Piccoli Fisici Crescono / Epilogo

Prima e seconda parte


Era il pomeriggio prima della fatidica esposizione alla classe sul funzionamento della Pila di Volta. E grandi preparativi fervevano nella CasadiLucia e nella CasadiAndrea.

Lucia, seduta alla scrivania, fissava con sguardo innamorato il suo bellissimo (e costosissimo) tester di recente acquisto. Dopo aver arbitrariamente deciso, infatti, che nella Pila la corrente passava, solamente con una intensità troppo bassa per accendere la lampadina, la ragazza, ormai sulla soglia di una crisi di nervi, aveva fatto irruzione in un negozio di Elettricistica, berciandp “voglio un amperometro!”.
E l’amperometro le era costato, per carità.
E l’amperometro era stato un acquisto totalmente inutile, una di quelle cose che compri, paghi, paghi care, usi una volta nella vita e poi abbandoni, inutilizzate, in un cassetto pieno di ragnatele.
Però l’amperometro era servito a dimostrare che Lucia aveva ragione. La corrente attraverso la pila passava, solo che era una corrente di 1,4 Volt. E la lampadina faceva la schifiltosa e non si accendeva per un misero Volt virgola quattro.
Ma Lucia aveva ragione. E dopo aver a stento trattenuto un gridolino nel vedere l’amperometro prendere vita; e dopo aver aggredito il povero Andrea con una serie di “vedi? Vedi? Uomo di poca fede, io te l’avevo detto!”; e dopo essere corsa fuori dalla classe per esultare avvisando tutti i professori che incontrava, Lucia in fondo in fondo aveva sentito di aver speso bene quegli euro.

Con sguardo un po’ meno innamorato, Lucia fissava anche l’enorme cumulo di tondini di alluminio ritagliati, ad uno ad uno, con certosina precisione. Lucia non sapeva che, quella notte, avrebbe sognati tondini di alluminio, teglie di cuki, e forbici che la inseguivano minacciosi. Lucia non sapeva che, a distanza di un mese, ancora avrebbe avuto crisi di risatine isteriche nel ritrovarsi, al supermercato, davanti ad una confezione di teglie di alluminio.
Lucia non sapeva, né voleva sapere, tutto ciò. Lucia si limitava a ritagliare, tondino per tondino, centinaia di cerchietti di alluminio.
Sì, alla decima teglia aveva avuto l’avvisaglia di un primo crollo di nervi, ma aveva continuato, imperterrita, per il Bene più Grande.

Era stata tuttavia molto sollevata quando uno squillo del telefono l’aveva costretta ad interrompere il suo sudato lavoro.
“Pronto, Lucia?”
“Ciao, Andrea! Come procede lì?”
“Bene, bene. Ho già pronta una decina di diapositive, sta venendo un lavoretto carino, anche graficamente. Tu hai trovato quelle informazioni sulla Storia della Pila che mi avevi promesso?”
“Sì. Te le ho mandate via email un paio di minuti fa, assieme a tutte le immagini”.
“Oh, grazie mille! E hai finito di pulire le monete? Anche quella ventina che ti ho dato stamattina?"
“Sì. Sì, ehm. Sì, le ho messe nel Cillit Bang. E funziona, sai?”
“Davvero? Ma dai, quello della pubblicità con la monetina?”
“Quello. Funziona davvero: ci metti la moneta dentro e lui te la sgrassa sul serio”
Wow! Chissà che razza di principi attivi ha, sarà corrosivo…”
“Ti dico solo che mi ha fuso i guanti di lattice. Mi ero messa i guanti di lattice per maneggiare bene tutte le monetine, e me li ha fusi”.
“Fusi?”
“Sì, sono fusi”.
“Però…”
“Sì, ehm, Andrea, però… ecco, stava per fondere anche le tue monete…”
“Come, fondere?”
“Le ha fatte diventare verdi”
Verdi?
“Sì, verdi. Di un bel verde, anche: era verde smeraldo all’inizio, adesso si sta un po’ scurendo…”
“Ma… ma come verdi? E solo loro?”
“Solo loro, appunto. Ma da dove li hai presi ‘sti soldi?”
“Me li ha portati mia mamma dal lavoro, li ha presi dalla cassa dell’ufficio…”
“Non è che tua mamma conserva in cassa monete false per poter dare un resto falso ai clienti, eh?”
Né Lucia né Andrea sapevano che, alcuni giorni dopo, cadendo a terra, una di quelle monete verdognole si sarebbe, senza esitazione… spezzata in due. E il mistero tuttora continua.

Ed era ormai notte tarda, quando Lucia, terminato di tagliuzzare la sua dodicesima teglia, si stava affrettando a preparare tutto per il giorno successivo.
Il puntatore laser era nella cartella.
Il costoso amperometro lo accompagnava.
Una bottiglietta di acido citrico teneva compagnia ad una bottiglietta di aceto.
Centinaia di tondini di scottex e alluminio giacevano l’uno sull’altro in un barattolino di vetro, uniti alle monete di rame sopravvissute alla fusione del Cillit Bang.
Mancava solo la soluzione di acqua e sale.

Lucia esce dalla sua stanza, attraversa la casa, arriva in cucina, prende il sale. Prende un pentolino, mette a bollire l’acqua, prende un barattolo di vetro, ci versa dentro l’acqua in ebollizione. Un cucchiaio di sale, due cucchiai di sale, e via così finché la soluzione non si satura.
E’ mezzanotte e mezza passata quando l’acqua smette, finalmente, di assorbire sale. Lucia, con gli occhi che le si chiudono dal sonno, prende il coperchio e fa per chiudere il barattolo.
Solo che il coperchio non entra nel barattolo.
Ohibò.
No, è il coperchio giusto, e perché non entra?
Prova e riprova, passano dieci minuti e il barattolo continua a non chiudersi.
Lucia è sull’orlo di una crisi di nervi quando dall’alto arriva l’illuminazione: dilatazione termica. L’acqua calda ha fatto dilatare il barattolo, adesso il coperchio è troppo piccolo.


Lucia aspetta un altro quarto d’ora perché l’acqua si raffreddi, speranzosa, ma inutilmente.
Al che si rassegna, lasciando il barattolino aperto, pronta per richiuderlo il giorno dopo.
E’ già a letto da dieci minuti quando si alza di scatto correndo disperata verso il barattolino: va coperto, va coperto, se no l’acqua evapora!

E quella notte Lucia sognò tondini di alluminio che la inseguivano, e barattolini di acqua e sale che evaporavano fluttuando verso il Cielo.

Lo sforzo di Andrea di creare diapositive chiare, sintetiche e graficamente gradevoli non fu mai, ahilui, apprezzato a dovere. Mentre il ragazzo passeggiava per l’aula multimediale, fogli di appunti alla mano e puntatore laser sempre pronto all’uso, per illustrare le nozioni di Elettrochimica necessarie per comprendere il funzionamento della pila, gli occhi di tutta la classe erano puntati su Lucia e sui numerosi aggeggi davanti a lei. Qualcuno aveva sussultato, vedendo Lucia indossare guanti di lattice e spostare leggermente più in là le tenaglie che teneva sulla cattedra. Qualcuno aveva alzato velocemente la mano, alla richiesta “fin qui ci sono domande?”. E frettolosamente aveva chiesto, indicando Lucia e i suoi cavi elettrici, “Andrea, ma Lucia sa quello che sta facendo, sì? Ci vuol far morire tutti?”.

Nessuno morì in quella giornata. Anzi, fu con una discreta dose di orgoglio che, creata la sua pila, Lucia attraversò l’aula multimediale mostrando a tutti i ragazzi i numerini sull’amperometro che saettavano e crescevano. La seguiva Andrea, affrettandosi a spiegare “sì, questo misura l’intensità di corrente, sì, e come vedete ormai la nostra pila produce 1,4 Volt, che è il massimo a cui è mai arrivata… anzi, no, le cifre stanno aumentando! Vedete, abbiamo raggiunto gli 1,6… 1,87 anzi!”
1,87?”. Lucia sbarra gli occhi, fissando sconcertata ora Andrea, ora il display del tester. “1,87? Presto, presto, Andrea, portami la lampadina, con 1,87 funziona anche la lampadina!”.

E mentre una isterica Lucia correva verso l’interruttore spegnendo tutte le luci, Andrea recuperava da quel groviglio di alluminio, tenaglie e fili, una lampadina già collegata a due cavi elettrici.

A quel punto, persino la professoressa tratteneva il fiato, mentre Andrea avvicinava lentamente il secondo dei due fili elettrici alla Pila che Lucia sosteneva.

Occhi puntati sulla lampadina per un paio di lunghi, interminabili secondi, e…
E luce fu.

Voci non verificate, provenienti dalla Sala Professori del Collegio, parlano invece di un 4- segnato sul registro del docente di Storia e di Filosofia, in corrispondenza del nome del giovane studente di Filosofia della Prima Liceo.

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