Le cinque devozioni romane che non puoi perderti se stai organizzando un viaggio a Roma

E poi arriva il giorno in cui ti sorprendi a pensare “beh, perché non scrivere un post con qualche suggerimento un po’ sui generis, per tutti quelli che fossero in procinto di andare a Roma per il giubileo?”. E già solo il pensiero basta a lasciarti tramortita: saresti dunque capace di dare suggerimenti a quelli che stanno progettando un viaggio a Roma? Tu, che fino a qualche mese fa avresti a malapena saputo dire “mi risulta che a Roma ci sia un aggeggio che si chiama Colosseo?”.

Aehm: apparentemente, sì. Complici le mie trasferte di lavoro nell’Urbe, sto pian piano cominciando a farmi una piccola cultura sulla storia della città dei Papi. I romani de Roma che mi stanno leggendo ne sapranno, certamente, molto più di me, e di sicuro non sono nelle condizioni di improvvisarmi guida turistica… purtuttavia, penso proprio che lo farò lo stesso (aehm), foss’anche solo per dare un senso a tutti i libri che ho compulsivamente acquistato saccheggiando la Libreria Vaticana.
In fin dei conti… è anno giubilare, l’estate è alle porte, via della Conciliazione è tutto un viavai di pellegrini che arrivano a Roma da ogni angolo del mondo… chi lo sa: magari, anche qualcuno dei miei lettori sta progettando un viaggio verso la capitale.
E chi lo sa: magari, qualche consiglio potrebbe essere gradito.

Naturalmente i miei sono consigli un po’ sui generis. Ad esempio, questo post si rivolge a tutti quei pellegrini che raggiungeranno Roma per un viaggio di devozione… e che potrebbero forse divertirsi ad inserire nel loro programma qualche tappa all’insegna delle più antiche devozioni capitoline.

Sì, perché… le devozioni sono più o meno le stesse in tutta la cattolicità, e fin qui ci siamo, ma è innegabile che ogni città abbia le “sue” devozioni, amate e seguite in maniera tutta speciale.
E dunque: cosa dovrebbe fare un turista-pellegrino intenzionato a scoprire Roma… attraverso le devozioni più caratteristiche della Città Eterna?

Visita le catacombe

Catacombe romane - immagine da Internet

Catacombe romane – immagine da Internet

Nel momento in cui smettono di essere usate a scopi pratici (e siamo attorno al V secolo d.C.), le catacombe romane sprofondano nell’oblio. La Roma medievale aveva completamente dimenticato l’ubicazione dei suoi cimiteri sotterranei (con l’unica, parziale, eccezione, della catacomba di S. Sebastiano). A dirla tutta, a malapena conservava il ricordo della loro stessa esistenza.
È solamente a partire dal ‘500 che le catacombe – riscoperte quasi per caso – cominciano ad essere esplorate, studiate, valorizzate… e, pian piano, parzialmente riaperte al pubblico.

Pubblico che risponde con un entusiasmo travolgente!

La possibilità di penetrare in quei luoghi (proprio in quei luoghi esatti!) in cui avevano riposato i resti dei primi martiri cristiani, è un qualcosa che fa tremar le vene e i polsi, alla moltitudine dei fedeli e dei pellegrini.
Già prima della riscoperta delle catacombe, esisteva, nella devozione popolare, un topos per cui Roma sarebbe la Città Santa “per eccellenza” grazie allo straordinario numero di martirii che hanno avuto luogo entro le sue mura. La Roma pagana era diventata Città Santa proprio in virtù del sangue con cui i martiri avevano irrorato la sua terra, rendendola diversa (e prediletta a Dio) più di qualsiasi altro luogo al mondo.
In tal senso, era citato a più riprese un famoso episodio della vita di Pio V, in cui il papa lombardo, appena salito al soglio pontificio, prendendo in mano una zolla della terra romana, l’avrebbe miracolosamente vista sanguinare.

Ecco: dati questi presupposti, immaginate l’effetto dirompente che dovette avere sui fedeli la riscoperta delle catacombe. La riscoperta cioè di quei luoghi precisi esatti in cui il sangue dei martiri si era depositato!
Per i pellegrini, entrare nelle catacombe era come entrare in un sancta sanctorum: era come immergersi all’interno del germe che, pian piano, aveva portato alla sacralizzazione di tutta Roma.

Se volete anche voi sperimentare questa antica devozione, organizzate una visita ad una delle catacombe!
È una informazione che vi do come atto di fede, nel senso che io personalmente non ho ancora fatto l’esperienza, ma mi dicono dalla regia che molte catacombe romane sono tranquillamente aperte al pubblico (e, a quanto pare, valgono la visita).
Mi dicono anche la “migliore” sarebbe la catacomba di S. Callisto, molto decentrata rispetto a Roma-centro, ma con un bonus non da poco: (a quanto pare), è possibile dirci Messa.

Venera Maria ammirando “le Madonnelle”

Una caratteristica Madonnella - immagine da Internet

Una caratteristica Madonnella – immagine da Internet

Ok: devo ancora trovare una città a forte impronta cattolica che, nei secoli, non abbia mai sviluppato una qualche devozione verso la Madonna. Però, è impressionante la connotazione fortissimamente mariana assunta da Roma, soprattutto a partire da metà ‘500. Con ogni probabilità, la tempistica non è casuale: la promozione del culto mariano aveva anche (…soprattutto?) una funzione anti-protestante, quantomai importante negli anni della Controriforma.
Sì, insomma: tutti i Cattolici amano Maria; ma che la “capitale della cattolicità” la amasse con particolar vigore era un messaggio molto forte da indirizzare alle Chiese riformate.

Tra i segni più caratteristici di questa devozione vi è la nascita e la diffusione delle cosiddette “Madonnelle”.
Dicasi “Madonnelle” delle piccole (…ma a volte, pure grosse, in realtà!) edicole sacre dedicate a Maria, e poste – letteralmente – a ogni angolo della strada.
No, sul serio: il viaggiatore che visita Roma per la prima volta in vita sua sarà probabilmente stupito nel notare la moltitudine di edicole sacre che spuntano come funghi, nei posti più inaspettati, ai cantoni delle strade, a mo’ di protezione celeste per quel palazzo, quell’incrocio, quello scorcio di quartiere.

La cosa più interessante di queste edicole mariane è che le “Madonnelle” non stanno lì ferme e buone. Spesso e volentieri si muovono. Fanno cose.
Nel senso che la devozione popolare dei Romani è piena di aneddoti in cui le Madonnelle hanno dato segni, operato miracoli, dispensato particolari grazie.
Un episodio significativo della Storia romana (e, badate bene: non solo della Storia religiosa romana) si è avuto, ad esempio, negli anni ’90 del ‘700. Di fronte alla minaccia della conquista della città da parte delle truppe francesi, le Madonnelle – così racconta la cronaca di quei giorni – avevano cominciato ad operare una sorprendente quantità di prodigi: lacrimavano, sollevavano gli occhi al cielo e poi li posavano sui passanti, come a preannunciare grandi sciagure alla città di Roma. Embeh – a fronte di questi segni si sviluppò a Roma un curioso movimento denominato Viva Maria!: un singolare mix di devozione mariana e di resistenza anti-napoleonica, religioso e politico allo stesso tempo. Perché… Maria vult!

Se volete anche voi sperimentare questa antica devozione, non dovete in effetti fare un granché: basta passeggiare per il centro di Roma tendendo il naso all’insù, e di Madonnelle ne incontrate ovunque.
Per chi volesse lanciarsi in passeggiate più mirate, segnalo, sul sito della diocesi di Roma, una pagina dalla grafica altamente perfettibile che fornisce tantissime informazioni su queste edicole sacre, suggerendo anche percorsi “ad hoc” alla loro scoperta.

Adora Gesù Sacramentato (possibilmente, by night)

Una installazione di Bernini durante le Quarantore presso la Cappella Paolina - immagine da Internet

Una installazione di Bernini durante le Quarantore presso la Cappella Paolina – immagine da Internet

Anche qui: non è che la pratica delle Quarantore sia una prerogativa di Roma e basta. Anzi: è diffusa in tutta la cristianità, l’abitudine di adorare il Santissimo, ininterrottamente, per quaranta ore consecutive, a ricordo delle quaranta ore che Cristo ha trascorso nel sepolcro, prima della sua resurrezione.
A Roma, la pratica viene introdotta nel corso del ‘500 dai frati cappuccini; San Filippo Neri la propaga con particolare successo, e anche i Gesuiti ci mettono del loro per rendere la devozione sempre più popolare.

Ma, rispetto a quanto accadeva nelle varie città del mondo cattolico, a Roma succede una cosa straordinaria e sorprendente: l’adorazione eucaristica ininterrotta prende piede con particolar vigore.
Sarà che, a Roma, di chiese ce ne son tante; sarà che, a Roma, ce ne son tanti anche di fedeli. Sarà che Roma non è una città come le altre… sarà per tutto questo, ma siamo di fronte a un dato di fatto: per tutto il corso dell’età moderna, Roma è stata teatro di una adorazione eucaristica perpetua durata secoli, attraverso le esposizioni del Santissimo operate, praticamente ogni giorno e ogni notte, ora nell’una e ora nell’altra chiesa della città.
Propagata capillarmente dalle confraternite nei vari rioni della capitale, l’adorazione del Santissimo era, peraltro, una cerimonia fortemente suggestiva (di sicuro, molto più teatrale di quanto non lo sia ai nostri giorni). L’adorazione eucaristica – che si svolgeva per la maggior parte del tempo nelle ore notturne – era spesso accompagnata da vere e proprie scenografie di luci e suoni, che accentuavano gli aspetti “emotivi” di questa pia pratica.
Nel 1628, ad esempio, una macchina allestita a S. Pietro da Bernini illuminava il Santissimo con più di duemila lumi, contrapponendolo all’oscurità in cui erano immerse le folle dei devoti. Uno spettacolo maestoso, suggestivo, e carico di pathos allo stesso tempo!

Se volete anche voi sperimentare questa antica devozione, “contentatevi” di una sobria adorazione eucaristica in stile “nuovo millennio”, e rivolgetevi ad una delle chiese che, ancor oggi, portano avanti questa pia pratica.
Io ho scoperto l’esistenza di una adorazione eucaristica perpetua, 24h/24, nella (bellissima) basilica di Sant’Anastasia al Palatino, ma leggo che iniziative analoghe sono attive anche in due chiese in zona EUR (e, con ogni probabilità, anche in altre che non conosco).

Bevi acqua miracolosa

Un... "sacerdote-barman" riempie bicchierini di acqua miracolosa - immagine da Internet

Un… “sacerdote-barman” riempie bicchierini di acqua miracolosa – immagine da Internet

Visti i prezzi raggiunti dalle bottigliette d’acqua minerale nei bar di Roma centro (3,50 per mezzo litro di tè al limone la settimana scorsa!!! E – per dire – non ero manco al Colosseo!!!), non stupisce che abbia preso piede, nella religiosità popolare romana, la pia pratica di abbeverarsi a fonti d’acqua (che si dice) miracolosa.
Quantomeno, l’acqua miracolosa te la danno gratis!

Ebbene sì. Nel corso degli ultimi decenni, la devozione è andata via via scemando (…e per fortuna: nel senso che, in molti casi, eravamo di fronte a superstizione bella e buona, più che a sincera religiosità).
Eppure, nei secoli passati, era convinzione diffusa che, nelle vicinanze (o proprio all’interno!) di determinate chiese romane sgorgassero fonti miracolose di acqua “benedetta”, dotata di poteri straordinari e taumaturgici. I pellegrini erano capaci di camminare ore e ore sotto il sole, pur di raggiungere la chiesa X e lì abbeverarsi alla fonte “santa”. Spesso e volentieri, conservavano un po’ dell’acqua in una borraccia e poi la portavano a casa a parenti e amici, in maniera non dissimile dal modo in cui noi conserviamo, e regaliamo, l’acqua di Lourdes.

Erano molti i luoghi preposti a tale… pellegrinaggio idrofilo. Ad esempio, acqua benedetta era distribuita nella chiesa di Maria Maddalena (un piccolo gioiellino barocco che mi sembra meno noto di quanto meriti). I Camilliani – che ancor oggi custodiscono la chiesa – avevano l’abitudine di “omaggiare” i pellegrini con piccole boccette d’acqua, nella quale era stato sciolto un pizzico di polvere proveniente dalla tomba del loro santo fondatore.
Vere e proprie vasche (!) piene d’acqua erano invece allestite presso l’Abbazia delle Tre Fontane, luogo in cui – secondo una tradizione – sarebbe stato decapitato l’apostolo san Paolo. (Dico “sarebbe”, usando il condizionale, perché un’altra tradizione lo vuole decapitato nello stesso luogo della sua sepoltura, a San Paolo fuori le mura).
Embeh: secondo la tradizione che propende per una decapitazione abbaziale, la testa di San Paolo, mozzata, avrebbe rimbalzato per tre volte sulla dura pietra del patibolo (toppete! Toppete! Toppete!)… e, ad ogni rimbalzo, avrebbe fatto miracolosamente scaturire tre fonti d’acqua miracolosa: una fredda, una calda, e una tiepida. Fonti che, per l’appunto, hanno fatto bella mostra di sé per lungo tempo, nell’abbazia che deve a loro il suo stesso nome.
Altra acqua miracolosa (anzi: in questo caso, specificatamente taumaturgica) si riteneva zampillasse nel bel mezzo del presbiterio della chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove adesso l’acqua non zampilla più… ma dove si vedono ancor ora i resti del pozzo “miracoloso”.
E, a proposito di pozzi, i pellegrini diretti a Roma erano stra-convinti di poter trarre giovamento fisico e spirituale anche da un fonte d’acqua… che spunta nel bel mezzo del quartiere Parioli, senza il minimo collegamento con qualsivoglia luogo di culto (!). Sto parlando dell’acqua che sgorga(va) dalla Fontana dell’Acqua Acetosa, un bel monumento molto scenografico che viene spesso attribuito al Bernini.
Sarà per il gusto molto particolare (…acetoso, per l’appunto), ma il popolino si era convinto che l’acqua dei Parioli fosse una specie di panacea per tutti i mali, dotata di poteri miracolosi attribuiteli, chissà perché, dal Dio benigno.
Il “mito” dell’acqua acetosa, sfumato ormai dalla religiosità alla più pura superstizione, rimane in vita fino agli anni ’50 del ‘900, quando la fontana pariolina – aehm – viene chiusa, perché l’acqua che vi sgorga viene giudicata – aehm – non potabile (!)
Oggigiorno la fontana è stata riaperta, alimentata però da normale acqua proveniente dall’acquedotto comunale. Ahinoi: la miracolosità dell’acqua acetosa, se mai esistita, si è persa per sempre!

Se volete anche voi sperimentare questa antica devozione, fate un salto nell’unica chiesa che, a mia scienza, ha ancor oggi un “rubinetto” di acqua “specialissima”: è la chiesa di Santa Maria in Via, non lontana dalla Fontana di Trevi.
Per una strana vicenda idraulico-mariana (troppo bizzarra per esser riassunta in due righe, nel senso che si meriterà un post a sé stante) la chiesa sorge sul luogo in cui, a metà ‘200, la Madonna mostrò la sua volontà di veder costruito un tempio a lei dedicato. Tale volontà si manifestò, appunto, attraverso un miracoloso zampillare d’acqua… che zampilla ancor oggi, a pro’ dei devoti.
Ebbene sì: in una delle cappelle laterali della chiesa, esiste ancor oggi un vero e proprio rubinetto dal quale fuoriesce l’acqua “mariana”. Io stessa ho visto diversi fedeli che si mettevano in coda con le loro belle bottigliette, da riempire e da portare a casa a parenti e amici.
Bizzaro, ma… perché no?

Rendi onore alla “tua” confraternita

Processione di una confraternita romana - immagine da Internet

Processione di una confraternita romana – immagine da Internet

Anche qui: non è che Roma sia l’unica città ad avere (o aver avuto) un bel numero di confraternite. Nel corso del Due-Trecento, nel pieno vigore del Medioevo comunale, di confraternite laicali ne nascono un po’ dappertutto.
La prima confraternita romana nasce nel 1264, e fin lì non ci sarebbe niente di strano (se non, forse, il bizzarro nome scelto dai confratelli: i Raccomandati della Madonna S. Maria. LOL!). Semmai, la cosa singolare, a Roma, è la straordinaria quantità di confraternite che nascono col passar del tempo: alle “semplici” confraternite laicali nate con scopi di culto o di assistenza, si affiancano, col passar degli anni, confraternite sempre più specializzate, volte ad accogliere tutti i fedeli accomunati da una certa caratteristica.
È il caso, ad esempio, delle confraternite professionali, nelle quali si aggregavano cioè tutti i cittadini che praticavano un certo mestiere (palafrenieri, fornai, orefici, agricoltori, sellai… e molti, moltissimi altri). Ma il fenomeno secondo me più interessante è quello delle confraternite nazionali, che radunano cioè gli expat provenienti da una determinata area geografica. I primi stranieri a congregarsi in una associazione di questo tipo sono, nel 1444, i Fiamminghi; seguono a ruota Francesi, Spagnoli, Portoghesi, e poi – per rimanere nel nostro piccolo orticello – Piemontesi, Lombardi, Napoletani, Genovesi…

Non è da trascurare il ruolo svolto, nel corso dei secoli, da queste confraternite nazionali. Al di là delle attività più strettamente devozionali e/o caritative, questi gruppi di fedeli avevano, nel loro piccolo, una vera e propria funzione di integrazione, di inclusione sociale.
L’immigrato che raggiungeva Roma proveniente da un Paese estero non si trovava abbandonato a se stesso, in balia di una città tentacolare piena di incognite: aveva la possibilità di rivolgersi a un gruppo connazionali che lo avrebbero aiutato a integrarsi all’interno della città… ma anche a non perdere, in questo processo di integrazione, la sua individualità.
Nelle grandiosi e solenne processioni organizzate dalle varie confraternite (tutte assieme!) in occasione dei “momenti forti” dell’anno liturgico, una amalgama di popoli differenti si trovava a lavorare, e pregare, fianco a fianco. Tutti uguali ma tutti diversi, i rispettivi gruppi collaboravano anche al fine di instaurare “rapporti di buon vicinato”, tesi al mantenimento della pace all’interno delle mura cittadine… ma anche al di fuori di esse, perché no?
Evidentemente, una “umile” confraternita romana non aveva, da sola, il potere di influenzare la geopolitica internazionale… ma una buona parola qui e là, magari in tempi in cui soffia minaccioso un vento di guerra… Nel loro piccolo, son cose da non sottovalutare!

Se volete anche voi sperimentare questa antica devozione, provate, tanto per cominciare, a visitare la “chiesa nazionale” in cui, tradizionalmente, si riunivano per pregare gli immigrati provenienti dalla vostra stessa area geografica. Una visita alla chiesa dell’Arciconfraternita dei Savojardi e Piemontesi, io, a Roma, non me la sono fatta mancare; allo stesso modo in cui, da pavesina “d’adozione”, quando passo per le vie del centro non manco mai d’entrare nella famosa chiesa di S. Carlo al Corso, tradizionale luogo di ritrovo dei Lombardi.
Le chiese nazionali, a Roma, sono tantissime, e ce n’è almeno una per ogni regione d’Italia. Non sarebbe molto curioso scoprire… qual è la vostra?

6 risposte a "Le cinque devozioni romane che non puoi perderti se stai organizzando un viaggio a Roma"

  1. marinz

    Sono già stato a Roma in pellegrinaggio un mesetto fa… peccato non aver letto questo post prima altrimenti qualcosa potevo pensare di farla
    La “mia” chiesa regionale sarebbe Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso :o)

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    1. Lucia

      …eh!
      In effetti lo immaginavo (che il giubileo è iniziato da mesi, e molti, il loro viaggio a Roma, ormai l’avran già fatto…). Avrei tanto voluto cominciare prima questa serie di post a tema romano, ma… un po’ i problemi vari, e il matrimonio, e tutto; un po’, il fatto che comunque ci va anche del tempo a studiarsi i libroni di Storia romana… non sono riuscita se non adesso 😦
      Vabbeh, mi illudo che molti di quelli che hanno programmato un viaggio l’abbiano fissato nei mesi estivi approfittando delle ferie e delle vacanze di scuola…
      Per gli altri (e/o per chi a Roma non ci va proprio), spero che questi post possano comunque interessare a mo’ di pura e semplice curiosità 😛

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      1. marinz

        Io ho fatto Assisi – Roma a piedi (ho fatto il post prima della partenza non ho fatto quello dopo l’arrivo).
        Cmq stai tranquilla che questi post verranno letti e possono essere utili anche post giubileo 🙂

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      2. Lucia

        Beh, poi spero che possano essere anche delle piccole curiosità romane capaci di interessare più o meno tutti, e non solo chi ha bisogno di una guida turistica, sennò sai che noia per tutti gli altri? 🙂

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  2. mariluf

    Nel 2000, a Roma in pellegrinaggio, ho potuto partecipare alla s: Messa nelle catacombe di S: Callisto… ed è stata veramente una bella esperienza. Spero che si possa tuttora.Grazie! mf

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    1. Lucia

      Apparentemente sì, si può ancora: sul sito delle catacombe di San Callisto c’è proprio il form da compilare se si vuole celebrar Messa all’interno. Dev’essere davvero qualcosa di suggestivo e meraviglioso!
      Su Google Immagini si trova anche qualche foto, ma a me resta una perplessità che a questo punto spero potrai sciogliermi. Ma l’ambiente in cui viene celebrata la Messa… voglio dire… com’è?.
      Cioè: quanto è spazioso, quant’è alto il soffitto, quanto è areato, eccetera eccetera.

      Me lo domando perché, pensando alla composizione-media di un gruppo di pellegrini, stento a immaginare un gruppetto in cui non c’è almeno un claustrofobico, almeno un vecchietto cardiopatico, almeno qualcuno che è psicologicamente a disagio all’idea di restare bloccato sottoterra, in piedi (?) nello stesso posto, (quindi senza manco camminare), per tutta la durata di una Messa.
      Inoltre mi viene in mente: a Torino, esiste un rifugio sotterraneo della seconda guerra mondiale che è aperto al pubblico e visitabile. La direzione del museo non permette l’ingresso a claustrofobici, cardiopatici, etc., per prevedibili ragioni di prudenza.
      E invece, nelle catacombe di S. Callisto non c’è nessun disclaimer per suggerire “occhio che la Messa sotterranea potrebbe non essere adatta a chiunque”.

      Dando per buono che le catacombe non siano gestite da un gruppo di sadici psicotici 😛 mi vien da pensare che, in realtà, il locale in cui si celebra Messa sia sufficientemente ampio e spazioso… però, niente da fare: non riesco a figurarmelo.
      Concretamente, com’è?
      Ci si rende conto, di essere bloccati sottoterra per tutta la durata della Messa + il resto della visita, o sembra di essere in un normale corridoio senza finestre?

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