La vera storia dietro a “Benedetta” di Verhoeven

È uscito il 2 marzo in tutte le sale Benedetta di Paul Verhoeven, un film ispirato alla storia (vera) di Benedetta Carlini, suora italiana di inizio Seicento che forse fu mistica, certamente fu lesbica e, secondo me, ebbe anche una gran fortuna nel non essere mai stata definita apertamente “strega” nel corso dei processi cui pure fu sottoposta, e in più di un’occasione.

Stando a ciò che scrive l’Ansa annunciando l’uscita del film «controverso e scandaloso», il punto focale della trama sembrerebbero essere le vicende di una suora lesbica che «sogna Gesù, ha (o si fa venire?) le stimmate per il potere dell’abbazia di Pescia e fa l’amore con la consorella usando una statuetta della Vergine trasformata in sex toy». Per citare le parole con cui il regista commenta questa storia a favore dei giornalisti Ansa: «Sono stato attratto da queste note che uno scriba ha scritto nel 1600 e che sono così precise su cosa esattamente queste due suore facessero tra di loro sessualmente. I peccatori allora erano tutti uomini e c’erano così molti dubbi sulla vera esistenza di rapporti sessuali tra donne. E poi questa suora aveva visioni di Gesù. Era una storia che doveva essere raccontata».

Concordando pienamente sull’ultima frase (se c’è una storia che merita di essere trasposta su pellicola, quella di Benedetta è sicuramente quella storia), vorrei però aggiungere pacatamente che le storie belle meriterebbero d’esser raccontate come si deve, soprattutto quando sono gli archivi stessi a consegnarcele con una trama al cardiopalma. Non ho ancora visto il film di Verhoeven, quindi non ho idea di come l’abbia raccontata lui (e, stando a ciò che vedo da alcuni trailer, mi sembra anche di poter nutrire blande speranze su una buona qualità del racconto), ma mi pare che la stampa italiana non stia facendo un favore al regista, ostinandosi a descrivere il suo lavoro nei termini di un film pruriginoso incentrato su due suore alle prese con un dildo. Se lo spot confezionato per il pubblico italiano sembra una specie di soft porno in salsa lesbica, di tutt’altro tenore è il trailer francese: e quindi penso che partirò da quello, per raccontare la stupefacente storia vera dietro a Benedetta.

Che non è esattamente una storia per educande: vi avviso subito così non venite a dirmi che non ve l’avevo detto.

Benedetta Carlini nasce a Vellano, piccolo villaggio dell’Appennino pistoiese, il 20 gennaio 1590. Segni prodigiosi annunciano la straordinarietà della sua nascita prima ancora che la bambina venga al mondo: sfiancata da un travaglio che non riesce a portare frutto, la madre di Benedetta sembra ormai spacciata, al punto tale che le levatrici escono dalla camera da letto per comunicare al padre che ormai non ci sono più speranze, e che tutto ciò che resta da fare è iniziare a recitare le ultime preci per affidare a Dio l’anima della moribonda e del figlioletto che porta in grembo.
Il padre, sconvolto, cade in ginocchio e leva al cielo una preghiera di disperata potenza: se Iddio vorrà salvare la vita di madre e figlio, potrà tenere per sé il nascituro, che gli verrà consacrato al momento stesso della sua nascita. Di lì a pochi secondi, dalla stanza accanto si leva il pianto di un neonato: miracolosamente, una bella bambina perfettamente sana era sgusciata fuori dal ventre materno quando la donna sembrava ormai aver perso le forze anche solo per respirare.

Figlia unica, Benedetta cresce in bellezza e intelligenza circondata dall’affetto dei suoi genitori. La sua è davvero una infanzia da fiaba, con toni da film Disney: demoni minacciosi insidiano la bimba assumendo le sembianze di grossi cani neri e ringhianti; a sua protezione, Iddio le invia un angelo che prende la forma di un usignolo e la accompagna giorno e notte, rispondendo con i suoi gorgheggi al canto di lei tutte le volte che la fanciulla intona le sue preci.

«Non ci si può non chiedere per quale ragione Dio avrebbe dovuto scegliere una creatura talmente delicata per aiutare Benedetta a combattere un nemico così potente, soprattutto considerato il fatto che, nel folklore e nella letteratura dell’epoca, l’usignolo era visto come un simbolo dell’amor carnale o comunque del lato sensuale della vita». Così scrive Judith C. Brown, la storica che per prima ha raccontato la storia di Benedetta Carlini attraverso le carte d’archivio che danno conto dei due processi cui la donna andò incontro. E non è senza tutti i torti che la storica commenta: «ma forse è esattamente in virtù di questa simbologia, che Dio ritenne che l’usignolo fosse lo strumento più appropriato attraverso cui operare nella vita di Benedetta».

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In effetti, Gesù amava Benedetta. E non si limitava ad amarla con quell’affetto paterno che Dio riserva a tutti i suoi figli: quando la fanciulla fu ormai cresciuta e sbocciata all’età adulta, la sua vita cominciò ad allontanarsi dalle atmosfere incantate da cartone Disney per virare con decisione su toni dark di un romanzo fantasy con sottotrame sentimentali.

La famiglia Carlini non dimenticò e non volle sottrarsi al voto con cui il padre di Benedetta aveva consacrato a Dio la nascitura: quando la ragazza raggiunse un’età consona, fu accompagnata dai genitori in un convento di suore teatine sito nella vicina città di Pescia. Lì, Benedetta prese il velo, diventando – come si suol dire – “sposa di Cristo”: sennonché, in questo specifico caso, suo marito sembrava aver preso molto sul serio quest’espressione. Dapprima, galante cavaliere, cominciò a manifestarsi a lei nei momenti di bisogno, per garantirle la sua protezione; se demoni agghiaccianti la circondavano, assumendo la forma di bestie feroci, lui accorreva splendente di luce, sgominandole e sussurrando dolci parole alle orecchie della sua sposa: doveva essere forte e non disperare; in ogni momento, lui sarebbe corso in suo aiuto.

Visioni angeliche e momenti di estasi dall’indescrivibile piacevolezza si alternavano ad apparizioni demoniache spaventose, durante le quali Benedetta veniva minacciata, terrorizzata e fisicamente percossa dal diavolo, che piagava il corpo di lei con lividi e ferite ben visibili. A un certo punto, Satana cercò pure di mettere le corna a Gesù provando a rubargli la moglie: tentò Benedetta con la promessa di indicibili piaceri e di una ritrovata salute fisica, se solo la donna avesse accettato di farsi sua; e per essere più convincente sfoderò addirittura un letterale anello di fidanzamento. Fermissimo fu il diniego di Benedetta, che invocando il nome di Dio mise in fuga il suo persecutore e subito dopo corse a chiedere aiuto ai suoi superiori, conscia di come quella tentazione avesse davvero messo a dura prova la sua resistenza. In lacrime, chiese alla madre badessa di vedersi assegnare una guardia che potesse vegliare su di lei e impedirle di compiere gesti avventati; e fu così che la superiora, udite le richieste della ragazza, scelse per lei una guardiana nella persona di Bartolomea Crivelli, una novizia che era da poco entrata in convento. Sebbene, a Pescia, le suore avessero la fortuna di poter disporre di cellette singole, la badessa ordinò a Bartolomea di ritagliarsi uno spazio nella stanza di Benedetta, in modo tale da poterla vegliare e sorvegliare anche e soprattutto nelle ore notturne: quelle in cui, cioè, più frequentemente avevano luogo le vessazioni demoniache. Con una aposiopesi degna di far concorrenza a «la sventurata rispose», Judith C. Brown commenta nel suo saggio che «col senno di poi, la madre badessa avrebbe avuto ottime ragioni per pentirsi di quel provvedimento»; del resto, «dovettero passare molti anni, prima che lei avesse modo di comprenderlo».

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Nel frattempo, tutto ciò che la madre superiora aveva compreso era grossomodo sintetizzabile in: “Benedetta Carlini era una santa in terra al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ché ci sono dei segni celesti che sarebbe sfrontato ostinarsi a ignorare, col rischio di cadere nel peccato di incredulità: e se è legittimo nutrire dubbi sulle affermazioni (peraltro, non dimostrabili) d’una suora che dice di essere vessata dai demoni e di avere visioni mistiche, capita talvolta che la potenza divina scelga di manifestarsi con insolita chiarezza.

Nell’anno 1619, nella notte del terzo venerdì di Quaresima, suor Benedetta ricevette il dono delle stigmate: «un evento straordinario persino nel diciassettesimo secolo», commenta a buon diritto Judith C. Brown. Di mistiche (o sedicenti tali) ce n’erano molte, «ma portare sul proprio corpo le sacre ferite di Cristo era un miracolo di tutt’altro ordine di magnitudine». Per di più, «non occorreva fare un atto di fede, per credere alla veridicità di questo segno: essa poteva essere verificata con il semplice uso dei sensi».

Come se non bastasse, il miracolo s’era compiuto di fronte agli occhi sgomenti di una testimone super partes: suor Bartolomea, naturalmente, che condivideva la stanza con Benedetta e dunque ebbe modo di assistere in prima persona agli straordinari eventi di quella notte. Tra le due e le tre del mattino, Gesù apparve accanto al letto della donna, grondante di sangue e appeso al legno della croce. Suor Bartolomea non ricevette la grazia di vederlo, ma sentì distintamente la sua santa voce nel momento in cui Cristo domandava a Benedetta se fosse disposta a soffrire per amore, per lui. Udito il suo “sì”, Gesù le ordinò di disporsi a sua volta nella forma d’un crocifisso: ed ecco, raggi di luce taglienti come lame si dipartirono dalle sue ferite per sprofondare nelle mani, nei piedi, nel costato e nella fronte di Benedetta, straziando le sue carni con piaghe che iniziarono immediatamente a sanguinare.

E di fronte a una così eclatante manifestazione della divina potenza, le suore non ebbero la minima esitazione nel comprendere la cosa giusta da fare: entro il maggio 1619, a meno di trent’anni, suor Benedetta era stata nominata badessa del suo convento.

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Un elemento che è importante sottolineare, anche per comprendere il prosieguo di questa storia, è che, nell’epoca in cui viveva Benedetta, le visioni mistiche delle religiose erano guardate con comprensibile sospetto. Laddove noi saremmo istintivamente portati a ipotizzare fenomeni allucinatori, i confessori dell’epoca procedevano con molta cautela perché spinti da un altro timore: quello cioè che le visioni mistiche fossero in realtà causate da demoni che si fingevano figure celesti, per trarre in inganno le loro vittime. Chi ha letto il mio libro dedicato alla caccia alle streghe sa che qualcosa di molto simile avvenne anche a John di Morigny, mago duecentesco con la tendenza a presumere un po’ troppo della sua saggezza; e, leggendo tra le righe dei processi inquisitoriali a carico di Benedetta Carlini, il sospetto che anche la religiosa potesse trovarsi in una situazione simile dovette affacciarsi almeno una volta alla mente del suo confessore, padre Paolo Ricordati. Il 21 marzo 1619, il sacerdote concesse alla sua figlia spirituale una possibilità che era al tempo stesso, se non proprio una trappola, quantomeno una domanda a trabocchetto: «oggi è la festa di san Benedetto», le disse, «cioè, il tuo onomastico. Per farti festeggiare, ti do il mio permesso di entrare in estasi a tuo piacimento e di fare in estasi tutto ciò che vuoi».

Con ogni evidenza, quello di padre Ricordati era tutto fuorché un regalo disinteressato: secondo ciò che insegnavano all’epoca i manuali per confessori, nessuno è in grado di procurarsi estasi a comando (in compenso, i demoni sono noti per accorrere ben volentieri quando qualcuno li chiama insistentemente). Insomma: senza dubbio, padre Ricordati aveva dato a Benedetta quella concessione straordinaria proprio perché era curioso di vedere cosa sarebbe successo da quel momento in poi.

Diciamo che la situazione gli sfuggì di mano, per usare un garbato eufemismo: la suora entrò in estasi verso l’ora della compieta; mentre, dabbasso, le consorelle stavano cantando il Nunc dimittis, Gesù apparve a Benedetta nelle sembianze di un uomo bellissimo, con lunghi capelli lasciati sciolti sulle spalle e un sontuoso abito rosso. Guardandola con infinito affetto annunciò di volere il suo cuore, e non in senso figurato: si tirò su fino al gomito la manica della veste e poi infilò braccio dentro il petto di Benedetta, estraendone poco dopo il cuore ancora palpitante. Con un sorriso, Gesù se lo infilò nel petto: ed ecco, la suora (che fino a poco prima aveva provato una comprensibile inquietudine al pensiero di essersi appena vista strappare il cuore) fu invasa da un senso di gioia indescrivibile, e ancor più infiammata d’amore nei confronti del suo sposo.

Per tre giorni e tre notti, miracolosamente, Benedetta visse senza cuore nel petto; e di ciò fu testimone la fida Bartolomea, che anzi, con la scusa di sistemare meglio le coperte sul letto della mistica, ne approfittò per sfiorarla nella zona del seno, sentendo al tatto che c’era effettivamente un grosso buco nel suo torace. E, di fronte a quella testimonianza (che del resto nessuno sentì il bisogno di voler verificare in prima persona), anche padre Ricordati accantonò ogni dubbio: la suora era sicuramente una santa in terra!

Tre giorni dopo, il divino rubacuori tornò per restituire a Benedetta il maltolto, e lo fece portandosi dietro l’intero Paradiso: tutto d’un tratto, nel pieno della notte, la stanzetta della monaca fu invasa di luce, e centinaia d’angeli e santi si strinsero attorno al suo letto. «Oh, mio sposo!», esclamò ingenuamente la monaca: «siete tornato per restituirmi il cuore?».
Ma, no, le cose non erano così lineari: Gesù spiegò che aveva deciso di tenere nel suo petto il cuore di Benedetta e di darle in custodia il suo proprio. Sorridendole amabilmente, le ordinò di togliersi la camicia da notte (ottenendo l’esilarante obiezione: «ma non voglio spogliarmi di fronte a tutta questa gente!»), e dovette esercitare tutte le sue arti della persuasione per convincere Benedetta che non c’era niente di male nel denudarsi di fronte all’intera comunione dei santi («dove ci sono io, non ci può essere vergogna»). E così, di fronte a migliaia di confessori e martiri (e, naturalmente, di fronte a Bartolomea, che dal suo lettino seguiva sgomenta), Benedetta si sfilò la camicia da notte e permise a Gesù di infilarle in petto il suo sacratissimo cuore.

Fu un’operazione singolarmente complicata, a dire il vero, perché il divino cuore di Gesù è molto più grosso rispetto a un qualsiasi cuore umano, dunque faticò un bel po’ a entrare nel buco sul petto: a un certo punto, l’Onnipotente fu costretto a chiedere una mano a suor Bartolomea pregandola per cortesia di aiutarlo a spingere. In un modo o nell’altro, questo insolito trio riuscì comunque a sistemare la questione e Benedetta si trovò col Sacro Cuore di Gesù che batteva palpitante nel suo petto: «a questo punto, i due erano uniti anima e corpo, proprio come gli amanti di un romanzo cortese» fa notare Judith C. Brown, sottolineando la frequenza con cui il topos del cuore scambiato si presentava, all’epoca, in certi romanzi d’amore.

Ma, naturalmente, un conto è innamorarsi di un cavaliere e un conto è custodire in sé il Sacro Cuore di Cristo. Gesù guardò negli occhi la sua amata con grande serietà, informandola del fatto che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto adottare comportamenti impeccabili per essere degna del dono che le era stato fatto. Le ordinò di eliminare dalla sua dieta tutti i prodotti di origine animale (di fatto, imponendole di vivere per tutto l’anno secondo il regime di strettissimo magro normalmente utilizzato in Quaresima) e le assegnò un angelo custode di riserva, che da quel momento in poi l’avrebbe presa sotto la sua ala protettrice. Costui era un bel giovanotto con lunghi capelli ricci, di nome Splenditello: aveva in dotazione un lungo bastone, da un lato ricoperto di spine e dall’altro ricoperto di fiori. Di lì a poco, Benedetta ne avrebbe scoperto la funzione: Splenditello la carezzava con morbidi petali ogni volta che lei compiva un’opera pia, e la graffiava impietosamente con i rovi acuminati non appena lei veniva sfiorata da un pensiero peccaminoso.

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Insomma: con stigmate che sanguinavano incessantemente, il Sacro Cuore di Gesù che le batteva nel petto e un angelico bodyguard a fare da custode dei suoi pensieri, Benedetta Carlini era chiaramente una suora al di fuori del normale. Diciamo pure che la sua relazione con Cristo si era fatta notevolmente seria: al punto tale che, il 20 maggio 1619, Gesù le apparve in visione annunciandole il suo desiderio di sposarla di lì a una settimana, nella domenica della Santa Trinità. Evidentemente, il Redentore ha una insospettata vena da wedding planner, perché diede a suor Benedetta istruzioni molto particolareggiate su come desiderava che fosse allestita la chiesa, spingendosi addirittura a descrivere nei minimi dettagli le decorazioni floreali da porre sull’altare.

E lì, per la prima volta, Benedetta esitò.

Solo una folle rifiuterebbe di fare ciò che Iddio le ordina espressamente, ma Benedetta temeva che il mondo potesse scorgere un certo grado di follia anche nelle parole di una giovane badessa che di punto in bianco annuncia le sue nozze con Cristo e trasforma la cappella del suo convento in un set degno di un programma di Enzo Miccio.
Quindi, sì: per la prima volta in vita sua, Benedetta disobbedì alle richieste del suo divino fidanzato, rifiutandosi di dare il via ai preparativi per le nozze che pure Gesù le aveva domandato. Eppure, non appena la badessa fu giunta a questa determinazione, le altre suore cominciarono inspiegabilmente ad avvertire l’insopprimibile necessità di comprare fiori per la cappella, preparare festoni con cui addobbarla, darsi alle pulizie di fondo per rimetterla a nuovo: sotto lo sguardo sconcertato di Benedetta, i preparativi per il suo matrimonio erano cominciati prima ancora di essere annunciati, prendendo forma esattamente nelle modalità desiderate da Gesù. A quel punto, alla suora non restò che annunciare pubblicamente il lieto evento, aggiungendo qualche nome alla lista di invitati che il fidanzato le aveva dettato: venne dunque il grande giorno, nel quale Benedetta fece il suo ingresso trionfale incedendo lungo la navata mentre si cantava da sola un inno nuziale, incamminandosi verso l’altare ove lo sposo la aspettava, raggiante di luce.

«Ecce ancilla Dei», furono le prime parole che Gesù disse alla sposa, facendole scivolare all’anulare un anello di pura di luce. E Benedetta ebbe appena il tempo di mormorare «si compia di me secondo la tua parola» prima d’essere invasa da una gioia senza pari… che nemmeno la Madonna riuscì a intaccare quando, di lì a poco, in una eccellente incarnazione delle suocere impiccione, prese da parte la nuora e iniziò a farle una lunga serie di raccomandazioni su cosa fare e non fare da quel momento in poi (sostanzialmente: essere ancor più santa e non peccare).

Con buona pace della Madonna, la realtà è che Gesù sembrava già piuttosto appagato dalla condotta che Benedetta aveva manifestato fino a quel momento. Facendo udire la sua voce tramite le labbra della sua sposa, annunciò alle suore e agli altri invitati di voler fare un discorso di lode in onore di sua moglie; cosa che in effetti capita in molti ricevimenti nuziali, anche se non tutti i brindisi cominciano precisamente in questi termini: «ascoltate, peccatori, la narrazione di tutte le virtù della mia sposa».

E fu una narrazione molto lunga e dettagliata, che partì col resoconto della sua nascita miracolosa e andò avanti per mezz’ora abbondante, con vette di lirismo tipo «persino io che sono Dio rimasi stupefatto quando la vidi per la prima volta», «è per me una colonna solida in mezzo alle onde», «non è uno di quei metalli falsi creati dagli alchimisti: credetemi, è oro puro e splendente». Mettiamola così: non esattamente quel tipo di affermazioni che ci si aspetterebbe di sentir pronunciare a Dio, e in effetti il problema fu proprio quello, cioè che nessuno gliele sentì pronunciare. L’unica cosa che i perplessissimi astanti ebbero modo di vedere e sentire fu Benedetta che parlava da sola, esprimeva i suoi voti nuziali a un Dio invisibile, tendeva la mano per farsela inanellare con un gioiello che vedeva solo lei e poi iniziava a cantare le sue stesse lodi asserendo di star parlando per conto di Gesù.

Ecco: diciamo che fu proprio in quel momento che, prima la prima volta, i presenti furono colti dal dubbio.

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A motivarlo, non fu solamente un improvviso scoppio di buonsenso. Il fatto è che questo bizzarro matrimonio pareva a dir poco anomalo anche agli occhi dei teologi; e persino a quelli di quei religiosi che, in senso astratto, non avrebbero avuto problemi nel credere alla santità di Benedetta. I matrimoni mistici sono un evento che ancor oggi trova spazio nella vita di numerose sante “ufficialmente riconosciute”, ma quella era la prima volta in cui Dio esprimeva il desiderio di sposarsi nel corso di una cerimonia molto pubblica, durante la quale però non si manifestava affatto. O meglio: si faceva vedere solo a una donna, restando invisibile a tutti gli altri.
Quale sarebbe stata la ratio di organizzare un matrimonio in grande stile ordinando alla mistica di invitare decine di persone, se Dio non aveva l’intenzione di sfruttare quel momento per manifestare in modo chiaro la sua voce?

Quella strana cerimonia nuziale lasciò l’amaro in bocca a molti dei sacerdoti presenti, facendo maturare in loro la spiacevole impressione che tutto quell’ambaradan fosse stato ben poco utile a Dio e molto più funzionale all’accrescere l’ego di una suora che, con ogni evidenza, non aveva problemi nell’affrontare le luci della ribalta. E fu così che la luna di miele di Benedetta Carlini e Gesù Cristo si aprì con un processo canonico a carico della giovane sposa, che fu avviato all’indomani del matrimonio.

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A gestirlo fu Stefano Checchi, il prevosto della città di Pescia, un uomo energico e con la testa sulle spalle che conosceva fin troppo bene i presunti fenomeni mistici che da tempo avevano luogo nel convento cittadino e che, con ogni evidenza, si era ormai stufato di accettarli acriticamente.

Il sacerdote non era un inquisitore e non era abituato a confrontarsi con casi di questa portata; purtuttavia, non era uno scemo. Iniziò la sua indagine con la richiesta più ragionevole, cioè quella di poter esaminare le stigmate di Benedetta… e, con sgomento, dovette ammettere che in effetti gli parevano vere: anche dopo essere state lavate, le ferite continuavano a emettere sangue, e tamponarle a lungo con un panno di cotone non bastava a bloccare il sanguinamento. Non del tutto convinto, il sacerdote si propose di effettuare l’esame una seconda volta, a sorpresa: lo fece di lì a qualche settimana, il 14 giugno 1619, presentandosi in convento al mattino presto e senza essersi fatto annunciare. Disgraziatamente per lui, la reazione di Benedetta (e di suo marito) non fu esattamente quella che il sacerdote si sarebbe aspettato: la suora lo accolse straziata da indicibili dolori, con schizzi di sangue che uscivano a fiotti dalle ferite sulla fronte; per contro, Gesù si manifestò (alla moglie) in tutta la sua indicibile potenza, animato di divino sdegno per l’incredulità dei pesciatini, dichiarando d’essere punto di scagliare una pestilenza sulla città se i suoi abitanti non si fossero ravveduti.

Al che, Stefano Checchi ebbe il buon senso di ravvedersi.

Non lo fece immediatamente, a onor del vero: nel corso della sua indagine canonica, sottopose Benedetta a quattordici diversi interrogatori che si protrassero per tutto il corso dell’estate, da metà maggio fino a settembre inoltrato. Furono ascoltati anche altri testimoni, tra cui la fidata suor Bartolomea e le altre religiose del convento: a conti fatti, il prelato dovette ammettere che non era stato in grado di ravvisare elementi tali da giustificare una condanna. Per citare la sintesi di Judith C. Brown, «il comportamento di Benedetta sembrava appropriato per una visionaria: mostrava reticenza nel descrivere le sue esperienze mistiche e aveva sempre espresso il desiderio di obbedire ai suoi superiori» (i quali, dal canto loro, avevano abbandonato ormai da anni ogni possibile sospetto di frode). Perdipiù, le sue stigmate sembravano essere vere; e la sua compagna di cella, suor Bartolomea, aveva avuto modo di assistere in prima persona a molti dei suoi dialoghi con Cristo: «se i criteri per giudicare una mistica erano la presenza di segni verificabili, l’ortodossia delle visioni e il temperamento e le azioni della visionaria, Benedetta sembrava rispondere positivamente a tutte le richieste». Al termine dell’inchiesta, la religiosa, che era stata precauzionalmente privata della sua carica, tornò a essere la badessa del convento: la sua fu una riabilitazione a tutto campo.

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Di lì a un paio d’anni, il 25 marzo 1621, suor Benedetta morì brevemente.
Ritornò alla vita proprio quando padre Ricordati, il cappellano del convento, entrava nella sua stanza per benedire il cadavere: respirando a pieni polmoni, Benedetta si mise a sedere nel letto annunciando di aver ricevuto la grazia di visitare l’Oltretomba. Aveva visto innanzi tutto il Purgatorio, dove naturalmente era restata per pochissimi istanti (giusto il tempo di recitare un’Ave Maria per la salvezza delle anime degli altri peccatori) e poi era salita al cielo, godendo delle beatitudini del Paradiso, dove sarebbe volentieri rimasta; Gesù aveva dovuto impiegare una certa fatica per convincerla a ritornare tra i viventi, spiegandole che il popolo di Pescia aveva ancora bisogno di lei.

In effetti, nel misero mondo dei mortali, esisteva molta gente che aspettava con ansia di poter scambiare qualche parola con la suora; a onor del vero, non si trattava dei Pesciatini quanto più dei giudici della Santa Inquisizione, ai quali non era sfuggita notizia di questa bizzarra storia di estasi e di matrimoni mistici: tra l’estate 1622 e la primavera 1623, Alessandro Giglioli, nunzio pontificio con giurisdizione sulla prevostura di Pescia, diede ordine ai suoi funzionari di sottoporre Benedetta a interrogatori serrati.

Certo: padre Ricordati (il confessore della donna) e don Checchi (il preposto della città di Pescia), avevano già avuto modo di esaminare la mistica, senza riscontrare falsità delle sue affermazioni. Ma è pur vero che si trattava di sacerdoti semplici, e non di funzionari pontifici che avevano ricevuto un apposito training da inquisitori: il nunzio volle andare a fondo alla questione spedendo a Pescia i suoi uomini migliori, e le prime notizie che ricevette da parte loro furono ampiamente sufficienti per allarmarlo: agli occhi esperti dei teologi, la vicenda di Benedetta Carlini sembrava un unicum nella plurisecolare storia ecclesiastica, piena di elementi inediti mai registrati fino ad allora. E, come scrisse uno di loro facendo rapporto al nunzio, «ognuna di queste novità è pericolosa, e ognuna di queste singolarità ci risulta altamente sospetta».

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Ma insomma: quali erano queste anomalie?

Innanzi tutto, sembrava sospetto che molte delle apparizioni mistiche di Benedetta avessero luogo durante le ore canoniche, quelle normalmente deputate alla preghiera. A una suora impostora con scarsa formazione teologica potrebbe forse sembrare molto cool l’idea di dire che la Gesù le si manifesta mentre lei è immersa nella preghiera, ma in realtà non consta che Dio abbia l’abitudine di interrompere le preci della brava gente. Le esperienze dei mistici ufficialmente riconosciuti insegnano che egli, tutt’al più, appare loro subito dopo la fine della preghiera, o meglio ancora in momenti in cui i diretti interessati sono presi da tutt’altra occupazione. Gesù non sembra essere quel tipo di persona che appare a una monaca durante l’ora della compieta, distraendola dai suoi doveri religiosi con strani spogliarelli e scambi di cuore.

Secondariamente, alcune delle esperienze mistiche presentavano velate allusioni sessuali che sembravano fortemente bizzarre nel contesto: è mai possibile che, di fronte al Dio Incarnato, una santa donna venga colta da sentimenti di pudore alla richiesta di denudare il petto? Agli inquisitori, pareva una nota stonata; ma mai stonata quanto quella secondo cui Iddio Onnipotente avrebbe avuto bisogno dell’ausilio di suor Bartolomea per riuscire a infilare il suo Sacro Cuore all’interno del petto nudo di Benedetta. Al di là di ogni altra possibile considerazione sulla plausibilità di questo scambio cardiaco, perché mai l’Onnipotente avrebbe dovuto fingere la necessità di ottenere un aiuto esterno? Certo, i piani del Signore sono spesso incomprensibili ai mortali; ma nel progetto divino di salvezza, quale mai avrebbe potuto essere il valore aggiunto di avere una suora che palpa a più riprese il petto di una consorella per verificare l’assenza del cuore e poi per ricollocare l’organo in sede consona?

In terzo luogo, parevano fortemente problematiche le affermazioni di suor Benedetta riguardo agli angeli: l’idea di avere un secondo angelo custode sembrava contraria a qualsiasi logica, e anzi blandamente ereticale. Perdipiù, accade ben di rado che gli angeli vogliano rivelare il proprio nome ai mortali. Ed è pur vero che, nel caso di Benedetta, era stato Gesù stesso a comunicarle il nome di Splenditello, lo spirito che le aveva appena assegnato come guardiano; ma la cosa non rincuorò proprio per niente i sacerdoti, che anzi inorridirono nel sentirlo pronunciare per la prima volta. Gli inquisitori dell’epoca sapevano bene che i veri nomi angelici finiscono tutti in -ele, e che il suffisso -ello denota invece un nome demoniaco (…ricordate Lucifello, uno dei ‘diavoli custodi’ che compare nel mio libro sulla caccia alle streghe? Ecco).

Come se non bastasse: messe alle strette con i consueti metodi di persuasione (solamente retorica, in questo caso) che gli inquisitori esperti sanno ben utilizzare, alcune delle consorelle di Benedetta cominciarono a svuotare il sacco. Per esempio: era noto che, dopo il dono delle stigmate, la santa in terra avesse ricevuto l’ordine di astenersi dalle carni; eppure, una delle suore, pulendo la sua camera, aveva trovato ben nascosta nell’armadio una grossa mortadella cremonese, con tanto di coltello pronto ad affettarla.

In un’altra occasione, Benedetta aveva annunciato di aver ricevuto un segno visibile della sua grazia, là dove le sacratissime labbra di Cristo si erano posate per baciarla: e, in effetti, una stella dorata le era apparsa in fronte, stazionando lì per qualche tempo. Il problema è che molte suore avevano avuto la forte impressione che quella stella dorata fosse semplicemente un ornamento che la religiosa s’era appiccicata in faccia; e una mattina, sbirciando oltre la serratura della stanza di Benedetta, una suora l’aveva vista mettersela in fronte utilizzando tanto di colla.

In effetti, spiando attraverso il buco della serratura, alcune suore avevano visto anche altre cose a dir poco interessanti. Innanzi tutto, avevano notato Benedetta conficcarsi aghi e coltelli nelle stigmate, come a voler riaprire ferite che si stavano ormai cicatrizzando; non di meno, avevano scoperto che il rapporto tra la mistica e la sua compagna di stanza aveva preso pieghe decisamente curiose, che ben difficilmente s’addicono alla vita d’una santa in terra. Come il trailer italiano del film di Paul Verhoeven illustra con apprezzabile grado di dettaglio (aka: se mi leggete da un luogo pubblico potreste voler non far partire il video)

sì scoprì che le due suore intrattenevano abitualmente rapporti sessuali. E tuttavia, non con un dildo ricavato da oggetti di culto: questo è un grave scivolone del regista, ed è una affermazione che vi posso dare per certa perché gli inquisitori ebbero molta cura nell’assicurarsi di cosa esattamente facessero le due donne. Visto che la stampa italiana sembra considerarla la questione principale della storia, fornirò anche qualche informazione in più per i più morbos curiosi (scusino tutti gli altri il grado di dettaglio): le due suore si baciavano sulla bocca e sul seno e si stimolavano reciprocamente; esternamente attraverso lo sfregamento del pube, mimando un rapporto sessuale tra uomo e donna, e talvolta internamente attraverso l’uso delle dita (e di nient’altro: lo sappiamo per certo, perché gli inquisitori vollero informarsene). Sembrano precisazioni fine a se stesse, ma in realtà i prelati ci si soffermarono con attenzione perché avevano bisogno di tutti i dettagli possibili per inquadrare esattamente la colpa delle due donne: tecnicamente, il peccato di sodomia veniva associato alla penetrazione (ma in questo caso, c’era tecnicamente stata?); diversamente, sarebbe stato necessario parlare di mollizia, un peccato comunque grave ma meno detestabile per utilizzare il linguaggio dell’epoca.

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Ma com’era stato possibile che Benedetta e Bartolomea finissero con l’adottare questo tipo di comportamenti? Spero molto che il film di Verhoeven non riduca la loro vicenda a una love-story lesbo come tante, perché così facendo andrebbe a perdere la parte più intrigante, e soprannaturale (ed eretica) di questa storia: quando suor Bartolomea, denunciata dalle consorelle, fu interrogata dagli inquisitori e messa alle strette, mostrò di essere perfettamente in buona fede nel giurare che, per quanto ne sapeva, lei non aveva mai avuto rapporti sessuali con Benedetta. I rapporti sessuali, lei li aveva con Splenditello, l’angelo custode dal nome demoniaco: di tanto in tanto, quell’essere celeste possedeva il corpo di Benedetta e manifestava l’insolito desiderio di amare carnalmente Bartolomea («non meno di tre volte a settimana, e ogni volta anche per due o tre ore di fila» ci tennero a farci sapere gli inquisitori).

Si sa che talvolta le brave ragazze sono un po’ restie a concedersi all’uom angel demone che le desidera, e per vincere la loro naturale riservatezza servono parole roboanti e la promessa di impegni a lungo termine. Il saggio Splenditello aveva imparato bene la lezione: e infatti, tra un bacio e l’altro, ripeteva spesso alla sua amata che presto sarebbe stato suo. Benedetta, a suo dire, non aveva più molto da vivere; a quel punto, libero dai doveri nei confronti della sua assistita, lui sarebbe stato libero di dedicarsi a tempo pieno a colei che in cuor suo veramente amava: cioè giustappunto Bartolomea, diventando il suo angelo custode. E, naturalmente, non v’era nulla di peccaminoso in quei baci e in quelle carezze (quando mai, un angelo di Dio potrebbe fare qualcosa di men che santo?); anzi, il peccato sarebbe stato quello di farsi venire lo scrupolo di parlarne in confessione, perché ciò avrebbe voluto dire dubitare della parola di Splenditello. La ragione per cui Dio gli permetteva, anzi gli ordinava, di far sperimentare a Bartolomea quei soavi piaceri celesti era proprio quella di ricompensare la donna per la sua condotta impeccabile, santa e pura al di là ogni aspettativa. E di fronte ad affermazioni di simile tenore, pronunciate dalle vive labbra di una mistica stigmatizzata che tutto il clero locale riveriva come una santa in terra, la timida suor Bartolomea avrebbe forse potuto trovare il coraggio di sottrarsi a quelle celesti avances?

Il rapporto che, nella primavera del 1623, gli inquisitori fecero pervenire al nunzio pontificio si conclude sostanzialmente su queste note: del resto, la vicenda parlava da sé e non aveva bisogno di particolari commenti a margine. La colpa di questo scempio fu attribuita in larga parte a padre Ricordati, il confessore di Benedetta e delle sue consorelle, «un uomo semplice e ormai anziano», per citare le parole dei funzionari pontifici, che forse in buona fede s’era lasciato ingannare dai roboanti racconti della donna, finendo per legittimarla agli occhi del clero e delle altre suore e ponendo le basi per quella tragica spirale verso il peccato.

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Non sappiamo con esattezza cosa avvenne dopo la chiusura delle indagini. Per citare Judith C. Brown, «per i quarant’anni successivi, la storia di Benedetta Carlini resta avvolta nel mistero». Non risulta affatto che la suora sia stata realmente minacciata di morire sul rogo, come invece si intravvede nel trailer del film. Tanto per intenderci, se ciò fosse accaduto sarebbe certamente stato in virtù delle sue affermazioni ereticali, e non delle attività lesbiche… ma, in ogni caso, l’Inquisizione romana bruciava sul rogo solamente gli eretici che rifiutavano di pentirsi (o quelli che, dopo una mendace abiura, ritornavano a praticare gli errori di un tempo). Onestamente, non abbiamo prove (né particolari motivi per sospettare) che Benedetta Carlini potesse rientrare in una delle due categorie.
Anzi.
Continua infatti Judith C. Brown «non esistono copie del pronunciamento del nunzio pontificio, ed è solamente un caso fortuito a permetterci di intuire l’esito del processo. Parlo del diario di una suora, di cui non conosciamo il nome, che il 7 agosto 1661 appuntò nel suo quaderno la notizia per cui ‘Benedetta Carlini è morta all’età di 71, per febbre e dolori colici, dopo diciotto anni di malattia. È morta in penitenza, dopo aver trascorso trentacinque anni in carcere’». Insomma, verrebbe da pensare a una monaca che, dopo esser stata dichiarata eretica, ha il buonsenso di sottoporsi ad abiura per conservare salva la vita (finita in carcere, sì… ma quantomeno non su una pira accesa).

Che ne fu di suor Bartolomea, la sua compagna di avventure erotiche?
Non ne abbiamo la più pallida idea, e onestamente ho il sospetto che la cosa interessi noi moderni molto più di quanto interessò gli inquisitori del passato. Presumibilmente la donna se la cavò con una confessione e con un periodo di penitenza più o meno prolungato: in fin dei conti, era solo una suora peccatrice che aveva praticato sesso lesbico con una consorella. Contrariamente a quanto sembrano voler dire le recensioni apparse in queste ore, questo aspetto era ben lungi dall’essere il dettaglio più importante di questa storia.


Per approfondire: Judith C. Brown, Immodest Acts. The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (Oxford University Press, 1986)

3 risposte a "La vera storia dietro a “Benedetta” di Verhoeven"

  1. MARIA SILVIA CIRELLI

    È probabilmente l’articolo più disturbante che abbia letto sul tuo blog 😅 mi permetto un’osservazione : ultimamente vanno un sacco di moda film e serie con storie inventate dove la Chiesa sarebbe foriera di feroci superstizioni (pensa per esempio al successo del film Il prodigo con Florence Pough). Poi c’è una storia vera dove abbiamo modo di capire come invece la Chiesa sia stata sempre molto cauta nel valutare i fenomeni soprannaturali… E niente, non sanno raccontarla e si concentrano su dettagli morbosi e pruriginosi (poi figurati, con pure la tematica LGBT, vuoi mai perdere l’occasione) 😅

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  2. Elisabetta

    Anche a me questo articolo crea inquietudine per il tema trattato, non per i modi. Lucia, sei stata fin troppo onesta intellettualmente nella tua disamina oggettiva e nel dimostrarti aperta al film.
    Io , che come al solito sono irriverente, e non ho inclinazioni accademiche, dopo aver visto i trailer mi aspetto una trashata in piena regola.
    Prove indiziarie estetiche: suore giovani con ottima messa in piega, scene osè alla luce del camino, città pulitissime, solite scritte maiuscole rosse su sfondo nero per il titolo, canti gregoriani ecc. ecc.
    Prove indiziarie tematiche: sessualità lesbo chic, mistero sulle visioni, intervento dell’autorità eccelsiastica cattiva.
    Pare che ormai Hollywood / il cinema abbia creato un format sul cattolicesimo, visto come esotico, intorno a: corruzione, sessualità proibita, repressione, soprannaturale malvagio. Vedi i vari Met gala, Dan Brown, Young pope, Esorcista ecc.
    Dulcis in fundo anche il film con Russel Crow- Amorth.

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