Se sei una gentildonna tardomedievale e vieni avvelenata da una domestica infedele che ti versa nel nel bicchiere una specie di pozione magica che tutto d’un tratto ti fa stramazzare in terra colta da paresi tetraplegica – e se questo avvelenamento degno della strega di Biancaneve inaugura la sfortunata serie di prodigiosi eventi che determineranno un giorno l’aprirsi del tuo processo di canonizzazione… beh, diciamolo pure: sei esattamente quel tipo di persona destinata prima o poi a fare una comparsata tra le pagine del mio blog.
E infatti, eccoci qua. Questa è la strana storia della beata Maria Lorenza Longo e delle opere caritative da lei portate avanti nella Napoli di inizio Cinquecento.
E qui inizia la vicenda edificante, per chi è appassionato di agiografia e di altre storie motivazionali
La nostra amica era nata in Catalogna in una data imprecisata che gli storici tendono a collocare tra il 1460 e il 1465. Giovanissima, era andata in sposa a Joan Jlonc, reggente della Cancelleria del re di Spagna, e con lui aveva iniziato a condurre una vita decisamente agiata, fra viaggi, palazzi, lusso, stucchi e quant’altro. A pensar male si fa peccato ma talvolta ci si prende, sicché mi verrebbe anche da chiedermi quale aria tirasse esattamente tra le mura di casa Llonc, vista la singolare pervicacia con cui tutte le agiografie si ostinano ad appioppare a una domestica la stravagante abilità d’aver procurato alla sua signora una tetraparesi spastica, così a sfregio. «Detta signora, come prudente e virtuosa, per tener ben regolata la casa sua riprendeva le sue donne quanto fallavano et le teneva in freno», avranno a scrivere gli agiografi, spiegando che proprio in virtù di questo Maria «era da alcune di loro mal veduta».
Diciamo che l’antipatia doveva essere reciproca, vista la carineria con cui la gentildonna ha ritenuto di dover eternare attraverso i secoli la memoria delle sue domestiche avvelenatrici. Fatto sta che (com’è, come non è), Maria Llonc divenne tetraplegica – e fu in quel momento che la sua vita prese una piega appassionante.
Per esempio, “appassionante” dovette essere per davvero il lungo viaggio attraverso il quale la povera donna attraversò mezza Europa al seguito di suo marito, quando lui fu trasferito a Napoli (all’epoca, sotto il dominio spagnolo) col prestigioso incarico di entrare a far parte del Consiglio Collaterale del Viceregno Napoletano.
Correva l’anno 1506, e io non posso non chiedermi “come si gestisce il trasporto di una tetraplegica, da Madrid a Napoli, nell’Europa del Cinquecento?”.
Sicuramente lo si gestisce con difficoltà e disagio, ché le agiografie non fanno mistero di quanto pietoso sia stato il viaggio per quella poveretta che inizialmente aveva anche pensato di restare nel suo palazzo signorile in Spagna, e solo in un secondo momento s’era risoluta a partire per l’avventura. Probabilmente facendo un ragionamento sulle linee di “beh, almeno così resto al fianco di mio marito ed evito di trovarmi paralitica in una casa vuota, circondata da domestici che mi odiano”.
Flash forward di un paio d’anni: Maria Llong, inaspettatamente rimasta vedova, si trova paralitica in una casa vuota circondata da domestici che a malapena parlano la sua lingua, e in una città (che dico: nazione) (anzi, area d’Europa!) in cui non conosce manco un’anima.
Ed è evidentemente quello il momento in cui qualcuno nelle alte sfere si rende conto di star infierendo un po’ troppo su quella povera disgraziata, e ritiene che sia giunto il momento di correggere il tiro.
E infatti, quando nel 1510 Maria fu condotta in pellegrinaggio alla santa casa di Loreto, in quello che evidentemente era l’omologo cinquecentesco del viaggio a Lourdes coi volontari dell’UNITALSI, il prodigio avvenne. Almeno una gioia. Leggenda narra che Maria entrò nella chiesa proprio mentre il sacerdote stava leggendo il Vangelo del giorno, guardacaso quello dedicato alla guarigione del paralitico in Gv 5, 2-18; ed ecco che, alla ripetizione di quel famoso “Alzati e cammina!” pronunciato da Gesù nel brano evangelico, la donna incredula sentì d’un tratto di aver ripreso il controllo delle sue braccia e delle sue gambe.
The End?
Ma manco per niente, anche perché a Maria si poneva a questo punto un interrogativo non da poco: che fai, quando sei una vedova ancora relativamente giovane, piena di soldi e di agganci influenti grazie ai contatti di tuo marito, e vivi in una città in cui non conosci nessuno e non hai niente da fare… anche perché fino al giorno prima eri fisicamente impossibilitata non dico ad andare a esplorare il golfo di Napoli, ma anche solo ad affacciarti alla finestra di casa tua?
A Maria parve che la linea d’azione più corretta fosse quella di ripagare Iddio della grazia che le aveva concesso industriandosi per servirgli il controvalore in opere di misericordia. E così – italianizzato il suo cognome in Longo per risultare meglio accetta alle classi popolari, e aggiunto a quello di battesimo il nome di Lorenza in omaggio al santuario lauretano in cui la sua vita aveva svoltato – Maria tornò a Napoli e mobilitò tutte le conoscenze a sua disposizione sottoponendo loro una domanda inconsueta. Grossomodo sulle linee di: se una donna piena di soldi dovesse decidere di destinarli tutti a un’opera assistenziale a favore dei bisognosi, quale sarebbe il campo più urgente a cui dedicarsi?
E per la serie “mai una gioia”, quella povera gentildonna che forse avrebbe sperato di potersi occupare (che ne so) di teneri orfanelli, di gentili vedove impoverite e di pie monache da sostenere economicamente, si sentì rispondere all’unisono da tutti i suoi interlocutori: “la più grande urgenza di Napoli in questo momento è l’assenza di un ospedale dedicato alle sifilitiche”.
E un ospedale per sifilitiche, finì col fondare la poveraccia.
E qui inizia la vicenda di interesse medico, per chi è appassionato di medicina e sifilitici
Una quindicina d’anni prima, proprio Partenope aveva avuto il dubbio privilegio d’ospitare il primo grande focolaio di sifilide della Storia occidentale, a seguito dell’arrivo delle truppe francesi di Carlo VIII che cercavano di strappare il regno di Napoli agli spagnoli. Da quel momento in poi, la sifilide aveva dilagato incontrollata, terrorizzando (e a buon diritto) la popolazione, cui sembrava d’essere di fronte alla versione incattivita della peste nera: se i bubboni avevano quantomeno la delicatezza di uccidere le loro vittime nell’arco di pochi giorni, la sifilide trasformava la loro vita in un’agonia sempre più agghiacciante che poteva trascinarsi per anni e anni, se non decenni interi.
La brava gente non aveva la più pallida idea di come proteggersi dal contagio. Ci volle un bel po’ di tempo prima di realizzare d’essere di fronte a una malattia a trasmissione sessuale – anche perché i medici avevano buon diritto nel rimanere disorientati da sindromi come la sifilide congenita dei neonati, che controintuitivamente colpivano fasce d’età non esattamente inclini a frequentare bordelli. Non irragionevolmente, l’esperienza empirica portava a pensare che la sifilide si trasmettesse per le solite vie all’interno di quelle quattro mura in cui le coppie di sposi (o le puerpere coi figlioli) trascorrevano molto tempo a strettissimo contatto; e il fatto che i quartieri di malaffare pullulassero di professioniste infette non fu immediatamente un dettaglio capace di far accendere la lampadina.
Quindi, sì: la gente aveva una paura dannata di quella malattia inquietante che poteva colpirti in ogni istante trasformando la tua vita in agonia al confronto della quale la morte sarebbe già stata una grazia; ed essendo ignote le modalità di trasmissione di un male evidentemente contagioso, va da sé che gli infetti si trovassero a vivere in condizioni di totale emarginazione, rifiutati persino da quegli ospedali che (giustamente) volevano evitare di trasformarsi in focolaio impestando tutti gli altri pazienti ricoverati.
Occorrevano insomma delle strutture apposite, modellate un po’ sullo stesso stile dei lebbrosari, nelle quali i sifilitici potessero attendere la morte senza correre il rischio di trascinar con sé degli innocenti di passaggio. La prima a essere fondata, nel 1499 a Genova, fu l’Ospedale degli Incurabili, eretto per volontà di un filantropo che negli anni immediatamente successivi provvide a dare il via a istituzioni analoghe nelle città di Roma e poi di Napoli. E a Napoli, giustappunto, risiedeva quella ricca gentildonna di nome Maria Lorenza Longo che smaniava per trovare una causa meritoria a cui destinare se stessa e il suo cospicuo patrimonio… long story short: entro il 1518, la nostra amica diventava la direttrice del primo ospedale per sifilitici della città.
E qui la vicenda di interesse medico va più nello specifico
Ma com’era organizzato un ospedale per sifilitici nell’Italia del Cinquecento?
Volendo fare un paragone con le strutture che conosciamo oggi, verrebbe da paragonarlo a un hospice – visto che, nell’assenza di una terapia nota che potesse effettivamente guarire i malati, le cure offerte avevano l’uno scopo dare loro un sollievo momentaneo dalle sofferenze. Nei casi che sembravano legittimare qualche speranza, si tentava effettivamente una terapia sperimentale con la somministrazione di infuso di guaiaco, una pianta proveniente dal Nuovo Mondo che veniva ritenuta una panacea per tutti i mali: peccato che questo farmaco costasse una sassata e non servisse assolutamente a niente… ma almeno non faceva male, che è già molto più di quanto si potesse dire per altre terapie tentate contro la sifilide tentate in quel periodo confuso.
Siccome le pene del corpo non potevano essere alleviate più di tanto, grande importanza si dava a tutto ciò che avrebbe potuto lenire le sofferenze dell’anima: insomma, veniva considerato prioritario tenere alto l’umore di chi troppo facilmente avrebbe rischiato di perdere la speranza. E proprio in quella direzione andavano buona parte delle cure di cui erano oggetto i malati.
Dal lunedì alla domenica, una pletora di enti caritativi di vario tipo s’avvicendavano al capezzale dei sofferenti per intrattenerli quanto più possibile, pregare con loro, ammaestrare insegnamenti morali, distribuire parole di conforto. Fra l’altro, i sifilitici del Cinquecento mangiavano singolarmente bene, spesso e volentieri ricevendo in dono dai loro benefattori dei piccoli dolcetti come quelli che vi propone oggi Mani di pasta frolla, allo scopo appunto di dare almeno una piccola gioia a chi si trovava a vivere in una situazione ben misera: piccoli gesti che però possono molto.
E il personale interno, a parte i volonterosi benefattori muniti di sorrisi e leccornie?
Beh: concretamente, l’ospedale era mandato avanti da un Consiglio direttivo di cui faceva parte un rappresentante del governo, coadiuvato da un team di altri professionisti (esperti in economia, gestione dei grandi enti, e così via dicendo) che venivano selezionati personalmente dal viceré.
L’ospedale non aveva dei dottori regolarmente assunti (!), ma si affidava al buon cuore dei professionisti che volevano dedicare un po’ del loro tempo a questa opera caritativa. Ogni lunedì, nel tardo pomeriggio, s’affacciano nelle corsie i medici che prestavano servizio nella Congregazione della Presentazione della Gloriosa Vergine dei Confratelli Dottori: somministravano le terapie che ritenevano necessarie, seppellivano i cadaveri di chi era morto nell’arco dell’ultima settimana e ne approfittavano anche per portare ai pazienti un pasto caldo, che provvedevano a servire loro.
Cinque giorni più tardi, ogni venerdì, sarebbero stati i barbieri della Compagnia dei Santi Cosma e Damiano a dare il loro contributo per quelle piccole medicazioni che si fossero rese necessarie; per il resto, l’assistenza quotidiana dei malati era affidata a un gruppo di Converse che vivevano sistematicamente all’interno dell’ospedale, per svolgere quelle funzioni che oggi definiremmo probabilmente di infermiere o di assistente alla persona. Prima di convertirsi (appunto), costoro erano delle prostitute che Maria Lorenza Longo aveva tolto dalla strada con la promessa di dar loro un impiego sicuro… in quello che sicuramente non era il posto di lavoro più desiderabile di questo mondo, ma quantomeno non era un bordello.
E gli ammalati? Venivano accolti in ospedale solo previa diagnosi medica (cosa non scontata, in un’epoca in cui molti ospizi aprivano le loro porte un po’ a tutti i sofferenti, senza indagare più di tanto sulla causa specifica del loro stato di bisogno), e dopo aver ricevuto l’assoluzione da un sacerdote confessando tutti i loro peccati. Da quel momento in poi, dovevano impegnarsi a vivere come dei bravi cristiani, unica remunerazione che venisse chiesta loro in cambio del ricovero: e così, dovevano andare a messa quotidianamente, comunicarsi almeno due volte all’anno, e impegnarsi a non avere vizi, non bestemmiare e non creare confusione tra i malati.
Per approfondire:
Adriana Valerio, Un tantillo di fe’ mi ha salvata. Maria Lorenza Longo, Fondatrice dell’Ospedale degli Incurabili e delle Monache Cappuccine (Edizioni Paoline, 2023)
ac-comandante
All’inizio la sifilide era stata chiamata “mal napoletano”, dopo la spedizione di Carlo VIII, i cui miliziani si sono contagiati lì, divenne nota come “mal francese”.
Diversi storici della medicina però sostengono che in epoche più antiche, fino al basso medioevo, non esiste neppure una descrizione dei sintomi della sifilide, come se non eistesse. Alcuni di loro dicono che la malattia sia stata portata a Napoli non dai francesi ma dagli spagnoli che l’avrebbero contratta nelle Americhe. Si sa qualcosa di più?
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Anonimo
Ma Maria Lorenza Longo non fondò pure le Clarisse cappuccine?
Annalisa.
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Emilia
Esatto, è sempre lei, come indica anche il titolo del libro citato da Lucia e che prima o poi prenderò, come anche conto di visitare l’Ospedale degli Incurabili quando tornerò a Napoli dai miei parenti.
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Francesca
No ma scusa 🖐️🖐️🖐️🖐️ Ma dicci qualcosa di quel libro là sotto!!!!!! Ho visto poco fa l’immagine e così l’ho cercato su amazon. C’è 😁 . E io non dico che lo sto per comprare subito-subito immediatamente… Però insomma, poveracci noi del blog: facci sapere qualche info anche qui, please 😎 …anche perché al momento non vedo la tua pagina fb nella solita “finestra” sul blog (che era l’unico mio accesso possibile – e ammetto: sei l’unica persona in rete che mi ha fatto ipotizzare più volte una mia eventuale iscrizione a fb per seguirti… Ma poi torno in me e altre necessarie valutazioni extra-internet mi fanno desistere)
Comunque sia: congratulazioni per il nuovo libro 🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟
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Lucia Graziano
😭😭😭
Ma anche 😂😂😂 per riequilibrare un po’, via!
Eh lo so, anzi vivo come un grosso fallimento personale 🤣 il fatto di non aver ancora avuto il tempo di scrivere per bene un post come si deve qui sul blog per presentare il lavoro, ma davvero non ho ancora avuto il tempo materiale. Come sa chi segue le mie disavventure su Instagram, in queste settimane ho anche un parente in ospedale (niente di serio! ma ovviamente gli serve assistenza e la cosa porta via tempo anche proprio a livello orario) e sto facendo avanti e indietro come una trottola in un periodo già pieno di suo (come se non si fosse notato già dal declinante ritmo dei miei post qui!).
Ma adesso arrivo pure con un post decente per presentarlo eh! Arrivo, col fiatone tutta affannata ma prima o poi arrivo eh!
Intanto grazie mille per le congratulazioni e per l’attenzione, che conta ancora di più visto che sei andata a pescarti la notizia da un mini-riquadro a lato! 😅💛
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Lucia Graziano
Intanto qui c’è il lancio a cura dall’Associazione Culturale Zammerù Maskil, che raccogliendo gente un po’ meno jellata di me sta facendo un lavoro di promozione decisamente migliore 🤣
https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/halloween-chiarificazione.html
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Francesca
Grazie per il link 🌟Da quando ho visto il nome del tuo co-autore mi sono chiesta se fosse inglese / americano o se si trattasse di “nome d’arte” per pubblicazioni divulgative, so to speak. Ora guardo al link
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Francesca
Da smartphone le immagini sono in fondo, in basso 😇 (cioè, altro che “di lato”! Ancora più meritevole sono! 😂 )
Scherzi a parte avevo immaginato che tu fossi leggermente più occupata del solito, e sì, avevo notato la minor frequenza.
Grazie al Cielo, il tuo parente ammalato non ha niente di grave 💚💚💚💚💚💚💚 (cuoricini per lui/lei)
Per la cronaca, oggi ho “fatto il giro” via google e ho letto la tua parte pubblica della pagina fb. Quindi ho letto lì l’ottima presentazione. Bello. Molto interessante la storia dello psichiatra 🤔 …quella mi mancava proprio nonostante le mille letture sul tema
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Francesca
Aggiungo spunto di riflessione in tarda serata… Appena visto nelle mie notifiche youtube… Lo trovo interessante (oltre che divertente), della serie “la storia continua anche in altre direzioni e mentalità diverse e sentiment odierni dovuti ad altri fattori”, ecc. ecc. Interessanti anche (e forse soprattutto) i commenti sotto. Intanto, una bella risata 😂
https://youtube.com/shorts/fvR13wxlpDg?si=xs2yDv5R2BQDpeyW
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Francesca
commento ⤴️collegato all’off topic su Halloween di cui sopra
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Francesca
Altro topic. Ho cercato ma purtroppo non trovato uno dei tuoi articoli in tema relativo a qualche santo che hai trattato… Dunque ti segnalo qui un appuntamento-discussione su youtube previsto per il 12 ottobre. Di solito su questo canale viene invitata gente bene informata. A parte il titolo che è un evidente clickbait (considerata appunto la competenza del canale e della gente partecipante) ….può essere interessante ascoltare il punto di vista “oltreoceano”. Per chi ha tempo e voglia e… inglese >>
P.s. sono una fan di Jimmy Akin e da diverso tempo fantastico 😂 su una tua possibile collaborazione con questo simpaticissimo signore (cattolico, ex protestante) che sul suo canale (che però non è questo qua 😅 comunque è facile da trovare) … ha anche una celebre rubrica dal titolo Mysterious World… 😇😁 rubrica nella quale “indaga” a fondo fenomeni strani, cattolici e non
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Gianluca di Castri
Un commento sulla sifilide: è comune opinione che essa sia stata importata dall’America, tuttavia considerazioni epidemiologiche considerando la data del primo viaggio di Colombo (1492) e la presenza della malattia a Napoli (1494 o 95) suscitano qualche dubbio, di fatto la cosa non è impossibile ma non è neanche molto probabile visto il tipo di trasmissione del morbo. Un’ipotesi moderna è che si tratti di una variante della framboesia, esistente già nei secoli precedenti e tuttora presente in altre parti del mondo
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