Quando i cosacchi nazi-comunisti abbeveravano i cavalli alle fontane del Friuli

Su questi schermi, abbiamo già avuto modo di parlare delle origini dell’allarmante profezia in base a cui i cosacchi avrebbero presto abbeverato i cavalli alle fontane di piazza San Pietro.
A San Pietro, di cavalli cosacchi non se ne son visti mai, ma non molti conoscono la curiosa vicenda per cui una zona d’Italia si ritrovò, effettivamente, invasa di rudi cosacchi, armati fino ai denti, che abbeveravano i loro cavalli nelle pubbliche fontane.

Alesso, ottobre '44. Cosacchi in piazza

Siamo nel 1944, ad Alesso, frazione del comune di Trasaghis, e stiamo effettivamente osservando dei cosacchi “invadere” le città del Friuli.

Ma cosa diavolo era successo per arrivare a questo risultato?
E, soprattutto, perché diavolo la popolazione locale ricorda ancor oggi come “invasione nazista” l’arrivo di truppe cosacche dalla Russia?

***

Tutto comincia negli anni ’20, quando, venuti meno gli entusiasmi iniziali, molti dei cosacchi russi prendono le distanze dalla rivoluzione bolscevica. La loro principale preoccupazione era data dal nazionalismo accentratore del nuovo governo, che non aveva mai fatto mistero di voler sopprimere le autonomie locali: nulla di buono, per quella antica comunità che temeva di vedersi sottrarre così le sue prerogative.
Inoltre, molti cosacchi erano cristiani ferventi. In più di un’occasione, nel corso dei secoli, le truppe cosacche avevano assunto il ruolo di difensori della Chiesa russa contro l’attacco dei Turchi. Inaccettabile, per molti di loro, l’ateismo di Stato imposto dal regime. Inaccettabile, del resto, era agli occhi del regime l’esistenza stessa dei cosacchi: molti dei bolscevichi li consideravano un residuo dell’impero zarista – da sopprimere.

E insomma. Quando, nel 1941, le potenze dell’Asse danno il via alla Campagna di Russia, molti cosacchi decidono di schierarsi al fianco di Hilter. Alcuni di loro entrano nella Wehrmacht e altri diventano addirittura SS. Per quanto riguarda direttamente noi italiani, un nutrito gruppo di cosacchi si offre di combattere per Casa Savoia dando vita a un’unità di cavalleria leggera sotto il comando del conte Ranieri di Campello.
Cosa aveva spinto i cosacchi a questo voltafaccia? La promessa che la comunità cosacca avrebbe potuto godere di ampia autonomia, non appena avesse preso il via la dominazione italo-tedesca al termine della Campagna di Russia.

Come sappiamo, le cose andarono un po’ diversamente – e mentre i nostri soldati morivano nel gelo e si ritiravano alla chetichella, i poveri cosacchi cominciavano comprensibilmente a scalpitare.
In fin dei conti, erano state fatte loro delle promesse. Avevano tradito la madrepatria, mica roba da niente, per poter garantire un futuro a se stessi e alle loro famiglie.
Italia e Germania erano consapevoli di questa cosa, e intenzionate a non tradire la fiducia di quelli che, dopotutto, erano stati fedeli e valenti soldati. E così, presero in mano una cartina geografica e cercarono un buco di terra da affidare a ‘sti cosacchi, “nell’attesa” di riconquistare la Russia con una seconda e più efficace campagna militare.
Questo buco di terra viene individuato nel Friuli settentrionale.

Nell’estate 1944, prende il via l’operazione Ataman, che autorizza l’insediamento nelle terre friulane di ventottomila profughi cosacchi, tra soldati e loro familiari. Vengono allestite tradotte con cui trasferire agevolmente la popolazione: uomini, donne, bambini, cavalli, masserizie e scatoloni da trasloco invadono, nel luglio 1944, le stazioni ferroviarie di Pontebba, Gemona e Venzone.

La cosa – per usare un eufemismo – non entusiasma le popolazioni locali, che non solo reagiscono con le stesse modalità con cui di solito si reagisce a un’immigrazione di massa, ma cominciano ad avvertire una certa comprensibile confusione sul perché ci siano dei Russi vestiti da nazista che si aggirano per le loro strade.

I parroci additano i cosacchi come pericolosi esempi di ateismo bolscevico, da tener lontani a tutti i costi. Le autorità locali, pur nel tentativo di non mettersi in polemica contro le scelte del regime, lamentano sgomente che “il paese è invaso dai russi, i quali hanno con sè una miriade di cavalli e di carriaggi”. Oggettivamente, il trasferimento di quei ventottomila profughi (!!) non ha tenuto conto delle effettive capacità ricettive di quei piccoli paeselli. Inoltre, ‘sta cosa che i cosacchi si son portati dietro tutto il loro equipaggiamento di cavalli crea fin da subito un problema molto concreto: in breve tempo, il bestiame consuma tutte le riserve di foraggio, con la conseguente difficoltà di reperirne altro.

Accompagnati dalla fama sinistra che agli occhi degli italiani caratterizzava i russi, ‘sti poveri cosacchi riescono a fare l’en plein di antipatia, presentandosi come una specie di mostruoso ibrido nazi-comunista. Come sempre capita in condizioni di disagio, alcuni disperati compiono furti nelle case, razziano cibo. Si segnalano casi di ragazze violentate. Cosacchi ubriachi si aggirano per le strade terrorizzando donne e bambini.

Intanto, i loro capi gettano le fondamenta della Kosakenland in Norditalien che era stata promessa loro: scelgono una capitale del loro nuovo regno, ribattezzano alcuni paesi con i nomi di città russe, instaurano nei villaggi la loro organizzazione sociale e tengono le prime cerimonie religiose, che la popolazione locale guarda con un certo sconcerto perché non si capisce bene cosa sia ‘sto rito strano portato avanti da popolazioni russe e dunque notoriamente atee, ma comunque è chiaramente una roba che non va bene.

I partigiani locali pongono in essere azioni di contrasto, con una certa perplessità per l’intera situazione, a dire il vero… ma, ehi!, questi russi son pur sempre al servizio dell’Asse. I cosacchi giustamente rispondono agli attacchi chiamando in soccorso le truppe repubblichine e dando il via a vere e proprie operazioni di fanteria, con squadroni cosacchi a cavallo nel mezzo dei paesi che lasciano nella popolazione locale una impressione “peggio dei lanzichenecchi”.
E, soprattutto, un senso di profonda costernazione. Quei cavalieri che, nell’immaginario dell’Occidente, erano a torto considerati i baluardi dell’identità bolscevica, adesso combattevano in divisa nazista contro partigiani che vestivano insegne comuniste.
Se non ci fosse stato da piangere, ci sarebbe stato da ridere. Per il momento, perlopiù si piangeva, come ben descrive Stefano Pivato nel suo gustosissimo Favole e politica, in un capitoletto ricco di citazioni da fonti d’archivio che ben descrivono lo stato d’animo degli inermi (e sconvolti) friulani.

Con l’aiuto delle forze alleate, i partigiani cominciando ad avere meglio sui cosacchi a partire dalla primavera del ’45; tra la fine di aprile e l’inizio di maggio inizia il ritiro dei contingenti russo-nazisti. Concentrati in un campo di raccolta e posti sotto alla custodia delle truppe inglesi, i cosacchi vengono privati di armi e cavalli: con l’inizio dell’estate, viene notificato loro l’ordine di rimpatrio verso l’Unione Sovietica.

La notizia è accolta con scene di disperazione. Molti tentano inutilmente la fuga, un gran numero sceglie la morte e si suicida. Quelli che accettano di tornare in Russia, trovano ad attenderli alla stazione un comitato di accoglienza non certo tra i più amichevoli. Processati come traditori della patria, gli sfortunati cosacchi vengono deportati nei gulag: non molti faranno ritorno. Coloro che erano stati a capo del movimento vengono processati; nel 1947, saranno giustiziati.

16 risposte a "Quando i cosacchi nazi-comunisti abbeveravano i cavalli alle fontane del Friuli"

  1. mikahel369

    Cosa aveva spinto i cosacchi a questo voltafaccia?
    La risposta che lei ha dato, non può essere convincente, spiega se mai l’arruolamento nei ranghi nazisti, non la presa di distanza dai bolscevichi. Il fatto credo sia da ricercare in ben altro, ovvero nella, consapevolezza che questi avevano del fatto che la loro madre patria era stata presa in co segna dalla élite ebraico-americana, come recentemente testimoniato da Putin e molti altri documenti storici confermano la cosa, la Duma presentava il 80% di rappresentanti Ebrei (quindi atei) molti venivano da New York, è cosa risaputo che Stalin fu finanziato ed aiutato attivamente dall’America anche con aiuti sul posto (ci sono testimonianze di reduci dalla campagna Russa che parlano di carri armati Americani), Mi corregga dove sbaglio.

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    1. Lucia

      Ehm… non saprei dove correggere, nel senso che di questa storia io non so niente 😀 quando l’ho studiata ho studiato la versione comunemente conosciuta, per così dire.
      Se ci sono degli studi accademici sul tema o è disponibile l’inventario delle fonti d’archivio che riguardano questi fatti, sarò curiosa di leggerli!

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        1. blogdibarbara

          Ambè, se lo dice quel campione di onestà e sincerità di Putin…
          La cosa divertente dei complottismi è che sono tutti fatti con lo stampino, ce ne fosse uno con mezza briciola di originalità! E immagino che in tutta questa storia avranno una parte, viste le premesse, anche i Protocolli dei Savi Anziani di Sion.

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    2. Gianluca di Castri

      La legione cosacca era comandata dal generale Pëtr Nikolaevič Krasnov, non si trattò propriamente di un voltafaccia perché i cosacchi erano contrari al regime bolscevico come peraltro gli ucraini ove i tedeschi furono accolti inizialmente come liberatori (se non si fossero comportati come bestie – utilizzo un modo di dire ma ho il massimo rispetto per le bestie – avrebbero potuto ottenere un notevole supporto). La legione cosacca alla fine della guerra invase parte del Friuli con l’obiettivo di creare un piccolo stato ove poter vivere come cosacchi, l’unico risultato che ottennero fu quello di far nascere un’alleanza temporanea fra alcuni movimenti partigiani e la X-MAS. Rientrati in Russia furono internati, molti furono impiccati compreso Krasnov.

      Krasnov, oltre che essere un politico ed un militare, fu attivo come scrittore. Io ho avuto l’occasione di leggere due suoi libri, il primo è “dall’aquila imperiale alla bandiera rossa”, un romanzo storico di parte zarista che vale la pena di leggere, credo sia in buona parte autobiografico; il secondo è “comprendere è perdonare” che non ha lo stesso livello.

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  2. Celia

    Forse il “like” non è la cosa più appropriata per una storia come questa, ma tant’è…
    … e chissà perché, questa cosa dell’invasione di profughi – per di più con usanze tanto strane – mi ricorda qualcosa 😜

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  3. blogdibarbara

    Solo un appunto, per una piccola svista: la campagna di Russia è iniziata nell’estate del ’41, non nel ’42. Per il resto, splendido pezzo, come sempre. C’è da dire che anche in Ucraina e nei Paesi baltici, che avevano conosciuto la feroce repressione sovietica, il terrore, la fame, le deportazioni (anche la Russia, ma loro di più, per via delle aspirazioni indipendentiste ferocemente represse), in un primo momento i tedeschi erano stati accolti addirittura con pane e sale. Poi si sono quasi subito accorti che un diavolo con un vestito diverso non è meno diavolo.

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  4. Murasaki Shikibu

    Gran bel post e molto utile per me, anche, perché davvero di questa storia non sapevo niente. Davvero una vicenda tristissima, comunque la guardi, e una luminosa dimostrazione della stupidità dei politici in tempo di guerra. Voglio dire, se almeno li mandavi sulle coste meridionali, presso qualche comunità ortodossa, almeno l’attrito religioso un po’ se lo risparmiavano. Se non si incaponivano a mettere nomi kazaki ai paesi friulani, se almeno non li mandavano in una zona di minoranza etnica, se, se e se… Comunque la vera sorpresa per me è stata scoprire che ci sono stati “russi” capaci di tradire la Santa Madre Russia. Cosa c’è di più affidabile di un cosacco dello zar? Parecchie persone, a quel che sembra!

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  5. klaudjia

    Il principio dei potenti è sempre quello. Senza fare polemica, purtroppo i profughi (di qualunque luogo) sono sempre “il problema di qualcun altro”. Nel momento in cui si devono collocare poiché, triste dirlo, nessuno li vuole vicino casa propria finisce che “chiedi dovere” li porta sempre nelle posizioni più disagiate. Il Friuli all’epoca non era una zona benestante, in tempo di guerra poi!! Qui a Roma ci sono 24 centri di accoglienza per richiedenti asilo. Di questi 12 sono in una singola zona (che preferisco non nominare) caratterizzata dal fatto di essere il quartiere dormitorio più povero dove ancora non ci sono marciapiedi, scuole, lavoro e dove pure la raccolta differenziata porta a porta è stata tolta perché le vie non consentivano il passaggio dei furgoni della spazzatura. Chi deve decidere dove collocare i profughi non si cura minimamente di integrare culturalmente i vari gruppi o di vedere se i servizi saranno sufficienti per tutti. Triste ma vero!

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