Il giocatore sacrilego e il crocefisso vendicativo: un topos di vecchia data

Va detto che ci va già un certo stomaco (in tutti i sensi) per farsi venire in mente di inventare una torta che commemora la storia che sto per descrivere. Ma i Pisani del passato erano evidentemente gente pratica, e pensarono bene di inventare un grazioso dolce in pasta frolla per meglio festeggiare il miracolo di Pontasserchio – ché in fin dei conti è sempre bello avere qualcosa di dolce da sgranocchiare, mentre si racconta ai piccoli la storiella di un poveraccio che viene mangiato vivo dai calabroni.

Facciamo che, se non volete guastarvi la giornata, andate direttamente sul blog di Mani di pasta frolla per leggere la ricetta della torta. Se invece avete un certo gusto per lo splatter, restate qui e scoprite assieme a me la storia truculenta del Santissimo Crocefisso del Miracolo di Pontasserchio.

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Tutto inizia con un acquazzone.
Siamo a Pontasserchio, attualmente frazione del comune di San Giuliano Terme nel Pisano. È un anno imprecisato di inizio Cinquecento, è il 28 aprile ed è, soprattutto, una giornata lavorativa come tante: e infatti, alcuni operai si trovano sul posto di lavoro per fare quello per cui sono pagati.

Ma ecco, improvviso, arrivare quell’acquazzone.
Non una normale pioggia, non un temporale estivo: no, quell’acquazzone sembrava proprio la riedizione moderna del diluvio universale; pareva che si fossero aperte le cataratte del cielo, mentre l’acqua s’abbatteva sulla terra a secchiate.
I poveri operai, sorpresi dalla pioggia, cercano un qualche posto in cui ripararsi. Non lontano da loro, c’è un ponte: rattamente, cercano dunque rifugio sotto le sue arcate. Dopo un po’, visto che non accenna a spiovere, uno di loro tira fuori dalla saccoccia una scatoletta con dadi da gioco; e così, per passare il tempo, i colleghi iniziano a giocare, sotto lo sguardo solenne di un crocifisso che se ne stava appeso lì, sotto le arcate del ponte. Era stato collocato in quella posizione chissà da chi e chissà quanto tempo prima, come era consuetudine fare quando ci si voleva ingraziare la protezione celeste a tutela di un luogo nevralgico. Come un ponte, per l’appunto.

E così, mentre fuori infuria l’acquazzone, gli operai giocano a dadi: una, due, tre, dieci volte. E per una, due, tre, dieci volte, uno di loro (sempre lo stesso!) deve accettare la sconfitta.

Se quel giocatore avesse avuto un po’ più di autocontrollo: non sarebbe stato un gran problema.
Se quel giocatore avesse avuto il buonsenso di tirarsi fuori dalla gara al momento giusto: non sarebbe stato un gran problema.
Se quel giocatore avesse almeno rifiutato di scommettere denaro, invece di insistere per una rivincita e di alzare la posta a ogni partita nella speranza di rifarsi delle perdite subite: non sarebbe stato un gran problema.
E dirò di più. Se quel giocatore, ancorché in preda a una crisi di nervi, si fosse sfogato indirizzando altrove la sua ira: persino in questo caso non sarebbe stato un gran problema.
Ciò che fece invece lo scommettitore sconfitto fu degno del capriccio di un bambino dispettoso. Di fronte all’ennesima disfatta, resosi conto di aver perso più denaro di quanto avesse, scagliò i dadi contro il crocefisso bestemmiando Cristo e accusando l’onnipotente di essere un dio malvagio che godeva nel vedere soffrire i suoi figli.

Ecco, ehm.
Non so esprimersi sul grado di godimento celeste, ma Iddio, con ogni evidenza, non era di umore particolarmente incline alla pazienza, quella mattina: non appena il giocatore sacrilego ebbe smesso di parlare, la terra si aprì sotto ai suoi piedi.
E se v’aspettereste un epilogo sulle linee di “e così, il peccatore finì dritto all’inferno” – no, altro che: magari! Il peccatore sprofondò nel fango fino al collo ed ebbe ancora il tempo di gridare per l’orrore quando vide precipitarsi su di lui un intero sciame di calabroni. Atterriti, i suoi compagni di gioco fecero appena in tempo a scappare abbandonando il peccatore al suo destino: osarono avventurarsi di nuovo sotto al ponte solo quando smisero di riecheggiare nelle loro orecchie le urla disperate e strazianti del loro amico.
E lo spettacolo che li attendeva era così orribile da non poter nemmeno essere descritto a parole: la testa tumefatta e gonfia era stata colpita da così tante punture di calabrone che in alcuni punti la pelle era stata strappata via. Tra il sangue e la carne gonfia, si poteva intravvedere a tratti il chiarore sinistro delle ossa del cranio del giocatore sacrilego, ormai morto.

***

Per ragioni che definirei piuttosto comprensibili, la notizia del miracolo destò scalpore e spinse numerosi pellegrini a recarsi personalmente a Pontasserchio per pregare di fronte a quel crocifisso.
Per ragioni che cominciano a sfuggire alla mia comprensione, le massaie di Pontasserchio decisero a un certo punto che fosse una buona idea mettersi ai fornelli per creare una torta commemorativa da consumarsi in memoria di cotanto miracolo, che ancor oggi viene ricordato ogni anno il 28 aprile.
E insomma: mentre Michela di Mani di Pasta Frolla vi fornisce la ricetta per questo manicaretto, io lascio qui qualche considerazione a margine su questa disturbante storia, per sottolineare che quello di Pontasserchio non è nemmeno un miracolo particolarmente insolito.

In agiologia, si parla ironicamente del topos del Crocifisso Vendicativo. Lo schema narrativo si sviluppa immancabilmente attraverso gli stessi nodi: il peccatore cattivissimo (o perché in preda all’ira, o perché animato da vera e propria blasfemia) compie atti sacrileghi ai danni di una immagine sacra. Ma ecco, accade l’imponderabile: l’icona oltraggiata prende vita (e/o trova comunque modo di difendersi). Quell’oggetto che, in teoria, avremmo immaginato essere vittima inerme di un attacco blasfemo diventa improvvisamente giudice (e boia?) consumando la sua vendetta.
Ovviamente, la morale di queste storie era qualcosa sulle linee di “non vandalizzare le immagini sacre”, ma dietro alla fascinazione popolare per questo tipo di miracoli si celava anche un altro sentimento: racconti di questo tipo confortavano i fedeli sottolineando che la giustizia divina esiste per davvero. Ogni peccatore sarà giudicato in misura dei suoi misfatti (se non miracolosamente e in vita, sicuramente dopo la morte): e se anche pare talvolta che restino impunite le iniquità degli uomini malvagi, le persone di buon cuore non debbono scoraggiarsi. Dio Onnipotente tutto sa e tutto vede e non mancherà di distribuire la sua giustizia, un giorno: era questo il messaggio che, leggendo tra le righe, emergeva potente da questo tipo di racconti.

In un articolo eloquentemente titolato The Avenging Crucifix, Achim Timmermann fa notare che il topos agiografico del miracolo punitivo affonda le sue radici in un passato antichissimo (ne esistono alcuni esempi di età paleocristiana). Ma il tema dell’immagine sacra oltraggiata e vendicativa si sviluppa e trova particolare diffusione a partire dal XIV secolo: da lì in poi, il topos si svilupperà in un crescendo che lo accompagnerà fin quasi ai nostri giorni, senza peraltro impedirgli di adattarsi alle sensibilità e ai bisogni pastorali del momento. Se, dapprima, i sacrileghi puniti erano quasi sempre dei brutti ceffi di religione ebraica, col passar dei secoli furono molte le categorie umane che si prestarono a impersonare il villain del momento. Gli ebrei lasciarono il posto ai cattivi cristiani, cui presto si affiancarono i protestanti iconoclasti; nel corso del Seicento, entrarono in scena gli infedeli turchi, che furono a loro volta soppiantati, negli anni della rivoluzione francese, dagli atei violenti, dagli scienziati intolleranti o da chi è cristiano solamente a parole.

Negli anni ’30 dello scorso secolo, in un contributo ormai datato ma non per questo meno valido, Agostino Pettenella faceva notare che, se l’identità del cattivo era influenzata dell’epoca storica, esistono invece declinazioni locali di questo topos agiografico in cui a variare è la modalità con cui l’immagine sacra viene oltraggiata. “Pare che a Roma vi fosse una volta la contagiosa mania di gettare le immagini della Madonna nel Tevere”, osserva lo studioso con una punta di ironia a fronte dell’inverosimile quantità di aneddoti simili che riportano le cronache locali, sottolineando come invece nell’Italia meridionale (e in Spagna) andasse particolarmente di moda crivellare la Vergine di colpi d’arma da fuoco, che sistematicamente le rimbalzavano addosso per tornare al mittente.
Ma il tema di gran lunga più diffuso nell’agiografia dell’Italia centro-settentrionale è proprio quello del giocatore sacrilego: scommettitori furibondi per la sconfitta inferiscono contro le Madonne del duomo di Lodi, della cattedrale di Vercelli e della chiesa della Vallicella a Roma. Il crocifisso di Pontasserchio l’abbiamo già citato, quello di Genazzano lo citiamo in questo momento; il Cristo del Mal di Denti si trova oltralpe, ma anche quello ha l’aria di essere un tipo da non far arrabbiare. Si vendicano dei loro aggressori anche la Madonna del Baraccano a Bologna, la Madonna del Sasso a Lucca e la Madonna dell’Arco di Madrid; per non parlare poi delle Madonne (per l’appunto) Vulnerate che si trovano a Trapani e Valladolid.

“Di solito”, sintetizza Pettenella, “l’immagine percossa sparge vivo sangue, modifica la sua posizione, impallidisce, oppure grida; mentre l’empio vandalo viene inghiottito da un’improvvista voragine, o è immediatamente incenerito da un fulmine, o gli resta paralizzato l’arto con il quale ha commesso il sacrilegio, o rimane almeno intontito, livido di raccapriccio, incapace assolutamente di muoversi, dando agio ai fedeli di sopraggiungere e di collaborare validamente con la giustizia divina”.

Insomma: di fronte a una immagine sacra, sarà decisamente meglio mostrare il dovuto rispetto. Se non altro per prudenza, quand’anche manchi la devozione.


Per approfondire:
Achim Timmermann, The Avenging Crucifix: Some Observations on the Iconography of the Living Cross, «Gesta» 40, 2 (2001), pp. 141-160
Agostino Pettenella, L’immagine sacra percossa. Recenti versioni di un miracolo antichissimo, «Lares», 3, 3-4 (1932), pp. 48-56

Immagine di copertina:
Il viso della Madonna Vulnerata di Valladolid, profanata (ma non senza conseguenze) dalle truppe anglo-olandesi nel 1596, tratta dal canale Twitter del Royal English College of Valladolid

7 risposte a "Il giocatore sacrilego e il crocefisso vendicativo: un topos di vecchia data"

  1. Anonimo

    1) I bischeri possono essere:
    a) I perni che, negli strumenti a corda, permettono di tendere le corde.
    b) Gli organi genitali maschili.
    c) I “pizzi” della torta.

    Nella Liguria di Ponente le torte di verdure sono dette “gattafure”.
    In Lunigiana e nello spezzino “torte di erbi”.

    Annalisa Neviani

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    1. Lucia Graziano

      Sì, la versione ufficiale a quanto pare dice che i bischeri sono proprio i pizzi della torta.
      Io, prima di leggerlo, pensavo onestamente che il nome si riferisse a quei bischeri di giocatori di dadi che son riusciti a cacciarsi nei guai per non aver saputo tenere la lingua a freno 😂

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  2. Elena

    Una storia tremenda… nella mia infinita ignoranza non avevo mai pensato ai miracoli “negativi”, il miracolo nella mia testa è sempre qualcosa che porta a conseguenze “positive”, come sempre imparo qualcosa di nuovo per me, grazie!

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    1. Lucia Graziano

      Confesso che a me “piacciono” abbastanza i miracoli punitivi (ok, magari non così splatter come questo 😂), cioè credo di capire le ragioni per cui piacevano tanto una volta. A loro modo, credo che per i fedeli fossero in qualche modo confortanti, come a dire “giustizia sarà fatta”. In questo caso, ho parlato di immagini sacre villipese che si vendicano, e potremmo probabilmente concordare tutti sul fatto che la morte orrenda del poveraccio mangiato vivo dai calabroni è una punizione un tantinello sproporzionata. Però in molti altri casi il miracolo punitivo colpiva il Cattivissimo DI Turno che la giustizia terrena non riusciva a fermare in alcun modo, un po’ come nel caso di don Rodrigo che muore di peste dopo averne combinate di tutti i i colori.

      Non so se t’è mai capitato di leggere sui social quella leggenda metropolitana del falso invalido che passa anni a fingersi paralitico per scroccare soldi all’INPS, a un certo punto viene invitato dagli enti assistenziali a unirsi a un pellegrinaggio a Lourdes, e decide di andare. Però mentre è a Lourdes viene investito da una macchina e rimane paralizzato per davvero, e in ospedale è anche costretto ad ammettere di fronte ai medici di aver finto fino a quel momento, cosicché viene pure processato.

      E’ una leggenda metropolitana che piace molto perché ci viene istintivo dire “ah ah, ben gli sta”. Ecco, a suo modo anche questa è una leggenda agiografica su un miracolo punitivo. Versione anni 2000 😀

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  3. Emilia

    Madonna dell’Arco “di Madrid”?
    Forse volevi dire “di Sant’Anastasia” (da pronunciarsi rigorosamente con l’accento sulla “i”), in provincia di Napoli e diocesi di Nola, col caso di Aurelia Del Prete.
    Costei bestemmiò contro l’immagine e chi andava a venerarla, solo perché le era scappato di mano un porcellino. Un anno dopo, nella notte tra il 21 e il 22 aprile 1590, le si staccarono i piedi!😨

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    1. Lucia Graziano

      Io volevo proprio dire “di Madrid”, così sulla fiducia, perché Agostino Pettenella me la citava tra i casi di Madonne spagnole vendicative, con topos simili a quelli delle Madonne del nostro meridione. Però in effetti non ho approfondito la storia, mi sono limitata a citare lo studioso, e in compenso non conoscevo minimamente la storia della Madonna nell’Arco napoletana. Grazie mille!

      Per carità, i piedi che si staccano son sempre meglio della testa mangiata dai calabroni. Certo che… 😰😰😰

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