L’optimum climatico del Medioevo? Probabilmente, ve l’hanno spiegato male

Evidentemente il caldo mi da alla testa, perché ho deciso di fare il grande passo il passo suicida di ogni divulgatore: quello cioè di affrontare il tema più divisivo e malcompreso dell’intera storia medievale, su cui è praticamente impossibile avere una discussione matura perché inevitabilmente entra in gioco l’ideologia e nella sezione commenti si alimenta un flame che manco le guerre di religione. No, non sto parlando di bazzecole come le crociate e l’inquisizione, ma di molto più temibile: l’optimum climatico medievale. Gasp!

Per chi non l’avesse mai sentito nominare: “optimum climatico” è il termine (ormai datato) con cui si indica(va) quel periodo di tempo compreso tra il IX e il XIV secolo (circa), in cui alcune aree del mondo registrarono un clima insolitamente caldo, con temperature medie che hanno l’aria d’esser state superiori rispetto a quelle attuali. Inevitabilmente, l’optimum climatico viene tirato in ballo tutte le volte che si parla del riscaldamento globale: in genere, è l’argomentazione preferita di chi vuol dire “vedete, il mondo si riscalda e si raffredda per i fatti suoi e soprattutto non c’è niente di allarmante in un progressivo aumento delle temperature: pensate all’optimum climatico medievale, quando la Groenlandia era una terra verde e ubertosa e la civiltà rifioriva sotto il generoso dardeggiar del sole!”. Ma quanto c’è di vero in queste affermazioni?

Chi mi conosce sa che sono una storica, e perciò stesso ancorata a quell’abitudine arcaica e ormai caduta in disuso di non parlare di argomenti di cui non capisco una ceppa. Quindi, non ho la minima intenzione di affrontare il tema del riscaldamento globale oggi (ma manco con una pistola puntata alla tempia, giusto per capirci).
Per contro: sono una storica, dunque penso che sarebbe interessante mettere un paio di puntini sulle i sulla questione, partendo innanzi tutto da qualche affermazione telegrafica. Tipo: l’optimum climatico c’è stato sicuramente; è molto probabile che vi sia stato spiegato male (come capita spesso a scuola, quando si cerca di semplificare temi complessi); nel mondo accademico, nessuno lo chiama più con questo termine perché, a conti fatti, ‘sto periodo caldo fu ottimo solamente per una ristretta cerchia di fortunati eletti. Tutto il resto del mondo avrebbe probabilmente attinto a una vasta gamma d’aggettivi semanticamente assai diversi, per descrivere lo stesso periodo.

E, detto ciò, proseguiamo con ordine.
Ordinatamente, la bibliografia è in calce all’articolo.

Sì, durante il periodo caldo medievale faceva effettivamente caldo: lo mostra la scienza, senza ombra di dubbio

I negazionisti dell’optimum climatico (sì, esistono anche loro: tendenzialmente, attivisti ambientali imbarazzati da questa anomalia storica che faticano a spiegare) argomentano spesso che “eh, ma come fai a dire che tempo faceva davvero nel Medioevo? Mica ti puoi basare solo su fonti documentali composte da gente che scriveva chissà quali boiate!”.

Valida osservazione, a cui verrebbe però da controbattere che le fonti documentali sono davvero tante, così numerose da non poter realisticamente essere tutte derubricate a esagerazione retorica. Se vieni a sapere che la gente attraversava in pieno inverno valichi alpini che oggigiorno sarebbero impraticabili in quella stagione, o che l’Inghilterra era coltivata a vigneti (e l’innalzamento dei mari erodeva pian piano le coste di interi insediamenti urbani, come nel caso della scomparsa città di Dunwich); e se le fonti che contengono questo tipo di informazioni sono numerose, scollegate, e provenienti da tutta Europa: beh, un minimo di credibilità dovrà pur essere data, a queste povere carte.

Ma, ovviamente, la Scienza con la S maiuscola non si basa sulle pergamene polverose. A sostegno dell’affermazione per cui , nel Medioevo nordatlantico v’era un clima insolitamente caldo, esistono rilevazioni scientifiche con tutti i crismi (analisi dei depositi morenici all’interno dei ghiacciai alpini; studio degli anelli degli alberi in boschi secolari, e così via dicendo). In particolar modo, pare interessante una scoperta che è stata fatta pochi anni fa un team di ricercatori dell’Eth di Zurigo: misurando le variazioni dell’isotopo radioattivo del carbonio C-14 negli anelli di accrescimento alberi selezionati, gli scienziati hanno potuto appurare che, nel periodo storico che le fonti ci descrivono come insolitamente caldo, si registrò un’attività solare che fu intensa in modo anomalo rispetto ai canoni attuali. Gli anni in cui questo fenomeno fu più evidente furono il 993, il 1052 e il 1279, casomai vi interessasse.

Non è che nel Medioevo ci fosse il clima di adesso ma con temperature più alte; è che nel Medioevo c’è stata (probabilmente) una fase di Niña insolitamente prolungata

O, quantomeno: questa è l’ipotesi attualmente più gettonata dalla comunità scientifica, anche alla luce dei risultati prodotti dall’Eth di Zurigo. Detto in soldoni, l’idea di fondo è che questo prolungato periodo di intensa attività solare abbia impattato sul ciclo ENSO, portando all’instaurarsi di una fase di Niña molto prolungata. L’ipotesi sembrerebbe trovare riscontro nelle fonti storiche in nostro possesso (validate da vari tipi di rilevazioni scientifiche): per esempio, si ha l’impressione che lungo tutta la durata del cosiddetto optimum si sia registrato un pattern in cui l’Africa Orientale era gravata da periodi di siccità importante, mentre il Sud Africa e una certa fetta di territorio sub-sahariano erano graziati da piogge frequenti e abbondanti. «Questo pattern di precipitazioni», ci spiegano Lieberman e Gordon nel loro Climate Change in Human History, «è molto simile a quello che si registra ai giorni nostri durante la fase della Niña, il che suggerisce che durante il periodo di anomalia climatica medievale possano essersi verificate prolungate condizioni di Niña, per l’appunto. Questo scenario sarebbe del resto coerente con le basse temperature che sono state ricostruite per la zona del Pacifico tropicale per l’arco di tempo preso in esame».

Un’altra ipotesi (non in contraddizione con la precedente) è che, nello stesso periodo, si sia verificata anche un’alterazione nei pattern dell’Oscillazione Nord Atlantica: quella che influenza il clima dell’Europa settentrionale e degli Stati Uniti nord-orientali. Quando l’Oscillazione è in fase positiva, si registrano in Nord Europa e sulla costa atlantica degli Stati Uniti inverni più caldi e asciutti della media; per contro, si hanno temperature rigide e stagioni più piovose nel bacino mediterraneo e nella zona del Canada. Dati alla mano, anche questo sembrerebbe uno scenario coerente con quello che le fonti storiche (validate da rilevazioni scientifiche) descrivono per quell’arco di tempo, quantomeno in zona europea.

Insomma: secondo l’ipotesi di gran lunga più gettonata, non è che, nei secoli centrali del Medioevo, ci fosse esattamente lo stesso clima che conosciamo oggi, ma con temperature semplicemente più alte rispetto a quelle odierne. Molto probabilmente, a essere diverse erano proprio le condizioni meteo, e va da sé che il dettaglio è parecchio rilevante: quasi sempre si parla di optimum climatico focalizzandosi unicamente sulle temperature, ma quelle sono probabilmente la parte meno significativa della questione.

L’optimum climatico è passato di moda: meglio parlare di MCA

Il termine “optimum climatico” (noto anche come “epoca calda medievale”) fu coniato nel 1965 da Hubert Lamb, climatologo britannico che, di lì a pochi anni, avrebbe cominciato a coordinare un importante centro di ricerca presso presso l’Università dell’East Anglia.
Oggigiorno, la storiografia ha smesso da tempo di utilizzare di questo termine, che ha il grave difetto d’essere parziale e eurocentrico; ne era conscio lo stesso Lamb, che in effetti aveva fatto ricorso a quella definizione nell’ambito di uno studio in cui parlava solo ed esclusivamente delle particolari condizioni climatiche registratesi nelle isole britanniche.

Ma se quella zona era davvero stata graziata da un clima così mite da essere, effettivamente, ottimo, sarebbe un grave errore presumere che tutto il resto del globo terracqueo beneficiasse delle stesse condizioni meteo. Dati (documentali e scientifici) alla mano, non ci risulta che nell’Estremo Oriente si sia verificato un significativo aumento delle temperature (le precipitazioni, però, dovevano essere nettamente più abbondanti rispetto a oggi); altre zone del mondo (come il Pacifico tropicale) erano addirittura più fresche rispetto alla media attuale. L’Europa settentrionale non aveva problemi di siccità; nel bacino del Mediterraneo, capitavano di tanto in tanto estati un po’ troppo aride, ma (di norma) senza che la cosa diventasse seriamente preoccupante. In compenso, nell’Africa del Nord, nella Mesoamerica e nel Medio Oriente, le precipitazioni furono così scarse da provocare enormi danni all’economia locale, con conseguenti sconquassi politici su larga scala. Ci va già una certa faccia tosta a definire “ottimo” un periodo del genere, e infatti gli storici del Duemila preferiscono parlare di Anomalia Climatica Medievale (per gli amici MCA: Medieval Climate Anomality) – proprio per evitare di dare al grande pubblico l’erronea impressione che il clima mite fosse diffuso uniformemente su tutto il globo.

E adesso facciamo qualche esempio concreto, se mi vorrete leggere ancora un po’.

Il Nord Atlantico: mai stato meglio

che il clima era veramente optimum, beati loro: le aree coltivabili si espansero a dismisura e anche il tipo di coltivazione mutò in maniera eloquente. Tra il 1100 e il 1300, cresceva ottima uva in Inghilterra; nello stesso arco temporale, si venivano a creare in Svezia insediamenti urbani basati su economia agraria in zone che, fino a poco prima, erano lande gelide popolate (quando andava bene) dalle tribù nomadi dei Sami. Nelle zone in cui vivevano i popoli vichinghi, il clima mite generò un rinnovato benessere economico, che a sua volta provocò un marcato aumento della popolazione. Il boom demografico diede il via ai fenomeni migratori che sono ben impressi nell’immaginario collettivo, e che naturalmente furono a loro volta agevolati da un clima che rendeva particolarmente agevole la navigazione.

Entro il X secolo, alcune comunità vichinghe si erano già stanziate in Groenlandia… che però non era manco lontanamente quella terra verde, fertile e ubertosa che erroneamente descrive una certa vulgata. Diciamo che lo era nella testa di Erik il Rosso, che evidentemente non disdegnava di ricorrere alla pubblicità ingannevole pur di attirare nuovi coloni nella terra in cui s’era appena stanziato.
Rilevazioni scientifiche condotte in anni recenti ci permettono di dire che, con buona pace del nostro amico Erik, la Groenlandia doveva essere piuttosto innevata anche nel Medioevo: si registrarono, effettivamente, temperature più miti del consueto nel periodo compreso tra l’850 e il 1100, ma all’aprirsi del XIII secolo si registrò un brusco calo di temperature con un raffreddamento di circa 4 gradi nell’arco di ottant’anni. E anche prima, non è che in Groenlandia si stesse perennemente in maniche corte mentre si facevano passeggiate nei fertili campi verdi perennemente pieni di fiori profumati.

Il Medio Oriente: “ottimo” col cavolo

Nel X secolo, sulle mura perimetrali della città di Hamadan se ne stava un talismano che, nelle pie speranze dei cittadini, avrebbe dovuto impedire al ghiaccio di formarsi sulla strada. Google mi informa che anche oggi, in pieno inverno, le temperature possono scendere leggermente sotto zero in quella zona montagnosa dell’Iran (sarebbe interessante sapere quanto è dettagliato oggi il piano neve della città di Hamadan: capace di competere con l’attenzione maniacale che viene denotata dall’uso di un apposito talismano coniato appositamente per lo scopo?).
E ciò non di meno, è a dir poco curioso venire a sapere che la (relativamente) vicina città di Esfahan, (in pianura, e oggi caratterizzata da clima arido e siccitoso) fu colpita nell’inverno 942-43 da una nevicata così intensa che gli abitanti si ritrovarono bloccati in casa per settimane.

Un singolo evento climatico fuori dalla media può sicuramente essere registrato come una anomalia a sé stante, ma le fonti storiche sono piuttosto chiare nel testimoniare che, nel Nord Africa e nel Medio Oriente, doveva decisamente essersi instaurato un pattern climatico a dir poco anomalo, rispetto a quello che conosciamo oggi.
A partire dal 950, il Nilo cominciò a entrare in secca; nell’arco dei centoventicinque anni successivi capitò ventisette volte che le sue acque fossero così basse da non riuscire a penetrare nei canali di irrigazione, con gravissimi danni per l’agricoltura e per l’economia locale. E non solo per quella locale, visto che l’Egitto era il granaio di tutto il Medio Oriente: negli anni compresi tra il 1065 e il 1072 (consecutivamente, senza una singola stagione a portare un po’ di sollievo) si verificò sulle sponde del Nilo una fortissima carestia che con un effetto domino finì col togliere il pane anche a Costantinopoli. La terribile disfatta che l’esercito bizantino subì nel 1071 a Manzicerta perdendo il controllo sull’Anatolia (che infatti passò nelle mani dei turchi selgiuchidi) viene (e già allora fu) unanimemente considerata un effetto collaterale del prolungato periodo di stenti che aveva indebolito il fisico dei soldati.

La Mesoamerica: male e anche peggio

Spesso si ritiene che le fiorenti civiltà precolombiane siano state distrutte dall’arrivo dei conquistadores, e c’è sicuramente del vero in questa affermazione; è anche vero però che molte di queste civiltà avevano preso già da tempo una brutta china, incamminandosi verso una crisi che gli eventi successivi non fecero che acuire. Se ne resero ben conto gli esploratori europei, ai quali toccò in sorte l’esperienza veramente creepy di addentrarsi all’interno di città maestose, con edifici monumentali, che risultavano però completamente abbandonate e ormai da tempo reclamate dalla natura. Eclatante è la testimonianza di Diego Garcia de Palacio, che nel 1570 si trovò a passeggiare per le vie di quella che era stata la città di Copan, in Honduras: interi quartieri di casette grandi e piccole; palazzi maestosi; una via lastricata larga dieci metri che doveva essere l’omologo di una moderna autostrada… e ciò nonostante, tutto questo ben di Dio era completamente abbandonato. Da circa sei secoli, secondo le attuali stime degli storici.

E non è un caso isolato. La città di Calakmul (oggigiorno, un sito archeologico al confine tra Messico e Guatemala) doveva aver raggiunto una popolazione di circa 60.000 persone nel suo periodo di massimo splendore, durante il quale alcuni scribi vollero anche usarci la cortesia di incidere su pietra alcuni degli eventi più rilevanti. Queste annotazioni si concludono con il X secolo: entro l’epoca in cui i conquistadores visitarono la città, essa non conteneva che una minima frazione degli abitanti che doveva aver ospitato un tempo.

Va da sé: come insegna ogni film apocalittico, ci sono innumerevoli cause che potrebbero aver provocato un simile sfacelo – catastrofi naturali, malattie epidemiche, abbandono delle figlie femmine, e va a sapere cos’altro. Ci sono però evidenze tali da farci pensare che anche in questo caso il cambiamento climatico possa aver giocato un ruolo rilevante in questo disastro, ponendosi quantomeno come concausa di questa forte crisi. È stato notato, per esempio, che attorno al X secolo gli edifici della città di Calakmul (e di altri centri non lontani, come Tikal) smisero d’essere costruiti col solido legno di sapodilla, che per lungo tempo era stato il materiale d’elezione per ogni lavoro edile effettuato nella zona. Ma evidentemente – grossomodo nello stesso periodo in cui iniziava il declino di Calakmul – gli operai sentirono l’esigenza di ripiegare su legni sostitutivi e di qualità nettamente deteriore, anche quando lavoravano su edifici commissionati da gente che non badava a spese. Vien da pensare che il problema di fondo fosse un’effettiva scarsità di materiale, più che una strana moda architettonica; e se teniamo conto del fatto che la sapodilla è anche (e soprattutto) un albero da frutto, cominciamo a intuire che la sua rarefazione non dovette costituire solamente un problema urbanistico.

Ci fu dunque un qualche tipo di crisi ambientale, nella Mesoamerica del X secolo? Se la storia sembrerebbe autorizzare questa cauta supposizione, la scienza è in grado di confermare che in effetti la risposta è “sicuramente sì”: l’analisi dei sedimenti marini nel golfo di Cariaco, in Venezuela, e gli studi effettuati sulle formazioni stalagmitiche dello Yucatan mostrano che, nel periodo compreso tra l’800 e il 1000, la zona dovette vivere periodi di siccità insolitamente rigidi (con picchi nel 760, nell’810, nell’860 e nel 910, che davvero danno l’impressione di esser stati anni da horror). Il lasso di tempo combacia con quello in cui le grandi civiltà mesoamericane andarono incontro a un periodo di fortissima crisi: impossibile dimostrare che sia stata quella la (unica) causa… ma anche ridurre il tutto a una mera coincidenza.

Gli Stati Uniti del Sud: potenzialmente, lì era proprio l’inferno

Qualcosa di simile dovette verificarsi anche a nord del Golfo del Messico: anche in questo caso, abbiamo evidenze archeologiche di città un tempo fiorenti che furono completamente abbandonate entro il XIII secolo. Il caso eclatante è quello di Chaco Canyon, nel Nuovo Messico, ove tra l’800 e il 1150 si sviluppò una città maestosa di cui è ancor oggi possibile visitare le rovine. Sappiamo per certo che, entro il 1200, era stata abbandonata: non sappiamo perché, ma è ragionevole supporre che debba esserci stato qualche motivo grave e irrimediabile per spingere un popolo a lasciare in massa quella che era a tutti gli effetti una metropoli. Ve la immaginate, una New York che si svuota nell’arco di uno o due secoli e si trasforma in un cumulo di rovine?
E non è un caso isolato: lo stesso pattern si ripeté in altre zone degli Stati Uniti meridionali. Attorno al 1300, si spopolò o venne abbandonata la città di Mesa Verde in Colorado, e Cahokia (a pochi chilometri di distanza da Saint Louis) era già deserta nel momento in cui i primi coloni europei si addentrarono nel Missouri. Quel che è peggio: grossomodo nello stesso periodo si estinse l’intera popolazione degli Anasazi, che nel periodo di suo massimo splendore aveva occupato una vasta zona ricompresa tra Utah, Colorado e Arizona.

Fra l’altro, i poveri Anasazi andarono incontro a una fine orribile, che deve necessariamente essere attribuita a uno dei due scenari seguenti: o i miserelli sono stati sterminati da gente che era completamente uscita fuori di testa, o avevano problemi di fronte ai quali l’ipotesi di cui sopra diventa il minore dei problemi. Scavi effettuati nei siti archeologici un tempo abitati dalla popolazione hanno portato alla luce una esorbitante quantità di cadaveri che recano i segni inequivocabili di atti di cannibalismo, e pure di cannibalismo praticato con una certa metodicità (per esempio, le ossa lunghe venivano spaccate allo scopo di estrarne il midollo. Non si trattava solamente di far scempio dei cadaveri: questi se li mangiavano per davvero, e fino all’ultima goccia).
La pratica risulta così diffusa che pare improbabile relegarla a qualche singolo episodio di guerra cruenta: più che altro, si ha l’impressione che quei poveretti venissero cannibalizzati con una certa frequenza, nel periodo di declino della loro civiltà. Da cui, per l’appunto, di due l’una: o gli Anasazi sono stati sterminati da un branco di pazzi singolarmente sadici, oppure la zona in cui erano stanziati aveva problemi di approvvigionamento talmente gravi da indurre la gente a mangiare i cadaveri chi era già morto di stenti o malattia.

Superfluo dire che non ci si basa su qualche corpo cannibalizzato per avanzare la teoria di una crisi climatica di proporzioni tali da spingere una popolazione intera a mangiare i suoi stessi morti (o a sterminarne un’altra da fare arrosto). Però, lo studio degli anelli nei tronchi d’albero in quella zona degli Stati Uniti ha mostrato inequivocabilmente che, nel periodo preso in esame, l’area in cui vivevano i miseri Anasazi fu colpita da una siccità fortissima, che si prolungò per diversi anni… Diciamo che, minimo minimo, la cosa non avrà aiutato un granché quella povera gente, quale che fosse il loro problema base.

E quindi? La morale di questa Storia?

In tutta onestà, secondo me non c’è una morale: Dio mi scampi e liberi dall’idea malsana di fare parallelismi con la crisi climatica attuale; e, fra l’altro, onestamente ritengo che non abbia molto senso fare paragoni di questo tipo. Ma, grazie al cielo, io mi occupo di Storia e non di ambiente, quindi posso serenamente lasciare ad altri la patata bollente.

In prospettiva storica, mi sembra però di poter dire che la morale di questa Storia è che la Storia è una cosa complicata. Al di là di ogni altra possibile considerazione sull’uso retorico che se ne intende fare, facciamo attenzione a parlare di “optimum climatico medievale” come di un magico periodo di tepore in cui tutto il mondo era una distesa di terre prospere, rese fertili dal piacevole dardeggiar del sole. Se questo valse per i Vichinghi, non valse per gli Egiziani (anche a voler lasciare da parte le popolazioni centro-americane, su cui abbiamo più ipotesi che documentazione storica)… e, mettiamola così: non è che il mondo sia unicamente composto dagli Stati Uniti e dal Nord Europa. Ogni tanto val la pena di ricordarselo anche in storiografia.


Per approfondire:

  • Wolfgang Behringer, Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale (Bollati Boringhieri, 2013)
  • Benjamin Lieberman ed Elizabeth Gordon, Climate Change in Human History (Bloomsbury Publishing, 2021)
  • Ronnie Ellenblum, The Collapse of the Eastern Mediterranean: Climate Change and the Decline of the East, 950–1072 (Cambridge University Press, 2012)
  • R. B. Gill, The Great Maya Droughts: Water, Life, and Death (University of New Mexico Press, 2000)
  • William C. Foster, Climate and Culture Change in North America AD 900–1600 (University of Texas Press, 2012)

Immagine di copertina: ricostruzione dell’accampamento vichingo di Ballydugan, a Downpatrick (Irlanda) Ecco: quello era sicuramente un posto e un tempo in cui il clima era ottimo per davvero, beati loro.

7 risposte a "L’optimum climatico del Medioevo? Probabilmente, ve l’hanno spiegato male"

  1. Avatar di Decio

    Decio

    Ciao mi chiamo Decio e scrivo per la prima volta per farti i complimenti … anche se ti seguo da mesi perché sono appassionato di sante, santi, reliquie e furti delle stesse anche se non sono particolarmente praticante e religioso … ma soprattutto adoro come l’arte, la storia e le chiese ci parlino di alcune folli vite, e mi piace tantissimo l’approccio che hai un po’ antropologico un po’ sociologico ed un po’ leggero tanto che ormai … amici e amiche che ho mi prendono in giro perché ogni tanto gli giro alcuni dei tuoi pezzi come questo sul clima del medioevo molto bello ed interessante … e dicono che ormai sono “partito” anche io per la tangente o … per la vita monastica! Gazie per tutto

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      😂
      Tranquillizza i tuoi amici: in realtà (anche se a prima vista forse non si direbbe), la grande maggioranza dei miei lettori non è composta da cattolici praticanti ma da gente che semplicemente si diverte a leggere queste storie strane… non credo che la monacazione sia necessariamente dietro l’angolo insomma 😜

      Ma grazie mille per il commento, per la “pubblicità” che mi fai con gli amici e per le belle parole! 🙂 Un piacere scrivere per così piacevoli lettori! 🙂

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  2. Avatar di Gianluca di Castri

    Gianluca di Castri

    Articolo molto interessante, in realtà un libro condensato. In epoca storica i periodi caldi furono due, uno è quello medievale mentre l’altro fu più o meno dal primo secolo avanti Cristo al secondo o terzo dopo Cristo e furono ambedue periodi di sviluppo economico e sociale anche se imperfetto ed asimmetrico. Per chi volesse capire qualcosa di più sull’attuale momento climatico suggerisco di non ascoltare né i politici né i giornalisti ma di leggere l’ottimo libro di Koonig (Unsettled BenBella Books, Dallas 2023)

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Grazie per il consiglio di lettura! Non conoscevo quel titolo, andrò a curiosare 🙂
      E grazie anche per i complimenti e soprattutto per il “un libro condensato” – in effetti sì, ci ho messo parecchio tempo a scrivere ‘sto malloppo, mi fa piacere che qualcuno abbia colto le proporzioni del mio masochismo 😂

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  3. Pingback: Clima medievale – Gianluca di Castri (IdeaConsult)

  4. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Articolo molto interessante. Posso chiederti dove reperire fonti testuali coeve che trattano del miglioramento del clima nel nord europa e dei vichinghi che si diressero verso la Groenlandia?

    Grazie.

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