I dolci dell’Epifania, per essere il Re del giorno

Leggenda vuole che la tradizione vada ricondotta alle usanze dei monaci di Besançon, i quali (a quanto pare) fin dal XI secolo operavano in tal modo quando occorreva eleggere un nuovo abate: nascondevano una moneta all’interno di una pagnotta poco prima di infornarla e accettavano di farsi guidare dal monaco che, per ventura, avesse trovato la moneta nella sua fetta di pane al momento del taglio.
Potrei citare svariati casi in cui efferati dittatori sono stati mandati al potere in modi molto meno stupidi di questo, ma sorvoliamo.

Ad ogni buon conto: non so fino a che punto i monaci di Besançon abbiano realmente influito su questa bella tradizione (e onestamente non so nemmeno se sia vera la cosa della moneta). Fatto sta che l’usanza nasce proprio nella Francia, dando traccia scritta di sé nel pieno Medioevo, per poi diffondersi a macchia d’olio anche oltralpe (e, in una certa misura, anche in Oltremanica).

Sto parlando, naturalmente, della bella tradizione conosciuta in Francia con il nome di Galettes des Rois e meglio nota ai Piemontesi come focaccia della Befana. Fornire una ricetta sarebbe complicato, ché il modo con cui si presenta il piatto varia (in modo anche notevole) da zona a zona. Facciamo prima a elencare il minimo comun denominatore che caratterizza tutti i piatti che rimandano alla tradizione: si tratta di dolci pensati per essere consumati in famiglia nel giorno dell’Epifania, là dove si concludono le grandi feste del Natale.

All’interno del dolce, si cela un piccolo premio. Secondo la tradizione francese, è quasi sempre una monetina (proprio come quella che si narra fosse usata dai monaci masochisti); in Piemonte è, più prosaicamente, una grossa fava, che viene nascosta nell’impasto al momento di infornarlo.

Il dolce viene portato in tavola con gran solennità dopo l’ultimo grande pranzo delle feste; spesso, arriva già tagliato su un vassoio, con tante fette di dimensioni perfettamente identiche. Il capofamiglia nomina un suo rappresentante cui viene affidato l’importante compito di assegnare le fette a tutti i commensali; l’incaricato (quasi sempre un bambino; se l’età lo consente, il più piccolo tra i bimbi di casa) provvede con grande orgoglio a servire le fette di torta a tutti coloro che sono presenti a tavola.

Ovviamente, dentro ad una di quelle fette si cela il prezioso premio.
Ebbene: colui il quale avrà la fortuna di trovarlo sarà nominato il Re della festa: una sorta di quarto Re Magio. E, in quanto tale, diventerà per un giorno il monarca assoluto della casa (con possibilità di indicare tra i presenti una regina o un re consorte, se lo desidera).

Che memorabile giorno sarà, quello, per il sovrano! Ogni suo desiderio dovrà essere esaudito dai servitori e sudditi, in un’ultima, giocosa giornata festiva durante la quale i piccoli di casa potranno (con un po’ di fortuna!), vincere la possibilità di dare ordini a nonni e genitori.

La magia svanirà allo scoccare della mezzanotte, quando l’Epifania avrà inesorabilmente portato con sé il clima di festa che, un tempo, riempiva le case fin dal giorno di sant’Andrea. Come a dire: si sta per tornare al tran tran e all’ordinario. E allora, diciamo addio alle feste dando alle nostre famiglie il più grande assaggio di… extra-ordinarietà.

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Queste, grossomodo, sono le linee guida.
All’atto pratico, la tradizione della galette des Rois si è evoluta differenziandosi in una molteplicità di forme diverse a seconda del tempo, della sensibilità e della zona.

La più significativa metamorfosi si è registrata in Francia negli anni della Rivoluzione, un’epoca durante la quale gli illuministi avrebbero probabilmente preferito andare alla ghigliottina pur di non prendere parte a un gioco così poco repubblicano da comportare (brr!) l’elezione di un re. Senza esitazione, il dolce fu ribattezzato gâteau de l’égalité e cominciò a nascondere, tra il suo impasto, non più una aristocratica moneta bensì la miniatura di un cappello frigio. Al tempo stesso, si perse quella dimensione carnascialesca di ribaltamento dei ruoli che accompagnava il taglio della torta: colui che poteva vantare il morso fortunato avrebbe dovuto accontentarsi di poter tenere per sé il cappellino, come ricordo della giornata.

Ritornata alla sua originaria dimensione “monarchica” nel corso dell’Ottocento, la galette francese deve confrontarsi oggi con un nemico invisibile che avversa le tradizioni con ancor più forza dei sanculotti: e cioè, il consumismo.
Poiché i bambini d’oggi tendono ad essere i piccoli despoti della casa 365 giorni all’anno, il premio “immateriale” di poter dare ordini a mammà si muta in qualcosa di molto più tangibile: cioè, un vero e proprio mini-giocattolo (o addirittura un gioiello) che viene inserito all’interno della torta, su modello dell’uovo di Pasqua.

Qui in Italia?
Divenuta in epoche recenti il dolce della Befana (più che dei Magi), la focaccia dell’Epifania ha perso ogni connotazione monarchica. Il fortunato assaggiatore che avrà la ventura di trovare, nell’impasto, la fava della tradizione, vincerà genericamente il premio di… un anno fortunato, in cui nulla potrà andargli storto.

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Non potrei concludere questo articolo senza una ricetta, e quindi ve ne fornisco una, tratta dal… gustosissimo (in tutti i sensi) Seasonal European Dishes di Elisabeth Luard. In Francia, la galette tradizionale è un dolce piuttosto ricercato composto da due strati di burrosa pasta sfoglia dentro ai quali si nasconde – oltre alla moneta – una golosa crema al frangipane.

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La tradizionale “galette”, servita da un cameriere d’eccezione

Io vi fornisco invece una ricetta molto più terra-a-terra, che, secondo la Luard, è la più simile alla versione della galette tradizionalmente mangiata nella zona di Beçanson. E quindi, probabilmente, è la più simile a quella che dovette essere la sua versione originaria, se vogliamo credere alla leggenda dei monaci medievali. E quindi, per chiunque volesse cimentarsi:

250 grammi di farina
100 grammi di mandorle tritate finemente
175 grammi di burro
100 grammi di zucchero semolato
4 tuorli d’uovo

Versate farina, mandorle e zucchero in una ciotola, amalgamando l’impasto con il burro sciolto e con i tuorli d’uovo. In caso di bisogno, aggiungete poco per volta latte o acqua tiepida, fino a quando l’impasto non assumerà la consistenza di una pasta soffice e malleabile (tipo la pasta per pizza, giusto per capirci).
Nascondete la fava (o moneta, o fagiolo, o quel che vi pare) all’interno dell’impasto.
Mentre fate scaldare il forno a 230° gradi, rivestite di carta da forno una teglia metallica dal diametro di circa 30 cm e distendete dentro di essa l’impasto, allargandolo con i polpastrelli. Prestate ovviamente attenzione a che la fava (o quel che l’è) rimanga ben nascosta.
Fate cuocere la galette nel forno per circa 20 minuti, o comunque fino a quando la superficie non sarà dorata e leggermente croccante.
Quando la galette sarà raffreddata, potrete – se volete – ricoprirla di glassa e abbellirla con decorazioni di Natale. Altrimenti, optate per il rustico e portatela in tavola direttamente così com’è.

Non vi sto nemmeno a dire come prosegue la storia: chiunque si aggiudichi il morso fortunato… beh, ormai l’avrete capito, no?
E sarà festa grande, anche nelle vostre case!

20 risposte a "I dolci dell’Epifania, per essere il Re del giorno"

  1. Celia

    Beh, insomma, un po’ tanta superstizione e un po’ male sì, secondo me, l’idea della “fortuna per tutto l’anno” – che oggi conosciamo forse più legata al Capodanno… ma comunque, pignoleria critica a parte, evviva la galletta 😉

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    1. Lucia

      Beh, sì: ovviamente, tutto sta nello spirito con cui si seguono queste tradizioni.
      Non c’è nemmeno bisogno di precisare che ovviamente io non credo davvero al potere portafortuna di una fava, però mi diverto a portare avanti la tradizione antica e, ti dirò, ci scherzo pure.
      Oggi non sto tanto bene e non me la sentivo di preparare io la focaccia come progettavo di fare inizialmente, sicché stamattina ho mandato mio marito a comprarne una nella panetteria qua sotto, scherzando “non posso stare senza: son più di là che di qua, ho bisogno di poter riporre le mie speranze nella fava!”.

      Ovviamente è tutto un gioco, ma quando la dimensione di scherzo è così ovvia per tutti i partecipanti, si può giocare con tranquillità 😉

      (P.S. Da 1 a 10, quanto scommettiamo che NON sarò a io trovare la fava, domani? 🤣)

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        1. Lucia

          😅

          Su Facebook, una lettrice mi ha detto di aver trovato, dentro alla sua gallette francese con crema di frangipane, una piccola statuina del presepe. Io sono molto perplessa all’idea di mettere una statuina del presepe all’interno di un alimento (fosse anche solo una crema che non va in forno) perché… boh? La vernice? Immagino l’abbiano protetta in una custodia di plastica tipo quella delle sorprese degli ovetti Kinder.
          …però in effetti questa è una idea bellissima 😀

          (Ancor migliore sarebbe l’usanza inglese di nascondere dentro ai dolci – non dell’Epifania, però – un gioiello 🤣)
          (Certo, se il gioiello viene inavvertitamente ingerito poi è divertente andarlo a recuperare ehm…)

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  2. mariluf

    Anch’io, da buona torinese, mi sono spesso divertita con la focaccia dell’Epifania,non fatta in casa ma qualche volta regalata e altrimenti comprata in panetteria. Confesso che mi piace più del panettone, soprattutto quando non è troppo dolce, e va benissimo per la colazione dei giorni successivi, prolungando quasi la festa… Non ho mai trovato la fava, ma non posso certo lamentarmi della mia vita.. Auguri, Lucia! e mi piacerebbe sapere se poi l’hai trovata, la fava….

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    1. Lucia

      Io, nei due anni passati, ho trovato la fava per due volte di fila, ma, come mi è stato impietosamente fatto notare oggi, “non sembra aver funzionato un granché” 🤣
      Osservazione alla quale io ho risposto: “e tu pensa se non la trovavo!!” 🤣🤣

      Comunque… sì, è buona, la focaccia della Befana.
      Proprio buona, un modo dolcissimo per prolungare ancora un pochino le feste nei giorni a venire.
      Quella di quest’anno arriva da una panetteria/pasticceria dove non l’avevo mai comprata prima, ho notevoli aspettative perché di solito lì vendono prelibatezze.

      Ti farò sapere 😛

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  3. Mariella

    Interessante storia! Pensavo fosse solo una tradizione contadina piemontese, vista la semplicità degli ingredienti qui in zona (una bassa brioche con un po’ di zucchero sopra); consolidata tradizione in famiglia, anche per noi trovare la fava significava fortuna (salvo poi dimenticarsene il giorno dopo, come per i quadrifogli): diciamo che il piacere è soprattutto per i bimbi, per la soddisfazione del gioco della ricerca! Comprata oggi in pasticceria, fava non ancora reperita, ma si farà in fretta…😋
    Grazie della ricetta, proverò la variante di Besançon per il prossimo anno!

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  4. alegenoa

    ma se le fette vengono tagliate prima, come fai a sapere di non beccare la fava mentre tagli, a metà tra due fette?

    A parte tutto ho un ricordo lontanissimo da genovese, che mi hai fatto tornare in mente, di un qualcosa, penso un dolce, in cui anche da noi si nascondeva una fava che solo un commensale avrebbe trovato… Ma ero piccolo, non ricordo dentro cosa fosse (né se ci fosse un premio accessorio, direi di no)!

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    1. Lucia

      …in effetti è una valida domanda, trovare la fava a metà tra le due fette è esattamente quello che è successo a me quest’anno, peraltro.
      Immagino che in quel caso la fortuna sarebbe andata alla volenterosa cuoca tagliatrice. In teoria, portare in tavola il vassoio con le fette già tagliate doveva impedire di barare tagliando una fetta più grossa delle altre, immagino. All’atto pratico concordo con te, ma così vuole la tradizione 😅

      Non mi stupisce venire a sapere della tua focaccia genovese, perché al mare (nel Ponente) anche la pasticceria vicino a casa mia le vende.
      Va anche detto che contestualmente vende dolcetti che portano fortuna per l’anno nuovo nella tradizione tedesca, quindi probabilmente son leccornie per turisti, non per autoctoni.
      Però chissà, magari vi contagiamo 😉

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        1. Lucia

          E’ solo questione di strategia: zitta zitta, la mia pasticcera ha già contagiato un certo numero di autoctoni spiegando loro queste bizzarre tradizioni foreste (piemontese e tedesca a parimerito) 😆

          Scherzi a parte, è proprio vero: cose belle che tra poco non ricorderà quasi più nessuno.
          Nel mio piccolissimo, spero con questi post di lasciare ai posteri una qualche traccia della loro esistenza 😛

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