[Ma che sant’uomo!] Ilario

Ormai era un dato di fatto. La guerra era stata persa.
O vinta, a seconda dei punti di vista.
Dal loro punto di vista, era decisamente “vinta”.Le notizie correvano veloci, e non crediate che loro non lo sapessero. Erano considerati peggio che animali, ma una delle poche cose che rimaneva loro era il cervello: non ci voleva tanto a far due più due, coi Tedeschi sempre più nervosi, gli ufficiali che fuggivano nella notte, le giovani reclute che bruciavano i documenti per non lasciarli cadere in mano agli Alleati… E i forni che lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro, perché gli Alleati non trovassero più nessuna prova.
E poi… e poi, sì, dai: lo si sapeva. La notizia era corsa veloce, di bocca in bocca, fino alle loro orecchie: Auschwitz era stata liberata, ed era questione di giorni prima che toccasse anche a loro la stessa sorte. Per la prima volta dal giorno in cui era stato costruito, a Dachau si respirava un clima elettrico di attesa, di speranza, e oserei dir  quasi di gioia.
Era questione di giorni, ormai. Pochissimi giorni appena.
E a patto che i Tedeschi non ammazzassero tutti per cancellar tutte le prove (ma sembravano troppo impegnati a salvar se stessi, per pensare a eliminare i prigionieri), si trattava solamente di aspettare.
Stringere i denti, ed aspettare.
Ilario Januszewski, divorando la sua (pochissima) zuppa della sera, faceva proprio quello.
Stringere i denti. Raccogliere le forze. Sperare in Dio. Ed aspettare.

Oh, sì: ormai Ilario sapeva di avercela fatta.
Era in buona salute, nonostante tutto.
Okay, d’accordo: può far ridere, parlare di “buona salute” per un poveretto che era in campo di concentramento da più di quattro anni, ma per l’appunto… aveva resistito per più di quattro anni.
Quarantotto mesi.
Milleoquattrocento-e-sessantuno giorni.
E che cos’erano, millequattrocento-e-sessantuno giorni di fatica e patimenti, di fronte a poche settimane d’attesa per l’ormai certa liberazione?
Ilario Januszewski se lo sentiva, ne era certo: lui sarebbe sopravvissuto.
E lo diceva a tutti, lo diceva a tutti gli altri prigionieri: mancava poco tempo, una manciata di giorni: dovevano resistere!
Lo diceva al vecchietto disperato, che non vedeva una fine ai suoi patimenti e si stava lasciando andare.
Lo diceva al giovanotto scosso dalla febbre, che rifiutava il cibo “perché ormai era tutto inutile”.
Lo diceva ai compagni senza più speranze, che piangevano nella notte e volevano togliersi la vita.
“Manca poco. Fatevi coraggio. Non perdete le speranze”.
Ilario Januszewski aveva una parola di conforto per ciascuno, e cercava di infondere un po’ di gioia nel cuore di tutti i suoi compagni.
Non per niente, Ilario era un prete.

Certo, non si sarebbe mai aspettato di fare il prete in quel luogo di sterminio: questo bisognava riconoscerlo.
Se tanti anni prima, quando studiava al seminario di Cracovia, gli avessero detto quello che lo aspettava, probabilmente sarebbe scappato a gambe in spalla. Ilario non si era mai ritenuto particolarmente coraggioso.
Però, quando arrivava il momento del bisogno, ecco che lui sapeva fare la scelta necessaria.

Il momento del bisogno, nella vita di Januszewski, era arrivato a metà di dicembre dell’anno ‘40. In Polonia, gli invasori Nazisti avevano incominciato a mettere a morte, fra gli altri, anche numerosissimi religiosi: prete, suore, monaci… non si salvava nessuno.
O meglio: qualcuno si salvava, ma molti altri venivano incarcerati. E quando Januszewski aveva saputo che, fra gli arrestati in attesa della deportazione, c’era anche un sacerdote di sua conoscenza, anziano e molto malconcio… aveva sentito di star facendo la cosa giusta.
Il vecchio prete non aveva nessuna possibilità di sopravvivere: sarebbe morto di lì a pochi giorni, fra le ingiurie dei nemici. Ilario, invece…
Beh: Ilario, quantomeno era giovane. In buona salute. Si sentiva in forma.
Si era presentato al commando nazista, e si era volontariamente offerto come prigioniero in cambio dell’anziano sacerdote (pensavate che certi gesti eroici si vedessero solo nei film? E invece no, capitano anche nella vita vera). Da quel momento, don Ilario era stato spedito nella prigione di Montelupi, poi era finito nel lager di Sachsenchausen, e infine era stato trasferito a Dachau, dove esisteva una speciale “area sacerdoti”. Dei 2.720 sacerdoti imprigionati a Dachau negli anni della guerra (2579, erano cattolici), ne morirono 1034.
Ma Ilario no. Ilario non ci sarebbe stato, fra quei 1034.
Ilario era forte, non aveva perso le speranze, e ormai lottava con le unghie e con i denti per sopravvivere.
Mancavano pochi giorni…
Pochi giorni appena…

E quindi, eccoci qua.
È marzo; è l’alba di un nuovo giorno di attesa e di speranza. Nel loro blocco, i sacerdoti stanno ancora dormendo, stremati dalla fame e dalle fatiche: è un Tedesco a svegliarli di soprassalto, con un florilegio di insulti e di bestemmie. Ride, sputa a terra; picchia qualcuno, così, tanto per fare. Sembra fuori di sé, e quel che è peggio sembra anche divertirsi, mentre un ghigno sadico increspa le sue labbra.
Spiega, il soldato, che nel Blocco 25 s’è diffuso il tifo: tutti i prigionieri assegnati a quella baracca stanno cadendo come mosche, e ovviamente sono stati messi in isolamento per evitare di diffondere il contagio.
Ovverosia, sono stati richiusi lì dentro senza cibo né acqua, in attesa che la natura faccia il suo corso ed elimini ogni ammalato.

E a questo punto, il Tedesco ride: guarda ad uno ad uno i sacerdoti, e ride, di una risata di puro odio. Considerato che tutti i prigionieri del blocco 25 stanno morendo, sarebbe cosa assolutamente doverosa fornire loro un sacerdote per l’assistenza delle anime. Tutti quei sacerdoti lì, vorranno mica far morire gli ammalati senza dare il conforto di una estrema unzione?
“Potete consultarvi”, ride la guardia, sguaiatamente. “Decidete voi chi vuole andare volontario”.

Andare volontario.
Andare volontario, ovverosia andare a farsi uccidere: andare a farsi murare vivi in una baracca senza cibo né acqua, ecco quello che vuol dire.
In tempi normali, qualcuno si sarebbe offerto per davvero: fra il morire di tifo o il morire per gli stenti, è ancora preferibile una morte dignitosa per malattia.
E poi, con tutti quei poveretti che agonizzano, soli, a pochi metri di distanza… sì: in tempi normali, qualcuno si sarebbe offerto per davvero.
Ma adesso
Adesso, quando mancano solo così pochi giorni
Chi mai sarebbe così folle, o anzi forse così eroico, da andare assistere un nugolo di malati contagiosi a pochi giorni dalla liberazione? Potete chiedere tutto, ma non potete chiedere questo: manca così poco… così poco tempo alla salvezza…

“Tempo scaduto”, cantilena il nazista con una risata di scherno. “Chi di voi è dunque il fortunato cappellano del blocco 25?”.
Silenzio.
Nessuno?”, e il Tedesco finge un’espressione di gran sorpresa. “Devo essere io ad eleggerlo?”.
Nessuno fiata.
Il Tedesco ride, e poi sputa per terra: “e meno male che siete sacerdoti, voi e tutte le vostre balle sul sacrificio! Guardatevi qui, adesso, come siete veramente: come dei vermi,  peggio che animali, bestie schifose che non hanno nemmeno la coerenza per…”.
“Mi offro volontario”, gli dà sopra don Ilario, guardandolo fisso negli occhi.

Pochi giorno dopo, quando gli Alleati libereranno il campo, nel blocco 25 troveranno solo dei cadaveri.

5 risposte a "[Ma che sant’uomo!] Ilario"

  1. Lucyette

    Questo post è dedicato a… Ilaria, che qualche tempo fa mi chiedeva notizie su un Santo suo omonimo 🙂

    Precisazione: don Hilary Pawel Januszewski non è Santo, ma Beato (è stato beatificato nel ’99 assieme a altri 107 martiri polacchi morti nel corso della Seconda Guerra Mondiale).
    E, soprattutto: la sua storia è molto bella, ma non è stato l’unico sacerdote di Dachau a comportarsi in questo modo – assieme a lui sono morti altri trentadue religiosi, nella stessa identica maniera.

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  2. utente anonimo

    Come sempre molto brava nello scrivere, ma in questi giorni, anche un ricordo a tutte le vittime del blocco 25 e dei milioni di altri…
    "che non accada mai più".
    ma sappiamo che nel mondo purtoppo ci sono tante guerre e genocidi simili… che ci sia per tutti un S. Ilario per un po’ di speranza che finisca…
    ciao
    Diego

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  3. marinz

    Brava a descrivere con le tue parole questa storia di santi ed eroi… Ilario è proprio stato coraggioso ad affrontare tutto questo dalla sua offerta per l’altro sacerdote all’offrirsi per andare a morire!!!

    Ci vorrebbero diversi preti come lui!!!

    Un sorriso 🙂

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