Breve storia universale delle epidemie che hanno decimato il mondo

La cosa potrebbe probabilmente cogliervi di sorpresa, perché non tratto spesso questo argomento (fondamentalmente, partendo dal presupposto che non ve ne possa importar di meno).
Eppure, così è: ho studiato abbastanza a lungo la Storia delle epidemie, prima all’università e poi per lavoro.

In un momento storico in cui tutta Italia s’è scoperta epidemiologa, non resisto alla tentazione di graziare il mondo con i my two cents… spronata in particolar modo da una domanda che – tra il serio e il faceto, tra il curioso e lo xenofobo – ho letto parecchie volte, in questi giorni, sui social: ma è vero che le peggiori epidemie della Storia arrivano sistematicamente dalla Cina?

Messo così, sembrerebbe un pregiudizio becero – invece, storicamente, è grossomodo vero.

La sifilide è probabilmente americana.
Quasi sicuramente, il colera arriva dall’India.
Qualche epidemia “di scarso successo”, nel senso che spiegherò più avanti, ha il suo focolaio in Africa.
Ma, regà, date retta a me: in fatto di epidemie, il made in China è garanzia di qualità. Se volete una epidemia ben strutturata, ragionevolmente letale e con buone potenzialità di diventare endemica, è in Cina che la dovete cercare.

Prima di addentrarci nella questione, urgono due premesse:

  1. Ovviamente sono una storica e non un medico. Per quanto riguarda le considerazioni di natura strettamente medica, mi attengo a quanto hanno scritto gli storici che prima di me hanno intervistato medici epidemiologi, presumendo che abbiano fatto bene;
  2. La fonte principale di questo articolo è l’immortale saggio Plagues and Peoples di William McNeill, “immortale” nel senso che è uscito nel 1975 e ancor oggi è considerato pietra miliare nel settore, con l’esclusione di qualche punto critico che è stato recentemente messo in discussione. Ne sono consapevole, e ho tenuto in considerazione il libro solo per quei punti che vengono comunemente ritenuti validi.

E allora, pronti via! Cominciamo questa appassionante

Breve storia universale delle epidemie che hanno decimato il mondo

King Cholera, c.1832 (litho) (b/w photo)

I. Salve, mi presento: sono l’Agente Patogeno

Quando, negli anni ’30 dell’Ottocento, il colera arriva in Europa, le riviste satiriche inglesi cominciano a rappresentarlo come sopra. Lo personificano, dandogli l’aspetto di un gentleman scheletrico ma gioviale che sbarca da porti lontani in viaggio di lavoro.
L’immagine che vedete sopra è tratta da una collezione privata; quelle che aprono e chiudono l’articolo sono apparse sulla rivista Punch.

Adoro l’umorismo inglese.
Da quando ho scoperto questo filone di vignette, io, le malattie, me le immagino proprio così. Nel mio lucido delirio, immagino gli Agenti Patogeni come degli minuscoli agenti speciali con una missione top top secret: innescare una pandemia.

Di Agenti Patogeni, ovviamente, è pieno il mondo. Ognuno di loro ha gusti specifici e ha affinato tecniche diverse per portare a casa la pagnotta, ma tutti sono accomunati da un’unica ambizione: fare un lavoro come si deve ammazzando un fracco di persone.

Per riuscire a farsi strada nel magico mondo delle malattie e guadagnarsi l’ambito titolo di Epidemia, il candidato ideale deve possedere tre skill fondamentali:

  1. Essere un tipo socievole. Perché – va da sé – è difficile diffondere un contagio se stai a rotolarti su un sasso nel mezzo del deserto. Il Perfetto Agente Patogeno è un tipo che ama i posti affollati e che è anche disposto a viaggiare per raggiungerli, prendendo dimora nelle grandi città e/o comunque in zone densamente popolate.
  2. Considerare la verginità un valore. Nella storia delle epidemie, si parla di “popolazione vergine” per indicare una popolazione che non è mai venuta a contatto con l’Agente Patogeno. La differenza tra una popolazione vergine e una popolazione che, beh, hai già portato a letto è la stessa che permette alle maestre d’asilo di arrivare più o meno vive alla fine dell’anno scolastico e, per contro, fa sì che i loro pupilli cadano vittima di un continuum ininterrotto di contagi. Tanto più una popolazione è stata esposta a una malattia, tanto più affinati saranno i suoi meccanismi di difesa.
  3. Non avere troppe pretese. Ci sono alcuni Agenti Patogeni che, non appena individuano una popolazione vergine, partono per la tangente perdendo completamente la trebisonda. Yeeeeee!! Contagiamo tutti!! Ammazziamo il mondo!! Sì! Sangue! Sputo! Pus! Diarrea! Col piccolo problema che, una volta che hai ammazzato tutti, non hai più nessuno da contagiare e devi battere in ritirata.
    Uno degli Agenti Patogeni più scemi della Storia è stato quello che, nel 1891, si è messo in testa di provocare in Africa un’epidemia di peste bovina, uccidendo in pochi mesi un numero di capi spaventosamente alto (oltre il 90%). Nell’arco di una stagione, ci sono carcasse di bovini ovunque, con un piccolo numero residuo di super-mucche che, va a sapere per quale miracolo, sono immuni al contagio. L’Agente Peste Bovina, ridotto alla fame, è costretto a ritirarsi con disonore; ci riprova or qua or là, ma con successi non più duraturi. Nel 2011, subisce l’onta di essere dichiarato malattia eradicata (peggio di lui aveva fatto solo l’Agente Vaiolo, ma lì c’erano di mezzo massicce campagne vaccinali).

In sintesi: per riuscire a fare un buon lavoro, l’Agente Patogeno ha bisogno di stanziarsi in località affollate, possibilmente mai visitate prima e con una popolazione abbastanza ampia da poter essere decimata senza che questo ne comporti lo sterminio totale.

In età storica, in quali luoghi del mondo si sono verificate queste condizioni?

II. La Bibbia, una cronistoria di epidemie

Aaaahh, il Vicino Oriente Antico, meravigliosa culla della civiltà.
Lì si sviluppano il mondo assiro-babilonese e la grande potenza egiziana: lì, per la prima volta, migliaia di persone prendono dimora in magnificenti insediamenti urbani.
Lì, gli Agenti Patogeni di tutto il circondario si danno appuntamento, organizzando un morbo-party che dovette essere senza precedenti.

Le fonti scritte di quell’epoca sono relativamente poche, ma quelle che ci sono bastano e avanzano per farci capire che i nostri amici Agenti si diedero un sacco da fare.

L’Epopea di Gilgameš parla di una epidemia che colpì attorno al 2000 a.C. e che viene citata anche da frammenti coevi provenienti dall’Egitto. Per l’arco temporale che va grossomodo dal 1200 al 600 a.C., la Bibbia cita ‘na caterva di epidemie che la metà bastano: oltre alle piaghe d’Egitto, abbiamo il morbo che si abbatte sui Filistei nel libro di Samuele; la pestilenza che re Davide sceglie simpaticamente di inviare alla popolazione per risparmiarsi l’onta di una sconfitta; il male che decima gli assiri ai tempi di Sennacherib.

Doveva trattarsi, però, di epidemie non particolarmente “cattive”.
Nel senso che, sì, le fonti le citano, ma non sembra di avere a che fare con epidemie di una magnitudine tale da arrestare o anche solo ostacolare lo sviluppo di queste civiltà, che, per il resto, continuano a crescere a prosperare.
Datte retta a me: quando si abbatte su una società una malattia veramente carogna, le ripercussioni socio-economiche si vedono fin troppo bene. In questo caso, non ci sembra di vederle.

E poi, a un certo punto, tracce di queste epidemie spariscono pure dalle cronache dell’epoca.
Non è irragionevole supporre che, dagli e dagli, col passar dei secoli, una crescente fetta di popolazione avesse sviluppato immunità e/o avesse posto in essere delle strategie di auto-difesa volte a ridurre il rischio di contagio (es. “è noto a tutti che non si consuma la carne di quell’animale, perché la sapienza ancestrale ci insegna che, se qualcuno si avvicina a quelle bestie selvatiche, grandi sciagure colpiscono il villaggio”).

Insomma: non solo la verginità della popolazione non era che il ricordo sfiorito di un felice tempo lontano – la popolazione s’era pure fatta scafata.
Probabilmente, qualcosa era andato storto anche nelle strategie di guerra dei nostri Agenti: può darsi che dopo l’exploit iniziale si fossero indivanati dando il via a una metamorfosi verso ceppi meno “cattivi” (che, ad esempio, si limitano a debilitare, ma non mirano necessariamente a uccidere. Capita spesso, che dopo un esordio coi fiocchi, gli Agenti Patogeni facciano questa fine, colti da crisi di mezza età).

I nostri amici agenti furono costretti a ritirarsi alla chetichella, ritirandosi in piccoli focolai di campagna. Quel mercato ormai era saturo, e/o comunque serviva una nuova strategia. Meglio guardarsi attorno e cercare un buon tour operator in grado di suggerire nuovi luoghi in cui svernare.

III. Il Mediterraneo è un posticino non male, per un Agente

Di virus nativi del bacino mediterraneo, non mi risulta ce ne siano molti (medici in linea, correggetemi se sbaglio). Gli inverni sono abbastanza freddi; i mesi caldo-umidi sono relativamente pochi; se devono metter su casa in maniera stabile, gli Agenti Patogeni preferiscono zone più meridionali.
Ecco: magari, il Mediterraneo non è l’habitat preferito al mondo per i nostri amici, però ha un grande bonus: è una specie di enorme piscina da un capo all’altro della quale viaggiano costantemente navi che, sfruttando i venti a favore, sono capaci di percorrere in pochi giorni distanze anche considerevolmente lunghe. Ergo: è possibile che un marinaio apparentemente sano salpi da un porto senza mostrare sintomi e sbarchi più morto che vivo centinaia di chilometri più in là, seminando il contagio in ogni dove.

Questa, almeno, era la situazione del Mediterraneo nel momento in cui si sviluppano sulle sue coste le grandi civiltà greche e romane (con annessi assembramenti di folle a fare l’effetto “primo anno al nido”).
E infatti, è proprio lì che vanno i nostri amici Agenti dopo aver saturato il mercato mediorientale. E fanno un ingresso in grande stile, a partire dalla “peste di Atene” descritta da Tucidide.
La malattia raggiunge la Grecia nel 430 a.C. a partire dal porto del Pireo, rotta obbligata per tutte le navi che – non a caso – arrivavano da Oriente. Da lì, colpisce tutte le più grandi città uccidendo fino a due terzi della popolazione… e sparendo poi con la stessa velocità con cui era venuta.
Nuovi focolai scoppiano nel 429 e nel 427, ma non con la stessa virulenza.
Poi basta.

Perché, poi basta?
La popolazione superstite aveva sviluppato anticorpi come doveva esser già successo alle altre popolazioni colpite?
O l’Agente Patogeno si era indivanato, come aveva già fatto nel Vicino Oriente?

Difficile a dirsi. Ma, se non altro, la “peste” di Atene (che sicuramente non era peste; probabilmente tifo. Alcuni ipotizzano una febbre emorragica tipo l’ebola) aveva mostrato al piccolo mondo dei virus che il bacino del Mediterraneo è un gran bel posto in cui lavorare.

Fortunatamente per i nostri antenati – e sfortunatamente per i nostri piccoli amici microbici – il bacino del Mediterraneo era molto molto lontano dal luogo in cui la Scuola d’Alta Formazione per Agenti Patogeni stava per veder realizzati i più arditi sogni della direzione.
E cioè, un improvviso trasloco di masse vergini in terre dove gli Agenti la facevano da padrone.

IV. La gente muore giovane, a sud del Fiume Azzurro

Mentre Atene e Sparta se la davano di santa ragione, in un regno lontano lontano, nella grande pianura della Cina del Nord, migliaia di contadini lavoravano felici nella fertile valle del Fiume Giallo. Attorno al 200 a.C., osservando compiaciuto il benessere socio-economico ivi raggiunto, l’Impero Cinese sceglieva, non irragionevolmente, di ampliare i suoi confini avanzando verso Sud, in quelle terre analogamente rese fertili dal grande Fiume Azzurro.

Sulla carta, ottima idea; all’atto pratico, un disastro sanitario. Nonostante la relativa vicinanza, le terre a sud del Fiume Azzurro avevano un clima drasticamente diverso: i monsoni erano frequenti, le temperature erano alte, l’umidità era elevata. Insomma, erano il perfetto terreno di coltura per una vasta quantità Agenti Patogeni assetati di sangue, che non erano mai riusciti a spostare verso Nord i loro focolai (venendo, probabilmente, stroncati dagli inverni troppo rigidi).

Ma prendi alcune migliaia di Cinesi del Nord e portali a vivere nelle terre del Sud… ed ecco d’un tratto realizzarsi i sogni più spinti di ogni Agente.

Ssuma Ch’ien, storico cinese morto nell’87 a.C., è il primo a scrivere che “nell’area a sud del Fiume Azzurro, il terreno è basso e il clima è umido; i maschi adulti muoiono giovani”. Nei secoli a venire, la circostanza viene accettata come un dato di fatto, tant’è vero che nella letteratura medica cinese fioccano consigli sanitari e diete particolari per proteggere chi si avventura a Sud. Peraltro, con scarso successo, calcolato che le terre meridionali continuano ad essere falcidiate da malattie epidemiche non meglio identificate (e da una che le fonti ci permettono invece di identificare: tra le altre cose, c’era sicuramente un problema di malaria).

Fortunatamente per i nostri progenitori in Italia, il Lontano Oriente è, a quell’epoca, un posto molto molto lontano.
…che però diventa improvvisamente più vicino quando – agli albori dell’epoca cristiana – l’Impero Cinese decide di aprirsi all’Occidente per importare in Europa il made in China. Sappiamo ad esempio che tra le matrone romane del primo secolo era diventato di moda indossare scandalose sete semi-trasparenti che venivano prodotte, ad Antiochia, con bachi cinesi. Ed è solo un esempio tra i molti!

I contatti tra Oriente e Occidente diventano sempre più frequenti, con lo stabilirsi di rotte commerciali lente ma regolari. Delle quali si sarebbero servite – giulivi e increduli per tanta grazia immeritata – decine e decine di Agenti in incognito: tipi freddolosi che, da soli, non si sarebbero mai spinti così lontano, ma che invece si trovavano benissimo a viaggiare nel confortevole tepore di un organismo umano.

V. Le epidemie del tardo (e malaticcio) Impero

Ovviamente, il bacino del Mediterraneo non era nuovo alle epidemie. Abbiamo già citato la peste di Atene, disastrosa oltre ogni misura ma rapida a scomparire.
Per quanto riguarda Roma, Livio ricorda almeno undici epidemie verificatesi in età repubblicana. Ma l’impressione è – di nuovo – di avere a che fare con pestilenze non particolarmente “cattive”. Non ci risultano crolli demografici da ecatombe dopo il passaggio di questi morbi. La crescita economica e l’espansione militare di Roma non sembrano essere rallentate seriamente da questi mali.
Si trattava di epidemie indivanate, come quelle ormai-non-troppo-letali che dovevano esistere nel Medio Oriente? Oppure la popolazione locale, dagli e dagli, aveva sviluppato immunità di gruppo contro questi mali?

Ovviamente possiamo solo fare ipotesi, ma resta un dato di fatto: nessuna delle epidemie in questione fu neanche lontanamente paragonabile a quella che scoppiò in Cina nel 162 d.C. causando il 40% di morti (!) tra i soldati che presidiavano le frontiere a nord-ovest. Da lì si diffuse nel Medio Oriente e nel 167 arrivò a Roma, addosso alle truppe di ritorno dalla Mesopotamia (e/o come souvenir di viaggio per i funzionari che nel 166 si erano recati in ambasciata alla corte degli Han per intessere rapporti diplomatici).

Fu un macello.

La malattia si comportò esattamente come ci si aspetta che si comporti un Agente Patogeno che arriva da terre lontane e che tocca per la prima volta una popolazione completamente priva di anticorpi utili.
In altre parole, la mortalità fu altissima (si stima abbia raggiunto circa un terzo della popolazione)… ma, intelligentemente, non troppo alta da causare una completa ecatombe. Spostandosi or qua e or là attraverso emaciati viaggiatori, il nostro astuto Agente si diede da fare per almeno quindici anni, oltrepassando le mura di città ancora da scoprire e tornando a visitare centri che aveva già toccato non appena l’immunità di gruppo veniva meno.

Siamo di fronte alla prima delle grandi epidemie made in China (probabilmente, vaiolo). La quale, dopo aver ammazzato tutto l’ammazzabile nei suoi primi quindici anni di lavoro, scelse probabilmente di prendersi una vacanza in Africa fino al 251. In quella data, tornò a marciare verso Nord mettendo in ginocchio Roma con una nuova ondata di violentissimi contagi, che si susseguirono per un’altra quindicina d’anni.

E lì – va detto – la popolazione europea cominciò seriamente a preoccuparsi. Mai a memoria d’uomo si erano registrate epidemie così virulente ma così persistenti al tempo stesso, capaci di diventare endemiche dando il via a uno straziante stillicidio.

E dire che l’Agente Vaiolo era ancora un simpatico vicino di casa, se paragonato al collega che stava facendo stretching dietro l’angolo, pronto a salire sul ring alla prima occasione utile. Stava per arrivare in Europa quella che è l’epidemia per eccellenza: la peste bubbonica, la Morte Nera.

Come tutte le malattie di un certo livello: è made in China pure lei.
Ma visto che questo articolo è già spropositatamente lungo e la peste bubbonica è una malattia così bellina da meritarsi un approfondimento come si deve, facciamo che ai sozzi bubboni dedico – a breve – una seconda puntata di questo excursus.

Rimanete in linea, il peggio deve ancora arrivare.

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24 risposte a "Breve storia universale delle epidemie che hanno decimato il mondo"

    1. Lucia

      E figurati se non li conosco! 🤣
      Tempo fa ho lavorato a lungo sul colera e all’epoca speravo di trovare un vibrione peluche dentro ad ogni pacco regalo che ricevevo, ma niente… 😟 CHISSA’ PERCHE’, sembrano far schifo a tutti 🤣🤣🤣

      (In realtà, battute a parte, concordo che alcuni peluche sono davvero di pessimo gusto. Il peluche della Peste Nera o di altre malattie semi-scomparse è di certo un gadget carino da regalare a qualche estimatore, ma come ti viene in mente di fare il peluche cellula cancerosa?? Qualche anno fa, avevano una selezione molto più ridotta e molto più opportuna).

      Comunque sentirmi dire che ho uno uno humor macabro all’inglese per me è un grandissimo complimento °_°

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  1. Murasaki Shikibu

    Molto interessante davvero, e aspetto il seguito con grande interesse visto che stiamo ormai arrivando all’epoca che DAVVERO ci interessa: ma no, non i giorni nostri, chissenefrega – bensì l’interessantissimo MEDIOEVO! ❤️
    Intanti grazie!

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  10. Gianluca di Castri

    Molto interessante. Premesso che non sono medico ma ingegnere, mi permetto un commento sull’origine americana della sifilide. Colombo andò in America nel 1492 e rientrò nel 1493, la sifilide è presenta a Napoli nel 1498 importata dalla Francia, epidemiologicamente è possibile. Tuttavia una diversa teoria sostiene che in realtà si tratti di una mutazione della framboesia dovuta alla necesità dell’agente patogeno di adattarasi alle mutate condizioni di vita ed in particolare alla rarefazione della popolazione (gli effetti demografici della grande peste non si erano ancora esauriti). L’idea della cooperazione fra l’agente Yersinia e l’agente Treponema è degna di un romanzo di fantascienza. saluti. GdC

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  12. Paola

    Ora sto solo pensando al covid sollazzarsi in Europa per i prossimi 15 anni e noi a vivere a lockdown alterni 😑 spero ci siano buone notizie nella continuazione di questo post!

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