Tomtenisse!

 

Eddai: non ci credo che non avete qualcosa di simile, in casa.
Julmys Ikea

Uno gnometto col cappello rosso e un vestito marcatamente natalizio, da usare come soprammobile nel periodo delle feste invernali.
O un pendaglio per l’albero di Natale fatto a forma di gnomo col berretto rosso – tipo quelli che vendono all’Ikea, per capirci.
L’Ikea, da questo punto di vista, offre prodotti interessantissimi: è ormai diventata famosa la sua “linea” natalizia piena di buffi figuri rossi con cappuccio sgargiante e con pacchetti regali in mano… ma vi siete mai chiesti “e chi son ‘sti tizi?”.

Sì, insomma: passi, ritrovarsi con un Babbo Natale “alla svedese” che indossa abiti un po’ diversi dal solito… ma chi è ‘sta donna con bambini, che si trascina appresso nei centri Ikea di tutto il mondo?
Beh… il mistero è presto svelato. Il “Babbo Natale” dell’Ikea non è affatto un Babbo Natale. È un personaggio tipico della tradizione svedese e scandinava in generale… e cioè, è un tomtenisse.

***

Se di cognome facessi “Rowling”, direi che il tomtenisse è l’elfo domestico del Nord Europa.
Sì, insomma: è un piccolo folletto, spiritello, elfetto – vedete voi come chiamarlo – che vive nelle case dei contadini e si occupa della gestione domestica. Si prende cura degli animali, tiene in buona salute il bestiame, lucida il pelo dei cavalli, porta fortuna al padrone di casa.
Sennonché, a differenza degli elfi domestici di Harry Potter, il tomtenisse è creaturino irascibile e pretenzioso, che non è disposto proprio per niente a servire il suo padrone senza avere nulla in cambio.
Facilissimo all’offesa, si arrabbia per un nonnulla: basta che il padrone gli faccia uno sgarbo, anche solo involontariamente, perché lo gnometto sociopatico si prenda la sua vendetta ammazzando il bestiame, distruggendo la cascina, svuotando la dispensa… ed altre amenità del genere. Per farvi capire di che bel tipetto stiamo parlando, vi racconterò la leggenda norvegese di un tomtenisse che amava mangiare piattoni di porridge, insaporiti da una grossa fetta di burro lasciata scogliere sulla superficie. La padrona di casa glielo preparava ogni sera; e il tomtenisse, nottetempo, se lo mangiava lietamente.
Una notte, scoprendo che nella sua ciotola di porridge mancava il burro, il tomtenisse era andato su tutte le furie… e, preso da un raptus, aveva ammazzato l’unica mucca da latte della famiglia.
Poi, siccome aveva fame, aveva ugualmente finito il porridge; fino a scoprire che il realtà il burro c’era eccome… solo che, quella volta, era stato messo sul fondo del piatto.
Preso dai rimorsi per la sua azione isterica, il tomtenisse era andato a cercare la mucca di un altro contadino… e l’aveva rapita riportandola al suo padrone di casa in sostituzione di quella ammazzata (con grande gioia del contadino ignaro, che non c’entrava niente e c’ha rimesso una mucca).
Per dire. Ecco lo gnomo psicolabile di cui stiamo parlando.

Jenny Nyström 4

Dopo questa premessa, mi sembra facile intuire le ragioni per cui gli Svedesi (…e vicini di casa) facevano una certa attenzione a tenerseli buoni, questi pestiferi folletti che avevano avuto la disgrazia di ritrovarsi in casa a mo’ di erba infestante.
In particolar modo, c’era l’usanza di lasciare una ciotola di porridge sulla tavola imbandita alla Vigilia di Natale, in maniera che il tomtenisse potesse gustarla nella notte. Non si trattava tanto di un regalo in stile “a Natale siamo tutti più buoni”, quanto più di un tentativo disperato di ingraziarsi lo spiritello dispettoso – che, se arrabbiato, poteva diventare pericoloso per davvero.
Nel Nord Europa, la notte di Natale era una notte di preghiera ma anche di paura: tornavano sulla terra fantasmi, spiritelli, divinità infere, e ogni diavoleria di questo genere. La ciotola di porridge lasciata in bella vista non era un segno d’affetto, quanto più un tentativo di evitar rogne paranormali.

***

Jenny Nyström 2…ma poi, che ci vuoi fare: il tempo passa, i costumi cambiano…
Attorno agli anni ’40 dell’800, per effetto del grande successo che Santa Claus stava riscuotendo oltreoceano, anche la figura del tomtenisse comincia pian piano ad addolcirsi. Diventa un folletto vecchietto e cogitabondo che, nella notte di Natale, medita sui massimi sistemi mangiando porridge sotto il cielo stellato. Verso la fine dell’800, una variante natalizia del tomtenisse, chiamata “jultomte” in Svezia e “julenisse” in Norvegia, comincia a prendersi l’incarico di portare regali ai bimbi della “sua” famiglia (a patto che siano stati buoni durante l’anno, ça va sans dire) proprio come Santa Claus faceva ormai da tempo negli Stati Uniti.

La figura del tomtenisse diventa sempre più simile a quella di Babbo Natale, anche se presenta comunque delle caratteristiche specifiche: il folletto della Scandinavia, ad esempio, è sposato, con moglie e figli che, in caso di bisogno, gli danno una mano con la distribuzione dei doni. Ama molto gli animali, con cui ha uno stretto rapporto; inoltre, non viaggia a bordo di una slitta (anche perché sarebbe una contraddizione in termini, dal momento che porta i regali solamente ai figli della famiglia presso cui abita… mica ai bambini buoni di tutto il mondo!).

Jenny Nyström 1Non è grasso, non è vestito interamente di rosso (pur avendo copiato a Babbo Natale il cappuccio scarlatto che lo contraddistingue); e, decisamente, non è un nonno gioviale.
Va anche detto che ci sono pochi pazzi che si azzarderebbero ad accettare i doni del tomtenisse senza lasciargli nulla cambio – ma, ancora oggi, lo spiritello del Natale esige una ciotola di porridge fumante sulla tavola della sua casa, nella notte della Vigilia.
Meglio non immaginare come potrebbe reagire, se non trovasse ad attenderlo ciò che desidera (e che gli spetta per tradizione). Perché noi non certo abituati a immaginare un Babbo Natale in preda all’isterismo che ci sfascia il salottino buono se non trova di suo gradimento i biscottini al cioccolato… ma, in altre zone del mondo, vivono dei “Babbi” decisamente più squilibrati…

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2 risposte a "Tomtenisse!"

  1. Pingback: Quando il Natale si tinge di sangue | Una penna spuntata

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