Sono belle le sorprese dell’ultimo momento.Avranno probabilmente pensato così, tutti i compagni di classe che hanno scoperto l’altroieri mattina, a distanza di una manciata d’ore da un diciottesimo al quale erano stati invitati, che i balli previsti non erano propriamente quelli da discoteca. E già lì, il dubbio sorge: è normale essere convinti di dimenarsi mezzi nudi su un cubo fra luci psichedeliche, ad una festa elegante alla quale ci si deve presentare in abito scuro?
A mio modo di vedere, no, ma tant’è: e così, è stata con loro somma gioia che, tre giorni fa, la festeggiata li ha guardati ed ha esclamato: “Oh, ragazzi, non facciamo scherzi, per stasera… come si balla il valzer lo sapete tutti, vero?”.
Panico.
Panico, terrore, presentimenti di incancellabili figuracce, e quindi, nell’arco di una mezz’ora, tutta la classe si stringe disperata attorno alla sottoscritta, implorando: “Lucy, tu studiavi danza, insegnaci a ballare!”.
E sia: insegniamo. E armiamoci di pazienza, ché qui persino le ragazze sono rigide come dei pezzi di legno e paiono totalmente incapaci di ballare qualcosa di diverso dalla macarena…ma, si sa, la speranza è sempre l’ultima a morire…
E così, fra giri di valzer e lezioni teoriche (“No, non ci siamo capiti: ti sembrerà strano, ma la mano la devi appoggiare delicatamente sulla vita della compagna, non usarla per palparle il sedere”), passa il tempo, aumenta il male al piede, e ti invadono i bei ricordi di quando, non ancora zoppa, ballavi ancora. E senza limitarti ai valzer… che, per carità, tanto carini e affascinanti, ma son anche noiosi…
E ne avresti tante, di cose di raccontare sulla danza. A partire dalla tua prima lezione – seguita alla tenera età di quattro anni e mezzo ma che ancora ricordi come se fosse ieri – per arrivare al tuo primo spettacolo: una divertente Coppellia che aveva avuto luogo in uno dei più famosi teatri della città, mica pizza e fichi!
Potresti raccontare dell’emozione di ballare nella terribile sala prove del Teatro Regio, un luogo infernale che meriterebbe, e forse un giorno riceverà, un post tutto per sé; o potresti accennare alla bellezza dei balli di gruppo medievali, o alla passione per le deliziose danze di carattere: body viola, gonna a ruota, scarpe col tacco, e tanto divertimento. Potresti eleggere, come ricordo più bello della tua breve “carriera” da ballerina, il tutù lungo con le scarpette a punta, o una splendida danza su musiche del Settecento con tanto di mascherina. O, perché no?, anche una improvvisazione in piazza, in un gioco con altre scuole di danza sotto lo sguardo incuriosito dei passanti.
Ma, ripensando a tutte le tue esperienze da ballerina, ti rendi conto ch
e tutto – ma proprio tutto – questo scompare, davanti ad una attività che, all’inizio, tu avevi maledetto dal più profondo del tuo cuore, unita a tutte le tue compagne di corso.Sì, perché quando, a metà novembre, la tua insegnante arriva nella sala prove e ti informa che presto andrete a fare un balletto in un ospedale, la domanda che sorge spontanea è una: “Ma ci è o ci fa?”.
I pensieri sono pochi, e comuni a tutte: ma che ci andiamo a fare, in un ospedale?
Da quando in qua gli ospedali sono dotati di un teatro, con palcoscenico ed una adatta acustica?
Ma poi, scusa, cosa caspita ci andiamo a fare, in un ospedale? Chi ci guarda? Vorranno mica che ci si metta a piroettare per le corsie come delle sceme, magari in dolce compagnia di qualche clown stile Patch Addams?
No, deve essere uno scherzo: figuriamoci, ballare in ospedale… ah, che simpatica burlona, la nostra insegnante…
Decisamente è tutto uno scherzo, uno scherzo colossale nel quale, però, noi, che siamo intelligenti ed astute, non cadiamo. Il sospetto diventa una vera e propria convinzione, quando l’insegnante ci comunica la data del nostro spettacolo: ma ti pare che ci sia qualcuno sano di mente in grado di poter seriamente pensare di organizzare uno spettacolo, in un ospedale, nella sera della Vigilia di Natale? Ma non scherziamo!
Le insegnanti iniziano le prove, preparano le coreografie, scelgono i costumi; noi, dal canto nostro, le guardiamo scuotendo il capo, divertite, come a dire: “Ah! Grulle! E continuano a pensare che noi ci siamo cascate!”.
In effetti, lo scherzo è stato così ben congeniato che, dopo un mese e mezzo di prove , la sera del 24 dicembre ci troviamo, con una faccia da funerale ed istinti suicidi per non dire omicidi, all’ingresso del grande ospedale pediatrico della nostra città.
Nevica, di fuori, e le luci natalizie illumi
nano la città donandole un aspetto magico, di festa. Ovunque, intere famiglie sono riunite sotto l’albero di Natale per aspettare assieme la mezzanotte fra allegre carole natalizie, e noi come delle deficienti facciamo stretching in una sala d’attesa di un ospedale. Senza nemmeno aver potuto fare il cenone!, come fa notare piccata una ragazza di bocca buona: non c’era tempo, e poi mica puoi ballare con panettoni e intigoli grassi e unti nello stomaco.
Quando arriviamo in quello che dovrebbe essere il nostro palcoscenico – ovvero, l’aula magna dell’ospedale – ci vien da piangere. Già, perché l’aula magna ha, come credo tutte le aule magne, un grande, enorme tavolo nel bel mezzo della sala… ottima cosa per una aula magna, non dico mica, ma pessima per uno pseudo palcoscenico. Anche perché noi, non a conoscenza dell’esistenza di questo tavolone, avevamo studiato le coreografie senza, naturalmente, calcolarlo… insomma: un disastro annunciato.
Quando, chiuse in una stanzetta impropriamente adibita a camerino, sentiamo bussare alla porta, alziamo tutte lo sguardo, convinte che si tratti della nostra insegnante. E gioiamo, perché finalmente avremo l’occasione di insultarla a dovere: va bene che a Natale sono tutti più buoni, ma quando ci vuole ci vuole…
Con nostra grande delusione, però, aperta la porta non vediamo davanti a noi l’insegnante, bensì una bambina. Una bambina pallida, due grandi occhiaie, tenuta per mano da una signora che, l’aria stanca e imbarazzata, ci guarda e si scusa: “Mi spiace, è che la bambina ci teneva tanto a vedervi, insisteva…”. E mentre lei dice queste parole, la piccola, divincolatasi dalla sua presa, corre verso di noi, fissandoci con due occhioni che le brillano per l’emozione. “Le ballerine, mamma, guarda le ballerine! Che belle! Sono come le fatine delle fiabe!”.
E noi ci lanciamo una occhiata incerta, sentendo i nostri propositi omicidi diventare, improvvisamente e preoccupantemente, molto più deboli.
Mentre, poco prima di entrare in scena ormai, da dietro una porta socchiusa origliamo per osservare il pubblico dell’aula magna, gli occhi si spalancano, sopresi. “Ma guarda quanta gente! E’ pieno!”.
E in effetti è proprio pieno: bambini cardiopatici, non in grado di lasciare l’ospedale nemmeno per le feste Natalizie, che si stringono ai genitori, ai nonni, ai fratellini che, da casa, li hanno raggiunti. Un pubblico che avrebbe così tante altre cose a cui pensare, così tante altre cose da fare nel poco tempo a loro disposizione, e che invece fissa la scena, attento, in silenziosa attesa dell’inizio dello spettacolo.
Un pubblico che ride durante i balletti più divertenti, ispirati alle favole della Disney, e un pubblico che applaude, sincero, al termine del lungo spettacolo. E, chissà come, alla vista di tutte quelle faccine attente, l’arrabbiatura ti passa, e sei quasi contenta – eresia! – di essere lì, in quel momento, con loro.
Al termine dello spettacolo, quando alcuni medici vengono a complimentarsi e a ringraziare, ancora un paio di bimbi, accompagnati da fratellini e genitori, ci raggiungono di corsa, affascinati da quei tutù vaporosi che, chissà, magari veramente ricordano i vestitini delle fate.
E quando, poi, ti viene portata una cesta di doni, con l’invito a passare fra il pubblico e consegnarne uno ad ogni bambino… è la tua apoteosi. Manine che si tendono verso i pacchettini, occhietti che ti fissano, sguardi che sorridono, vocine che, già stanche ma ancora felici, ringraziano.
E quando alla fine esci dall’ospedale, con i “grazie” dei genitori ancora nelle orecchie, un regalino anche per te nella sacca dei costumi, tanti sorrisi nel cuore e nel volto e, fra l’altro, un orologio che ti informa che non è ancora così tardi, che c’è ancora tutto il tempo per attendere sotto l’albero l’arrivo della mezzanotte di Natale… ti rendi conto che, in fin dei conti, forse quell’aula magna con tavolone era davvero il più bel palcoscenico su cui tu avessi mai ballato.
Che poi, in fin dei conti, il valzer, all’inizio, era considerato nè più nè meno come le più allusive e sensuali danze da discoteca dei giorni nostri. Se in Svezia e Svizzera il valzer era stato proibito, se il pianista Daniel Steiblet intitolava i suoi valzer con il titolo Baccanali, che di per sé è già tutto in programma, e se in Germania giravano opuscoletti atti a dimostrare che il valzer era la causa dell’infiacchimento morale dei giovani… un motivo ci sarà.
Chissà, magari non è nemmeno una eresia, se poi, i miei compagni di classe, si sono limitati a dimenarsi a ritmo di musica mettendo le mani sul sedere della prima che capitava.
Domani chiederò.