08:30. Piazza Castello è piena, ricolma, strabordante, zeppa di voci, di facce, di gente: fatico quasi a riconoscerla. Una Piazza Castello così non la vedevo più dai giorni delle Olimpiadi, con l’unica differenza che, all’epoca, la mia accoglienza nei confronti dei turisti era sinteticamente riassumibile in “mo’ prendo un bazooka, e gli sparo alle ginocchia”.
Stavolta, invece, la folla mi stupisce, mi stordisce, mi toglie il fiato: in una babele di lingue diverse, gruppetti di pellegrini inseguono ordinatamente il gonfalone della parrocchia; un pope ortodosso scatta una foto-ricordo ai suoi fedeli; davanti a Fiorio, tre suore di Madre Teresa, con tanto di sari azzurro nel bel mezzo di Torino, gustano tutte allegre un gelatino. Si affannano in giro per la piazza religiosi che non sapevo neanche che esistessero, (o di cui, quantomeno, non riconosco l’abito); gli zoccoli dei cavalli ticchettano sul lastricato, sotto la guida di eleganti carabinieri. E la corona delle Alpi, limpidissima nel cielo terso, non mi è mai sembrata così bella ed accogliente.
Penso che Torino è proprio bella, davanti agli occhi di tutti i pellegrini. Gonfio il petto, mi inorgoglisco, abbraccio con lo sguardo questa città che si è tirata a lustro, per darmi il “bentornata”. Un’occhiata distratta al tizio con cameraman (sono i giornalisti della Rai, che preparano l’ennesimo servizio), ed ecco che qualcuno che ticchetta alla mia spalla.
È un pellegrino, viene da Varsavia: vuol sapere come si arriva al Museo Egizio. È il primo a chiedermi informazioni, e sarà il primo di qualche centinaio: perché se foste Torinesi, e abitaste a Torino in questi giorni, sareste anche voi straniti, di fronte alla inverosimile quantità di turisti muniti di cartina che ti fermano per strada alla richiesta d’informazioni.
Sono tanti, ma veramente tanti. Più di quanti voi possiate, realisticamente, immaginare.
09:10. Ai Giardini Reali, dove incomincia il lunghissimo percorso per visitar la Sindone, la situazione è ancora più incredibile. È una coda immensa, fluida ma lunghissima, che si snoda e si riannoda per tutto il parco. È un flusso ininterrotto, che non si dirada nemmeno nella sera: li guardo per un attimo, realizzo stupefatta che siamo veramente una marea; e poi sorrido.
09:30. Sono ai parcheggi: il gruppo di pellegrini che mi sono offerta di guidare nella tentacolar metropoli dovrebbe essere ormai prossimo all’arrivo. Sorrido; mi siedo su una panchina. Allegramente, aspetto.
09:45. Aspetto.
10:00. Aspetto ancora.
10:15. Continuo ad aspettare.
10:40. Mi sarei anche un po’ scocciata.
10:41. “Oh simpatico amico che devi ringraziar d’essere un prete, altrimenti saresti già stato ricoperto d’improperi: figliolo mio, poffarre! È più di un’ora che vi aspetto: cosa diamine state combinando?! Dove siete?”.
“A Scurzolengo”.
“Dove?”.
“A Scurzolengo”.
“Amici cari: che diamine ci fate, a Scurzolengo? La Sindone è a Torino”.
“Ci siamo persi, a Scurzolengo! L’autista del nostro pullman diceva di conoscere la strada”, sbotta lui con scarso autocontrollo, “e il risultato, è che siam finiti a Scurzolengo”.
11.00. Sospiro, sconsolata. Ricomincio ad aspettare.
11:10. Aspetto stoicamente.
11:20. Lo stoicismo viene meno.
Adocchio un bar, nei pressi del parcheggio: una tenda, un tavolone, qualche piccolo sgabello. L’hanno allestito per dare un po’ di cibo ai pellegrini che arrivano all’ora di pranzo, e vogliono un boccone prima di cominciar la fila: penso al mio gruppo, disperso a Scurzolengo, e medito di affogare la mia disperazione in mezzo all’alcool. Poi mi ricordo che purtroppo sono astemia, e quindi affogo in un piatto di agnolotti torinesi: perché per pochi euro, seduto al tavolone, puoi mangiare un piattone di agnolotti, un bunet squisito, e altre ricette tipiche del mio bel Piemonte.
11:45. I pellegrini arrivano, con un risibile ritardo: non so se abbiano mangiato, e francamente non m’interessa, perché dobbiam precipitarci verso il Museo della Sindone. In mezzo al traffico, corriam come dei pazzi.
12:00. Il museo della Sindone è ubicato in una cripta; e già lì, la cosa è incoraggiante. All’ingresso, ci danno un’audioguida: una sciura non sente niente perché è mezza sorda; l’altra paciocca con i tasti e si trova improvvisamente con un’audioguida che le parla in Tedesco; un terzo di ottant’anni rifiuta di usufruirne, perché poco avvezzo alle moderne tecnologie.
12:20. “Nella vetrina numero 5, state ammirando le lastre di Giuseppe Enrie”, mi annuncia placidamente la mia tenera audioguida. Io son di fronte alla vetrina 74; faccio dietrofront, ma mi trovo davanti alla stampa 39; mi guardo attorno, ma non vedo lastre da nessuna parte. Comincio a farmi prendere dallo sconforto. Improvvisamente scorgo la vetrina 5, faccio uno scatto: mi precipito verso le lastre travolgendo due suorine, che come me vagano smarrite alla ricerca di un reperto.
Attorno a me, cinquanta derelitti si aggiran nella cripta, grottescamente aggrappati all’audioguida: lenti, in moto perenne, silenziosi, ondeggianti come zombie. Come comparse per un film horror, non saremmo state fuori luogo.
13:10. “Signorina? Posso fare una domanda?”.
“Certo!”.
“Mentre eravamo in autobus, Fra’ Giovanni ci ha parlato tanto bene del vostro buon liquore, il bicerin. Non è che può dirci dove trovarlo? Siamo tutti incuriositi…”.
Sgomitate nelle retrovie. “Ehi! Sta parlando del bicerin!”.
“Sì! Le ha chiesto del liquore!”.
“Sì! Sì!! Il buon liquore!”.
“… aehm… certo, signora, adesso vi accompagno. Però non è un liquore: il bicerin è un caffè, con cioccolato e latte”.
Esultanza nelle retrovie. “Sì! Sì!! Ha detto che ci porta!!”.
13:15. “Buongiorno: desideravo un litro e mezzo di bicerin”.
Il barista al balcone, comprensibilmente, lancia uno sguardo stranito alla cliente. “Il bicerin è un caffè”, le dice molto cautamente, come chi spiega a un bambino che due più due fa quattro. “Gliene faccio una tazzina…?”.
“No! Io ne voglio un litro e mezzo! Da portare a casa!”.
“… mi sta dicendo che vuole un litro e mezzo di caffè?”.
“No! Voglio un litro e mezzo di liquore!!”.
“Ma questa è una caffetteria!!”.
13:30, e cinque caffetterie più tardi: “Signorina, ma come? Perché nessuno vuole vendermi il bicerin?”.
“… perché il bicerin è un caffè, signora, come già abbiamo cercato di spiegarle. Lo vendono a tazzine: non a litri”.
“Ma Fra’ Giovanni ci ha detto che gliene hanno regalato una bottiglia da un litro e mezzo!”.
“Fra’ Giovanni vi ha anche detto che il bicerin è un fortissimo liquore, mentre io vi garantisco che è un caffè analcolico corretto con latte e cioccolato. Quindi non ho idea di che cosa abbia bevuto Fra’ Giovanni in gioventù, ma evidentemente non stiam parlando della stessa cosa”.
Dalle 13:30 alle 19:00 della sera, orde fameliche di pellegrini assatanati continuarono a molestare ogni-singolo-passante, implorando di vendergli una bottiglia di liquore al bicerin.
Ogni singolo passante li prese comprensibilmente per dei pazzi assatanati.
La blogger di nome Lucia scoprirà solo molti giorni più tardi, accingendosi a pubblicare questo post, che una infida ditta di liquori produce ed esporta all’estero un liquore al giandujotto chiamandolo “Bicerin”, e convincendo tutto il resto della Penisola che il bicerin sia un alcolico fortissimo.
Sia messo agli atti che il bicerin è un caffè, signori: un caffè in tazzina.
14:00. Il cielo si rannuvola. Noi pellegrini ci ritroviamo di fronte all’ingresso del percorso, e io esorto il mio gruppetto a parlare ora, o a tacer per sempre. “Se vi serve qualche informazione, qualunque informazione, non esitate a chiedere”, esordisco con un gran sorriso.
“Mi accompagna a comperare i giandujotti?”, è la coerentissima risposta.
14:30. Comincia a piovere.
14:50. Piove, piove a catinelle; piove come Dio la manda, (e onestamente non è ben chiarito perché il Buon Dio abbia voluto mandare così tanta pioggia sulla crapa di noi poveri cristiani che stavamo in fila per “vederLo”). Non siamo nemmeno a metà percorso, la coda è immensa, i nostri piedi pestano nel fango, e io rischio di accecarmi con un’ombrellata in mezzo all’occhio.
15:00. “Signorina? Mi scusi. Che cos’è questo grande monumento?”, domanda un pellegrino stupefatto, puntando un dito all’orizzonte.
“… si chiama ‘Mole Antonelliana’…”.
15:10. “Signorina? Mi scusi. Cosa sono queste colorite installazioni?”, domanda una pellegrina puntando il dito su grandi blocchi colorati.
“… sono bagni chimici, signora…” (… e c’è anche scritto sopra…).
15:20. Continua a piovere. Le uniche che sembran a proprio agio, son le suore di Madre Teresa con il sari bianco e azzurro: probabilmente, son convinte d’esser finite nel bel mezzo di un monsone. E in effetti, comincio a sospettarlo anch’io.
15:30. Piove ancor più forte. Mi torna in mente una guida medievale, rivolta ai pellegrini in viaggio per Compostela, e cerco di risollevare gli animi puntando sul mal comune ch’è un mezzo gaudio. “Nella regione di Sorde, i barcaioli che traghettavano i pellegrini verso Santiago li affogavanodi proposito, lo sapevate? Così li derubavano di tutti i loro averi!”.
Il parroco mi guarda malissimo; gli animi non si sollevano per niente.
15:40. Una volontaria dell’UNITALSI ci prega di spostarci tutti sulla destra: deve passare un disabile in carrozzella, che ovviamente viene accompagnato per direttissima oltrepassando tutte le code.
Si tratta, ovviamente, di un povero infelice, che ha tutto il suo diritto a oltrepassarci: perdipiù, non solo è costretto in carrozzella, ma ha anche dei chiarissimi problemi mentali. Tutta la mia umana e cristiana solidarietà per questo ragazzo. Fatto sta che costui sfreccia accanto a noi, stremati, sotto il diluvio, e mentre ci oltrepassa scoppia a ridere additandoci: in una risata profonda, goduta; sguaiatamente. E ci fa il segno delle corna.
Ovviamente il ragazzo era ammalato; com’è ovvio, non l’ha fatto apposta. Ma se avesse voluto appositamente sfotterci, non sarebbe riuscito a farlo meglio.
15:55. Incominciamo, in lontananza, a intravveder una fine per le nostre sofferenze. Il sacerdote, per richiamarci a un clima di più profonda meditazione, ci prega tutti di prendere il rosario.
16:10. Venti metri dietro di noi, (e certamente senza aver sentito che c’era gente che pregava), un gruppetto di suorine africane intona Kumbaya, facendo concorrenza sleale ai misteri dolorosi.
Il sacerdote, imperterrito, alza il tono della voce: “Gesù, perdona le nostre colpe…”.
“Kumbayaaaaaa, my Lord!”.
“… proteggici dal fuoco dell’inferno…”.
“SOMEONE’S LAUGHING, LORD, KUMBAYAAAAAA!”
“…porta in cielo le nostre anime, soprattutto le più bisognose della tua misericordia…”.
Sono i monaci della Novalesa a porre fine a questa singolar tenzone, quando finalmente entriamo nell’ultima parte del percorso. Le luci si abbassano, gli altoparlanti diffondo piano le note raffinate del canto gregoriano; e tutti, persino i più piccini, tacciono ammirati.
16:20. “Signorina?”, sussurra una signora alle mie orecchie. “Ho una curiosità. Quanto costa, il biglietto per veder la Sindone?”.
“Il biglietto?”. Trasecolo. “Non c’è nessun biglietto, la visita è gratuita!”.
Lei protesta: “ma non è vero! Noi abbiamo speso cinquanta euro!”.
“… sì, certo: avrete speso cinquanta euro per il pullman, il pranzo, la visita al Museo… Ma entrare in duomo”, insisto a voce bassa, “non costa proprio nulla”.
La signora si guarda attorno, stupefatta. Indica l’installazione musicale, il percorso in mezzo al parco, l’apparato di sicurezza (non mi son mai sentita così sicura in tutta la mia vita). “Hanno fatto tutto questo… e non chiedono nemmeno un ticket per rientrare delle spese?!”. È stranita. “Ma sta scherzando, vero?”.
16:30. Ed ecco: il percorso è terminato. Siamo stanchi, fradici, stremati; personalmente, sto cominciando ad ammuffire. Mancano pochi metri al duomo, e sorridiamo intirizziti. I volontari, intirizziti più di noi, aprono un telone e ci indicano la strada: siamo, ormai, giunti alla pre-lettura. In un grande stanzone buio, a mo’ di cinema, su un telo bianco si proiettano le immagini che illustrano la Sindone. “Questi sono i segni del flagello”; “questi sono i segni di percosse”; “qui vedete invece i buchi dell’incendio”. È un video utile, per chi non conosce bene il telo: una volta entrato in duomo, sai già dove guardare.
Ma per adesso, il video non è ancora partito: io sono lì, in prima fila, a fissare distrattamente uno schermo bianco; è uno schermo grosso, rettangolare, come al cinema, attorno a cui si affollano decine di persone.
Ma la persona accanto a me – lo realizzo con orrore – sta evidentemente male. È una signora del mio gruppo, noto ancor più terrorizzata, ed è letteralmente caduta in ginocchio, di punto in bianco: ossignur, l’è preso male! Il percorso era lungo, e abbiamo preso tanto freddo, e lei è anzianissima, e miseria e mo’ che faccio? Dov’è il dottore?
La tengo d’occhio, terrorizzata: e sollevo le sopracciglia, con sconcerto, quando realizzo che la vecchietta è viva.
Cioè: non solo è viva, il che era già auspicabile, ma respira e sta benissimo: ha gli occhi aperti, le mani giunte; sembra proprio che stia pregando.
Per un attimo mi chiedo se le sia apparsa la Madonna; poi realizzo che sta fissando lo schermo in telo, e inarco ulteriormente le sopracciglia. Vorrei chiederle che caspita stia facendo, genuflessa in preghiera di fronte a un cinema, ma mi sembra maleducato: per fortuna, è lei stessa ad accorgersi del mio sguardo. E (non prima d’aver lanciato un’occhiata di puro odio a un gruppetto di ragazzi che parlotta, un po’ più in là), la signora mi sorride, dolcemente. “È commovente, non è vero?”.
Guardo la signora; poi guardo il telo bianco. Uno schermo vuoto dovrebbe esser commovente? Annuisco con aria un poco incerta, continuando a pensare che un medico mi sarebbe di grande aiuto.
La vetusta socchiude i suoi occhietti, a mani giunte di fronte al cinema. “Certo che…” – e scruta attentamente il telo bianco – “signorina? Dov’è la testa?”.
La testa?
“Pensavo fosse più nitida, sa. Come nella foto”. La signora è molto attenta; dietro agli occhialoni, i suoi occhietti sono ridotti a due fessure. “Invece si vede proprio male, dal vivo”, e addita il telo bianco (lungo lungo, stretto stretto, rettangolare; ma a parte quello, NON confondibile in alcun modo con la Sindone, se non nel delirio senile di qualcuno).
“Ma è comunque commovente”, insiste, con grande convinzione. “È la cosa più commovente che abbia mai visto in tutta la mia vita”.
Di stranezze ne ho viste tante, nella vita; ma si può sempre migliorare. Una vegliarda che venera uno schermo bianco per videoproiettore… in effetti, ancora mi mancava.
utente anonimo
Muahahahaaaaa :'DAntaressPS: questo post non depone granchè a favore dell'intelligenza e dello spirito critico dei credenti cattolici, sai? 😉
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flalia
Ah ah, la vecchina adorante uno schermo bianco mi ha fatta morire (immagino te, però…), il potere dell'autosuggestione, o della miopia?Il vecchietto dei giandujotti… mi lascia un po' perplessa… non è che ha approfittato del pellegrinaggio alla Sindone solo come occasione per farsi una gita a Torino?Mi stupisco per l'equivoco sul bicerin; non ne sapevo niente del liquore, ma spesso mi capita di prendere un bicerin (vero… e ormai lo fanno anche qui), sono una golosa. Idem per gli agnolotti, li faceva mia nonna in casa per le feste, che goduria.Complimenti per la tua attività di guida ai pellegrini, tra la pioggia e i pellegrini ti sei meritata un po' di "punti-paradiso", come li chiama mia sorella 😉
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marinz
Bellissimo post.. vediamo se domani incontro dei pellegrini simili … io almeno sono preparato…. ti saprò dire come sono andate a me le cose :)Ti lascio un sorriso 🙂
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Lucyette
Antaress, cara, se cerchi attestazioni dell'intelligenza del genere umano in generale, e le cerchi sul mio blog… mediamente, caschi male :-P(I matti sono molto più divertenti! u__u)Flalia: ahahahha, i "punti paradiso" sono bellissimi! Peraltro, 'sto pellegrinaggio me lo son fatto ben più di una volta, sotto le condizioni meterologiche più disagevoli e sopraffatta dalle malattie più improbabili (occielo, "malattie"… fastidi, insomma), in parti del corpo che non sapevo nemmeno di possedere… :-S :-SIl vecchietto dei giandujotti era leggermente peculiare, (anche se poi è riuscito a comperarseli! ;-P), (e senza nemanco saltar Messa!). In compenso, ti giuro che nemmeno io avevo mai sentito nominare 'sto fantomatico liquore al bicerin, che invece, a quanto pare, esiste…Ohimé, ohimé! Di questo passo, fra un po', comincerà a girar la voce che la bagna cauda sia un tipico formaggio… :-SE comunque, credimi: la vecchina adorante uno schermo bianco ha fatto morire pure me… ma proprio nel senso che stava per pigliarmi un colpo!! :-PPiù che l'autosuggestione, direi che ha giocato un ruolo determinante un vago accenno di… demenza senile? 😉 Era una signora molto molto anziana (poveretta: non so come abbia fatto a reggere la coda!).Comunque, qualche giorno fa lo raccontavo ad un mio amico, e mi sfogavo con lui: "ma pensa che imbarazzo! Cioè, le ho dovuto dire che stava venerando un cinema!!".E il mio amico suggeriva: "beh, potevi sempre star zitta e aspettare che partisse il filmato: sarebbe stata piuttosto eloquente, come risposta…"…. Calcolando che il filmato comincia con la Sindone che appare lentamente sullo schermo, ci mancava solo che la vecchietta cominciasse a gridare al miracolo! 😛 😛 :-PMarinz: innanzi tutto buon viaggio, e buona visita alla Sindone e a Torino!E soprattutto: bene – ora sei preparato. Se entri in una stanza buia e vedi in aria un grosso telo bianco, fidati: non devi inginocchiarti! 😉 😉
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utente anonimo
XDAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!Sono morto (e risorto, miracolo! 😛 no vabbè) dal ridere, ti giuro XDPrima perchè quando ho letto liquore mi è venuto in mente che io di Bicerin in effetti ho provato (non tollero molto l'alcool) solo il liquore e non il famoso caffè, quindi ho intuito l'equivoco!Poi per il signore dei giandujotti (evidentemente era mooolto interessato al pellegrinaggio!). Poche sere fa un'amicizia mi ha raccontato del suo tentativo di fare giandujotti in casa, sai coi cucchiai, il termometro alla mano per controllare la temperatura del cioccolato ecc… XD disastro, pare sia molto più conveniente comprarli.Quando però ho letto della signora che venera lo schermo di un cinema sono caduto dalla sedia! Tu dovevi stare zitta, così chissà che reazione!Daniele
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Lucyette
No, beh: secondo me, il signore dei gianujotti aveva voglia di fare il pellegrinaggio e tutto il resto… però (comprensibilmente) sperava anche di approfittarne per visitar Torino… ed i suoi bar ;-)O magari aveva promesso i giandujotti alla nipotina…(Sto disperatamente cercando di trovare una qualche spiegazione! Si nota? :-D)
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utente anonimo
dovrebbero farci un film con questo tuo post… non certo a sfondo religioso, piuttosto uno di quelli che si dice un cinepanettone, una commedia solo per ridere…lasciamo stare chi confonde il caffè con un forte liquore, ma qui secondo me anche il tempo ha giocato la sua parte, e volevano solo scaldarsi le ossa con qualcosa di forte, diciamo così dai! per salvare pellegrini e pellegrinaggio…Diego
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Lucyette
:-DIn effetti non ho mai visto un cinepanettone (non credo che sia il mio genere), ma ho sempre immaginato il mio blog come una specie di Friends su carta (ehm… carta?). Friends mi piaceva molto, all'epoca, pur con i suoi difetti! 😀Argh, ma sai che con questo tuo commento mi hai fatto tornare in mente un film che avevo visto secoli fa, e di cui non mi ricordo più il titolo? Quella era davvero una commedia solo per ridere "a tema religioso": c'era una chiesa di un paesello del Sud Italia che aveva ottenuto, da qualche Papa medievale, il privilegio di poter dire Messa in dialetto; e adesso, dopo il Concilio Vaticano II, il parroco si rifiutava di passare all'Italiano, venendo additato come una specie di Lefebvre italico.Ricordo che l'avevo trovato divertente nella prima parte; bruttissimo nella seconda… però, guarda un po' cosa sei andato a ricordarmi! Un cinepanettone su tema religioso! :-DChissà se ne esistono altri? (Senza cadere nel volgare et simili)
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utente anonimo
Non li guardo mai nemmeno io i cinepanettoni, li conosco dai telegiornali e dai trailer che a volte mandano in onda…se ti venisse però in mente il titolo di quello che dici tu, quasi quasi lo cerco… spero però che il dialetto non sia troppo stretto…Diego
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Pingback: La mia simpatica vecchietta | Una penna spuntata
Laurie
Mi hai rallegrato la giornata!! Ho riso come una matta dall’inizio alla fine!
(Secondo me i gianduiotti erano un modo di unire l’utile al dilettevole… ci sta!)
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