12 marzo: il Carnevale degli scolari, in Polonia

Chi è il santo patrono dei bambini piccoli che vanno a scuola?
Qui in Italia, uno qualsiasi dei nostri nonni avrebbe sicuramente risposto “san Remigio”, che il vecchio calendario liturgico ricordava il 1° ottobre. Fino agli ’70, era proprio in quella data che le scuole italiane facevano ripartire l’anno scolastico; e qualcuno dei meno giovani ricorderà ancora i tempi andati in cui i bambini di prima elementare venivano scherzosamente chiamati remigini, proprio in omaggio al loro santo protettore.

Ma questa era una tradizione tutta italiana, basata sulla burocrazia scolastica nostrana. Altrove, come spesso capita, le comunità cristiane si diedero altri patroni per rispondere al medesimo bisogno: e addivenne così che in Polonia fosse san Gregorio Magno a diventare il santo patrono dei giovani studenti.

Perché proprio lui? Difficile a dirsi: la data in cui viene festeggiato (12 marzo) non ha particolare attinenza con momenti-chiave della vita scolastica nell’Est Europa, e risulta molto tarda (cioè, presumibilmente costruita a posteriori) la storiella che spesso si usa(va) per spiegare ai bambini le origini della tradizione. Leggenda vuole che san Gregorio Magno, divenuto papa nel 590, fosse rimasto inorridito nel vedere l’enorme quantità di bambini che ogni giorno se ne stavano appostati nelle strade di Roma, nella speranza che qualche passante di buon cuore li assumesse per qualche breve lavoro alla giornata. Se ciò non accadeva, i bambini dilapidavano le settimane in un bighellonare senza senso; e, nella peggiore delle ipotesi, rischiavano pure di fare brutti incontri e di vedersi proporre lavori disonesti. Non appena ebbe il potere di legiferare sulla città di Roma, il papa neo-eletto ebbe cura di imporre per legge la frequenza delle scuole dell’obbligo, facendo costruire edifici scolastici in quantità sufficiente ad accogliere quei bambini che grazie a lui furono in grado di guadagnarsi un futuro onesto. E, grazie alla sua sapienza coraggiosa, vissero tutti felici e contenti.

Tutto molto bello, agiografico ed edificante: ma, ovviamente, la storiella non è vera, e nella Roma del VI secolo d.C. anche i pontefici più illuminati avrebbero plausibilmente preso per scemo chiunque avesse cercato di spiegar loro il concetto di “obbligo scolastico”. Certo è che Gregorio Magno dette un grande impulso agli studi (anche se si focalizzò su istituzioni accademiche d’alto livello che avevano un target ben diverso), sicché non fu certo irragionevole il ragionamento di chi, a un certo punto della Storia, pensò bene di additarlo come un patrono plausibile per gli scolari.

E così, nacque la tradizione di festeggiare il 12 marzo tra i banchi di scuola.
Diffusa nel Medioevo – tra gli studenti universitari – in diverse nazioni (tra cui, brevemente, anche l’Italia), la consuetudine si conservò più a lungo nell’Est Europa, dove è attestata fino al XIX secolo. E, in Polonia in particolar modo, si trasformò in una specie di secondo Carnevale: sì, perché i bambini erano soliti travestirsi indossando costumi che li trasformavano per un giorno in piccoli diaconi, sacerdoti o maestri di scuola – e, in quell’allegra mascherata, componevano un corteo che li portava ad attraversare tutte le strade del quartiere o del villaggio. A turno, i bimbetti si passavano uno stendardo raffigurante l’effigie di san Gregorio: e, brandendolo, bussavano alle porte di tutte le case che incontravano nel loro cammino.

Quello che seguiva, era qualcosa di molto simile al trick-or-treating di Halloween o al Christmas caroling dei coristi di Natale: i bambini si esibivano davanti al padrone di casa (quasi sempre recitando una canzoncina che i maestri avevano insegnato loro per l’occasione) e in cambio di quella gentilezza chiedevano un piccolo dono che li aiutasse a celebrare in grande stile la loro festa. E, naturalmente, il regalo non mancava, sottoforma di uova, frutta secca o fettine di formaggio. Che, significativamente, i bambini non mangiavano sul posto: era consuetudine riportare in classe tutto il bottino, consegnandolo nelle mani del maestro. Sarebbe stato lui, dall’alto della sua saggezza, a ridistribuirlo in parti eque a tutti gli studenti, avendo cura di non dimenticare nessuno.

E, talvolta, erano i maestri stessi a dispensare in parti uguali cibo e divertimento: in molte zone della Polonia, era consuetudine che quel giorno gli scolari portassero in dono al loro insegnante un obwarzanek (una specie di pretzel originario di Cracovia, che potete provare a ricreare anche voi seguendo la ricetta che vi propone oggi Mani di pasta frolla). E capitava spesso che i maestri trasformassero quei doni in gioco, infilzando tutti i pretzel in una corda e legandosela in vita a mo’ di cinta: a quel punto, gli scolaretti ricevevano il permesso di dare l’assalto al maestro, cercando di strappargli via quanti più dolcetti fossero stati in grado di sottrargli. Anche in quel caso, il gustoso bottino sarebbe stato poi spartito in eque parti tra i vincitori.

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Qualcuno, a questo punto, potrebbe legittimamente chiedersi “sì, ok, tutto molto divertente, ma c’era davvero bisogno di sacrificare un giorno di scuola per organizzare questa carnevalata? Con l’avvallo oltretutto di insegnanti che si trasformavano in buffoni?”. E qualcun altro potrebbe anche aggiungere “ma che davvero, erano così, le scuole ottocentesche?”.

Beh… effettivamente la risposta è sì: le scuole ottocentesche erano (anche) così, o almeno cercavano di presentarsi in questo modo agli occhi del grande pubblico, per rendersi più attrattive e più desiderabili. Tutto serviva a portare acqua al mulino, in un’epoca in cui l’obbligo scolastico non esisteva ancora ma ogni legislatore aveva ben chiara l’importanza di fornire al popolo un’istruzione di base, scontrandosi però con la diffidenza del popolino che non vedeva motivo di chiudere i propri figli in una scuola per sei ore al giorno (o, peggio ancora, considerava gli istituti poco meno che luoghi di tortura). Ben lungi dall’essere una carnevalata fine a se stessa, le giocose processioni dei piccoli studenti in maschera avevano lo scopo di dimostrare ai coetanei (e, soprattutto, alle loro famiglie) che le scuole erano invece un ambiente di assoluta gradevolezza, dove i bambini potevano essere lasciati in sicurezza con la promessa d’essere trattati bene da insegnanti che davvero li avevano a cuore.

Ben lo spiega Sophie Hodorowicz Knab, che a questa tradizione dedica alcune pagine nel suo Polish Customs, Traditions & Folklore, dando conto anche della canzoncina che gli scolari polacchi recitavano bussando di porta in porta alle case del villaggio. Ecco, diciamo che il testo è già tutto un programma. Tradotto in Italiano, suonerebbe all’incirca così:

Siamo qui per celebrare la festa di san Gregorio, nostro illustre patrono: è il giorno in cui la neve prende a sciogliersi e ritorna in mare. Scuole e monasteri fondò il santo, in grande quantità, per propagare la fede cristiana. Padri! Madri! Mandate a scuola i vostri amati figli, e non ritirateli dalle lezioni. L’istruzione è il gioiello più bello; l’istruzione è il tesoro più prezioso. Neanche il più feroce dei nemici può sottrarcela; né l’incendio distruggerla, o il fiume in piena portarla via.


Per approfondire:

Sophie Hodorowicz Knab, Polish Customs, Traditions & Folklore (Hippocrene Books, 2022)

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