Il “Natale di Roma” dei Fascisti: quella bizzarra festa che celebrava la ‘naturale sacralità’ dell’Urbe

Se i socialisti avevano il 1° maggio e il PPI di don Luigi Sturzo s’era appropriato del 15 dello stesso mese (anniversario della promulgazione della Rerum Novarum, l’enciclica che fonda la dottrina sociale della Chiesa), era del tutto ragionevole che anche il gruppo fascista si dotasse d’una data in cui poter celebrare la sua festa di partito. Mussolini lo affermò il 3 aprile 1921, inaugurando il convegno dei Fasci dell’Emilia Romagna: e vista la necessità urgente di fissare una data che potesse diventare, da quel momento in poi, la Festa Fascista per eccellenza, ebbe ben poche esitazioni su quale fosse la scelta migliore. Da quel momento in poi, fascisti di tutta Italia avrebbero celebrato la loro identità politica ogni 21 aprile, in concomitanza col Natale di Roma – la festa che celebrava la fondazione dell’Urbe (avvenuta, secondo il mito, il 21 aprile 753 a.C.).

Il Natale di Roma, casomai a qualcuno dovesse venire il dubbio, non è un’invenzione fascista. Nell’antichità, la Roma Imperiale la celebrava in pompa magna, con festeggiamenti di ampia portata; nei primi secoli dopo Cristo, la ricorrenza doveva essere così sentita da spingere la Chiesa a intervenire per cristianizzarla. Ad arte, il 21 aprile divenne la data in cui il martirologio faceva memoria di un certo san Cesario, diacono romano dal nome evocativo (e, oltretutto, appartenente egli stesso alla Gens Iulia!) che morì martire nell’età delle persecuzioni.

Lo stratagemma, effettivamente, fu efficace: nell’arco di poco tempo, san Cesario finì per assorbire in sé molta di quella devozione che il popolo aveva tributato fino a poco prima ai divi Cesari; e per buona parte del Basso Medioevo, fu proprio in suo onore che folle gioiose si radunarono nelle piazze di Roma per celebrare la grande festa di popolo del 21 aprile.
Poi, il nostro amico passò di moda. L’impero carolingio non stravedeva per questo santo di nobili natali che aveva lo scomodo effetto collaterale di ricordare ai sudditi l’esistenza di un’altra esperienza imperiale, che aveva riscosso un successo potenzialmente ancor maggiore (e che, oltretutto, aveva guardato ai popoli del Nord come a delle genti barbariche da soggiogare). E i papi, diligenti, capirono l’antifona, cessando di promuovere una devozione che pian piano, inevitabilmente, andò a perdere di vigore: sicché, per la restante parte del Medioevo, la data del 21 aprile non fu un granché sentita, nel calendario mentale dei Romani.

Ma gli Umanisti provvidero a riportarla in auge; la Roma del papa-re scelse spesso quella data per organizzare eventi culturali legati alle antichità classiche; e dopo la breccia di Porta Pia, gli intellettuali del Risorgimento fecero largo uso del 21 aprile per rimarcare la storica grandezza di una città finalmente libera dalle ingerenze della Chiesa. Insomma: quando Mussolini si mise in testa di appropriarsi di quella ricorrenza, non ebbe da faticare un granché – non inventò a tavolino il Natale di Roma, ma fu l’ultimo di una lunga schiera di potenti a dare a questa festa la sua personale rilettura.

Naturalmente, la sua personale rilettura fu un tantinello politicizzata. Nel 1923, il Natale di Roma fu la prima celebrazione civile istituita dal governo Mussolini (non erano nemmeno passati sei mesi dalla sua presa di potere dopo la marcia su Roma): l’urgenza più impellente, per il partito fascista, era quella di offrire agli Italiani una giornata di festa che potesse idealmente assorbire in sé tutte quelle istanze che i socialisti avevano associato alla ricorrenza del 1° maggio. Nella fase iniziale della dittatura, infatti, quella del 21 aprile fu definita la “Giornata del Lavoro dell’Italia” (per diventare poi, più sinistramente, una “Giornata della Razza Italiana”); e se giustamente doveste chiedervi che ci azzecchi la fondazione di Roma con i diritti sindacali dei lavoratori in fabbrica, Mussolini aveva la risposta pronta. Come aveva già spiegato nel 1922 celebrando la ricorrenza in seno al suo partito, la Roma classica non avrebbe avuto alcuna chance di trasformarsi nella potenza imperiale che era diventata, se non fosse stato per il duro lavoro e la ferrea disciplina di cui gli abitanti dell’Urbe avevano fatto loro bandiera. Innegabile che queste virtù di popolo si fossero un po’ affievolite col passar del tempo: ma la valorosa gente italica non avrebbe avuto problemi nel rispolverare i fasti del passato se fosse stata disposta a tirarsi su le maniche con lo stesso ardore dei suoi antenati, facendo leva su due valori che – del resto – aveva ben mostrato di conoscere durante la Grande Guerra: l’obbedienza militaresca e la fiduciosa sottomissione ai leader, che infatti avevano portato la nazione alla vittoria. «La Roma che noi onoriamo» tuonò Mussolini in quel 21 aprile 1922, «non contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione dell’avvenire. Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento; è il nostro simbolo, o se si vuole, il nostro Mito».

E sul mito di Roma, Mussolini calcò la mano pesantemente. Come ebbe spesso occasione di dire, non necessariamente un mito dev’essere vero per essere reale (cioè, per avere un reale impatto sulle popolazioni che ne subiscono gli effetti): ed è, se vogliamo, vagamente confortante (?) sapere che evidentemente nemmeno lui credeva davvero a quello che andava dicendo, nel momento in cui si lanciava in affermazioni strampalate tipo quella per cui il suolo di Romana emana «una potenza magica».

Lo dichiarò (testualmente, eh) a Emil Ludwig, un giornalista tedesco che nel 1929 ebbe modo di intervistare il dittatore in quelli che poi vennero dati alle stampe sotto il titolo di Colloqui con Mussolini. E lì, il politico fu curiosamente esplicito nel descrivere Roma come un lembo di terra che, più di ogni altro luogo al mondo, spiccava per la sacralità perenne che lo pervadeva, irrorandolo con una fonte inesauribile di forza e di grandezza. Per l’Urbe, Dio stesso mostrava una aperta predilezione: «prima l’impero, poi la nascita di Gesù, e finalmente Paolo», che con la sua predicazione aveva trasformato Roma nel centro pulsante della cristianità: tutto questo «era stato preparato dalla Provvidenza», che aveva voluto sottolineare la grandezza della Città Eterna trasformandola in sua dimora privilegiata. «Se il cristianesimo non fosse giunto nella Roma imperiale», arrivò a dire Mussolini, «sarebbe rimasto una delle tante sette ebraiche»: ma proprio il fatto d’aver potuto attingere a quella strana potenza che pulsa per le vie dell’Urbe lo aveva messo nelle condizioni di poter diventare quella grande potenza che era destinata a essere.

E, stando a quanto Mussolini argomentò a più riprese nel corso del Ventennio, l’Italia intera aveva beneficiato di questa speciale predilezione celeste. Iddio l’aveva graziata con una conformazione geografica che non solamente era invidiabile, ma che era proprio esplicita nel sottolineare la sua straordinaria unicità. Circondata dalle acque per tre lati, e delimitata a nord da una catena montuosa che ne segnalava i confini con non minore efficacia, l’Italia era in sé e per sé – e per sua natura stessa – qualcosa di totalmente altro rispetto alle altre nazioni. E rispolverando un topos letterario che era stato frequentemente utilizzato nelle cronache di viaggio degli intellettuali che compivano il Grand Tour, Mussolini sottolineò spesso – a riprova delle sue teorie – la bellezza selvaggia, inaspettata e violenta con cui Roma tramortiva tutti coloro che la visitavano per la prima volta. Alle meraviglie paesaggistiche di cui tutta l’Italia era stata graziata, l’Urbe univa lo spettacolo maestoso e imponente delle vestigia di età classica, testimonianza viva di un ingegno che aveva saputo dominare la natura e plasmarla secondo i suoi bisogni. , una qualche strana forma di sacralità perenne aveva contribuito a far sì che – in un modo o nell’altro, prima come capitale dell’Impero e poi come cuore della Chiesa – Roma fosse riuscita ad attraversare i secoli mantenendo perennemente intatta la sua posizione di supremazia.

Certo: ora come ora – quando cioè Mussolini propagandava questa sua curiosa visione del mondo – la gloria italica dell’Urbe sembrava essersi un po’ offuscata; Roma era sì il centro del cristianesimo, ma ben difficilmente si sarebbe potuto parlare di una sua supremazia assoluta nel campo della politica. Ma il futuro dittatore non aveva dubbi: «è destino che Roma torni ad essere la città direttrice della civiltà in tutto l’Occidente d’Europa», aveva detto nel 1920 parlando ai Fasci della Venezia Giulia; e con “destino”, lui intendeva proprio un fato ineluttabile, predeterminato dalla Provvidenza stessa. La tragedia della prima guerra mondiale era stata funzionale a ciò che si stava per compiere, determinando nel fiero popolo italiano una catarsi purificatrice. Costretto dalle circostanze a riscoprire le sue virtù operose ed eroiche che un tempo l’avevano reso grande, sarebbe stato in grado d’ora in poi di farle fruttare al meglio, ponendosi sotto la guida di un leader capace. Anzi, facciamo di un dux – ché gli suonava meglio alla Latina.  

Come fa notare Simonetta Falasca-Zamponi, questa curiosa operazione culturale (che, in base alla sensibilità dell’uomo d’oggi, susciterebbe probabilmente nelle masse degli attacchi di risate, più che delle emozioni galvanizzanti) fu portata avanti però «in un clima culturale già sensibile alle sollecitazioni simboliche di patriottismo e nazionalismo storicamente fondati». Insomma: sul momento, a un buon numero d’Italiani piacque per davvero l’idea di potersi cullare in questo sogno, che tra l’altro aveva anche il merito di distogliere l’attenzione dal momento di crisi del tempo presente per spostare il focus sulle gloriose vestigia del passato.  

Ahimè: Storia insegna che di gloria ce ne fu ben poca in tutto quello che venne dopo, a voler usare un eufemismo. Ma in base a quell’antico adagio per cui l’Historia è magistra vitae, anche questa m’è sembrata essere una curiosità degna di essere raccontata: perché anche il passato, il folklore e le feste calendariali possono diventare, a volte, strumento di propaganda.


Per approfondire:

  • Simonetta Falasca-Zamponi, Lo spettacolo del fascismo (Rubettino, 2003)
  • Emilio Gentile, Il culto del littorio (Laterza, 2001)
  • Paola S. Salvadori, Mussolini e la storia. Dal socialismo al fascismo (1900-1922) (Viella, 2016)
  • Emil Ludwing, Colloqui con Mussolini (Castelvecchi, 2018), che peraltro trovo una piccola gemma inspiegabilmente poco nota, ma davvero utile a capire la psicologia del personaggio (e, probabilmente, anche quella di chi subì gli effetti della sua fascinazione). Non so perché non venga fatto leggere più spesso (evidentemente, con il dovuto e doveroso accompagnamento).

5 risposte a "Il “Natale di Roma” dei Fascisti: quella bizzarra festa che celebrava la ‘naturale sacralità’ dell’Urbe"

  1. ac-comandante

    Ma Testalustra da Predappio ci credeva alle fanfaronate che diceva? Diversi storici dicono di no, io ho sentito pronunciarsi così il Prof. Ennio Maserati dell’Università di Trieste.

    Semmai ci sarebbe da chiedersi come tanti siano andati dietro a uno che sproloquiava di quarta guerra punica per indicare le operazioni militari in Nordafrica.

    "Mi piace"

    1. Lucia Graziano

      Ma anche secondo me non ci credeva, almeno non del tutto e non a queste: quelle che ho riportato oggi, secondo me erano chiaramente delle esagerazioni retoriche a scopo di propaganda che probabilmente lui stesso (o chi per lui) intendeva come metafora.

      Se poi ci siano stati dei cittadini su cui questa retorica faceva presa… beh, questo è un altro discorso. Io non me ne stupisco mica tanto, eh: anche oggi abbiamo gente che crede convintamente alle più improbabili teorie del complotto, specie se permettono di sentirsi come quelli che ne sanno e che ne capiscono più di altri.

      L’Italia degli anni ’20 non è una società così lontana dalla nostra ma non è nemmeno una società perfettamente identica alla nostra, la gente (adulta, quindi quella nata a fine ‘800) ragionava in una maniera profondamente diversa rispetto a noi, su molti punti chiave. Quindi non mi stupisce più di tanto, onestamente, pensare che un certo tipo di propaganda abbia fatto presa: non funzionerebbe oggi, ma la brava gente di cent’anni fa non ragionava necessariamente no.

      "Mi piace"

      1. ac-comandante

        Vado un po’ OT, anche se si può riferire al post precedente (quello sui santi che proteggono dai terremoti): potresti scrivere qualcosa su come la Madonna sia diventata sostituta della Stella Polare? A Trieste c’era una chiesa, forse la più antica (a ricordarlo c’è la via), alla Madonna del Mare, demolita nel 1785, oggi ce n’è un’altra in altro posto, iniziata nel 1938 e finita nel 1954. Di quella paleocristiana sono stati fatti dei rilievi dei resti con georadar (sopra sorge una scuola) e un professore di nome Renato Tremul riuscì a farne un modello per un plastico della Trieste medievale. Non c’è mai stata invece una chiesa alla Madonna Stella del Mare, forse i due culti erano diversi?

        È pura curiosità, io dopo una serie di offese ingiustificabili da certe persone, laici ed ecclesiastici, sono diventato valdese, molti dicono che ho sostituito la Madonna con… “la mia ragazza”! No, “la mia ragazza” non sa cantare…

        "Mi piace"

  2. Francesca

    “Il Natale di Roma, casomai a qualcuno dovesse venire il dubbio, non è un’invenzione fascista. Nell’antichità, la Roma Imperiale la celebrava in pompa magna, con festeggiamenti di ampia portata”

    Grazie per averlo specificato e poi anche per aver ben sviluppato la questione. Da alcuni giorni, cioè da quando mi era giunta la notifica dell’articolo via mail, rimandavo la lettura… e mi preparavo ad essere psicologicamente forte abbastanza per affrontare la notizia – cioè la versione peggiore che si potrebbe dedurre dal titolo.

    Adesso posso dire “scampato pericolo” e posso anche ringraziarti di aver narrato una vicenda che non conoscevo. (Comunque ti avrei ringraziata lo stesso, eh 😄 , con commento o senza commento il ringraziamento c’è sempre).

    P.s. alla fine (di altra storia di cui si parlava altrove) mi sono specializzata (con Bing) in abbigliamento sportivo medievale 😁 . Tipo “felpe medievali” (“humble and decent”, come sempre 😂 … Al punto che, dopo aver concluso tutto l’ambaradan medievale, una volta Bing ha perfino scritto “humble” in grande sulla felpa della protagonista dell’immagine… Come fosse un brand 😁 ). Ultimo aggiornamento: da quando ho scoperto l’indicazione/istruzione “watercolor painting” per definire il tipo di immagine… Sono affascinata e continuo con questo stile… Escono immagini che definirei terapeutiche – soprattutto quando il meteo all’esterno è terribile come in questi giorni. Diverse volte mi è venuta in mente la dr. Zaccaro e mi chiedevo cosa ne penserebbe – escluse forme di addiction, naturalmente.

    "Mi piace"

Lascia un commento