L’abete di San Bonifacio

San Bonifacio era nato del Devonshire, in Inghilterra, attorno al 680 dopo Cristo. All’età di cinque anni, aveva deciso di farsi prete; all’età di sette anni, essendo rimasto dello stesso parere, era entrato in seminario.
Dopo essersi fatto prete, aveva pensato bene di andare a Roma, per incontrare il Papa e farsi assegnare un qualche compito. Il Papa, positivamente colpito da quel giovane ragazzo, non gli aveva assegnato uncompito, ma bensì l’aveva fatto vescovo di tutta la Germania.
23300Una fortuna straordinaria, se non fosse che c’era una piccola fregatura: e cioè, che il 90% dei germani non aveva mai sentito nominare Gesù Cristo, e non aveva la più pallida idea di chi fosse questo tizio.
Ma insomma, San Bonifacio era un uomo tutto d’un pezzo: e senza perdersi d’animo, cominciò a fare il suo dovere! Evangelizzò la Germania, di città in città, senza mai scoraggiarsi e senza mai prendersi un giorno di riposo. E così, un bel giorno si incamminò verso le porte di un paesello sconosciuto, che ancora non aveva visitato.

Faceva freddo, e un fitto manto di neve avvolgeva la campagna. Gli zoccoli del suo cavallo affondavano nella neve fresca, e Bonifacio si stringeva disperatamente nella sua pelliccia per cercare di arrestare i brividi. Oltrepassò silenzioso le porte della città (che erano, stranamente, incustodite), e avanzò calmo nella notte. Lanciò un’occhiata alle stelle del cielo, e mormorò una preghiera silenziosa in onore di Gesù Cristo: a giudicare dalla posizione degli astri, si stava avvicinando la mezzanotte. E quella era la notte più splendida dell’anno: la notte in cui Gesù, per amor nostro, era sceso sulla terra e si era fatto carne.

Incominciava a scorgersi un chiarore, in lontananza. Bonifacio strinse leggermente le gambe attorno ai fianchi del cavallo, per fargli accelerare il passo, e si incamminò verso quella luce fioca al fondo del sentiero. I paesani dovevano essere in festa, perché avevano acceso un falò sotto le fronde di un grande albero: una quercia maestosa e altissima, che nemmeno lo spoglio inverno riusciva a render meno imponente.
Bonifacio si fermò nell’ombra, non visto, a qualche metro di distanza; e per qualche istante, rimase silenzioso a contemplar la scena. Il fuoco illuminava i volti festanti dei paesani, e un bambino di pochi mesi, ancora stretto nelle fasce, era posto su un tavolo in mezzo a tutti i convenuti. Bonifacio si illuminò, radioso: evidentemente quel borgo conosceva il Vangelo del Signore! Evidentemente, i compaesani stavano festeggiando la festa del Natale!
Smontò da cavallo, radioso, per benedire quella Santa festa. Se non che, mentre si avvicinava al gruppo, cominciò a intravvedere con la coda dell’occhio alcune cose che non gli quadravano un granché: una donna che piangeva (evvabbeh, c’avrà i suoi problemi), una totale assenza di simboli religiosi (… vabbeh, saranno poveri) e un grosso coltellaccio da macellaio nelle mani di colui che, presumibilmente, officiava il rito.
Coltellaccio? A Messa? A cosa serve, un coltellaccio? Bonifacio si avvicinò al gruppetto, piuttosto incuriosito, e inorridì letteralmente quando l’uomo sollevò il coltello, e fece il gesto di conficcarlo nel ventre del bambin…
NOOOOO!!!”.
Bonifacio gridò così forte che tutti quanti trasalirono: il celebrante si fermò, il bambino scoppiò a piangere, la folla si girò verso l’uomo inorridito, e la donna singhiozzante fissò il suo vescovo oltre una coltre fitta di fredde lacrime.
“Cosa… cosa diamine state facendo?”, ansimò Bonifacio, lo sguardo fisso sul bambino. “Cosa… ma vi rendete conto? È un vostro figlio!”.
Il celebrante abbassò il coltello, fissandolo con odio. “Hai interrotto il sacrificio per il dio Thor, straniero. Non so chi tu sia né cosa voglia, ma pagherai per quello che hai fatto”.
San Bonifacio ebbe l’impressione che qualcosa gli stesse trascinando lo stomaco verso il basso. “Sacrificio per il dio Thor?”, mormorò terrorizzato. “Thor vi chiede di sacrificargli un bimbo? Io…”. Esitò, cercando disperatamente di darsi un tono: “io sono un messaggero del potente Dio! Io sono giunto qui per annunciarvi il suo messaggio!”. Il trucchetto funzionava sempre, l’aveva già usato un sacco di volte: ma stavolta era decisamente sconvolto, e faticava a darsi un tono. “Ed è evidente che Dio non vuole che voi sacrifichiate quell’infante!”, aggiunse, orripilato. “Vi sembra un caso che io sia arrivato qui proprio adesso, proprio in tempo per impedirvelo? Ve l’ho detto: è Dio, che mi manda fra di voi!”.
Il sacerdote pagano lanciò un lungo sguardo a Bonifacio; sembrava un po’ perplesso. Insomma: Bonifacio era un omone grande e grosso, vestito con abiti solenni, e poi aveva per l’appunto quell’evidente aura di santità che avvolge tutti i santi… il druido esitò, abbassando impercettibilmente il suo coltello. “Thor è adirato con questo popolo, e ha allontanato il sole da queste terre. Il gelo ferisce i nostri campi, e la quercia che protegge il nostro villaggio è morta ed avvizzita, dopo aver perso le sue foglie. Thor è adirato con noi uomini”, annunciò severamente, “e vuole un dono per placare la sua ira. E noi doniamo a lui quanto abbiamo di più prezioso: il bambino che è appena nato; il più giovane di tutti” (Bonifacio rabbrividì; e non era per il freddo). “Solo allora Thor si mostrerà clemente, e allontanerà la sua collera da noi abitanti della terra”.
Il vescovo si passò una mano fra i capelli, letteralmente incredulo a quello che sentiva. “Mannò… mannò… il potente Dio dell’universo ha mandato a me per annunciarvi che lui vi ama! Non vi ha dimenticati”, gridò affannosamente, “e non desidera assolutamente il sangue umano! Lui…”. Esitò: che cosa dire? “Lui vi è vicino sempre! Non vi ha abbandonati, non ci abbandona mai!”.
Il druido sembrava lì lì per ridere. “Il freddo ha già ucciso dieci persone nell’arco di pochi giorni, e il gelo è così forte che non si riesce a andare a caccia. La terra non produce frutto, la neve ci impedisce di lavorare, i nostri figli tremano per il freddo… e tu mi stai dicendo che gli dei ci amano?!”.
“Ma certo che ci ama”, sussurrò Bonifacio, continuando tenere d’occhio quel povero bambino. Sentiva lo sguardo della madre su di lui: deglutì, invocando silenziosamente il cielo, perché non aveva mai sentito su di sé una responsabilità così agghiacciante e enorme. “Le sofferenze fanno parte della vita: nessuno di noi può essere eternamente fortunato. Ma Dio ci ama”, ripeté affannosamente: “Dio ci ama, ci è vicino, e non vuole che questo piccolino sia strappato alle braccia di sua mamma… Dio non è lontano!”.
“Il dio”, ringhiò il pagano, “ha sistematicamente cominciato a uccidere tutto il mondo che ci circonda. La terra è morta, gli alberi sono spogli, e presto toccherà anche a noi, a meno che non facciamo…”.
“Non è affatto vero”, gli diede sopra Bonifacio. Questa volta, il suo tono era tranquillo: come quello di chi dice un’ovvietà. Il druido fu così sorpreso che gli lanciò uno sguardo indagatore: “non è vero cosa?”.
“Non è vero che la terra è morta”, disse calmo Bonifacio. “Gli alberi non sono affatto spogli. È spoglio quell’albero lì: è spoglia la quercia che dovrebbe proteggere il tuo paese; mica gli altri alberi”.
Il druido esitò, perplesso. I paesani si guardarono attorno, facendo scorrere lo sguardo sugli alberi della radura.
“Guardate quegli abeti”, commentò il vescovo, indicando un enorme albero che riluceva nella notte, illuminato dalle fiamme del falò. “Quell’abete lì, è verde ed è fiorente. Non ha perso le sue foglie: non è morto affatto!”.
I germani fissarono l’abete, come se lo vedessero in quel momento per la prima volta in assoluto. Il druido esitò: era palesemente interdetto, probabilmente non aveva mai tenuto conto della cosa.
“Vedete? Dio è con voi! Dio non vi ha dimenticati! Quell’abete è stato messo lì per simboleggiare che Dio vi è sempre vicino! Ci saranno certo delle difficoltà”, esclamò Bonifacio: “e, per quanto è in mio potere, vi assicuro che provvederò a farvi avere rifornimenti di miele e di farina, per superare questo inverno… ma Dio è con noi!”.
Il druido alternò lo sguardo dall’abete alla quercia, e dalla quercia a Bonifacio.
“Ma la quercia sacra…”, esitò.
“La quercia sacra non mi sembra un granché in grado di proteggervi”, commentò Bonifacio con una vena di sarcasmo, “calcolando che perde le foglie al primo colpo di freddo… ma quell’abete, invece! Quell’abete, che simboleggia l’infinito amore di Dio…!”.
Si leggeva il dubbio, nello sguardo di quel druido; e anche i suoi compaesani eran perplessi, straniti per quello scambio di battute.
Ascoltate”, disse a voce alta Bonifacio, che ormai aveva ritrovato l’intraprendenza di sempre. “Non può essere un caso – ve ne rendete conto – che io sia arrivato qui appena in tempo per impedirvi questo sbaglio. Io sono stato inviato qui da Dio, da Dio in persona, che mi manda ad annunciarvi una novella favolosa. Voi pensavate che in questa notte così fredda Dio vi avesse abbandonati, avesse smesso di volervi bene… e invece, non è vero! Guardate quell’abete, e date retta a me. È proprio in questa notte – in questa notte miracolosa – che Dio vi ha amati così tanto da venire ad abitare in mezzo a voi. Ha voluto nascere da una donna, incarnandosi nel suo ventre, e venire al mondo per salvare…”.

Bonifacio parlò tutta la notte, in quella notte di Natale.
I rami spogli della quercia sacra del dio Thor  sembravano mani ossute rivolte al cielo, in un ultimo gesto di supplica ovviamente inascoltata.
Le punte verdi degli abeti, invece, svettavano alte in mezzo alla neve bianca, illuminate dal debolissimo chiarore della luna.
E Bonifacio annunciò la notizia più bella della Storia, in quella notte di infinito amore che è la notte di Natale.

 

4 risposte a "L’abete di San Bonifacio"

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