui dominio è quello del soprannaturale. Dio esiste (se esiste) al di là del tempo e dello spazio: ha ben poco a che vedere con l’acquazzone che sta imperversando mentre scrivo, e comunque di sicuro non sta cercando di comunicarmi nulla attraverso il fulmine abbattutosi sul parafulmine del mio vicino.

Se prima l’uomo percepiva se stesso come parte inscindibile di un più ampio progetto di creazione, la rivoluzione scientifica fa sì che l’uomo inizi a percepirsi per la prima volta come un individuo indipendente e autonomo, che, con l’ausilio della scienza e della tecnologia, può governare tutto il resto del creato.

2) L’urbanizzazione delle masse e la scomparsa della vita agraria

Nel corso degli ultimi due secoli, la maggior parte della popolazione mondiale ha abbandonato le campagne per trasferirsi all’interno di un centro urbano. Secondo Wirzba (…e direi che non ci va un genio per giungere alle stesse conclusioni) questo profondo cambiamento nel nostro stile di vita ha fatto sì che l’uomo perdesse gradualmente la percezione di se stesso come essere inserito nella natura, da essa strettamente dipendente.

Sperimentare quotidianamente sulla propria pelle quanto la nostra stessa vita sia alla costante mercé del tempo atmosferico, delle carestie, delle malattie e delle invasioni di animali nocivi vuol dire coltivare un realismo (talvolta tragico) che ci mette a contatto col concetto che davvero non è l’uomo ad essere il centro del mondo.

Per quanto i contadini di un tempo potessero essere diligenti nel preparare il terreno, piantare le sementi ed estirpare le erbe infestanti, era molto chiaro che non erano loro a determinare la crescita del seme. Si comprendeva bene che il potere sulla vita era completamente al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dell’uomo

(e infatti bastava una gelata o una estate insolitamente calda a decretare la morte di un intero raccolto).

Per contro, la vita urbana, e cioè all’interno di un mondo artificiale che è stato interamente creato dall’uomo, ingenera l’illusione di essere noi stessi gli artefici del nostro destino.

La vita in città, essendo plasmata per riflettere i nostri successi e le nostre aspirazioni, tende a rendere sempre più difficile il percepire la nostra esistenza come grazia. […]
Per citare il sociologo Anthony Giddens, la modernità ha trasformato le relazioni spazio / tempo. La vita moderna è caratterizzata da quella che lui definisce una dis-embeddedness, e cioè un graduale distacco dalla comunità e dal territorio, cui fa seguito la sostituzione di questi legami con un sistema di valori più astratti e impersonali, quali la scienza, la tecnologia e il libero mercato.

3) Lo sviluppo tecnologico sempre più imponente

Spesso si tende a sottovalutare il potere profondissimo che le nuove tecnologie hanno nello scolpire e modificare una società.
Pensiamo ad esempio al telescopio, dice Wirzba. La sua invenzione ha reso possibili osservazioni e misurazioni che hanno condotto alla scoperta che la terra non è il centro dell’universo. Al di là delle conseguenze dirompenti che questa consapevolezza ha avuto sul piano scientifico, non meno dirompenti sono state le sue conseguenze sul piano psicologico e ontologico. L’umanità è stata costretta a riflettere pesantemente sul suo ruolo all’interno dell’universo. Non è stata solo una questione di vedere il mondo in termini scientificamente più corretti. È proprio cambiato il modo di vedere il mondo.
Embeh: se tutto ‘sto macello l’ha fatto una singola invenzione, pensiamo a quanto sia dirompente sulle nostre menti lo sviluppo tecnologico sempre più marcato.

Facendo un discorso globale, si può dire che dietro alla ricerca di nuove tecnologie ci sia sempre il desiderio umano di controllare la natura. Ogni invenzione sottende, sotto sotto, una certa insofferenza verso la natura così com’è, animata dalla convinzione che la natura così com’è sia inospitale e inadatta al prosperare del genere umano. Per dirla con le parole di Francis Bacon, lo scopo della tecnologia è “avvincere la natura al servizio dell’uomo e farne la sua schiava”.

Ma allora, possiamo forse dire che la tecnologia mette l’uomo nelle condizioni di abbandonare il ruolo avuto da Adamo come custode del creato, dandogli la possibilità di sostituirsi a Dio? Se vogliamo essere provocatori, la ricerca tecnologica non presuppone forse “la convinzione che le imperfezioni presenti nella creazione divina possano essere corrette dall’umanità?”.

Sembra una critica al progresso tecnologico, ma ovviamente non lo è: sarebbe folle. Eppure, è pur vero che ogni singola invenzione che facilita la nostra vita rendendo meno dure le asperità del mondo (ogni singolo condizionatore che accendiamo quando fuori ci sono 35 gradi; ogni singolo treno AV che ci porta dall’altra parte di una montagna mentre noi stiamo comodamente seduti sulla poltroncina)… ecco: è pur vero, che ogni singola innovazione contribuisce a farci perdere sempre più la consapevolezza di noi come esseri infinitamente piccoli, infinitamente alla mercé dell’universo.
Ormai dobbiamo fare uno sforzo razionale per continuare a percepirci tali, perché tutto il mondo che ci circonda sembrerebbe davvero dire il contrario.

4) La nascita di una cultura globale astratta

Una volta, esistevano tante piccole società locali che tenevano in grande considerazione la loro cultura, intesa come legame fisico col territorio di appartenenza e come legame storico con le tradizioni del luogo.
Ecco: questa culturale, fatta di storia e di concretezza, è ormai morta, lasciando spazio a una cultura globale che toglie l’uomo dal contesto socio-culturale in cui è cresciuto, per innalzarlo a contemplare una scala di valori astratti che ci si dice debbano essere universali (la felicità, il successo economico, l’affermazione personale…).

Questa astrazione è indubbiamente facilitata dal fatto che, molto spesso, l’uomo moderno si allontana anche fisicamente dalla sua terra natia, in una situazione di eterno nomadismo alla ricerca del contratto migliore. Non parliamo poi delle distanze che l’uomo moderno tende a frapporre tra se stesso e il passato: lo vuole il progresso!, il passato è arretrato!
Come se non bastasse, sempre più spesso la realtà con cui ci interfacciamo è composta non da persone in carne e ossa ma da stringhe di bytes che viaggiano da un capo all’altro del pianeta mettendo in connessione individui che interagiscono attraverso uno schermo.

Si potrebbero citare tanti esempi di come questo stato di cose abbia modificato la nostra società, ma limitiamoci all’esempio lampante dei mutamenti insorti nel mondo del lavoro:

Se facciamo il paragone con la vita economica di una società tradizionale, che ruotava attorno alla cascina e in cui tutti i lavoratori svolgevano una serie di compiti interdipendenti tra di loro […] l’iper-specializzazione [e l’astrazione] delle nostre carriere ha completamente rotto l’interconnessione tra noi e il resto del mondo, che pure vigeva un tempo.

Qui però sorge effettivamente un problema: e cioè che una economia (e, più in generale, una cultura) che è ormai completamente astratta, scollegata dalla natura e dalla fisicità di un oggetto o luogo, rischia inevitabilmente di promuovere tra i suoi membri una crescente una deresponsabilizzazione.

Ad esempio, se domani mattina, dall’altra parte del mondo, una industria inquina una falda acquifera rilasciando nell’ambiente residui chimici nocivi, chi è che dovrebbe considerarsi moralmente responsabile del danno ambientale che sta avendo luogo?

Certamente non la S.p.A. in sé, che è composta da un insieme di azionisti che non hanno mai neanche visto il residuo chimico, né men che meno dovranno convivere con i suoi effetti.
Ma non sono responsabili nemmeno i dipendenti della società che lavorano nello specifico stabilimento che ha rilasciato le sostanze tossiche: dopotutto, sono solo dei dipendenti.
E così, le popolazioni locali che si trovano alle prese con una falda acquifera inquinata sono adesso in grave difficoltà: non hanno alcun tipo di contatto con la compagnia che ha causato l’inquinamento, e la compagnia non avverte alcun tipo di legame verso di loro.

Viviamo in un mondo così bizzarro, in cui vige una cultura così astratta e disincarnata, che, per assurdo,

le persone possono anche avere la consapevolezza astratta del fatto che l’ambiente è in pericolo e le risorse energetiche si stanno esaurendo (o che gli anziani stanno morendo abbandonati in una casa di riposo e le nuove generazioni stanno crescendo sempre più ciniche e affettivamente sregolate) ma possono anche, al tempo stesso, decidere di non preoccuparsene.
In fin dei conti, come possiamo realmente provare preoccupazione per ciò che non comprendiamo o che è completamente avulso da quanto sperimentiamo nella nostra vita quotidiana?

5) La crescente irrilevanza di Dio nella nostra quotidianità

Ma “probabilmente, il più grande ostacolo che ci impedisce di tornare a percepire il mondo come creazione è la crescente irrilevanza che Dio ha nelle nostre vite”.

Ci mancherebbe!, di credenti ce ne sono ancora tanti. È pieno il mondo di brava gente che prega, recita il rosario, snocciola litanie, impara a memoria passi biblici, scrive articoli ispirazionali su blog cristiani e così via. Ma, a detta di Wirzba, “nella maggior parte dei casi sono parole forzate, ornamentali e vuote, perché nella nostra vita quotidiana resta ben poco a sostenere quanto noi diciamo”.
E state attenti: Wirzba non ci sta dando degli ipocriti; sta tratteggiando quello che secondo lui è un puro dato di fatto. Noi possiamo senz’altro proclamare con orgoglio e sincerità che Dio è un elemento centrale nelle nostre vite, e, al tempo stesso

non renderci che questa affermazione è falsa.
Ciò è possibile perché sono quasi completamente scomparse dalle nostre vite quelle condizioni che permettevano all’uomo di percepire davvero, con profondità e in modo schiacciante, di essere costantemente alla presenza di Dio.

Se, nel passato, l’uomo tendeva a organizzare la sua vita avendo come priorità assoluta la salvezza per la propria anima, è innegabile che adesso la nostra priorità n. 1 sia quella di avere abbastanza soldi per non essere sfrattati.
Ormai da tempo, l’uomo ha smesso di plasmare la sua vita quotidiana attorno alla pratica religiosa; semmai è la pratica religiosa ad essere plasmata in modo tale che possa svolgersi negli intervalli di tempo lasciati liberi dalle altre incombenze. Per capirci: nessuno di noi entra in ritardo al lavoro perché prima deve finire di recitare le Lodi; le Lodi le recitiamo nei ritagli di tempo, e pazienza se è l’ora sbagliata. Non c’è ovviamente nulla di male, ma sta di fatto che una volta accadeva il contrario, perché una volta vivevamo immersi in una cultura cristiana e adesso non lo siamo più.
E infatti, non è un caso se coloro che cercano una vita religiosa integrale, “una vita basata sull’autorità divina più che sulla autonomia dell’uomo”, si trovano sempre più spesso a prendere posizioni fortemente contro-culturali, talvolta anche irrigidendosi in rigurgiti di rigorismo. È inevitabile, se la cultura in cui si è immersi si allontana così tanto dalla pratica religiosa.

Un tempo – come giustamente sottolinea Wirzba – Dio era quotidianamente presente nelle nostre vite, come una presenza così ingombrante da essere quasi tangibile. Immagini religiose all’angolo di ogni crocicchio, un calendario lavorativo plasmato su quello liturgico, riti pubblici che scandivano il passare del tempo e una foresta di allegorie e di simboli attraverso i quali Dio parlava all’uomo quotidianamente: tutto questo rendeva materialmente impossibile dimenticare, anche per un solo istante, che Dio esiste e governa il mondo.
Adesso, siamo noi a dover graziosamente far spazio a Dio per permettergli di entrare nella nostra quotidianità. Anche se ci si professa (e ci si sente) (e si è!) cristiani praticanti, è perfettamente possibile vivere l’intera giornata lavorativa “dimenticandosi” che Dio ci guarda. Certamente i credenti sanno che Dio esiste, e lo amano con sincera devozione, ma al tempo stesso questa consapevolezza è fortemente astratta. Gira e rigira, la vita quotidiana di un credente ruota attorno a un tran tran che è sostanzialmente identico a quello di chi in Dio non crede affatto.

Ma se l’esperienza religiosa diventa un fatto astratto e interamente teologico, con poche attinenze con la nostra quotidianità, allora si fa sempre più difficile guardare al mondo che ci circonda e considerarlo un’espressione della potenza divina.
Più che altro, oggigiorno rimangono pochi posti al mondo in cui, guardandosi attorno, non si percepisca la potenza dell’uomo (lodevolissima, per carità), che crea autostrade in mezzo ai monti, scala le vette in uno schiocco di dita salendo su una funivia e solca i mari con gigantesche navi d’acciaio. Se una volta il salmista poteva cantare che “i cieli narrano la gloria di Dio”, oggi noi potremmo onestamente dire la stessa cosa? Magari in prossimità di un aeroporto? Perché, non so a voi, ma a me un aereo che vola fa pensare innanzi tutto al lodevole ingegno dell’uomo.

***

E insomma: secondo la tesi di Norman Wirzba, sono queste le cinque ragioni per cui noi cristiani moderni fatichiamo a concepirci come i custodi del creato, a differenza dei nostri trisavoli. Per noi, la natura è essenzialmente uno strumento da aggiogare e far fruttare;  ci risulta sempre più difficile percepirla come creazione, dono e grazia. Il modello socio-culturale che, per secoli, ci ha aiutati a considerarla tale è stato sistematicamente messo in crisi, e poi negato, dai trend culturali divenuti dominanti negli ultimi secoli di Storia umana.

Non che siano trend culturali negativi in sé, per carità. Sono solo trend culturali diversi. E hanno cambiato profondamente il modo con cui percepiamo noi stessi, il mondo, e il ruolo di noi stessi nel mondo. Sono proprio venuti meno i presupposti pratici e teorici attraverso cui l’uomo, per secoli, ha ottemperato al comandamento di coltivare e custodire il creato.

Nulla di grave, per carità. È normale che i tempi cambino; ci si adatta.
Basterà individuare altre modalità pratiche e teoriche attraverso cui il cristiano possa riprendere consapevolezza di quel comandamento, il primo che Dio gli ha dato.

62 risposte a "Perché i cristiani non sono tutti ambientalisti?"

  1. Celia

    Tutto sacrosanto e lo sottoscrivo.
    Ma, a mio avviso, più ancora della scristianizzazione della società il danno lo fa una certa rigidità la quale, stante che per un credente l’uomo è distinto e “superiore” alla natura – animali compresi – proprio in quanto custode della stessa, guardano di malanimo ambientalismo ed animalismo convinti che siano sinonimo di riduzione dell’umano alla pura animalità.

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    1. Lucia

      …o di un tentativo di innalzare l’animalità al di sopra dell’uomo, addirittura.

      Verissimo!
      Secondo me i due fenomeni sono collegati, e la scristianizzazione della società è stato il presupposto per il secondo. Come commentava su Facebook sotto a questo post una lettrice, “abbiamo lasciato fette importanti di cultura ad altre egemonie”. Nel momento in cui la cristianità ha tolto la cura del creato dalla top ten delle sue priorità, per così dire, la causa ambientale è stata “rilevata” da altri.
      E posso capire che, adesso, avere a che fare con l’ambientalista-medio possa effettivamente essere respingente per un cristiano, perché in effetti è vero che (ad esempio) navigando sui siti green e nowaste leggi cose tipo “l’essere umano meriterebbe l’estinzione”, “gli animali sono meglio di noi”.
      Cose che, ovviamente, un cristiano non può non considerare aberranti.

      Secondo me, le due cose ben si accompagnano.
      Quelli che ha elencato Wirzba sono i presupposti culturali che hanno permesso la frattura.
      Quello che dici tu è lo scenario attuale che ne consegue.

      Cioè: l’ambientalismo alla Greenpeace non piace neanche a me. Il problema è che questo in molti casi è (o viene percepito come) l’unico tipo di ambientalismo.

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  2. sircliges

    Il modello di saggezza su questo argomento resta sempre il caro Benedetto XVI

    http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html#_ftnref115

    La natura è espressione di un disegno di amore e di verità. Essa ci precede e ci è donata da Dio come ambiente di vita. Ci parla del Creatore e del suo amore per l’umanità. È destinata ad essere « ricapitolata » in Cristo alla fine dei tempi (cfr Ef 1, 9-10; Col 1, 19-20). Anch’essa, quindi, è una « vocazione ». La natura è a nostra disposizione non come « un mucchio di rifiuti sparsi a caso », bensì come un dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per “custodirla e coltivarla”. Ma bisogna anche sottolineare che è contrario al vero sviluppo considerare la natura più importante della stessa persona umana. Questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo: dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l’uomo. Peraltro, bisogna anche rifiutare la posizione contraria, che mira alla sua completa tecnicizzazione, perché l’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte. Ridurre completamente la natura ad un insieme di semplici dati di fatto finisce per essere fonte di violenza nei confronti dell’ambiente e addirittura per motivare azioni irrispettose verso la stessa natura dell’uomo. Questa, in quanto costituita non solo di materia ma anche di spirito e, come tale, essendo ricca di significati e di fini trascendenti da raggiungere, ha un carattere normativo anche per la cultura. L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale.

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  3. sircliges

    🤔
    Ho qualche perplessità sul punto 1, dove scrive:

    «Accantonati i presunti significati divini dei fatti di natura, la scienza inizia a indagarli con metodo razionale. Secondo Galileo, il linguaggio nella natura “è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche”. Il creato non è più uno strumento da studiare per avvicinarsi a Dio – è un insieme di cose, con un loro meccanismo di funzionamento che può essere pienamente compreso e indagato da una mente razionale. L’esistenza di Dio non viene negata; viene però negato che sia indispensabile pensare a Dio per comprendere – che ne so – la fotosintesi clorofilliana.»

    Non sono sicuro che le due cose fossero pensate come per forza separate – studiare il creato come teofania OPPURE studiare il creato come meccanismo di cui capire il funzionamento. Lo stesso Galileo quando parla dei due libri divini (il creato e la Bibbia) non li considera come contrapposti bensì come complementari.

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    1. Lucia

      No beh ma aspetta: spero di non essere stata troppo fraintendibile, ma né io né Wirzba stiamo dicendo che la scienza moderna nasce con lo scopo dichiarato di contrastare, o anche solo prendere le distanze dalla visione religiosa.
      Provo a spiegare meglio così. Prendi la famosa fotografia che ha fatto il giro del mondo, del fulmine che si abbatte sulla cupola di San Pietro la sera del giorno in cui papa Ratzinger ha abdicato.

      Adesso, tu pensa di essere un uomo antico che
      a) non ha la più pallida idea di cosa sia e come si formi un fulmine, può solo prendere atto che è un fenomeno che esiste in natura;
      b) è profondamente convinto (ma convintissimo proprio) che i fulmini siano uno dei modi in cui Dio comunica con l’umanità, trasmettendo messaggi all’uomo.

      Il papa si dimette e quella sera stessa un fulmine si abbatte sulla cupola di san Pietro: oh wow, è chiaro che Iddio ha voluto comunicarci qualcosa con quel suo gesto!, e ti tremano pure le ginocchia a contemplare l’incredibile potenza di Dio che si manifesta all’uomo in un modo così evidente e chiaro.

      Intanto mentre sei lì a cercare di non cadere in terra tramortito dall’emozione ti arriva uno scienziato che dice “no regà, guardate che non è un miracolo o ‘na roba strana, i fulmini sono un fenomeno naturale legato all’elettricità atmosferica, che si ha in certe condizioni tra due corpi con elevata differenza di potenziale elettrico. Si è formato perché qui sopra c’è una supercella temporalesca che peraltro era stata ampiamente prevista dai metereologi, e s’è abbattuto sulla cupola per l’unica ragione che l’anno scorso ci ho fatto installare sopra un parafulmine, sapete cos’è un parafulmine? Guardate, è questa roba qua, adesso la pianto per terra e vi faccio vedere”, e prima ancora che lo scienziato abbia finito di spiegarti attraverso quale tecnologia il parafulmine è in grado di attirare i fulmini, ecco che una saetta gli si abbatte sopra come preannunciato.

      Lo scienziato mica ha negato l’esistenza di Dio o si è messo in polemica con la religione.
      Giustamente, ha spiegato che c’è una motivazione razionale per cui il fulmine si è formato e si è abbattuto proprio sul cupolone e non 10 metri più in là.
      Però capisci che così facendo ti ha “tolto la poesia”, per così dire. Quello che prima era un fenomeno inspiegabile e impredicibile, adesso viene spiegato e predetto. In un mondo in cui la scienza è perfettamente in grado di spiegare, predire e dominare i fenomeni naturali, è difficile guardare al mondo come a un mistero sapientemente mosso dalle mani di Dio.

      Ovviamente non è ‘na roba che è successa dalla mattina alla sera, è stato un fenomeno lento e graduale durato secoli. Ma da quando la scienza ha incominciato a indagare la natura su basi razionali, il modo di guardare alla natura è cambiato profondissimamente – pian piano.

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    2. Lucia

      Ah, postilla.

      Per restare sempre sull’esempio del fulmine: se fino a due minuti prima facevi fatica a trattenere le lacrime di commozione per la riconoscenza di aver potuto assistere a una manifestazione divina così forte, così potente, così inequivocabile, una di quelle che potrai raccontare da anziano ai tuoi nipoti per poi goderti la loro incredulità,

      quando arriva lo scienziato, rimani un attimo interdetto. Quindi era un fenomeno normale, magari riproducibile in laboratorio? Ohibò.

      Ti viene il dubbio che in effetti Dio non c’entri proprio un tubo con ‘sto fulmine, e che anzi stia “guardando da tutt’altra parte” mostrando pure un certo disinteresse verso quella minuzia terrena dell’abdicazione del papa. Pian piano, viene derubricato a “commovente coincidenza” anche l’arcobaleno apparso alle spalle del papa tedesco durante la sua visita ad Auschwitz, o il vento che sfoglia e poi fa chiudere il Vangelo sulla cassa da morto di Wojtyla al suo funerale.

      (Cito tutti fatti realmente accaduti proprio per fare l’esempio di episodi che noi ricordiamo con un mezzo sorriso, ma che penso che non ci abbiano fatti crollare in ginocchio a terra tramortiti dalla potenza con cui si manifestava davanti a noi la potenza celeste. Ecco, un uomo medievale sarebbe crollato in ginocchio tramortito 😉 )

      Penso a episodi come questo, quando dico che una volta l’uomo viveva in un mondo in cui la presenza di Dio era costantemente presente e il Signore “parlava” costantemente ai suoi fedeli. Pian piano, Dio è diventato qualcosa di “infinitamente altro” che se ne sta nell’alto dei cieli e tutt’al più ci guarda dall’alto in basso, ma con discrezione e senza farsi notare.
      Come appunto dice Wirzba nel punto 5 🙂

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  4. Klaudija

    Che articolo ben fatto! Mi ha commossa per la sua analisi precisa e puntuale. Aggiungo che secondo me, molte persone che sentono il “vuoto lasciato dalla religione” (citando Allison Pearson nel libro “Ma come fa a far tutto?”.) pretendono un ritorno alla natura in salsa new age. Dalle persone che vanno di botto a vivere in capanne senza elettricità ed acqua corrente, a chi va a Stoneage a fare riti imprecisati, al rifiuto della medicina ufficiale in favore di quelle alternative o chi (ultima in ordine cronologico) rinuncia ad avere bambini per protesta contro il riscaldamento globale!
    P.s. noto con piacere che c’è anche un’altra Claudia nel blog. Io sono quella di Roma….quella che ha cotto le uova lasciandole in macchina🤣🤣🤣.. ho pensato per distinguerci di mettere la “k” e la “j” al mio nome (come si usa in Croazia dove ho fatto un bellissimo viaggio da sposina). Ancora complimenti Lucia!!!

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    1. Lucia

      Che tu non sia la stessa Claudia di… beh: l’altra Claudia, è una cosa che sconvolge 😐
      Oltretutto credo che anche l’altra Claudia sia di Roma. Occielo. O forse no e vi ho amalgamate assieme XD
      Peraltro c’è anche una Claudia che mi segue spesso su Instagram e io ero stra-convinta che fosse la stessa persona, fino a quando qualche giorno fa la Claudia del blog, che a questo punto non si chi è tra voi due XDD , mi ha detto di non essere su quel social.
      Aiuto XD

      Comunque: concordo molto sul fatto che ultimamente c’è un ritorno alla natura che ha dell’allarmante e che spesso si accompagna, o a una specie di panteismo new age, o a una lotta contro i costumi borghesi che sa tanto di centro sociale. Come scrivevo sopra a Celia, è un gran peccato che l’ambientalismo sia diventato appannaggio di queste culture, ma in fin dei conti qualcuno doveva pure “rilevarlo”, nel momento in cui noi abbiamo deciso di farne a meno…

      Sul tema “ambientalismo cattolico vs. panteismo new age” ha scritto qualcosa Cristina di Stile di vita di una folle donna cattolica. Un punto di vista molto interessante il suo, perché anche lei a un certo punto della sua vita era caduta in questo inganno… 🙂

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  5. Elisabetta

    L’ambientalismo sta iniziando a ochieggiare nelle omelie e nelle lettere pastorali… interessante post!
    Dobbiamo seriamente pensare all’impatto del consumismo e dell’inquinamento sul Creato. Vedo questo discorso molto intrecciato a quello sulla moda low cost. È difficile adottare uno stile di vita green… io non ci sono riuscita del tutto…in pratica…”rendimi green ma non ancora.” Troppo comodo usare un auto a testa, comprare nei negozi più economici ecc. D’altro canto, facendo queste cose non ci si percepisce come immediatamente complici di inquinamentobo sfruttamento del lavoro minorile. Una svolta green richiede una presa di coscienza e soprattutto di responsabilità mentre sembra che quel che succede lontano da noi o nell’aria , che è immateriale, non sia colpa nostra, sia diciamo troppo complesso per intervenire. Meglio vivere il cattolicesimo nell’orto di casa nostra. Scusate il tono, non voglio essere polemica.
    Credo che questo disinteresse verso l’ambientalismo sia dovuto al fatto che l’ambientalismo sia sempre stato legato a una cultura di sinistra in epoca in cui essa si professava laica o atea. Mi rendo conto che la semplificazione è eccessiva, ma dai discorsi dei cattolici che vanno in chiesa sui 50 – 60 anni o più mi son fatta questa idea. Putroppo ogni idea oggi viene strumentalizzata ed etichettata politicamente nel nostro paese e questo chiude al confronto.

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    1. Murasaki Shikibu

      No, aspetta: usare un’auto a testa non è comodo per niente, ma diventa obbligatorio quando non c’è un buon sistema di trasporti pubblici. Sotto questo aspetto in Italia siamo messi piuttosto male anche in regioni come la Toscana, che ha dei servizi nel complesso piuttosto buoni. Per molte cose la soluzione non è individuale, fermo restando che ognuno deve fare del suo meglio, e non è nemmeno votare un partito a stampo ecologista, bensì sfinire i partiti che votiamo finché non mettono tematiche ambientaliste nel loro programma E CONTROLLARE CHE LE MANTENGANO.

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      1. Elisabetta

        Si hai ragione! Anche in Emilia senza auto sei tagliato fuori dal mondo del lavoro. E qui la bici si usa comunque tantissimo.
        Una difficoltà che io ho è essere in una società in cui alcune cose sono stae decise prima che nascessi. Es. appunto il massiccio inquinamento, la deriva delle importazioni dalle industrie straniere che sfruttano la manodopera dei poveri, alcune leggi ecc.
        Certo tutto si può cambiare, ma quando è intrecciato nello stile di vita con cui sei cresciuto è più difficile da sdradicare… oggi siamo globalizzati, in qualche modo più consapevoli e quindi più responsabili… gli occidentali godono di privilegi e non si possono più chiudere gli occhi o nascondere la testa sotto la sabbia. Comunque un giorno, nel bene e nel male, verremo giudicati anche per questo e ciò mi è di molta consolazione.

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        1. Klaudija

          Il problema nasce dalle metropoli. Roma ha una sconfinata periferia (si calcola che solo il 5% dei suoi abitanti viva nel centro storico). È così vasta che abbiamo persino zone sismiche diverse! Ad ogni modo è quasi impossibile gestire un trasporto pubblico sufficiente calcolando il rapporto costi/benefici. La soluzione potrebbe essere la metro, ma come costruiscono una tratta i prezzi delle case della zona sale alle stelle spingendo le persone meno abbienti sempre un po’ più in là. Accorciare le distanze (almeno a Roma) sarebbe indispensabile.

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      2. Lucia

        Riguardo al trasporto pubblico vs. trasporto privato, è verissimo tutto quello che dite (ed è tristemente vero che talvolta sono le amministrazioni locali a infischiarsi dei bisogni dei cittadini. Parla una che anni fa raggiungeva comodamente il luogo di lavoro nella collina torinese grazie a una navetta gestita dal Gruppo Torinese Trasporti, che adesso è stata soppressa. Ok che la navetta era poco frequentata, ma comunque aveva il suo zoccolo duro di clienti abituali – qualche decina al giorno – che ne usufruiva. Posso capire che fosse un costo da tagliare in un’ottica economica, ma ‘nsomma…).

        Detto ciò: è sicuramente vero tutto quello che dite, ma è anche vero che ci sono alcune persone che davvero usano la macchina anche quando si potrebbe farne a meno.

        Esempio di vita vissuta n. 1: una collega che anni fa si straniva su come io avessi potuto vivere a Pavia per anni (quando ero studentessa universitaria fuorisede NdR) senza possedere un’automobile e senza avere anima viva che potesse darmi passaggi all’occorrenza. “E come facevi per fare la spesa???” mi ha chiesto lei stranita.
        “Ehm. Andavo a piedi? Abitavo in un quartiere residenziale, il supermercato c’era…”
        “A piedi??? Ma quindi ti trascinavi dietro i sacchi pesanti per tutto il quartiere??”
        😐

        Esempio di vita vissuta n. 2: la mamma di una bambina che frequentavo quando eravamo piccole perché viveva nel mio stesso quartiere. Questa signora usava la macchina per trasportare la bambina dappertutto (pure in luoghi del quartiere che io raggiungevo tranquillamente a piedi) “perché è più comodo e si fa più in fretta” (non ne dubito, ma…), e che, quando è dovuta stare senza macchina per un po’ di tempo a causa di un tamponamento, era così poco avvezza all’uso del trasporto pubblico locale che aveva dovuto chiedere indicazioni a mia mamma (non indicazioni tipo “che linea mi consigli di prendere per arrivare lì tu che sei più pratica?”, indicazioni tipo “dove si compra il biglietto” XD).

        Sotto questo punto di vista, io ho avuto la “fortuna”, se così si può chiamare, di crescere in una famiglia in cui la mamma non guidava e il papà si rifiutava di guidare in città salvo emergenze (malsopportando il traffico e la ricerca del parcheggio). Ergo, a casa nostra la macchina si usava giusto in caso di emergenza o per le lunghe percorrenze (vacanze, weekend fuori, etc. Non certo per andare a fare la spesa).
        Arrivando da questo background, e avendolo tutto sommato mantenuto l’abitudine anche da adulta, mi rendo conto che in certi casi davvero si tende a usare l’auto anche quando non sarebbe necessario.

        (Ovviamente, SO BENISSIMO che ci sono mille variabili, e che ci sono infinite situazioni in cui usare i mezzi non è possibile / pratico / conveniente. Ci mancherebbe. Però ‘sta cosa della macchina usata a sproposito secondo me è vera 😀 )

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        1. Murasaki Shikibu

          Un po’ di spazio alla nevrosi individuale va comunque calcolato, immagino. E tuttavia: i cortei di genitori che portano i figli a scuola con l’auto si sono assai ridotti quando i comuni hanno cominciato a organizzare in proprio servizi di scuolabus. La spesa – che può essere un problema molto reale per le famiglie numerose – un tempo si risolveva con la consegna a domicilio (e qualcuno sta ricominciando) mentre oggi chiunque costruisca un supermercato inserisce nel progetto un ampio parcheggio perché È OVVIO che la gente preferisca cammellarsi la spesa a casa pirsonalmente di pirsona. La società italiana è costruita sul postulato che ognuno deve avere una macchina e farsi una nucchia dove questo non è indispensabile è abbastanza complicato e finisce per basarsi sul fatto che comunque tutti intorno a te hanno una macchina e in caso ti aiuteranno. A quel punto una massiccia presenza di auto si fa inevitabile, e l’inquinamento peggiora, ma potrebbe facilmente essere ridotta con una migliore prganizzazione. Si parte sempre dall’idea che i cambiamenti a favore dell’ambienre implichino delle rinunce, donde grandi manifestazioni di strazio perché “come possiamo rinunciare a questo e quello?”. È ovvio che all’occorrenza si impara a rinunciare davvero a parecchie cose, ma secondo me non si dovrebbe partire dal concetto di rinuncia bensì da quello di riorganizzazione – insomma, vivere la questione in modo meno esistenziale e più pragmatico.

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          1. klaudjia

            Perfettamente d’accorso che il postulato odierno sia il possesso di una automobile! Aggiungo che (almeno dalle mie parti) ci sono interi quartieri-dormitorio dove è indispensabile e case costruite in zone improbabili vendute “a quindici minuti dal raccordo anulare”, quando poi è evidente che se a “quindici minuti” si costruiscono 15.000 alloggi con almeno due automobili a famiglia, tutti convoglieranno su quella strada che (per quanto ampliata) non può divenire una autostrada a 4 corsie e, quindi, per raggiungere il raccordo si impiega almeno un’ora.

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          2. Lucia

            Perfettamente d’accorso che il postulato odierno sia il possesso di una automobile e perfettamente d’accordo che il problema del “non poter fare a meno” dell’automobile sarebbe facilmente aggirabile con un po’ di organizzazione (e una rete di trasporto pubblico efficiente ovviamente, quella la metto tra i prerequisiti scontati).

            Come dicevo sopra, io sono cresciuta in una famiglia in cui la macchina usciva dal garage solo in caso di oggettivo bisogno (tipo portare un malato all’ospedale, chessò) o di viaggi a lunga percorrenza. Io stessa non guido; guida mio marito all’occorrenza, ok, ma, di nuovo: non è che la macchina si muova molto, viaggi a lunga percorrenza o occasionali (rare) commissioni a parte.

            Sarà che sia io che mia mamma abbiamo dovuto (senza neanche accorgercene) “fare di necessità virtù” visto che noi non guidiamo proprio, ma, onestamente: con un po’ di organizzazione, è perfettamente fattibile.
            La spesa te la gestisci con un’unica spesa grossa per fare provviste in dispensa e poi con piccole spese frequenti per il fresco – o con la consegna a domicilio. Fattibile.
            I figli li mandi a scuola in posti ragionevolmente vicini e comunque raggiungibili con facilità coi mezzi pubblici (sembra scontato ma nella mia cerchia di amicizie c’è molta gente che sceglie per i figli la scuola cattolica invece della scuola di quartiere – l’ha fatto anche mia mamma, ma ha scelto la scuola cattolica più vicina a casa, non quella in capo al mondo ma più glamour). Meno stress per tutti.
            La casa ovviamente te la scegli in un posto che sia servito da uno straccio di mezzo pubblico – ho una amica che si è comprata una bellissima villettina nella prima cintura torinese ma adesso deve prendere la macchina per far qualsiasi cosa.

            Insomma, con un minimo di organizzazione e di pianificazione a monte, si può fare. Anche a livello di privati cittadini intendo; sicuramente sarebbe ancor più fattibile se la pianificazione in questo senso arrivasse dallo Stato.

            A margine, io ho una amica che non solo non guida, ma non ha proprio nessuna macchina in famiglia a disposizione (è single, e la famiglia vive lontano). Lei è organizzatissima, ha adottato come scelta di vita la politica di vivere in affitto vicino al posto di lavoro (e infatti ha cambiato casa di volta in volta quando le è capitato di cambiare posto di lavoro), si sposta agevolmente coi mezzi e col treno, e nei rari casi in cui ha realmente bisogno di un bagagliaio per trasportare oggetti ingombranti, chiama un taxi (che, a suo dire, se usato occasionalmente è comunque più economico che pagare bollo auto e assicurazione). E’ anche orgogliosamente indipendente, e, quando, in un paio di occasioni, ci eravamo offerti di darle un passaggio con la nostra auto per aiutarla a fare commissioni etc., si è sempre rifiutata, dicendo che grazie ma no, non c’era bisogno.

            Questa è una che vive senza auto da vent’anni credo, ormai, ed è sopravvissuta 🙂

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  6. Berlicche

    Ho un paio di considerazioni…
    1- non sono convinto che la cassazione dell’interpretazione allegorica abbia favorito la nascita della scienza; proprio perché quella allegorica è solo UNA delle possibili interpretazioni di ogni cosa – come insegna Dante. Anzi, se vogliamo la scienza nasce proprio dal cercare di capire cosa abbia voluto dire Dio facendo le cose in quella maniera.
    Se quello sostenuto fosse vero, allora i moderni ambientalisti dovrebbero avere una interpretazione allegorica delle cose che non sussiste, perché la loro idea del mondo è del tutto orizzontale.
    2 – Anche perché l’ambientalismo moderno si pone come un panteismo mascherato (e neanche troppo bene) che distacca totalmente la natura dalla sua origine. Anche certo cristianesimo odierno ha il rischio di mettere il carro davanti ai buoi, cioè esaltare il creato più del creatore. Un materialismo spiritualista che alla fine fa dimenticare dove stia la salvezza (e qui mi fermo)
    3- Se la natura acefala e arazionale è esaltata, perché l’uomo dovrebbe usare la ragione? Per quale motivo studiare l’universo, invece che saltellare nudi intorno agli alberi? Il buon selvaggio è l’ideale di qualsiasi potente, perché uno il cui ideale è l’età prima della pietra non costituirà mai un rischio per lui.

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    1. Lucia

      Diavolaccio, ciao!, ti aspettavo al varco 😀

      Faccio la premessa che ho fatto sotto a Murasaki: a leggere il tuo e il suo commento, mi rendo conto che probabilmente non sono stata chiara.
      Inizio rispondendoti al punto 2 e all’ultimo paragrafo dell’1: LOL, mannò, ovvio che l’ambientalismo moderno non ha un fico secco a che vedere con una interpretazione allegorica delle cose in stile medievale. Ma ci mancherebbe altro 🤣

      Ovviamente l’ambientalismo che oggi va per la maggiore (o comunque fa più rumore) si è sviluppato in un ambiente culturale totalmente diverso dal cristianesimo, e talvolta anche proprio ostile alla religione. Personalmente, direi che oscilla tra il panteismo new age e il nichilismo, facendo l’occhiolino a temi cari alla sinistra radicale. Ma è ovvio che questi qua non vedono allegorie, retrosignificati o cose strane negli eventi naturali. Ci manca solo 🤣🤣
      Questi sono signori che provengono da un ambiente culturale completamente diverso, e che hanno semplicemente occupato lo spazio che è rimasto vuoto quando i cristiani hanno gradualmente cominciato a disinteressarsi di queste tematiche. (Questi signori, ovviamente, sono la ragione per cui i cristiani di oggi tendono a chiudersi a riccio quando si parla di queste tematiche).

      Sul punto 3, concordo in linea di massima con te, specificando però ché né io né tantomeno Wirzba auspichiamo un ritorno all’età della pietra o a una tribù di zulù selvaggi. Lui è un estimatore della società agraria tradizionale; io indicherei l’ambiente monastico medievale se dovessi fare un buon esempio del modo di rapportarsi all’ambiente. Quando la natura era considerata qualcosa da redimere per portarla alla perfezione, e la gente si rapportava all’ambiente e agli animali non considerandoli suoi pari (ovviamente) ma nemmeno considerandosi signore e padrone di un mondo da sfruttare.

      Un atteggiamento che peraltro non sarebbe di per sé contrario allo studio della scienza o alla creazione di nuove tecnologie, ovviamente. Non è che Wirzba dica che queste sono state rivoluzioni negative in sé, ci mancherebbe altro (!), dice che hanno contribuito a far crescere quella percezione di uomo come padrone e dominatore della natura.

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    2. Lucia

      Sulla questione “interpretazione allegorica”, ti rispondo a parte perché ti copio per maggior chiarezza un intero paragrafo del testo di Wirzba 😛
      Lui è profondamente convinto di questa cosa, ci insiste parecchio. A me sembra una lettura plausibile; se volessi andarci più cauta, direi comunque che rigetto dell’interpretazione allegorica e nascita della scienza moderna sono comunque collegate e vanno sottobraccetto.
      Cioè: nel momento in cui la scienza riesce a spiegarti per filo e per segno come mai succede una cosa, come fai ancora a credere all’interpretazione allegorica del mondo? Ok, magari dici che Dio, senza infrangere le leggi della natura, ha operato per mandarti questo o quell’altro segno, ma, di base, se la scienza riesce a spiegare tutto, Dio “non ti serve” più. Si può tranquillamente ridurre (anche proprio nel nostro pensiero e modo di percepirlo) a un creatore trascendente e lontano che pigia sul tasto “start” per creare il mondo e poi lo lascia lì ad auto-gestirsi sulla base di un libretto di istruzioni.

      Wirzba, per essere precisi, dice che questo cambiamento di percezione è iniziato, in sordina, già ben prima di Galileo, ai tempi della Scolastica. Avevo sforbiciato per non appesantire troppo l’articolo ma qui ti copio un lungo passaggio che forse chiarisce meglio:

      It is important that we not underestimate the cultural and spiritual significance of nominalism. Though this intellectual development, often associated with William of Ockham, was inspired by the desire to safeguard the omnipotence of God (God is entirely inscrutable and beyond our knowing), the effect of this thinking was to separate the order of creation from the character of God. Since God could do whatever God wanted, no parallels between the character of God and creation could be drawn. The result was that we could no longer speak of creation in terms of God’s concern, delight, and involvement in a rationally defensible manner. The orders of creation are, even if meaningful, contingent, the expression of our mere attempts to know it.
      We can see how nominalist science promoted a transformation in the religious mind if we consider the alteration of the meaning of the term
      supernatural. Up until the seventeenth century, supernatural was used in adjectival or adverbial forms to highlight a change in the power to act. One acted naturally when one performed in accordance with one’s ordinary or customary abilities. One acted supernaturally when acting in a way that exceeded or went beyond those abilities. For example, a stingy, mean-spirited person who suddenly acted generously would be said to be acting (with the help of divine grace) in a supernatural manner. In the seventeenth century this all changed as the term supernatural now came to refer to a separate realm existing “outside” the world as we know it: “With ‘nature’ now deemed single, homogeneous and self-contained, we labelled ‘supernatural’ that ‘other’ world inhabited (some said) by ghosts and poltergeists, by demons, angels and suchlike extraterrestrials—and by God.” God comes to be understood as an inscrutable, unpredictable being, massively large and powerful, that exists, if exists at all, beyond this life and world. Those wishing to talk about God would now find themselves in the uncomfortable position of having to justify their talk in the terms of a mechanistic worldview that banished God in the first place! The eclipse of divine transcendence, once understood to be the source and goal of the world, created a hole that would be filled by human beings who now positioned themselves as the center or source of meaning and value. No longer microcosms of the creation, people are the autonomous beings who, in an expression of rational freedom, chart and direct the fate of themselves and the world.
      […]
      The flip side of the self’s disenchantment with the cosmos was the reduction of the world to the status of objects. Since the source of meaning is the scientific mind, the world of things has sense only insofar as it conforms to a scientific (increasingly mathematical) a priori. In order for the scientific method to be successful, among its first two requirements was the elimination of final causality, the idea that things have integrity of their own and are continually moving toward the realization of their own purpose, and the denial of the idea that the goal of things is directed by and toward God. In fact, Baconian control over nature rested on the assumption that nature has no purpose of its own. Things are objects. They bear no trace of the divine imprint. Given this assumption, it is but a short step to the technological ontology that reduces things to
      pragmata, items that exist for the purpose of our own betterment and enjoyment”

      Ti dirò, a me sembra una lettura condivisibile.
      Particolarmente vero mi sembra il punto in cui dice che la capacità di spiegare le leggi della natura ha relegato Dio a una dimensione di lontananza e di trascendenza. Se ne sta lì nell’alto dei cieli, magari ogni tanto ci guarda, magari anche no, o magari ci guarda solo per giudicare e occasionalmente esaudire qualche preghiera. Ma che quella profondità del rapporto quotidiano con Dio, un rapporto così “confidenziale” che talvolta poteva persino comportare da parte del fedele dispetti, amorevoli ricatti e bisticci nei confronti della divinità (potrei citare mille agiografie sul tema 😛 Statue di Gesù Bambino che venivano rapite per costringere la Madonna a fare un miracolo; sante che facevano le offese con Dio e rifiutavano di fare la Comunione con lo stesso spirito con cui una moglie offesa rifiuterebbe di farsi toccare dal marito)…
      …ecco, che quella profondità e quella quotidianità nel rapporto che l’uomo aveva con Dio si siano perse a causa dell’improvvisa trascendenza di un Dio non più “necessario” a spiegare i fenomeni naturali, questo mi sembra davvero molto molto molto plausibile e vero.

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  7. Elisabetta

    Su 1 lascio la parola a Lucia e hi ha studiato perché è troppo sofisticato per me. Il punto 2 ….penso di afferrare quello che dici… Non so se vado off topic ma porto il mio contributo. Anche perché penso che le domande siano volutamente provocatorie anche se nel senso di alimentare il dibattito in modo costruttivo.

    3. Capire le leggi del creato tramite scienza non fa che rinforzare la fede. Il modo tende all’entropia… nei viventi incontri regolarità e ordine…guarda solo la precisione delle conchiglie e delle foglie… come tutto questo può essere scaturito dal caos? E ancora…se la scienza desse ragione di Dio, automaticamente Dio non potrebbe esistere. La scienza non capisce che la grammatica vivente evidence based del mondo… ma questa non è la gramamtica di Dio. La grammatica di Dio va oltre spazio e tempo ed è intellegibile per noi. La nostra mente e la scienza funzionano infatti solo nella dinensione temporale e non trascendono il nostro tempo.
    L’uomo deve usare la ragione perché essa gli fu data da Dio. DIO HA Scelto uomo fra tutte le bestie. E questo è molto evdiente. Dove trovi la grazia là trovi anche il male… e quindi dove trovi le scoperte della scienza là trovi subito la tentazione di usarla per scopi umani, terreni, di vanità, di edonismo, contro le leggi di Dio….
    Il buon selvaggio non esiste. Anche nelle tribù più remote esiste ed esiterà sempre il male…
    Non si tratta di panteismo ma di recare danno alle nuove generazioni. Inquinare è lasciare ai posteri ( e non solo al creato) un mondo difficile da vivere ( e non solo essere irrispettosi verso il mondo in modo patestico). Questo ce lo dice la scienza che viene dalla ragione che ci viene dall’essere umani. Nel 1800 ancora non lo sapevano, oggi sì. Sfruttare la mandopera per vestitini nuovi ogni giorni è violare le leggi che sono date a Mosè. La Bibbia dice di dare all’operaio il giusto salario e di non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te.
    A me sembra molto chiaro il percorso da intraprendere senza voler mettere le creature e il creato prima dell’uomo.

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  8. Murasaki Shikibu

    Non sono molto convinta. Voglio dire, questi argomenti di Wirzba riguardano l’intera società: non sono solo i cattolici che hanno visto aumentare la tecnologia eccetera, e soprattutto non sono i cattolici quelli che sentono meno la rilevanza della presenza di Dio nella quotidianità. E allora perché gli ambientalisti sono per lo più non cattolici? Forse che l’assenza di Dio nella quotidianità spinge i cattolici a ignorare la questione ambientale e i non cattolici invece a prenderla sul serio? Mi suona strano.
    Ma ammetto di dubitare anche del dato di partenza: abbiamo più ambientalisti tra i non cattolici, atei, seguaci di altre religioni? Onestamente, non saprei dire.
    Però se si classificano come ambientalisti solo “quelli alla Greenpeace” si fa una generalizzazione fuorviante. Esiste un ecologismo integralista che ha precisi canoni legati all’alimentazione (dove essere “solo” vegetariani già da tempo non basta più) e predica un’esistenza abbastanza scomoda, ma la gran parte degli ambientalisti che conosco io, anche a livello politico, sono persone piuttosto concrete e assai amanti della tecnologia. Esiste poi – e lì il problema ha effettivamente una base religiosa – un tipo di filosofia, modo di vivere, concezione esistenziale dell’universo e delle sue finalità eccetera di stampo panteista (o anche animista) con radici ormai pluridecennali, ispirato da culture e religioni extraeuropee che abbraccia ANCHE temi ecologisti. Questioni come la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, le tipologie di allevamenti di animali e le emissioni di CO2 nell’aria non richiedono particolari atteggiamenti panteistici e dovrebbero afferire alla semplice sfera del. Buon senso, tendenzialmente condivisa da tutta l’umanirà senza distinzioni di credo religioso o filosofico.

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    1. Lucia

      Uhm… aspetta: leggendo i commenti tuoi e di Berlic sopra di te, mi viene il sospetto di non essere stata chiara io (possibilissimo, quando si cerca di riassumere in un articoletto diverse centinaia di pagine 😛 )

      Partiamo dall’assunto che: sì, fidati, c’è una ampia fetta di cattolici (grossomodo coincidenti con i “cattolici impegnati”: quelli che prendono molto sul serio la religione, ne parlano sui social, la portano in piazza) che ce l’ha a morte con l’ambientalismo. Tout court.
      Sulle bacheche social dei cattolici è facile imbattersi in meme che prendono in giro Greta (magari per il fatto che “c’è qualcosa di satanico nel suo sguardo”), in affermazioni tipo “l’ambientalismo è una ideologia, e chi segue ideologie non è cristiano”, nel neologismo “gretini” atto ad indicare i cretini ambientalisti, o in sussulti di ilarità collettiva tutte le volte che il clima ci regala settimane insolitamente fredde in periodi mediamente caldi (tipo il maggio di quest’anno), eventi che vengono portati ad esempio per dimostrare che tutto l’attuale allarmismo sul problema ambientale è eccessivo e gonfiato ad arte dai poteri forti che ci stanno dietro.
      Occielo: ovviamente non tutti i cattolici la pensano così (e meno male 😀 ), ma questo è il clima che si respira sui social. Segnalo ad esempio la discussione sorta sotto al post con cui il sito Breviarium rilanciava su Facebook questo mio articolo.
      Ecco, di quell’ambiente culturale lì stiamo parlando 😀

      Detto ciò la mia domanda è: perché tra i credenti, e soprattutto tra i credenti “integrali”, diciamo così, c’è la tendenza a chiudersi a riccio quando si parla di ambientalismo e compagnia?

      Oggigiorno, naturalmente c’è perché oggi va per la maggiore (o comunque è molto rumoroso) un certo tipo di ambientalismo chiassoso, estremista e per molti versi inconciliabile con gli ideali cristiani (penso ad esempio ad affermazioni tipo “la specie umana è un parassita e meriterebbe l’estinzione”, o, ancor più concretamente, a movimenti ambientalisti che promuovono il controllo demografico e simili).
      Onestamente non mi sono studiata la genesi dell’ambientalismo moderno, ma suppongo che si sia formato in una qualche scuola di pensiero ricondubile alla sinistra politica, come forma di contestazione a un modello di sviluppo economico capitalista che distruggeva la natura, disboscava le foreste, ecc. ecc. Poi si sono uniti altri “fissati”, tipo i vegetariani animalisti e i new age.

      Ovviamente non dico che adesso tutti gli ambientalisti appartengano a queste aree di pensiero; ma dire che è stata una società secolarizzata a favorire lo sviluppo di questo tipo di ambientalismo qua, a me sembra molto ragionevole.

      Detto ciò, la domanda che si pone Wirzba è: ok, ma perché i credenti non hanno sviluppato anche loro un ambientalismo “cristiano”, e anzi hanno mostrato nei secoli una crescente indifferenza verso la tematica ambientale?
      Risposta di Wirzba: perché si sono secolarizzati anche loro. Se nella società in cui vivi (e quindi anche nella tua vita) Dio è sempre meno presente, a te verrà sempre più difficile guardare al mondo come dono divino. Soprattutto se diventa sempre più facile, grazie alle tecnologie, “dominare” la natura a tuo piacimento.
      La secolarizzazione ha permesso ai credenti di perdere di vista l’accoppiata “natura = creazione” , li ha gradualmente portati ad allontanarsi da queste tematiche (facendoli concentrare magari su modi più spirituali e astratti di vivere la propria religiosità) e ha lasciato un vuoto che a un certo punto è stato occupato da altre egemonie culturali che hanno “rilevato” la causa.

      Ma questo è l’antefatto, ovvio che adesso tra gli ambientalisti c’è anche gente ragionevole, gente che ama le tecnologie (mica era un aut aut, Wirzba diceva solo che la tecnologia ha aumentato la percezione di distacco della natura) e gente coi piedi ben piantati per terra che non vede retrosignificati in un arcobaleno o un fulmine (idem come sopra).

      Wirzba spiega come mai, a suo dire, i credenti si sono allontanati dalla causa ambientale. Non come mai ci si sono poi avvicinati altri, quella è un’altra storia 😛

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      1. Berlicche

        Io sono uno che, se potesse, vivrebbe sempre nei boschi. Usualmente laggiù vedo molti più animali che umani. Sono anche ingegnere elettronico, e cattolico. Ma considero l’ambientalismo contemporaneo una compiacente eresia dei nostri giorni, l’astuto inganno di chi vuole distruggere il cristianesimo, il tentativo neanche tanto nascosto di fare a meno di Dio. Storicamente, il movimento ambientalista è stato creato e sostenuto dai paesi sovietici, anche se poggia le sue radici in un certo illuminismo alla Rosseau. Un modo per destabilizzare, inibire l’industrializzazione, propagandare una visione del mondo in cui scompare il Creatore e c’è solo la creatura increata, e l’uomo è un inutile fastidio. E’ per questo che difendo fieramente la Natura che ci è stata data e rigetto un “ismo” che si nutre di balle assolute. La maggior parte degli ambientalisti nostrani non ha mai avuto a che fare con l’ambiente vero, non quello dei documentari televisivi. Non ha mai provato a coltivare, o allevare animali, o vivere davvero nella natura. E’ una religione sui generis, usata cinicamente per portare avanti le agende dei potenti. Basta seguire i fili, vedere i sostenitori, analizzare le false notizie che ci vengono propinate in continuazione. Per uno come me sempre in cerca del vero, vedere la consapevole menzogna è un chiaro segnale che non c’è da fidarsi di chi te la dà.
        E, sì, il riscaldamento globale antropico è una palla.
        (fine sfogo)
        Il cristianesimo realista. Non c’è un movimento ambientalista cattolico come non c’è un movimento cattolico per mantenere una bella casa, vestire con sobrietà e decenza, mangiare bene. Sono cose che si fanno perché ci è dato il compito di trovare la verità e mantenere il bello, cioé Cristo.La bestemmia è rendere i particolari più importanti di Dio. Si chiamassero anche “ambiente” o “natura”.
        Ma io i retrosignificati li vedo anche in una goccia di rugiada, altro che in un fulmine.

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        1. Lucia

          Ecco, grazie a Berlicche per l’utile esemplificazione 😅

          No, scherzi a parte grazie anche per l’excursus storico sulla nascita dell’ambientalismo moderno: non mi ci ero mai interessata, mi sembra plausibile.
          Questo peraltro ovviamente spiega come mai è assurdo cercare elementi di trascendenza o allegoria nell’ambientalismo moderno (e ancora mi scuso se ho dato l’impressione di voler suggerire ‘sta cosa folle). Appunto, l’ambientalismo moderno è ‘na roba completamente diversa che nasce da tutt’altra parte, e che ha preso il posto rimasto vuoto quando i precedenti “custodi del creato” se ne sono andati.

          Non c’è un movimento ambientalista cattolico come non c’è un movimento cattolico per mantenere una bella casa, vestire con sobrietà e decenza, mangiare bene.

          Oh boia 😐
          E allora, i movimenti come quello della modest fashion, i vari movimenti giovanili per la purezza, la bella abitudine statunitense di adottare il cosiddetto “liturgical living” (eccetera eccetera eccetera) tu come li definisci? Perché magari qui non ci capiamo per una questione di termini, eh.
          Per non parlare poi di quei veri e propri movimenti spirituali riconosciuti dalla Santa Sede che si rivolgono solamente a determinate categorie di persone in determinati stati di vita e martellano sempre sugli stessi temi (senza dire ovviamente che l’intera esperienza cristiana si conclude lì, ma specializzandosi in quel settore, per così dire, che evidentemente sarà particolarmente caro alla sensibilità e al carisma di chi vi aderisce).
          Comunque, tu magari li citavi come esempi estremi, ma io davvero aderirei con vivo entusiasmo a un movimento cattolico per mantenere una bella casa (trovo ad esempio grave che ci siano case cattoliche in cui a Natale non si fa il presepe) e al movimento cattolico per mangiare bene (quante cose ci sarebbero da dire!!) 😛

          Magari mi obietterai che il cattolicesimo stesso è onnicomprensivo, quindi se sei cattolico è automatico che tu abbia un modo sano di tenere la casa, di rapportarti al cibo, di vestire – e pure di rapportarti alla natura.
          Sì sì, per carità.
          Ma perché dici che non ci possono essere dei movimenti cattolici, più o meno strutturati, che si focalizzano primariamente su un certo tema? Ovviamente il tema in particolare non può diventare più importante di Dio (vabbeh, grazie tante) ma se uno vuole fare il movimento cattolico ambientalista (o nutrizionista, o di home decor 🤣) per confrontarsi con amici su temi che gli stanno particolarmente a cuore e che magari ritiene ingiustamente trascurati dal resto della cristianità, perché no?

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      2. Murasaki Shikibu

        Bene, io però continuo a sentirmi negazionista. Nel senso che, mi rendo conto che in certi ambienti più integralisti del vasto e complesso mondo cattolico il tema ambientale è visto con sospetto, ma in altri le cose funzionano diversamente, per quel che posso vedere da parecchio tempo. Non sono particolarmente addentro, ma di cattolici ne conosco e frequento parecchi e sulle questioni ambientali non noto differenze col mio atteggiamento (tiepido ma interessato e costante; quello medio, insomma). Di più, mi sembra che associazioni come l’ AGESCI facciano del rispetto dell’ambiente un punto molto importante del loro progetto educativo, e mi pare che Comunione e Liberazione affronti il tema con serietà da diversi decenni, ai suoi convegni. Aggiungo che, insegnando alle medie, lezioni sui problemi ambientali ne ho fatte parecchie, anche in trasversale con Scienze e Tecnologia (e pure con Religione, a volte). Ormai da dieci anni insegno in un paese assai chiesino ma non mi è mai capitato di aver notizia dell’ombra di una lamentela da parte delle famiglie né divergenze di alcun tipo tra insegnanti cattolici e non cattolici mentre ci lavoravamo sopra. Anzi, alcuni insegnanti collegavano il tutto con temi del tipo “essere, non apparire” (riguardo, per esempio, alla cilindrata delle macchine) , scambio e condivisione” e “rispetto dell’uomo” che, d’accordo, non saranno temi solo cattolici ma certo nemmeno estranei al pensiero cattolico per come lo conosco io.

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  9. ago86

    Al di là di tutto, l’ecologia non è una teologia: se fare o non fare la raccolta differenziata (cosa del tutto pratica e questione di scelte politiche) diventa materia di peccato vuol dire che la politica ha preso il posto della teologia morale. Del resto il creato si può conservare in tanti modi, e non è detto che le dottrine ambientaliste siano tutte compatibili con il cristianesimo.

    Comprendo comunque il discorso di Lucia: il creato va conservato, è un atto di bene conservare l’ambiente – tutto vero, ma non è detto che tutto ciò riguardi la teologia morale o il rapporto con Dio. E soprattutto non è detto che le politiche ambientali siano per forza di cose obbligatorie per il cristiano.

    Un conto è la sensibilità ambientale e ritenere un bene il creato (un cristiano non può ritenere “male” la creazione o la materia, per forza di cose), un altro è essere ambientalisti di qualche tipo.

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    1. Lucia

      se fare o non fare la raccolta differenziata (cosa del tutto pratica e questione di scelte politiche) diventa materia di peccato vuol dire che la politica ha preso il posto della teologia morale

      No scusa, qui non sono per niente d’accordo.
      A parte che io sono dell’idea che tendenzialmente sia sempre bene seguire le leggi che vengono date (salvo ovviamente casi estremi), sennò ognuno si sente libero di fare come gli pare e scoppia l’anarchia. Ma la raccolta differenziata, pur con tutte le imperfezioni del sistema, è attualmente, a quanto mi risulta, il metodo migliore per un corretto smaltimento dei rifiuti. Se c’è la possibilità di riciclare una bottiglia di plastica invece di mandarla in discarica in mezzo a cumuli di spazzatura indistinta, con tutti i problemi di gestione e smaltimento che ne conseguono, a me sembra abbastanza chiaro qual è il comportamento corretto da seguire.
      Posso capire essere perplessi riguardo al sistema e dire che è ancora perfettibile, ma non smaltire correttamente i rifiuti è una scelta che, nel lungo periodo, riguarda tutti.

      Ti faccio il paragone con l’esempio volutamente più cretino che mi viene in mente.
      Da circa un anno, a Torino, è diventato obbligatorio bippare tutte le volte che si sale su un mezzo pubblico, id est avvicinare il biglietto elettronico a una apposita macchina che, oltre a convalidare il titolo di viaggio, memorizza quanti bip ci sono stati in corrispondenza di ogni fermata. Devono bippare anche quelli che hanno un abbonamento mensile o annuale, cosa deprecabile e idiota, perché ti costringe ogni volta ad arrancare verso l’obliteratrice anche in condizioni di affollamento, con l’ovvia scomodità generalizzata che puoi ben immaginare.
      L’unica ragione al mondo per cui io bippo tutti i giorni come una cretina, invece di indirizzare un rito vudù all’idiota che si è studiato questa cosa, è che i dati acquisiti dalla macchina bippatrice servono per stabilire quali sono le fermate più utilizzate. Nell’ambito di una di riduzione del numero delle fermate per diminuire i tempi di percorrenza, è già stato detto che le fermate che ricevono meno bip saranno soppresse. (Vabbeh, spero non si basino solo su questo criterio, ma ‘nsomma, così hanno detto) (Peraltro hanno appena soppresso una fermata vicino a casa mia che la gente del quartiere sa benissimo essere molto utilizzata, anche più di altre che invece sono sopravvissute alla mattanza, quindi il sospetto che si basino più sul numero di bip che sul buonsenso, effettivamente viene).

      Detto ciò: posto che io ritengo ‘sta cosa dei bip una delle idee più idiote in assoluto (ma che è? Sembra di essere in un contest su Facebook, tipo la foto che riceve più like vince il primo premio”), il dato di fatto è che, se non bippi, rischi di falsare i dati sul reale utilizzo delle fermate, causando danno alla brava gente che poi si vede sopprimere la fermata.
      E dunque, bippare o non bippare?
      Per come la vedo io, bippare sempre e comunque. Se non bippare crea indirettamente un danno al tuo prossimo, allora la cosa giusta da fare è bippare. Uffa.
      Occielo, non so quanti sacerdoti si siano mai trovati ad accogliere la confessione di un cittadino reo di non aver bippato 😂ma per come la vedo io scegliere se bippare o no non è una questione politica, è una questione morale (tra mille virgolette) motivata dal desiderio di non danneggiare la comunità.

      (A margine, sono sinceramente curiosa di sapere se a voi sembra normale ‘sta cosa dei bip. No davvero, ma è ‘na roba che si fa anche in altre città? O solo qui? Illuminatemi 😶)

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      1. Celia

        Da noi a Brescia il bip non è previsto 😀
        Ad ogni modo non mi stupisce… sulla carta è un tentativo sensato di gestire la circolazione, nei fatti però diventa un mezzo arbitrario che, un po’ per rigidità ed un po’ perché i dati saranno sempre mooolto relativi, farà più danno che bene. Secondo me…
        … a parte questo dettagliuzzo, mi trovi perfettamente d’accordo.
        Si diceva un tempo “ogni atto è politico” – ed è vero, ma è ancora più vero che ogni atto è morale (e senza virgolette: dura e pura).
        Del resto, nel Vangelo è scritto che chi non sa essere fedele nelle piccole cose, non lo sarà neppure nelle grandi.

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    2. Lucia

      Detto ciò: “il creato si può conservare in tanti modi” -> sicuramente vero, manco io mi prendo il piatto completo, eh. L’ultima che leggevo è che bisognerebbe ridurre tutti quanti il consumo di carne per evitare il disboscamento eccessivo: ehm, su quel punto ad esempio credo che “non mi avranno mai”.
      La mia posizione è: l’ambientalismo ci propone una serie di buone pratiche da seguire, poi ognuno scelga quelle che può, compatibilmente col suo stile di vita e le sue esigenze. Basta che ne scelga un quantitativo ragionevolmente alto però.
      (La raccolta differenziata secondo me gioca fuori categoria, perché oggettivamente non costa quasi nessuna fatica e in compenso fa bene, quindi perché mai non farla?)

      non è detto che le dottrine ambientaliste siano tutte compatibili con il cristianesimo” -> certamente no.
      Però che facciamo: solo perché ci sono alcune correnti ambientaliste non compatibili con la nostra religione, rigettiamo l’idea di ambientalismo tout court? Rigettiamo quelle non compatibili e teniamoci quelle che vanno bene, o ancor meglio creiamone una tutta nostra, sennò stiamo buttando via il bambino con l’acqua sporca 😀

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  10. Berlicche

    Cerco di spiegarmi meglio: io faccio parte di un coro “cattolico”, ma sono ben conscio che l’essere corista non esaurisce la mia esperienza dell’essere cattolico, per quanto sia per una bellezza; così come chi dovesse far parte di un movimento per la purezza o il liturgical living e ponesse questo davanti all’essere cattolico, bene, cattolico non sarebbe.
    Ci può essere una differenziazione di carismi, e magari uno ha il cariscma dell’ambiente, ma se non è conscio che l’importante sta in altro, che il suo è un modo di vivere il rapporto con Dio, perde tempo. Perché si fabbrica idoli.
    Più chiaro?

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    1. Lucia

      Ah beh. Certo, così è chiarissimo, grazie!
      Così chiaro che infatti non capivo, perché io lo davo per scontato, cioè: per me era proprio il presupposto, non aveva senso nemmeno discuterne 😅

      Io ovviamente parlavo di un “ambientalismo cattolico” che sia veramente cattolico, non un ambientalismo di qualche sciroccato strano che non ha capito un tubo di cosa sta facendo. Sennò il problema è un altro, ovviamente, e sta a monte.

      Ma dei bravi e retti cattolici sani di menti che si occupano di tematiche ambientali… perché no?
      Anzi, io lo riterrei un bisogno a maggior ragione urgente. Se non in reazione al problema ambientale in sé, in reazione al fatto che l’ambientalismo oggi più rumoroso non è di matrice cattolica.
      Se invece di scendere in campo e proporre una loro visione di ecologia cristiana, i cattolici restano a bordo campo a gemere per quant’è brutto il mondo, secondo me finisce a schifìo 😀

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  11. Berlicche

    Il problema è che oggi l’ecologia è usata in senso anticristiano: collegata con l’antinatalismo e con tante altre brutture, e quindi c’è il serio rischio di andare ad esaltare il Nemico.
    In questo senso non è sbagliato il tentativo con le varie encicliche e sinodi e convegni, ma se si chiamano i guru anticristiani a definire cosa deve essere l’ambientalismo cristiano la vedo molto male.
    Il punto è che il cattolico non deve gemere, deve agire, ma in base al Vangelo, non all’agenda di qualcun altro.
    Tutto ciò che è rumoroso nel mondo non è di matrice cattolica… là sotto hanno la sala stampa migliore.

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    1. Lucia

      Eh ho capito, ma sei noi stiamo zitti a guardare in cagnesco quelli che fanno rumore, finisce malissimissimo 😀

      Sicuramente è bene, ed è senz’altro doveroso, prendere le distanze con decisione da quelle correnti che propagano ideali anticristiani. Non ho mai suggerito di prendere acriticamente il pacco completo, e chi lo suggerisce ovviamente sbaglia e fa danni gravi sotto svariati punti di vista.

      Però non si può dire “l’ambientalismo è collegato ad alcune ideologie deprecabili quindi io sono contro l’ambientalismo in toto”: scollegalo da quelle ideologie e proponine tu una versione cristiana. Tu mi dirai che sarebbe perfettibile anche la versione cristiana così come sta prendendo forma: sta bene, può essere, ma di sicuro non la si perfeziona dicendo “no” in blocco e rifiutandosi anche solo di parlarne.

      (Peraltro, certe chiusure così rigide su un tema che adesso è molto sentito sono pure un autogol pazzesco sul piano strategico e comunicativo, per inciso. Non qui, dove la discussione è civile, ma su Facebook, specie su una pagina terza che ha ricondiviso il mio post, ci sono stati dei commenti talmente esagerati, talmente duri, da essere imbarazzanti. Ma letteralmente imbarazzanti: imbarazzanti nel senso che un mio amico, che non è cattolico praticante ma nemmeno ostile alla religione, leggendoli è rimasto comprensibilmente sconvolto e non so che idea si sia fatto dei cattolici adesso – probabilmente pensa che siamo dei pazzi furiosi XD Per carità, comportarsi nell’ottica di voler piacere al mondo è la cosa peggiore in assoluto che possa fare un cattolico!, ma almeno su questi temi, dove non è sbagliata l’idea di fondo (sono certamente discutibili alcuni modi), suggerirei un po’ più di equilibrio anche solo a fini di public relations, visto che non è nell’interesse di nessuno presentarci come ‘na banda di isterici)
      (In questo caso non dico a te eh: con te si ragiona 👀)

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      1. Berlicche

        Dovremmo essere i giardinieri della Terra e non gli adoratori dell’Albero, terrorizzati dal cambio di temperatura perché non siamo mai usciti di casa, dove c’è l’aria condizionata…
        Comunque, a prendere chi scrive sui social come campione talvolta viene da pensare che chi vorrebbe l’annullamento dell’umanità in fondo qualche ragione ce l’abbia O_o

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          1. Lucia

            Io ho presente dei metereologi professionisti, che mi sembrano gente di fiducia, che invece assicurano che un trend di aumento c’è, da quando sono cominciate le rilevazioni… ma vabbeh, lasciamo da parte il caso specifico (sul quale peraltro non ho competenze per esprimermi).

            Ti dirò: più ancora che sul riscaldamento globale, io riterrei urgente intervenire su altre questioni, la cui risoluzione mi sembra più alla portata del cittadino-medio. (Nel senso che trattati internazionali come il protocollo di Kyoto sono pure ‘na bella cosa, ma chiaramente non siamo né io né te a determinarne l’approvazione e l’applicazione).
            I temi ambientali che a me stanno maggiormente a cuore sono ad esempio l’inquinamento, inteso come una quantità di rifiuti oggettivamente eccessiva che viene buttata in discarica ogni giorno, a causa del consumismo che ci spinge a comprare cose inutili di cui non abbiamo bisogno e di cui inevitabilmente ci libereremo a breve.
            Oppure la pessima diffusione delle catene low cost che ti vendono a due lire robaccia di qualità giustamente infima, che inquina doppiamente: nella produzione e nello smaltimento (di lì a poco, perché la qualità è appunto bassa). Non dico che il low cost sia un male in sè, ovviamente è una benedizione per tante famiglie, ma detesto che possa passare il messaggio che se compri low cost sei avveduto e se compri prodotti più costosi sei un radical chic che se la tira.
            Mi piacerebbe che passasse il concetto che non è una buona cosa mangiare fragole a Natale o usare l’automobile perché è più comodo. Oppure, il concetto che molte delle attività che noi oggi riteniamo desiderabili (tipo, che ne so, il volo last minute per il weekend a Praga a 20 euro) possono pure essere ‘na cosa bellissima ma hanno ricadute di vario tipo, non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia locale e non. Non dico smettere in toto, ma almeno sviluppare la consapevolezza che non è tutto oro quel che luccica – e, globalmente, tornare ad apprezzare stili di vita più frugali dell’attuale.

            Se tutti facessero così sarebbe già un gran passo avanti, e mi sembra che questa possa esser definita una posizione molto pacata, niente affatto allarmistica, e, oserei dire, anche abbastanza oggettiva.

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          2. Celia

            Concordo su tutto e, aggiungo, scelte come quelle che tu indichi sono soprattutto personali: il beneficio si moltiplica per il numero di persone che mettono in pratica queste scelte, ma resta in fatto che così facendo dispongo della mia esistenza come credo senza togliere nulla ad altri: al che, qualsiasi critica è già messa KO alla radice.

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  12. Berlicche

    Putroppo devo aggiungere, un esempio di questo pessimo modo è l’ultimo messaggio vaticano per la cura del Creato.
    http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2019/documents/papa-francesco_20190901_messaggio-giornata-cura-creato.html
    Dove ahimé si fanno affermazioni quantomeno discutibili. Non è facendo da eco ad allarmismi e proposizioni non provate o erronee che si può aumentare l’amore a Dio, e quindi salvaguardare il Creato.

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    1. Lucia

      Sì, nel caso di specie concordo che non è il miglior messaggio in assoluto che si potesse scrivere.
      In generale, tendo a non apprezzare quando si calca troppo la mano sull’allarmismo (suscita una reazione emotiva nell’immediato, ma gli allarmi si dimenticano in fretta…), e nelle omelie i troppi riferimenti all’attualità non fanno impazzire neanche me. A parte che anche a un livello strategico, come dire, si presta appunto a suscitare malumori come i tuoi 😀

      Se fossi stata il ghostwriter del Papa avrei probabilmente optato per un’altra scaletta XD

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  13. Elisabetta

    Riguardo al consumismo, inquinamento e coscienza personale, hai espresso proprio quello che penso anche io… aggiungo ( non voglio dare lezioni né mi credo migliori di altri) che purtroppo non credo di essere ancora arrivata a vivere del tutto in linea coi miei principi…per esempio su abbigliamento e sprechi alimentari.

    Il problema per me è esistenziale e fonte anche di dubbi.
    Vi faccio un esempio. Nella scuola dove lavoro, ogni giorno vengono sprecati diversi kg di cibo. Se si potesse dire qualcosa alla ditta che lo produce e questo avesse effetto, non sarebbe meglio? Sempre considerando che la dieta di un bambino è calcolata sulle kcal e si presume che dovrebbero mangiate tutto per rispettarla e mangiare bene. No, mi dicono alcuni. Meno cibo cucinato vorrebbe dire meno lavoro e taglio del personale. I soldi che le mensa usa van spesi tutti. Meno cibo prodotto meno personale.
    E questo vale per qualsiasi prodotto… meno vestiti? Meno commesse. Meno dolci? Meno bar. Ecc. Ecc.
    Per questo dicevo che siamo nati in un mondo per cui mantenere un certo stile di vita, dignitoso ma non lussuoso, implica comunque consumi. Se non consumi , la gente non lavora. I politici ci dicono che se non spendiamo non produciamo e non c’è lavoro e viceversa meno lavoro c’è meno spendiamo. Tutti siano così intrecciati in questa logica he se tutti cominciassimo a essere parsimoniosi nei consumi saremmo ancora più poveri!
    Mi chiedo…è normale questo? Essere costretta a consumare e quindi inquinare perché la gente conservi il lavoro?
    Scusate se sono andate off topic… il discorso per me non è se stiamo uccidendo il creato e se il creato sia stato deizzato a scapito del vero Dio… per me il problema è se il nostro stile di vita , che prevede anche inquinamento e sfuttamento, non sia in linea con la Parola. E naturlamente che peso posso avere io, un granellino sulla faccia della terra? Non sto dicendo che sia peccato lo stile di vita occidentale, né che sia necessario un ritorno all epoca pre industriale o pre globalizzata. Sto dicendo che se io, essere con una coscienza e una mente, mi pongo questo dubbio, non posso voltarmi dall altra parte solo perché sono un granellino passivo del sistema, ma fare quanto posso, nel mio piccolo, per cambiare. Non perché cambi il mondo, ma per un problema morale individuale.

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    1. klaudjia

      Forse la soluzione potrebbe essere “riconvertire” i posti di lavoro. Non sarebbe la soluzione a quello che giustamente prevedi tu ma potrebbe aiutare . Qui a Roma ci sono negozi di lusso del “vintage” impensabili fino a qualche tempo fa dove potrebbero trovare lavoro le commesse del fast fashion o le famose sartine del quartiere potrebbero ritornare al lavoro (nella mia zona ne sono spuntate sei! Dieci anni fa non se ne vedeva l’ombra).

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      1. Elisabetta

        Magari! Io per alcuni capi mi rivolgo alle sarte ma finisco per spendere molto e allora sono meno propensa a usare quei capi tutti i giorni come invece dovrei!

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        1. klaudjia

          Le sarte della mia zona fanno quasi esclusivamente “aggiusti” di capi già confezionati perché quelli sono i più richiesti dai clienti. Io spesso porto lì ad aggiustare i vestiti che prendo di seconda mano (che raramente trovi proprio della tua taglia) e risparmio parecchio in questo modo.

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  14. Elisabetta

    E un secondo dubbio che ho riguarda la storicità del cristianesimo. Nessuno 300 anni fa aveva questi problemi mori, così complessi. In un’epoca di economia industriale digitale e globalizzata non è facile capire quale responsabilità abbiamo gli uni degli altri e del creato. Maggior benessere ma anche maggiori responsabilità

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  16. Kamael (@Guercio89)

    Grazie per questo post, l’ho trovato molto interessante e mi ha fatto rivedere le cose da una prospettiva migliore di quella che avevo.
    Mi permetto di rispondere con una riflessione che forse potrebbe anche essere off-topic ma che credo sia in qualche modo collegata a questa questione dell’ambientalismo e riguarda il rapporto che le persone hanno con la medicina. Io ci faccio particolarmente caso perché siccome sono medico mi riguarda da vicino ogni giorno in cui mi devo ritrovare a discutere con i pazienti di una terapia e vedo che ci sono tante persone (che guardacaso sono le stesse tanto attente ai temi ecologici e che comprano tutto e solo bio) che non si fidano delle terapie che vorrei dare loro e non le seguono, mentre sono prontissimi ad aprire cuore, mente e portafoglio ai primi ciarlatani che offrono loro trerapie “naturali” che quindi sono buonissime a differenza di quelle “chimiche” che quindi sono cattive. Quello che vedo è che si è formato questo modo di pensare magico che è radicatissimo nelle menti delle persone e che porta a trarre conclusioni sbagliate perché si parte da presupposti che a prescindere sembrano veri e non vengono messi mai in discussione, laddove non bisognerebbe chiedersi se una terapia è “naturale” o “chimica”, ma se è vera o falsa, giusta o sbagliata.
    Inutile ripere che la natura è fatta di chimica e la chimica è dono di Dio per comprendere e usare bene quello che l’universo ci mette a disposizione, questi modi di pensare sono così radicati che sembra inutile ogni sforzo di spiegazione o tentativo di correggerli.
    Pensavo a tutte queste cose perché mi chiedevo quale fosse l’origine di tutto questo e in che modo fosse collegato alla questione dell’ambientalismo, perché secondo me lo è anche se non capisco bene come.

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    1. klaudjia

      Condivido in pieno il post. Anche l’infuso di cicuta è biologico, ma io non lo berrei! Ma ormai l’equazione naturale=positivo è radicatissima. Anche io cerco i prodotti vegetali ma una cosa è scegliere il balsamo per capelli e l’altra è la cura di una malattia. Conosco una donna colpita da un tumore al seno che si è “curata” con l’omeopatia con il risultato che il male è progredito ed ora è passata alle cure scientifiche ma partendo da una situazione più grave.

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