Prosciutto e melone? È la prescrizione di un medico medievale

Era la mattina del 26 luglio 1471, quando papa Paolo II fu trovato morto nel suo letto. Fu una tragedia che sconvolse tutta la corte pontificia (anzi, che dico: tutta la cattolicità!), e per almeno due buone ragioni.

Punto primo: era giunta del tutto inattesa. Il pontefice si sentiva in gran forma: nessuno aveva contezza di una sua malattia e men che meno avrebbe mai potuto immaginare che la morte lo attendesse dietro l’angolo – cogliendolo per di più al termine di una giornata in cui il papa aveva tranquillamente presieduto a un concistoro, senza mostrare la minima stanchezza.
Punto secondo: a differenza di tanti altri pontefici, Paolo II era tutto fuorché anziano. All’epoca della sua morte, aveva appena cinquantaquattro anni.

Il poverino sarà probabilmente morto di infarto, ma la spiegazione non convinse affatto i suoi contemporanei, che pensarono immediatamente… no: non a un avvelenamento (la cosa parve implausibile); pensarono a una letale indigestione di melone.

Come scrisse a Francesco Sforza Nicodemo Trincadini, un membro di spicco dell’entourage pontificio, era noto infatti che il papa, nella notte che gli fu fatale, aveva cenato molto tardi scofanandosi tre meloni interi, assieme ad altre cose “di trista substantia, come si era assuefacto mangiare da alcuni mesi in qua”. A distanza di qualche tempo, Bartolomeo Sacchi detto il Platina gli fece eco commentando sdegnato che il papa “si dilettava moltissimo a mangiare meloni, e da ciò si crede che sia stata provocata l’apoplessia da cui fu strappato alla vita. Infatti la sera prima di morire aveva mangiato due meloni, per giunta assai grandi”.

Nicodemo e Bartolomeo non riescono a mettersi d’accordo sul numero esatto di frutti consumati in quella cena fatale (erano tre? Erano due?) ma poco cambia: sicuramente erano troppi, dissero scuotendo il capo gli archiatri pontifici convenuti al capezzale del defunto. Il nesso causale tra la morte improvvisa e l’abuso di melone fu accettato in modo così unanime e incontrastato che ancor oggi viene dato per buono su Wikipedia.

Il curioso aneddoto è riportato da Massimo Montanari ne Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, un gustoso libricino sulla storia della cucina tutto farcito di fatterelli curiosi come questo. Giustamente perplesso di fronte alla disinvoltura con cui gli umanisti romani attribuivano al melone proprietà quasi venefiche, lo storico si domanda

Da che cosa nasceva questa diffidenza per il melone?
La freschezza e l’acquosità del frutto, che ce lo fanno desiderare nelle giornate di calura estiva, nel Medioevo erano valutate negativamente sul piano dietetico: si pensava che questa ‘frigidità’, comune a molti frutti, minasse il calore naturale dell’organismo e sbilanciasse pericolosamente dalla parte del freddo l’equilibrio degli umori corporei.

Naturalmente, il riferimento è sempre quello: stiamo parlando della teoria dei quattro umori che era alla base della medicina galenica. Nel corpo di un individuo – assicurava questa teoria, unanimemente accettata nel Medioevo – vi sono quattro umori differenti che si reggono tra di loro in un precario equilibrio. Se uno di questi umori cresce a dismisura (ad esempio perché hai appena introdotto nel tuo organismo una quantità eccessiva di alimenti freddi e umidi), i valori si sballano e la malattia è assicurata. Nei casi più gravi, persino la morte può giungere istantanea.

Ecco: tutti quei frutti estivi che si caratterizzano per essere particolarmente freschi e acquosi erano guardati con grande sospetto nel Medioevo, proprio perché li si riteneva in grado di ingenerare pericolosi scompensi:

i medici consigliavano di mangiarne pochi e possibilmente di evitarli. E questa raccomandazione valeva al massimo grado per il melone, ritenuto il più pericoloso di tutti.

Per chi proprio non voleva rinunciare a questo piacere estivo, esistevano pure delle strategie che i medici ritenevano potessero quantomeno limitare i danni. Ad esempio, si suggeriva di consumare questa frutta lontano dai pasti e a stomaco vuoto: Amato Lusitano ci informa ad esempio che, a casa sua, il melone veniva consumato “nell’hore più calde del giorno”, presumibilmente il primo pomeriggio (e aggiungeva, per la cronaca, che “l’estrema parte tagliata, per rinfrescarci siamo soliti metterla alla fronte”. Un berretto di melone per proteggersi dalla canicola: funzionerà?).

Un altro stratagemma suggerito dai cerusici era quello di consumare modiche quantità di melone accompagnandole con cibi che la medicina galenica riteneva “caldi” – e dunque capaci di contrastare gli effetti malevoli dell’eccessiva freddezza propria del frutto.
Curiosamente, erano due in particolare gli alimenti che i medici consigliavano al tal scopo: vino in quantità (con la sua capacità di donare piacevole calore al corpo che lo gusta) e carne di ogni tipo (alla quale, anticamente, venivano attribuite proprietà identiche).

Chiosa Montanari:

non è difficile scorgere in questa tradizione scientifica il senso, e per così dire l’ideologia, di un uso così tipicamente francese come quello di accompagnare il melone con un bicchiere di vino dolce e forte (per esempio un porto). Non è difficile scorgervi il senso di un uso così tipicamente italiano (ma oggi diffuso in tutto il mondo) come quello di servire il melone col prosciutto, vero must della ristorazione estiva.

Poco importa che la medicina non si affidi più alle teorie umorali di memoria medievale:

l’uso ormai si è affermato e, poiché ci piace, non c’è motivo di abbandonarlo.

14 risposte a "Prosciutto e melone? È la prescrizione di un medico medievale"

  1. mariluf

    Mi sto scoprendo sempre più medievale… Io tollero poco melone ed anguria, ma se li accompagno ad altre vivande riesco a mangiarli. E sono, come diceva mia madree ,” ‘ na gelà d’agust” una “gelata” d’agosto, perchè patisco molto più il freddo del caldo… Grazie sempre, Lucia!

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    1. Lucia

      Per la gelata d’agosto, non sai quanto ti invidio 😅
      Mamma mia, non sai quanto t’invidio!

      Io lo dico sempre (anche a mio marito ad esempio, che è come te): dal freddo tutto sommato ci si può proteggere in tanti modi, ma dal caldo…
      (Io sono seriamente convinta che, se non avessi il conforto dell’aria condizionata da accendere alla bisogna, starei seriamente male in certi giorni estivi. Ma male sul serio!)

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  2. vogliadichiacchiere

    Per il vino, sfondi una porta aperta . . . dall’infanzia, i miei nonni (di cui, ti ricordo, il nonno era alessandrino, ma non “mandrogn”, come diceva), mi hanno abituata che “dopo la frutta non si beve l’acqua, fa venire le coliche . . . meglio un po’ di vino (rosso)” . . . ed ecco che, ora, cambiati i tempi e le abitudini, i figli mi prendono per alcolizzata quando glielo ricordo! 😀

    Ciao, Fior

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    1. Lucia

      🤣
      Però è davvero interessante vedere ancora in auge certe credenze. La base è veramente la medicina galenica medievale!

      (E tenendo conto che i principi-base di questa medicina venivano ancora tenuti in una certa considerazione fino all’800, non mi stupisce nemmeno tanto vederne una certa sopravvivenza nella tradizione popolare eh…)

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    1. Lucia

      Pensa che io l’anno scorso non sono riuscita a mangiare UN singolo melone che fosse uno 😐
      Un disastro eh: ne avrò comprati almeno una decina, ma o mi marcivano nell’arco di mezza giornata o risultavano andati a male quando li tagliavo. Fra l’altro ricordo che ne avevo parlato sul mio canale IG e avevo ricevuto un sacco di commenti da altre persone che avevano avuto problemi simili, non so cosa fosse successo l’anno scorso: la maledizione del melone? 🤣
      Fatto sta che a un certo punto mi son scocciata e ho smesso di comprarli proprio, sigh sob.

      Sto recuperando quest’anno con gli interessi 😝

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