La persecuzione di Diocleziano

Lattanzio sembra saperla lunga, su come andarono le cose. In un cerimonia solenne, nel palazzo di Nicomedia, l’Imperatore Diocleziano stava offrendo sacrifici agli dèi, affinché gli indovini di corte potessero leggere nelle viscere il futuro della potente Roma.
Fra i funzionari di corte erano presenti alcuni cristiani (ormai la cosa non scandalizzava più nessuno); e, nel momento in cui Diocleziano invocò gli dèi, i cristiani si fecero rapidamente un segno della croce, come a voler prendere le distanze dal rito pagano a cui dovevano assistere.
Sarebbe stato un evento di banale routine – ma, quella volta, qualcosa andò drammaticamente storto. Gli aruspici non riuscirono a trarre nessun vaticinio dalle viscere degli animali; ripeterono il tentativo per una, due, tre, volte – ma nulla. Sembrava quasi che gli dèi si fossero offesi, volessero negare il loro appoggio a colui che regnava nel loro nome.

Lo sconcerto cominciò a serpeggiare; presto fu sostituito dalla tensione, e poi dal panico. Fu con un misto di stizza e di disperazione che l’indovino Tage, dopo mille tentativi, annunciò che la procedura era andata a vuoto perché gli dèi erano indignati: fra i presenti al rito vi erano anche dei profani, degli indegni – dei cristiani.
Diocleziano, su tutte le furie, ordinò immediatamente che tutti i presenti nel palazzo compissero subito un sacrificio agli dèi, per tentare di rimediare a quella vergognosa e infamante offesa che aveva causato lo sdegno delle divinità.
Eravamo di fronte all’inizio della fine: prendeva piede in questo modo una delle più violente e aggressive persecuzioni che la Chiesa abbia mai dovuto affrontare in tutto il corso della Storia.

***

Il primo editto anticristiano risale al 23 febbraio 303: tutte le chiese dovevano essere distrutte, e ogni copia delle Sacre Scritture doveva essere consegnata ai funzionari e mandata al rogo. Chiunque avesse rifiutato di compiere un atto pubblico di apostasia, avrebbe perso ogni diritto; qualsiasi casa in cui fossero stati rinvenuti testi o arredi sacri, sarebbe stata data alle fiamme.
Il secondo editto, a poco tempo di distanza, condannava al carcere tutti i membri del clero, senza distinzione; il terzo editto offriva uno spiraglio di salvezza a tutti i religiosi che avessero accettato l’apostasia; ma solo a quelli. Il quarto ed ultimo editto, che risale all’inizio del 304, ordinava a tutta la popolazione di offrire sacrifici agli dèi – pena, la morte.

Ma che cos’era passato veramente per la testa di Diocleziano, quando aveva deciso di rispolverare le vecchie persecuzioni anticristiane, che peraltro, tutto sommato, non avevano portato nessun vantaggio concreto ai suoi predecessori?
Voglio dire: perché tutto questo livore, calcolando che, da un sacco di tempo a quella parte, la comunità cristiana aveva dimostrato di poter coesistere in maniera pacifica con le strutture dell’Impero?
Perché?

Il problema, ancora una volta, è una drammatica instabilità politica.
Negli anni precedenti all’elezione di Diocleziano, svariati imperatori romani erano sorti come funghi, col solo scopo di essere assassinati dai nemici politici di lì a pochi mesi dalla loro elezione. Qualche suddito doveva aver sgranato gli occhi quando l’imperatore Tacito (forse parente dello storico) era stato avvelenato dopo soli sei mesi di regno; purtuttavia, al suo diretto successore non andò meglio: fu assassinato dalla sua guardia del corpo (!) due mesi dopo la sua elezione (!!).
Quando, verso la fine del 284, Diocleziano sale al potere, comincia probabilmente a sudare freddo, rendendosi conto dell’impiccio in cui s’è cacciato.
Serve urgentemente una riforma completa dell’Impero, pensa Diocleziano cercando un modo di salvarsi la pelle: serve una riforma che lo ricostruisca fin dalle basi, rendendo questa follia un po’ più governabile.
Nasce così una nuova forma di successione dinastica e di spartizione del potere: la tetrarchia.

Ma non solo: se si vuole che la famiglia Imperiale torni a rifulgere di quella luce che l’aveva resa potente e invincibile agli albori dell’Impero, allora Roma deve ricominciare a vedere gli Imperatori come cosa sacra.
Cosa divina, intoccabile, incriticabile, inammazzabile: solo a quel punto si sarebbero creare le condizioni in cui operare con serenità, senza troppi scossoni politici.

E quindi, l’Imperatore romano torna improvvisamente ad essere un semidio – o quasi.
In quanto detentore dell’autorità suprema su tutta Roma, Diocleziano si fece chiamare “Giove”, quasi come una rappresentanza terrena del dio del pantheon: era stato il dio supremo a rivestirlo della sua luce, e a dargli l’incarico di governare sul mondo. Chiunque avesse ostacolato i progetti di Diocleziano, avrebbe ostacolato anche i piani divini.
L’Imperatore cominciò anche a circondarsi di una vera e propria aura di sacralità: tutto quello che lo riguardava (leggi, editti, vestiti, pantofole…) era definito “sacro”; chiunque avesse avuto l’onore di essere ammesso in udienza presso Diocleziano avrebbe dovuto genuflettersi, e compiere un atto di proskynesis. Gli oggetti destinati all’Imperatore venivano toccati con le mani avvolte da un velo perché il contatto umano non li contaminasse; durante le sue apparizioni in pubblico, l’imperatore appariva velato come a voler dimostrare il suo essere “altro” rispetto ai mortali.

E siccome non è mai una saggia scelta mettersi contro a una intera famiglia di dèi, è molto evidente che chi non avesse accettato di sottomettersi… beh… avrebbe chiaramente rischiato grosso.
Una volta arrivati a questo punto, anche con la migliore disposizione personale, era ovvio che gli Imperatori non avrebbero più potuto tollerare la presenza di un suddito men che adorante: quale credibilità divina avrebbero avuto, sennò?

Aveva così inizio la più violenta, sanguinaria, totalizzante persecuzione che la Chiesa avesse mai dovuto affrontare nei suoi primi secoli di vita. Forse, una delle più violente e sanguinarie di tutta la sua storia bimillenaria.

2 risposte a "La persecuzione di Diocleziano"

  1. Nina Posulo

    Interessante la storia dell’imperatore romano Diocleziano ed il suo accanimento contro i cristiani, in particolare contro una giovane Sofia di Fermo, che viene venerata ancora oggi in un piccolo paesino della Sardegna. Il dubbio è se la santa venne trafitta al cuore dalla spada di Diocleziano o se fu decapitata.

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