La Guarigione di Tiberio – II

(Prima parte)

Capri. Due anni prima.

L’isola di Ischia sorgeva splendida sul mare, e i raggi del sole si riflettevano sulle acque limpide increspate dal vento.
L’imperatore Tiberio socchiuse gli occhi e seguì con lo sguardo il volo dei gabbiani. Sospirò, appoggiato al parapetto del belvedere. “La vista continua a calarmi, lo sai?”, mormorò senza neanche voltarsi.
Natan preferì tacere, ma a un certo punto si rese conto che l’imperatore stava aspettando un suo commento. Si schiarì la voce, un po’ a disagio, e poi borbottò qualcosa sul fatto che l’età avanza per tutti, non è il caso di preoccupars…
Mi preoccupo, invece, amico mio”. Tiberio se ne stava appoggiato al parapetto del belvedere, senza guardarlo: Natan lo fissò, di spalle, ed ebbe l’impressione che l’imperatore si fosse incurvato molto – quasi afflosciato su se stesso – dall’ultima volta che lo aveva visto. Del resto, era passato quasi un anno dal loro ultimo incontro: tempo di raggiungere le province orientali, portare ambascerie, tornare…
“Tossisco sangue”, sussurrò l’imperatore. “Non ho appetito. Perdo le forze. Ho febbri continue. La mia faccia è ricoperta di piaghe. L’avresti mai pensato, amico mio? Il potente Tiberio… ridotto ormai a una carcassa umana?”.
Natan cominciò a inquietarsi, alla disperata ricerca di qualcosa da dire. “Ma sono certo che i tuoi guaritori sapranno riportarti presto alla forza di un tempo, mio Ces…”.
Tiberio si lasciò andare a una mezza risata, e finalmente si voltò. Natan dovette fare violenza a se stesso per nascondere la sua sorpresa… e il suo disgusto. Il volto dell’imperatore era ricoperto di pustole purulente, su cui doveva esser stato spalmato qualche unguento dal colore verdognolo.
“A quanto pare, i miei guaritori non riescono a fare assolutamente niente per me”. Mai come allora, Tiberio gli era apparso magro, esile: un fuscello in preda al vento. Natan abbassò lo sguardo, per nascondere la sua preoccupazione.
“Dicono”, mormorò Tiberio, “che nell’Oriente crescano spezie esotiche, capaci di curar qualunque male. E così, amico mio?”.
Natan esitò, nel tentativo di trovar qualcosa di intelligente da rispondere.
“Sei appena tornato da Gerusalemme”, lo incalzò Tiberio. “Se per caso tu avessi udito di qualcosa… che ne so… una pomata, un’erba… Dicono che i guaritori di Damasco siano molto abili. Se tu conoscessi qualcosa, o qualcuno, in grado di curare le mie ferite e farmi riacquistare la salute d’un tempo…”. Esitò, e a Natan parve che Tiberio lo stesse fissando con sguardo implorante. “Io ti colmerei di onori”, concluse l’imperatore, con quella che sembrava più una supplica che una promessa.

L’ambasciatore avvertì una strana stretta all’altezza dello stomaco. Cercò disperatamente di passare in rassegna tutti i medici che aveva conosciuto lungo il suo viaggio, tutti gli scienziati, tutti i guaritori… Ma nessuno di loro era in grado di compiere miracoli: e non poteva certo consigliare all’imperatore di rivolgersi a un ciarlatano…
“Mio signore”, mormorò Natan nella disperazione: “hai ai tuoi piedi la grande Roma, e sono certo che tutti gli studiosi più capaci siano già sta…”. Un lampo di disperazione attraversò gli occhi acquosi di Tiberio, e Natan si interruppe improvvisamente, colto da ispirazione. “Aspetta! Forse conosco un medico del genere”.
Tiberio si illuminò e Natan deglutì molto lentamente, pregando tutti gli dei del cielo di non aver appena fatto lo sbaglio più grande della sua vita. “Io non lo conosco di persona”, cominciò piano, con cautela, prendendo le distanze. “Riporto solo delle cose che mi hanno raccontato. Voci di popolo. Ma quando sono partito per tornare in Roma, tutta Gerusalemme ne parlava. C’è questo medico…”.
Sì?”, sussurrò Tiberio, che pendeva dalle sue labbra.
Natan si fece forza: “c’è questo medico, che riesce laddove tutti falliscono. Ha ridato la vista a un cieco nato, ha guarito i paralitici, ha mondato molti lebbrosi”. Tiberio lo fissò, e ci fu un lampo di speranza nel suo sguardo: Natan allora si fece forza, e continuò a raccontare quel che ricordava. “C’era una donna che aveva emorragie da dodic’anni, e dicono che lui l’abbia guarita: è tanto potente la sua medicina, che” – e Natan ridacchiò fra sé – “che corre voce che abbia addirittura risorto da morte tre persone. Certo, è un’iperbole”, aggiunse velocemente, “ma rende l’idea della sua fama”.
Tiberio aprì la bocca per parlare, con un fremito di emozione. “Come si chiama questo scienziato?”.
“Mio signore, non lo so”. Natan abbassò lo sguardo, in imbarazzo. “Tutta Gerusalemme ne parla, ma io non l’ho mai veduto, non ricordo il nome. Ma il prefetto di Giudea senz’altro saprà aiutarti”, aggiunse frettolosamente: “ se gli manderai un messaggio, o una qualche tua ambasciata…”.
Farò di più!”, esclamò Tiberio, e si avvicinò a Natan per abbracciarlo. (Natan cercò disperatamente di ignorare le pustole sul corpo dell’imperatore, ricambiando la sua stretta).
“Farò di più!”, ripeté Tiberio, pieno di ottimismo: “manderò in Giudea Volusiano, il mio servitore più fedele! Gli ordinerò di tornare con questo guaritore prodigioso, costi quel che costi”. E fissò ancora Natan, con gli occhi che, finalmente, splendevano di gioia. “Forse è in questo tale di cui tu mi dici, che è riposta la mia salvezza!”.

(Continua)

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