“La birra salva!”. Di come sant’Arnolfo divenne il patrono dei birrai

Leggenda narra che la città fosse alle prese con una violenta epidemia di colera.
La leggenda è evidentemente tarda e/o rimaneggiata da uno che non ne sa di Storia: il colera arriva in Europa per la prima volta nel 1830. Fino a quella data, era una malattia esotica con cui gli Occidentali non avevano mai avuto a che fare.

All’agiografo va però concessa un’attenuante: se gli Occidentali non avevano mai avuto a che fare col colera, di certo avevano una secolare dimestichezza con cagotti letali e altri schifosi morbi di tal fatta.
In fin dei conti, va da sé che un tugurio medievale non aveva alcuna garanzia di potersi rifornire a un pozzo di acqua (sempre) potabile. Una infiltrazione, un animale che cade nel pozzo e, morendo, si decompone; un evento che contamina il fiume alla sorgente rendendo venefica l’acqua che viene raccolta a valle… poteva capitare davvero di tutto! Col risultato che bere acqua era sempre un terno al lotto, fino a qualche secolo fa.

I colleghi che, negli anni, si sono dedicati alla storia demografica analizzando i registri dei defunti nelle parrocchie rilevano che, nei mesi caldi, le malattie gastrointestinali erano la principale causa di morte (contrapposte alle malattie respiratorie che facevano strage nei mesi invernali). Quindi, insomma: evidentemente, il problema c’era.

Certo, certo: l’acqua diventava più sicura dopo esser stata bollita, come sa chiunque abbia mai guardato in TV uno show di survivalismo. Però, diciamo che nei secoli passati esisteva il comune consenso per cui si evitano un sacco di rogne, se è possibile bere qualcosa di diverso dall’acqua.

È anche questa la ragione per cui, nei secoli passati, la gente beveva in così grande quantità birra, vino e altre bevande (tipo il latte. Nell’abbazia di Lindisfarne, ad esempio, i monaci non avevano la consuetudine di bere birra, ma in compenso consumavano latte in quantità industriali).
Ovviamente la gente beveva anche acqua, per carità. Ma diciamo che l’esperienza insegnava che bere acqua sporca era potenzialmente assai pericoloso, mentre un buon calice di birra non aveva mai fatto male ad anima viva. (Oltretutto, era subito pronto all’uso e si conservava molto facilmente).

Ebbene: secondo la leggenda, a rendersi conto della cosa fu – tra i primi – sant’Arnolfo di Metz, vescovo della prima metà del VII secolo.
Nella cittadina francese, infatti, la brava gente stava morendo a frotte. Non a causa di una epidemia di colera, come erroneamente vuole la leggenda, ma più probabilmente a causa di un qualche problema improvvisamente insorto nella falda acquifera.

Sant’Arnolfo, tra un funerale e l’altro, si era reso conto di uno strano pattern. Sembrava quasi che, con un certo sadismo, il destino si stesse portando via tutte le persone più caste e morigerate: le brave monachelle, le ragazzine casa-e-chiesa, i ragazzotti seriosi e timorati che non andavano mai ad alzare il gomito in locanda.

E se questa fosse stata la chiave di tutto?, si chiese sant’Arnolfo, colto come da un’illuminazione.
E se fosse proprio l’acqua a causare la malattia, trasmettendo alla popolazione il germe dell’infezione?
Smettete immediatamente di bere l’acqua! Bevete unicamente birra!”, gridò dunque sant’Arnolfo sulla piazza cittadina, nel momento di massima affluenza.

Penserete che queste parole siano state accolte da una ola.
Invece no. Le brave monachelle, le ragazzine casa-e-chiesa, i ragazzotti seriosi e timorati che schifavano la locanda rimasero piuttosto scettici di fronte a una tale affermazione.
Ma come? Proprio nel momento in cui s’abbatte su di noi il giusto sdegno del Signore, dobbiamo cambiare le nostre abitudini e cominciare a darci alla birra? Non è meglio l’acqua, così penitenziale?

“No, no, vi state facendo problemi inutili”, disse sant’Arnolfo, sollevando gli occhi al cielo. “Date retta e me, e sarete risparmiati”. E, per rendere più incisive le sue parole, infilò in un grosso barile di birra il suo bastone pastorale, usandolo a mo’ di cucchiaio per rimestare il profumato liquido. Racconta la leggenda che, dopo aver benedetto il barile, sant’Arnolfo abbia commentato: “la birra è un dono di Dio, arrivata nel mondo grazie alla fatica dell’uomo”. Poteva giusto aggiungere un “andate e bevetene tutti”, ma a quel punto la popolazione di Metz era già convinta.

E per fortuna! Ché sant’Arnolfo ci aveva visto giusto – e, grazie alla sua intuizione, la moria cessò immediatamente.

Da quel giorno, sant’Arnolfo di Metz è considerato il patrono della birra e dei mastri birrai (alla pari di sant’Arnolfo di Soisson e di sant’Arnolfo di Oudendaarde, sui quali raccontano leggende grossomodo simili).

5 risposte a "“La birra salva!”. Di come sant’Arnolfo divenne il patrono dei birrai"

  1. Gianluca di Castri

    Senza voler prendere in esame quanto sia fondata la leggenda (comunque le leggende un certo fondamento lo hanno quasi sempre), è interessante notare come sant’Arnolfo, pur essendo dotato degli schemi culturali, abbia intuito la natura di un fenomeno partendo da un fatto puramente sperimentale. Più o meno mille anni dopo, i medici dei lazzaretti non ebbero la stessa intuizione: erano infatti convinti che l’unico vantaggio degli abiti di tela cerata fosse quello di tener lontane le pulci, avevano verificato che tali abiti davano comunque una certa protezione ma non intuirono il legame fra le pulci e la peste e continuarono a prendersela con i miasmi.

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  2. enrico delfini

    ricordo di aver tradotto al ginnasio un epigramma, forse di Marziale, che se la prendeva con un locandiere disonesto che serviva vino schietto, anziché annacquato. Potrebbe essere un indizio dell’uso di “avvinare l’acqua” per renderla più sicura. Il mio prof. dava la spiegazione che il vino di 20 secoli fa era troppo cattivo e imbevibile; ma forse sono compatibili entrambe le versioni…

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