Predire il futuro grazie al cucù del cuculo (che, incredibilmente, sembra prenderci per davvero!)

È così caratteristico da non poter passare inosservato. Il cuculio del cuculo, così diverso rispetto ai gorgheggi degli altri volatici, è oggettivamente inconfondibile e distintivo, così particolare da diventare piacevolmente pittoresco e da imprimersi a fondo nel nostro immaginario. Allegro o lugubre a seconda di chi lo ascolta (e, probabilmente, anche seconda della velocità variabile con cui si susseguono i “cucù”), non sorprendentemente ha attirato attorno a sé una miriade di leggende e di simbologie.
Il folklore è europeo è pieno di tradizioni relative al canto del cuculo, che partono da un livello di superstizione basico o tendente al nullo (“il primo canto del cucù annuncia immancabilmente l’arrivo della primavera”) per farsi via via più elaborate (“quanto più prolungato è il primo canto del cucù, tanto più lunga sarà quest’anno la bella stagione”).

Ma i poteri profetici del cuculo non si fermano qui, a dar retta alla tradizione.
Forse perché simbolicamente legato alla rinascita (della natura) e alla fertilità (della terra), il cuculo parve l’animale giusto a cui attribuire la capacità di pronosticare matrimoni e gravidanze.
In numerose zone d’Europa (Italia inclusa) le ragazze che cominciavano ad avvicinarsi all’età da marito erano solite interrogare il cuculo domandandogli “quanti anni ancora dovrò aspettare prima di diventare sposa?”. Il numero dei “cucù” che sarebbero giunti in risposta avrebbe appunto indicato alla ragazza il numero di anni che sarebbe stato necessario attendere.
E se già una fede scintillava al dito della donna, il cuculo avrebbe saputo fornire alla novella sposa informazioni ugualmente preziose. “Quanti anni dovrò aspettare prima di avere un figlio?”, chiedevano ansiosamente le mogliettine innamorate (con varianti locali che spaziavano dall’impaziente “quanti mesi prima di rimanere incinta?” al curioso “quanti figli, in tutto, metterò al mondo?”). Anche in questo caso, a suon di “cucù”, il cuculo avrebbe emesso la sua profezia.

Ma la tradizione di gran lunga più diffusa, attestata da Nord a Sud in tutta Europa, è quella che dipinge il cuculo come un oracolo ultraterreno, infallibilmente capace di pronosticare agli umani quanti anni ancora restano da vivere. Erano di solito le anziane del paese le uniche con l’ardire di porre questa domanda, il cui responso era al tempo stesso terribile e prezioso, temuto e contemporaneamente desiderato perché salvifico.

La credenza doveva essere diffusa per davvero e sicuramente ben nota alla popolazione, se il folklore europeo ci restituisce numerose cautionary tales che mettono in guardia dalla creduloneria di chi presta troppa fede a queste superstizioni. Una storiella che, con piccole varianti, è attestata in buona parte d’Europa ci parla di una vecchiaccia di paese, tanto credulona quanto arrogante, che viveva nella ferma convinzione di saper padroneggiare le arti magiche. Un convincimento profondamente erroneo e tragicamente pericoloso, il suo – anche perché la vecchia s’era convinta d’avere di fronte a sé una vita ancora molto lunga, forte del fatto che il cuculo le pronosticava molti anni di benessere ogni volta che la megera lo interpellava. E così, cullandosi nella certezza di poter campare molti altri anni ancora, la vecchia viveva nella disonestà e nel vizio, pensando unicamente a soddisfare i suoi egoistici bisogni e rifiutando insistentemente la confessione: del resto, a che le serviva se aveva di fronte a sé altri anni di vita? A quelle faccende burocratiche avrebbe pensato poi, nell’imminenza della sua morte.

Ferma, anzi: impantanata in questa convinzione, e confortata ogni giorno di più dai prolungati “cucù” del cuculo, la vecchia non si allarmò neppure quando le forze cominciarono a venirle meno. Non si curò nemmeno dei primi sintomi di quello che era evidentemente un brutto male, che progrediva vistosamente col passar dei mesi invece di migliorare e regredire.
Stretti attorno al suo capezzale, i figli disperati la supplicavano di mandare a chiamare il sacerdote per accostarsi un’ultima volta ai sacramenti, se voleva salvare l’anima; ma la vecchia rideva e scuoteva il capo, ascoltando quel confortante cuculio che ogni mattina filtrava attraverso gli scuri della sua finestra. Il suo era solamente un malessere temporaneo, lei lo sapeva per certo! Il canto del cuculo parlava chiaro!
Quando infine la morte venne per reclamare la sua anima, la vecchia sgranò gli occhi in espressione di shock totale e di lesa maestà sdegnata e incredula. Col suo ultimo respiro, riuscì a malapena a sussurrare un incredulo: “ma il cuculo…!”.  

Sul suo davanzale, il cuculo cuculava nel totale disinteresse per le miserie umane. Era in fin dei conti un banale cuculo e nulla più di un cuculo: che razza di profezie vuoi aspettarti, da un uccello?

***

Curiosamente: profezie più molto attendibili di quanto ci verrebbe da pensare, sembrerebbe suggerire la scienza. Una manciata d’anni fa, sulle autorevoli pagine della serissima rivista Etological Indicators, un team di studiosi di tutto rispetto apponeva le sue firme a un articolo provocatoriamente titolato Cuckoo folklore and human well-being: Cuckoo calls predict how long farmers live. A quanto pare, sembrerebbe (sembrerebbe, eh) che possa esister una base scientifica dietro a quell’antica credenza popolare che persino le leggende s’affrettavano a smentire con irrisione.

Evidentemente, ciò non deriva dal fatto che il cuculo è dotato di capacità profetiche.
Più che altro, deriva dal fatto che il suo gorgheggio è – come si dice in etologia – “condizione dipendente”. Davvero il cuculo canta più o meno a lungo lasciandosi influenzare da fattori esterni, che lo spingono a inanellare un numero di “cucù” variabili a seconda delle condizioni ambientali con cui si trova. Accettando, per convenzione, di voler considerare alla stregua di una sillaba ogni singolo “cucù” prodotto dall’uccello, gli studiosi hanno notato che, a seconda delle condizioni ambientali, i cuculi possono intonare canti che differiscono significativamente per il numero e la frequenza delle sillabe che vengono ripetute. Sono stati registrati in natura canti in cui il cuculo ha inanellato l’una dopo l’altra oltre trecento sillabe, prima di interrompere il suo cuculio; per contro, il canto può farsi più o meno veloce a seconda dello stato di eccitazione dell’animale (nel 1976, gli etologi registrarono un cuculio record in cui un esemplare riuscì a intonare ventisei rapidissimi “cucù” nell’arco di trenta secondi).  

Insomma: il canto del cuculo ha realmente una durata variabile; e questa durata non è totalmente causale, ma è realmente influenzata da fattori esterni.
Evidentemente, sono numerosi gli elementi che possono influenzare la durata del canto (va da sé che il numero di femmine presenti nei paraggi è uno di quelli più rilevanti). Ma gli studiosi si chiesero se, tra i tanti fattori da mettere sul piatto della bilancia, vi potessero essere per caso anche le condizioni legate all’habitat in cui vive il cuculo – come a dire che il volatile canta più a lungo quando si trova in un ecosistema particolarmente ospitale.

Per mettere alla prova questa ipotesi, gli etologi scelsero di analizzare il canto del cuculo in quello che è probabilmente l’ecosistema meno ospitale in assoluto sulla faccia del pianeta, cioè la Zona di Alienazione di Chernobyl, quella piccola area di 30 km2 che sta a ridosso della centrale nucleare.
Nella primavera del 2015, un team di studiosi si organizzò dunque per registrare il canto dei cuculi che vivevano in Ucraina in un’area di 2000 km2, all’interno della quale si trovavano per l’appunto la Zona di Alienazione di Chernobyl ma anche le foreste lussureggianti che si estendono nell’area di Bobor, Dyariki, Pisky e Ivankov.

Va da sé che la zona di Chernobyl, per quanto ormai ricca di flora e fauna, è ancor oggi contaminata da un livello di radiazioni decisamente più alto della media. Fortunatamente, la stessa cosa non accade nelle foreste che sorgono a qualche centinaio di chilometri di distanza, là dove i tassi di radioattività hanno valori assolutamente nella norma.
Ebbene: la registrazione dei cuculii emessi dagli uccelli in quelle due zone nello stesso arco temporale permise agli studiosi di notare una marcata differenza nel numero di sillabe inanellate.
Se, in media, il canto dei cuculi si componeva di un numero di  “cucù” pari a 16,28 in quelle zone che presentavano un livello di radiazioni pari a 0.01 Sv/h (cioè quello normalmente presente in natura), il numero di sillabe si abbassava drasticamente a una media di 7,59 nelle zone boschive a ridosso della centrale di Chernobyl – quelle in cui il tasso di radioattività saliva a 100 Sv/h.

Una differenza così marcata, con un numero di sillabe più che dimezzato, spinse gli studiosi a ipotizzare che il canto del cuculo possa effettivamente essere influenzato anche da fattori ambientali esterni, diventando più lungo e più marcato là dove l’habitat è particolarmente favorevole e riducendosi drasticamente là dove le condizioni ambientali si fanno sfidanti per la vita.
I risultati di questo studio furono dati alle stampe nel 2016 sotto il titolo di The number of syllables in Chernobyl cuckoo calls reliably indicate habitat, soil and radiation levels. E fu probabilmente a questo punto della ricerca che gli studiosi cominciarono a domandarsi se non ci fosse dunque una base di verità in quella antica superstizione popolare per cui il numero dei “cucù” del cuculo pronostica una vita più o meno lunga.

In fin dei conti, quei risultati sembravano paradossalmente suggerirlo.
Se un ipotetico contadino residente a un tiro di schioppo da Chernobyl avesse interrogato il cuculo circa la sua speranza di vita, si sarebbe sentito rispondere con un numero di “cucù” drasticamente inferiore rispetto a quello che sarebbe probabilmente stato riservato a chi avesse posto al cuculo la stessa domanda, ma a qualche centinaio di chilometri di distanza.
E, mettiamola così: in questo caso, il cuculo avrebbe anche le buone sue ragioni nel “profetizzare” una morte a breve termine agli ipotetici individui umani residenti in una zona radioattiva.

Ma allora – si domandarono gli studiosi – la stessa cosa potrebbe accadere altrove?
Vale a dire: non è che, forse, il cuculo accorcia il suo canto in tutte quelle zone che, per ragioni varie, presentano habitat particolarmente sfavorevoli, determinando un abbassamento della speranza di vita anche per gli esseri umani che vi risiedono?
Questa “inverosimile ipotesi”, per usare il termine con cui la introdussero gli studiosi stessi, fu messa alla prova nel corso del 2016 analizzando la durata del canto del cuculo in un contesto in cui, per fortuna, non c’è di che preoccuparsi della radioattività ma ci si può invece concentrare su altri fattori ambientali come la biodiversità e l’inquinamento. La ricerca si spostò nel nord della Danimarca, analizzando il cuculio degli uccelli che vivevano in una vasta area all’interno della quale si potevano trovare ampie fattorie di agricoltura biologica interamente immerse nel verde… ma anche appezzamenti di terreno di estensione più modesta, maggiormente vicini alle strade e al centro abitato.

Ne emerse che, anche in questo caso, tendeva a cantare più a lungo il cuculo che dimorava in quelle zone in cui gli spazi verdi erano più estesi e la biodiversità era più abbondante. Allo stesso tempo, i registri anagrafici della zona mostrarono che, mediamente, la speranza di vita degli uomini che risiedevano e lavoravano in quelle stesse zone era leggermente più alta rispetto a quella di chi abitava presso le fattorie più piccole, a ridosso della città.
Ne emerse insomma che, almeno all’apparenza, “la longevità dei contadini era direttamente e indirettamente collegata alle dimensioni della loro azienda agraria”, e che sembrava essere direttamente e indirettamente collegato allo stesso fattore anche il numero di sillabe mediamente emesse dai cuculi. Insomma: paradossalmente, agli scienziati parve di poter dire che “il canto dei cucù sembra realmente poter riflettere la longevità media degli esseri umani che vivono all’interno di una certa area” – non certo perché il cuculo sia un profeta, ma perché (con l’ovvia esclusione di morti violente e di stili di vita particolarmente insalubri) la longevità media dell’uomo è spesso influenzata anche da fattori ambientali. Fattori ambientali che il piccolo cuculo sembrerebbe essere in grado di comprendere e, in qualche modo, di rispecchiare con la durata media del suo canto.

Una abilità di cui, forse, s’erano già accorti i nostri progenitori quando, senza neppure sapere di aver capito, iniziarono ingenuamente a domandare al cuculo: “ma allora, quanto mi resta?”.


Immagine di copertina: Common Cuckoo di Alastair Rae da Flickr (alcuni diritti riservati)

2 risposte a "Predire il futuro grazie al cucù del cuculo (che, incredibilmente, sembra prenderci per davvero!)"

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