Vorrei dare un consiglio ai miei lettori. Qualora vi venisse in mente di organizzare un corso universitario di Tecniche Cartografiche Medievali, sappiate fin d’ora che la formulazione ideale non è quella di organizzare lezioni frontali di cinque ore consecutive, con un break di venti minuti per la pausa pranzo.
Io, ad esempio, dopoil suppliz la lezione di oggi, ero letteralmente distrutta. In coda alla cassa del supermercato, praticamente dormivo in piedi: ho quasi rischiato di non accorgermene, di quel nanerottolo che mi stava tirando un lembo del cappotto.
“Signooola?”.
Con molta fatica, distolgo lo sguardo dallo scaffale dei detersivi e lo porto in basso, lanciando un’occhiata vuota al nanerottolo. Deve aver qualcosa tipo tre o quattro anni, e mi sta guardando piuttosto corrucciato.
“Signooola? Perché sei triste, signola?”.
“Ehm…”. Mi sforzo con tutta me stessa di elaborare una frase di senso compiuto: “non sono triste, bambino”.
“Hai un’aria triste, però”, ribatte il nanerottolo con una certa ostinazione.
“Non sono triste”, gli ripeto io con un gemito: “sono tanto stanca”.
Il nanerottolo spalanca i suoi occhioni. “Ooooohhh. E perché sei stanca, signola?”.
“Sono stanca perché stamattina presto mi hanno chiusa in una torre alta alta alta e mi hanno costretta a scrivere per cinque ore di fila”, biascico in tono rassegnato: “è una cosa stancante. Sono appena uscita, e sono ancora stanca”.
“Oooooohhh!”, fa il bambino. “Poveriiina”.
“Ehm… grazie”.
Il bambino mi fissa in silenzio per qualche secondo, e poi tende verso di me una manina rosea e grassoccia. E mi fa pat-pat sui pantaloni.
“Povera signola”, commenta lanciandomi una occhiata molto compassionevole. “Adesso devi andare a casa, e poi la tua mamma ti prepara il semolino. Vedrai che poi andrà tutto meglio, signola”.
Io, ad esempio, dopo
“Signooola?”.
Con molta fatica, distolgo lo sguardo dallo scaffale dei detersivi e lo porto in basso, lanciando un’occhiata vuota al nanerottolo. Deve aver qualcosa tipo tre o quattro anni, e mi sta guardando piuttosto corrucciato.
“Signooola? Perché sei triste, signola?”.
“Ehm…”. Mi sforzo con tutta me stessa di elaborare una frase di senso compiuto: “non sono triste, bambino”.
“Hai un’aria triste, però”, ribatte il nanerottolo con una certa ostinazione.
“Non sono triste”, gli ripeto io con un gemito: “sono tanto stanca”.
Il nanerottolo spalanca i suoi occhioni. “Ooooohhh. E perché sei stanca, signola?”.
“Sono stanca perché stamattina presto mi hanno chiusa in una torre alta alta alta e mi hanno costretta a scrivere per cinque ore di fila”, biascico in tono rassegnato: “è una cosa stancante. Sono appena uscita, e sono ancora stanca”.
“Oooooohhh!”, fa il bambino. “Poveriiina”.
“Ehm… grazie”.
Il bambino mi fissa in silenzio per qualche secondo, e poi tende verso di me una manina rosea e grassoccia. E mi fa pat-pat sui pantaloni.
“Povera signola”, commenta lanciandomi una occhiata molto compassionevole. “Adesso devi andare a casa, e poi la tua mamma ti prepara il semolino. Vedrai che poi andrà tutto meglio, signola”.