Aveva conosciuto la nostra maestra di Inglese, che, oltre a insegnare Inglese ai bimbi italiani, insegnava Italiano agli studenti inglesi. La nostra maestra le aveva proposto di incontrare i bambini delle sue classi, e Erin aveva accettato: e fu così che una piccolissima Lucia di quinta elementare conobbe per la prima volta un atleta olimpico.
Di Erin Gleason mi ricordo due cose: che sarebbe rimasta a Torino until April 29, e che ci aveva autografato i diari. C’era una ressa incredibile, attorno alla cattedra, per farsi autografare questo diario; e mentre i miei compagni sgomitavano e saltavano la fila io avevo aspettato pazientemente, facendomi sorpassare e prendendomi gomitate. Erin Gleason se n’era accorta e, quand’era stato il mio turno, mi aveva sorriso mormorando qualcosa di incomprensibile: e, sul mio diario, oltre all’autografo aveva disegnato una faccetta sorridente.
Ecco. Non ho la più pallida idea di che fine abbia fatto quest’atleta, ma sul mio diario di terza elementare ho ancora il suo autografo e la sua faccetta sorridente.
Erin Gleason, però, non è stata l’unica americana con la quale ho avuto occasione di parlare, quando studiavo alle Elementari. La nostra maestra era una convinta sostenitrice degli scambi culturali: e, se non poteva portarci di persona in America, faceva in modo che un pezzetto d’America venisse da noi. Era riuscita a stabilire un contatto con una piccola scuola elementare del New England, e aveva organizzato un gemellaggio fra le classi: i bambini americani ci raccontavano della loro vita in America, e noi ricambiavano con stentate letterine sulla nostra vita italiana. Sono convinta che in New England si siano stufati di noi e dei nostri deliri sgrammaticati già dopo poche settimane di corrispondenza; però, a Torino, noi abbiamo imparato un sacco di nuove cose, grazie ai nostri amici americani.
Correva l’anno 1997, ed erano i primi di ottobre. La scuola era cominciata da poco, e tutti quanti attendevamo con ansia la prima lettera dei nostri amici di penna statunitensi: la lettera non ci è mai arrivata, ma in compenso ci è arrivato un pacco. Ci è arrivato, a scuola, nell’unico giorno della settimana in cui la maestra di Inglese era assente: noi, però, non avevamo voglia di aspettare fino all’indomani, e, curiosissimi, l’abbiamo aperto.
E ci siamo francamente rimasti molto male.
Il pacco conteneva infatti un mucchio di giocattoli bruttissimi, e anche piuttosto sgradevoli: c’erano dei ragni pelosi, dei pipistrelli di plastica, dei fantasmi fosforescenti, alcuni cappelli da strega, uno zombie-robot, tre vampiri peluche, e dieci zucche di plastica.
E’ stato un momento di grande tensione. Per quale assurdo motivo i nostri corrispondenti americani ci spedivano dieci zucche di plastica? Che diavolo me ne faccio, io, di dieci zucche di plastica? Quale mente perversa può financo concepire la produzione, di dieci zucche di plastica? Qual è l’utilità concreta di dieci zucche di plastica?
Noi, l’anno prima, avevamo fatto un bel lavoro, per far arrivare nel New England un pezzetto d’Italia. Avevamo spedito libri d’arte, caffettiere moka, fujot per la bagna cauda, gianduiotti, ricette per pizze e focacce.
E loro ci spedivano dieci zucche di plastica?!
E vampiri e zombie e pipistrelli e fantasmi e ragni?
Ma sono cretini?
Appartengono forse a qualche strana setta?
***
Correva l’anno 1997, e Halloween non era ancora arrivato in Italia. Nemmeno la nostra maestra di Italiano e Matematica aveva saputo spiegarci nei dettagli cosa fosse quella festa delle zucche di cui parlavano i nostri amici d’oltreoceano: correva l’anno 1997, ed Halloween, in Italia, era popolare quanto il Giorno del Ringraziamento o la festa di Guy Fawkes.
Però, nel lontano 1997, la nostra classe è forse stata una delle prime in tutta Italia ad essere addobbata con zucche intagliate e festoni di pipistrelli, e io sono forse stata una belle prime bambine italiane a preparare una ricerchina sulla figura di Jack O’Lantern.
L’anno dopo, qualche timida streghetta ha iniziato a fare la sua comparsa nelle vetrine delle giocattolerie, e anche i bambini che non avevano contatti col New England hanno imparato qualcosina sulla festa delle zucche.
E alla vigilia del Duemila, quasi tutti i ragazzi erano al corrente dell’esistenza di questo Halloween.
Ma, a me, Halloween è entrato nel cuore molto prima, quando ho aperto con trepidazione un pacco proveniente dal New England, e mi è caduto fra le mani un orribile ragno gigante.
E’ per quello che mi piace festeggiarla, contrariamente a tutte le aspettative.
E poi, qui (lì) in Piemonte, la si festeggiava anche nel mio amatissimo Medio Evo…
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