Paracelso, l’occultista ex-minatore che per primo si dedicò allo studio delle malattie dei cavatori

Immaginate la storia di un ragazzo che nasce e cresce in un paesino sperduto nel nulla delle Alpi svizzere, in quell’epoca piena di guerre e di ansie in cui l’evo di mezzo comincia a scivolare verso l’età moderna. Immaginate il giovane protagonista della nostra storia mentre si cala ogni giorno in miniera, così come fanno tutti i suoi coetanei e buona parte degli uomini adulti del paese, la cui intera economia si basa sull’estrazione di tetraedite argentifera. Immaginate insomma ‘sto ragazzotto che ogni sera torna a casa sporco di miniera e affaticato da un lavoro pericoloso e alienante; e che, non appena si butta esausto nel suo letto, inizia a sognare in grande. Perché non è quella, la vita che lui vuole fare; e, come in ogni fiaba che si rispetti, il nostro eroe sente dentro di sé di poter ambire a qualcosa di più grande. Flash forward di qualche anno: la mente fina di quel ragazzino colpirà uno dei più grandi maghi di quei tempi, che insisterà per accoglierlo come suo apprendista; e così, il pargolo abbandonerà il piccone per essere avviato allo studio dell’alta magia, e in breve tempo eguaglierà, e poi supererà in fama, il suo anziano maestro. Le generazioni future lo additeranno come uno dei più grandi maghi e alchimisti di tutti i tempi (ma lui, più perfetto di Mary Poppins, non dimenticherà mai le sue umili origini. La prima delle sue grandi imprese sarà proprio volta ad alleviare le sofferenze di chi è costretto a guadagnarsi da vivere calandosi in miniera).

Messa così, sembrerebbe la trama di un romanzo di formazione così banale da risultar stucchevole, ma forse vi sorprenderò nel dire che quella che avete appena letto è una sintesi grossomodo attendibile della vita di Theophrast Bompast von Hohenheim: medico, alchimista, ricercatore e mago. Probabilmente voi lo conoscete meglio col nome che scelse simbolicamente come pseudonimo: Paracelso – ovverosia “eguale a Celso”, degno cioè di dare filo da torcere all’enciclopedista romano del I secolo noto per il suo decisivo contributo al progredire della scienza medica.

Al di là dei toni fiabeschi con cui ho descritto la sua infanzia, è assolutamente vero che Paracelso trascorse alcuni anni della sua vita svolgendo la professione di minatore. Il padre era un medico di paese (laureato e stimabile, ma non particolarmente abbiente) che prestava servizio presso l’ospedale della città di Einsielden, permanentemente subissato da ex-minatori ancora giovani che venivano stroncati da un male inspiegabile che sembrava soffocarli dall’interno. Oggigiorno parleremmo di silicosi, una malattia dei polmoni causata dall’inalazione delle minuscole particelle di silice che si liberano nell’aria ogni volta che, in una miniera, qualcuno fa esplodere una roccia. All’epoca di Paracelso, i medici rimanevano perplessi di fronte a una malattia che sembrava colpire selettivamente i minatori ma che nessuno sapeva spiegare scientificamente: il popolino mormorava addirittura che i cavatori morissero perché colpiti dalle maledizioni delle streghe o, più genericamente, da una insensata punizione celeste che si sarebbe abbattuta su chiunque avesse avuto l’ardire di dedicarsi all’impresa “contro natura” di calarsi nelle viscere della terra.

Anche Paracelso, in gioventù, compì quello stesso gesto ardito: il padre (che pure seppelliva minatori a decine senza riuscire a darsene spiegazione) aveva deciso di far frequentare a suo figlio una scuola mineraria che sorgeva a Villach, in Carinzia (doveva essere un tipo interessante, questo padre).
L’istituto scolastico frequentato dal ragazzo era – per parlare in termini moderni – un corso di avviamento professionale volto a formare una piccola élite di minatori esperti. E infatti, dopo aver concluso gli studi, anche Paracelso cominciò a prestare servizio in miniera; con un ruolo più prestigioso rispetto a quello della bassa manovalanza ma che comunque non gli risparmiò di doversi (letteralmente) sporcar le mani col duro lavoro di cavatore. Ma, non sorprendentemente, Paracelso voleva qualcosa di diverso per il suo futuro: e, nello specifico, ambiva a diventare medico, seguendo le orme di suo padre. Non sono ben note le dinamiche esatte attraverso le quali il giovane finì col vedersi aprire le porte del monastero di San Giacomo a Würzburg (al punto tale che alcuni storici mettono in dubbio l’intera esistenza di questo soggiorno); quel che è certo è che a capo dell’abbazia di Würzburg v’era, in quegli anni, Giovanni Tritemio, che alla sua non comune erudizione in campo umanistico univa conoscenze approfondite nel campo dell’occultismo. Tanto per dire una, il monaco-mago asseriva d’aver scoperto una tecnica che gli permetteva di dialogare con gli angeli.

Ebbene: stando a quanto dicono i suoi biografi, negli ultimi anni della sua vita Tritemio fece di Paracelso il suo pupillo: e quando, nel 1516, l’abate morì, il suo scolaro ormai venticinquenne fu pronto a prendere la fiaccola dalle mani del suo maestro. C’è anche chi dubita che i due personaggi abbiano avuto modo di incontrarsi personalmente, e che la loro frequentazione vis-à-vis sia stata una aggiunta postuma dei biografi; come che sia, non c’è dubbio che Paracelso studiò a fondo gli scritti di Tritemio – forse in modalità di “didattica a distanza”. Il giovanotto di belle speranze aveva davvero fatto studi umanistici presso alcune abbazie benedettine, e cioè appartenenti alla famiglia religiosa di cui faceva parte anche il suo maestro; e quand’anche non avesse mai avuto l’occasione di incontrare di persona il vecchio abate, è evidente che ebbe ampiamente modo di studiare a fondo i suoi trattati.

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Paracelso fu al tempo stesso chimico e alchimista, mago e ricercatore dell’occulto; e gli storici fanno notare che la cosa è meno strana di quanto ci potrebbe sembrare a prima vista. N.C. Datta si spinge a dire che ben difficilmente il nostro amico sarebbe riuscito a diventare il grande medico che fu se non fosse stato per il suo interesse per l’occulto; e per la filosofia ermetica in particolare. A suo giudizio, l’approccio sperimentale adottato da Paracelso fu in gran parte motivato dalla sua volontà a rifarsi ai dettami del Corpus Hermeticum, una raccolta di scritti filosofico-religiosi che erano stati riscoperti proprio nelle decadi in cui il nostro amico compiva i primi passi nel mondo della scienza. Si mormorava all’epoca che quei testi fossero stati scritti da Ermete Trismegisto, una figura semi-mitica vissuta ai tempi di Mosè e dotata di conoscenze al di fuori del comune; all’atto pratico, il corpus contiene contributi di autori diversi, composti a partire dal 300 d.C. Ma la cosa interessante, ai fini della nostra storia, è che la filosofia ermetica prometteva ai suoi adepti di poter procurare loro una miglior conoscenza di Dio; e diceva – tra le altre cose – che l’Onnipotente avesse disseminato nella sua Creazione delle tracce di sé: dei piccoli indizi lasciati a disposizione dell’uomo per permettergli di elevarsi, spiritualmente e intellettualmente. Era dunque nella Natura che si esplicavano e rendevano manifeste l’opera creatrice e la volontà di Dio; ed era dunque la Natura quella che occorreva analizzare con attenzione, per ottenere conoscenze sul mondo ultraterreno. Del resto, un tale che ne sapeva aveva dichiarato a un certo punto che “come in cielo, così in terra”.

Effettivamente, a forza d’osservare la Natura, Paracelso fece scoperte scientifiche interessanti: se non forse su Dio, sicuramente sulla natura stessa. Per esempio, si rese conto che le teorie mediche basate sugli scritti di Aristotele, poi riprese paro paro da Galeno e Avicenna, erano grossomodo l’omologo di un grosso cumulo di spazzatura che andava ingrandendosi sempre più di anno in anno. Paracelso non si fece troppi problemi nel far notare che molte delle terapie in quel momento in uso, basate su una pedissequa applicazione della teoria umorale, palesemente non funzionavano; eppure, la comunità medica non osava metterle in discussione in virtù di una ossequiosa dipendenza dall’auctoritas. Effettivamente, sembrano intrisi di ermetismo (oltre che di buon senso) quei passi in cui Paracelso esorta gli aspiranti medici a mostrare un sano scetticismo verso tutti gli insegnamenti astratti, prestando fede solamente a ciò che l’osservazione pratica avrà dimostrato loro d’esser vero. «La cura arriva dalla Natura, non dal medico», scrisse lo scienziato in un suo passo celebre; «dunque, il medico deve partire dalla Natura, osservandola con mente aperta». Lo studio teorico non è del tutto inutile, naturalmente; però occorre tener presente «le università non insegnano tutto». E infatti, secondo Paracelso, «un medico deve passare del tempo con le donne di campagna, le gitane, i fattucchieri, le tribù erranti, i banditi e gli individui che vivono al di fuori della legge, e prendere lezioni da loro», maestri di quell’antica arte di arrangiarsi che, in molti casi, sembra incomprensibilmente funzionare tanto quando (se non addirittura meglio di) quella che viene insegnata nei grandi atenei.

In effetti, dopo alcuni anni passati a farsi istruire dalla peggior marmaglia che trovasse a disposizione, il fine filosofo ermetico poteva sfoggiare conoscenze così al di fuori del comune da fargli meritare un posto alla facoltà di medicina dell’università di Basilea: nel 1527, Paracelso diede il via a una carriera accademica sciaguratamente destinata a infrangersi dopo pochi mesi… e, specificatamente, il 23 giugno di quell’anno: data in cui gli studenti accesero davanti alla loro università il tradizionale falò di San Giovanni e il loro professore pensò bene di buttarci dentro l’intera collezione delle opere mediche di Galeno e Avicenna, in segno di denuncia. Bruciare sul rogo le due massime autorità della scienza medica non fu evidentemente una buona mossa per Paracelso, che di lì a poco fu costretto a rassegnare le dimissioni. E dunque, rimasto senza lavoro, che cosa pensò di fare?

Facile: applicare la sua scienza a chi davvero ne aveva bisogno, cercando un modo per curare le malattie che colpivano i suoi amici minatori. Medico di specchiata fama, alchimista rinomato, allievo del mago che parlava con gli angeli, Paracelso non aveva alcuna intenzione di nascondere le sue origini. E ricordava benissimo da dove era arrivato.

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Già alla metà degli anni ’10 Paracelso aveva passato un paio d’anni in Sud Tirolo presso il giacimento minerario di Monteneve (oggi non più attivo ma ancora visitabile con apposite visite guidate, casomai foste interessati). Era stato proprio lì che il giovane medico aveva effettuato le sue prime osservazioni sulla vera Natura della malattia che sembrava consumare dall’interno i minatori; una volta liberatosi dei suoi impegni accademici, Paracelso tornò sul luogo, visitò altre miniere, condusse altre ricerche, avviò altre sperimentazioni e infine si fece carico di pubblicare la prima monografia interamente dedicata a questo tema: Circa la consunzione dei minatori, ovverosia Tre libri sulle malattie dei minatori. Sappiamo per certo che il testo venne dato alle stampe negli anni ’30, anche se tutte le copie di quella prima edizione sono andate perse e il saggio è giunto fino a noi tramite una riedizione di fine anni ’60; in virtù di questa retro-datazione, gli storici lo considerano il primo degli studi di Paracelso (nonché, in assoluto, uno dei primissimi trattati di quella che oggi definiremmo “medicina del lavoro”).

A differenza di tutti gli altri scienziati (comunque pochi) che prima di lui avevano cercato di approfondire la materia, Paracelso era stato uno del mestiere. Conosceva in prima persona l’argomento di cui scriveva ed era nelle condizioni di poter parlare da pari a pari coi pazienti intervistati, accogliendo le loro confidenze senza doversi fare carico del peso di pregiudizi e diffidenze: fu probabilmente in virtù di questo “stato di grazia” che Paracelso riuscì a comporre un trattato che ancor oggi spicca per la lucidità e la cura al dettaglio con cui fu confezionato.

In primo luogo, il medico tratteggiò un accuratissimo quadro clinico di tutti i sintomi più frequentemente accusati dai minatori: fiato corto, progressivamente seguito da asma ingravescente e da quella che definì “consunzione dei polmoni”. Come da suo costume, si premurò di spazzar via tutte le teorie che erano state avanzate fino a quel momento e che non gli sembravano combaciare con quanto suggeriva una cruda osservazione dei fatti; da buon occultista che era, si sentì tenuto a valutare brevemente l’eventualità che i minatori fossero davvero vittime di una maledizione delle streghe, così come da tempo mormorava il popolino, ma alla fine (bontà sua) ritenne di poter considerare implausibile anche quell’ipotesi. E dunque, ne avanzò un’altra, del tutto innovativa per quell’epoca: e cioè, che la malattia fosse causata da “emanazioni minerali” non meglio precisate, che si venivano a creare nel profondo delle miniere.
Tutto sommato, una descrizione della silicosi non poi così lontana rispetto a quella che potremmo dare ancor oggi, anche se Paracelso non arrivò mai a comprendere il momento esatto in cui queste emanazioni si libravano nell’aria (ovverosia, quello in cui la roccia veniva polverizzata). Eppure, ci andò molto vicino: nell’ambito delle sue sperimentazioni sui minatori, Paracelso fu così coraggioso e visionario da tentare una procedura di ventilazione meccanica, per così dire: trovandosi di fronte a un paziente in fin di vita, tentò il tutto per tutto infilandogli nelle narici due lunghe canule flessibili che cercò di spingere fino ai polmoni, per inflatarli artificialmente con il suo respiro. Sfortunatamente non ebbe fortuna; ma il fallimento gli permise di notare che le cannucce non erano state in grado di far arrivare aria nei polmoni perché (a suo dire) erano state ostruite da un sottile strato di polverina, simile a ceneri.

Se quel povero moribondo avesse davvero cumuli di polvere che se ne andavano a spasso per i polmoni, questo sarebbe tutto da verificare: ma, col senno di poi, verrebbe da dire che Paracelso era andato così vicino a intuire la causa esatta della malattia…!

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In effetti, Paracelso fu davvero un individuo fuori dal normale, per quei tempi, capace di intuizioni visionarie. Fin dagli anni ’30 del Cinquecento, le sue sperimentazioni chimiche-alchemiche gli avevano permesso di intuire che piccole dosi di mercurio sarebbero state in grado di curare con efficacia la sifilide (lo mise per iscritto, ma restò inascoltato fino alla fine del XVIII secolo. Da quel momento in poi, la terapia col mercurio prese piede in tutto il mondo e Paracelso probabilmente si rivoltò nella tomba pensando “ahò, ma siete scemi? Io l’avevo già detto qualche secolo fa!”).
Alcuni medici, oggigiorno, voglio vedere nelle sue sperimentazioni con l’arsenico una sorta di rudimentale antesignano della chemioterapia; e c’è persino chi definisce Paracelso il padre dell’omeopatia e della variolizzazione (e non del tutto a torto, a ben vedere).

La verità è che Paracelso fu senza dubbio un genio eclettico che fece numerose scoperte scientifiche di rilievo (la cura della sifilide e la scoperta della silicosi sono sicuramente le sue due greatest hits), ma non fu quel rivoluzionario scienziato para-illuminista che, oggigiorno, molti si ostinano a descrivere. Giusto per far capire il personaggio: Paracelso era un fermo detrattore della teoria umorale perché riteneva che l’elemento del fuoco non potesse in alcun modo essere presente all’interno del corpo umano, in virtù del fatto che nella Bibbia non si dice che Dio utilizzò fiamme per creare Adamo (la terra impastata con acqua e vivificata da un soffio d’aria: quelle sì; ma l’elemento del fuoco non compare. Ergo è assennato mettere in discussione qualche millennio di scienza medica in virtù d’un singolo versetto biblico che suffraga la tua tesi, facendo cherry picking tra le osservazioni sul campo per selezionare solamente quelle che confermano il tuo pensiero).

Oppure ancora: siccome il nostro amico era un tipo dalle conoscenze eclettiche con una spiccata passione per l’occulto, riteneva assolutamente plausibile che l’impotenza maschile fosse artatamente provocata dalle streghe. Se foste stati tra i suoi pazienti colpiti da questo disturbo, sareste stati curati con una specie di viagra incantato consistente in un mini-tridente creato col metallo fuso d’un ferro di cavallo e poscia ricoperto di sigilli magici, da infilare sotto al materasso nel momento del bisogno. Effetto assicurato, stando a quanto scriveva il medico forse non poi così visionario e illuminato.

Insomma: diciamo che c’è un motivo per cui Paracelso, almeno agli occhi del grande pubblico, è oggi noto come mago e alchimista, e solamente in subordine come ricercatore medico. E il motivo è che tutti i medici che vennero dopo di lui, nei secoli della rivoluzione scientifica e dell’età dei lumi, rimasero comprensibilmente orripilati dai multiformi interessi di questo tipo strano, che prendeva lezioni dalle guaritrici di campagna e metteva in discussione secoli di accademia in virtù di quanto leggeva all’interno della Bibbia e negli scritti mezzo-incomprensibili di Ermete Trismegisto. Parve molto più conveniente metterlo in un angolino, questo dottore strambo che, sì, aveva avuto delle intuizioni geniali, ma in contesti francamente discutibili: e così, Paracelso riuscì a imprimersi nella memoria collettiva… ma forse non per le ragioni che avrebbe desiderato.

Che è un peccato, naturalmente. Alcuni dei suoi studi medici (se non tutti: che magari non ci prendono, ma sicuramente sono interessanti) meriterebbero davvero d’essere riscoperti come si deve.


Per approfondire:

  • B. Moran, Paracelsus. An Alchemical Life (Reaktion Books, 2019)
  • N.C. Datta, The Story of Chemistry (Universities Press, 2005)
  • N.L. Brann, Was Paracelsus a disciple of Trithemius? in: Sixt Century J. v. 10 (1979)
  • L.B. Tepper, Dust, Disability, and Death: Silicosis Through the Ages, in: The Journal of the Society for Industrial Archeology v. 45 (2019)

2 risposte a "Paracelso, l’occultista ex-minatore che per primo si dedicò allo studio delle malattie dei cavatori"

  1. Avatar di sircliges

    sircliges

    Non sapevo che il vero nome di Paracelso fosse Hohenheim. È anche il nome (a questo punto chiaramente una citazione) di un personaggio del meraviglioso manga e cartone animato Full Metal Alchemist.

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