I giganti si coprirono gli occhi gridando per il dolore, quando una luce squarciò improvvisa il cielo scuro della notte. Con gli occhi chiusi corsero tutt’intorno, cercarono a tastoni un rifugio in cui potersi riparare da quel fiotto di luce maledetta: perché i giganti erano mostri, esseri malvagi e senza cuore – e, come tutte le creature delle tenebre, rifuggivano la luce.
Non era previsto che ci fosse una stella così luminosa, in quella notte di dicembre: nessuno di loro poteva anche solo lontanamente immaginarlo. Avevano fatto bene i conti: quella avrebbe dovuto essere una normale notte come tante, cielo stellato ma niente più; non era nemmeno il periodo della luna piena. E allora cosa diamine era quell’astro luminosissimo che incombeva sulle loro teste, senza nessuna causa apparente, nel bel mezzo del cielo buio? Rintanati in una caverna in cui erano riusciti a trovar riparo, i giganti gridarono la loro rabbia e guairono il loro sconcerto.
Ed ecco: uno dei mostri, lentamente, si fece avanti.
Era un anzianissimo gigante: una specie di vecchio saggio, di sciamano, di stregone. Era così vecchio che i suoi occhi erano offuscati da un velo di cataratta; ormai, era praticamente cieco. Facendosi coraggio, avanzò carponi fino all’imboccatura della grotta, e poi, con un respiro profondo, sollevò lo sguardo al cielo. Quella malefica luce notturna ferì il suo sguardo, ma in maniera moderata: in fin dei conti, il vecchio vedeva poco. Deglutendo per farsi coraggio, il mostro si accucciò sotto i raggi di quell’astro spaventoso, e lo fissò a lungo.
Stette immobile per qualche minuto, come a voler cercare nei raggi della stella il significato di questo misterioso ed agghiacciante simbolo.
E poi, improvvisamente, cominciò a urlare verso il cielo: era un urlo di rabbia, disperato, che fece trasalire tutti gli altri mostri.
E gridò a lungo, e poi sputò per terra; e corse di nuovo all’interno della caverna, pallido e tremante.
“È un segno”, ringhiò ai suoi confratelli. “È un segno di Dio”.
I giganti si scambiarono uno sguardo impaurito; ci fu un mormorio concitato.
“È riuscito a fare quello che aveva in mente”, gridò il vecchio mostro, quasi ragliando. “Si è fatto uomo ed è sceso fra noi: adesso vive in questo nostro mondo!”.
Il mormorio si trasformò in grido, in pianto, in urla rabbiose. “Ma come è stato possibile?”, “Non pensavo che avrebbe davvero osato così tanto!”, “E adesso cosa ne sarà di noi?”, “Non abbiamo più speranze, è la nostra fine!”.
“È vero”, ringhiò il vecchio: “non abbiamo più speranze. Non possiamo vivere in un mondo in cui Dio è presente fino a questo punto, ed è presente in carne ed ossa”.
Ci furono ancora grida di rabbia ma anche di panico: qualcuno cominciò a singhiozzare.
“Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo nasconderci, dobbiamo fuggire. E dobbiamo farlo in fretta, immediatamente!”.
E fu così che i giganti cominciarono rabbiosi a prendere a pugni il pavimento della grotta, fino a spaccare i grossi massi di granito per a creare un buco, sempre più profondo, che li avrebbe condotti sottoterra, nel regno degli Inferi: là dove il male è così fitto e oscuro che sarebbe riuscito a proteggerli persino dai raggi malefici della Luce di Cristo.
Solo un gigante restava in disparte, guardando in silenzio i suoi confratelli che si affaccendavano.
Era Olentzero, il gigante cordardo – quello con così poco fegato da non avere nemmeno il coraggio di abbandonare quelle terre che aveva abitato, e amato, per tutta la sua vita.
“Non potete!”, gridava ai suoi compagni. “Io non sono pronto per andare via! Io voglio ancora sentire il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia, io voglio ancora camminare attraverso quei boschi in cui ho vissuto per tutto questo tempo! Io non mi sento pronto ad andare via, ci dev’essere per forza un qualche altro modo!”.
Ma no: non c’era modo. La Luce di Cristo splendeva potente su tutta la Terra, ed era ormai chiaro che, in quel mondo, le forze delle tenebre non avrebbero mai più potuto spadroneggiare come un tempo… o anche solo vivere serene.
“Se rimarrai qua”, dicevano i giganti mentre continuavano a scavare, “dovrai nasconderti da tutto e da tutti. Il popolo ti odierà, nuove armi potentissime verranno usate contro di te; Dio riuscirà a tirare su una milizia pronta a combattere il male, senza tregua e senza sosta”.
“Posso nascondermi!”, gridò Olentzero, con la voce spezzata dal pianto. “Io non ce la faccio, non me la sento: non sono pronto ad andare via! Mi nasconderò e vivrò in miseria; nessuno più avrà paura di me e io sarò sconfitto… ma non ce la faccio a dire addio a questa terra che amo tanto!”.
E dunque, così fu.
Senza troppa commozione – ché i mostri delle tenebre non hanno spazio per i sentimenti – gli altri giganti si separarono da Olenztero. Sprofondarono nelle viscere della terra dove vivono tutt’ora, maledicendo il nostro Signore e piangendo impotenti la loro disperazione.
Olentzero li guardò scomparire nel tunnel ad uno ad uno; e poi, piangendo per la paura e per il senso di abbandono, provvide a murare l’ingresso agli Inferi. In questo modo, ma nessuno – né il malefico Dio né i suoi seguaci – sarebbe riuscito a ritrovare i suoi fratelli e a far loro danno alcuno: Olentzero si ripeteva (illusoriamente) queste parole, fra i singhiozzi, mentre accumulava sassi su sassi per ostruire l’imboccatura del tunnel.
E poi, quando ebbe finito, il gigante codardo si accucciò nell’angolo più oscuro della caverna, raggomitolandosi su se stesso e piangendo lacrime di rabbia e di terrore.
Fuori dalla caverna, la luce di Cristo continuava a inondare coi suoi raggi tutta la terra.
***
Sono passati più di duemila anni da quel giorno, e Olentzero continua ancora oggi a vivere la sua eternità di fuga e di disperazione. Abita probabilmente in qualche anfratto oscuro della Galizia, cercando di sopravvivere in questo mondo così orribilmente graziato dalla misericordia del Signore.
Ma ogni 24 dicembre, si fa insopportabile il ricordo di quella notte di Natale che fu la disgrazia sua e del suo popolo. E allora, Olentzero esce dal suo rifugio e, camminando nel buio della notte della Vigilia, viaggia di città in città per gridare al mondo la sua disperazione.
Questa notte, tornando dalla Messa di mezzanotte, potreste imbattervi anche voi in un gigantesco mostro che piange disperato, gridando al cielo “in questa notte di Natale, è venuto al mondo il Redentore! E questo ha segnato la fine del mio popolo!”.