La strega come simbolo del potere femminile nell’entertainment dell’Occidente contemporaneo

E poi, a un certo punto, l’industria dell’entertainment si rese conto che le streghe, se impiegate opportunamente, erano capaci di procurare grandi utili all’impresa.

Fu una scoperta iniziata in sordina: così tanto in sordina che noi Italiani non riuscimmo nemmeno ad accorgercene. Ma, negli Stati Uniti, qualcosa aveva cominciato a muoversi già nei primissimi anni del dopoguerra, quando alcuni autori di romanzi scoprirono che le teenager anni ’40 sembravano singolarmente inclini a esplorare le vicende che avevano condotto sul rogo le loro coetanee vissute e vessate a Salem. Rese improvvisamente celebri da The Devil in Massachusetts, un saggio storico di grande successo pubblicato nel 1949, le streghe del New England (molte delle quali erano in effetti adolescenti, all’epoca dei fatti) sembravano i personaggi perfetti per dialogare con le giovinette anni ’40, divise tra la voglia di ribellarsi al conformismo e la necessità di non farsi venire troppi grilli per la testa.

In un’epoca in cui la delinquenza giovanile faceva paura quasi quanto la minaccia comunista (e anzi, da molti pedagoghi era considerata la seconda faccia della stessa medaglia), i romanzetti ambientati durante la caccia alle streghe di Salem offrivano importanti lezioni agli adolescenti – e anche ai loro genitori, se nel caso. Se alcuni autori vollero attribuire la tragedia di Salem alle malefatte di poche ragazze fuori controllo che, con la loro trasgressività sfrontata, erano riuscite a far sprofondare nel caos un intero villaggio pieno di innocenti, nel 1953 debuttò a Brodway uno spettacolo di Arthur Miller, nel quale il rigore puritano delle rigidissime autorità di Salem era paragonato all’opprimente clima politico del maccartismo, che criminalizzava e ostracizzava chiunque manifestasse idee anche solo vagamente filo-sovietiche. Fra l’altro, basandosi su accuse che, nella maggior parte dei casi, mostravano d’essere totalmente prive di fondamento; o quantomeno, era questo il pensiero di Miller, che nel suo Il crogiuolo portò in scena un gruppetto di ragazze alle prese con i classici problemi della vita di ogni giorno: amori non corrisposti, cotte violentissime, ormoni da tenere a bada, piccoli episodi di bullismo e gelosia. Se qualcuno degli adulti avesse avuto il buonsenso di parlare a queste giovani, invece d’affrettarsi ad accendere la pira su cui giustiziarle, probabilmente la tragedia non si sarebbe mai compiuta: un monito valido anche per l’Occidente del Novecento, almeno secondo il pensiero dello sceneggiatore (che, per inciso, era il marito di Marylin Monroe. Non c’entra niente, ma non si poteva non dirlo).

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E fu grossomodo in quel momento storico che il grande pubblico si scoprì improvvisamente capace di empatizzare con le streghe. Fino a quel momento, ben pochi narratori avevano avuto il coraggio di scrivere romanzi in cui queste donne erano le eroine positive della situazione. Sì, c’erano stati alcuni tentativi di narrare le vicende di donne andate sul rogo, ma si trattava perlopiù di romanzi di formazione attraverso i quali il lettore aveva modo di assistere alla degenerazione morale della protagonista, fino al momento della sua redenzione finale in extremis con ripudio di tutte le scelte passate.

Ma indurre il lettore a empatizzare con una eroina strega in quanto tale?
Na: nessuno aveva mai osato tentare un’operazione simile (e, del resto, bisognerebbe essere donne piuttosto eccentriche per affermare convintamente “oh sì, io mi identifico tantissimo con una terrorista infanticida asservita a Satana”, che era poi il ritratto-tipo della strega nella mentalità occidentale d’età moderna). Il primo a tentare questa operazione rivoluzionaria fu Ray Bradbury, che negli anni del primo dopoguerra diede il via a una prolifica serie di racconti apertisi nel 1946 con The Traveler e conclusi nel 2001 con From the Dust Returned. La protagonista del ciclo è la giovane Cecy Miller, una ragazza che sarebbe una normalissima adolescente se non fosse per quel piccolo dettaglio di essere una strega, nata in una famiglia interamente composta da creature soprannaturali. L’ambientazione è così surreale da richiedere necessariamente al lettore ampie dosi di sospensione dell’incredulità (tanto per capirci, Cecy ha tra i parenti anche una mummia parlante); e questo permette a Bradbury di creare un universo in cui il Male è del tutto assente. Del resto, asservirsi a Satana non è più indispensabile a giustificare ‘logicamente’ il possesso di poteri magici, se è l’intero universo fantasy in cui vivono i protagonisti a funzionare secondo logiche “altre” rispetto a quelle del mondo reale.
E così, mentre Cecy si trova a vivere i problemi di una qualsiasi adolescente-media (i genitori non approvano la sua relazione con un ragazzo umano temendo che potrebbero nascerne figli privi di poteri magici; frustrata per un due di picche, la streghetta sfrutta le sue abilità per possedere i corpi di ragazze più grandi e capire cosa si prova a essere donne adulte, indipendenti e corteggiate dagli uomini), le giovani lettrici si scoprirono per la prima volta capaci di empatizzare con una strega a tutti gli effetti.

Di lì a qualche anno, quelle stesse lettrici ormai cresciute avrebbero avuto la piacevole sorpresa di trovare, sul piccolo schermo, una degna erede della streghetta letteraria della loro adolescenza. Samantha Stephens, protagonista della sitcom Vita da strega (1964), è una fattucchiera buona e bellissima, che coniuga la sua apparenza di angelo del focolare con un tocco di ribellione femminile di cui va ben fiera. La protagonista ama teneramente suo marito, eppure gli nasconde un segreto non da poco aspettando la prima notte di nozze per parlagli dei suoi poteri magici; nonostante le richieste di lui, rifiuta ostinatamente di rigettare quel dono che è parte integrante della sua personalità (ma, al tempo stesso, tiene testa ai suoi parenti che la accusano d’aver sposato l’uomo sbagliato).

Insomma: Samantha potrebbe essere definita la prima strega proto-femminista del piccolo schermo. Una qualifica non da poco, tenuto conto del fatto che, a partire dal 1968, i movimenti femministi si sarebbero a più riprese identificati con le streghe del passato, ormai viste (e raccontate) nei termini (un po’ impropri) di donne ribelli che hanno rifiutato di piegarsi al patriarcato e al conformismo, e per questo sono state costrette a pagare con la vita. Ma, come recita un famoso slogan femminista divenuto molto popolare negli ultimi dieci anni, «noi siamo le eredi di quelle streghe che non siete riusciti a bruciare». Col sottinteso implicito di: e se non siete riusciti a bruciare le nostre nonne, figuriamoci se riuscirete a fermare noi.

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Non amo particolarmente questa chiave interpretativa, che dal punto di vista storiografico ha fatto grossi danni finendo con l’appiattire, agli occhi del grande pubblico, l’intero dibattito attorno al tema della caccia alle streghe (un tema che, carte alla mano, ben difficilmente potrebbe essere riassunto nei termini di una banale lotta tra sessi. C’è ben di più, dietro ai roghi che infiammarono l’Europa dell’età moderna, come ho provato a scrivere nel mio libro).

Ma ormai è andata; e nell’immaginario dell’Occidente contemporaneo, la figura della strega buona ha saldamente assunto il ruolo di eroina positiva, capace di incarnare ideali femministi pieni di rivalsa sociale. Sennonché (carte, anzi: pellicole alla mano) restano comunque piuttosto bizzarri gli ideali di potenza femminile incarnati da queste streghe del terzo millennio, nella produzione letteraria e cinematografica. Qualcuno (tra cui io) potrebbe addirittura spingersi a sostituire l’aggettivo “bizzarri” con quello di “vagamente disturbanti”: e infatti, in anni recenti, sono stati pubblicati numerosi studi (di buon livello e interessantissimi), dedicati ad analizzare i modi e i termini in cui l’industria dell’entertainment tende a dipingere queste donne di potere. Se la strega letteraria del terzo millennio deve essere il personaggio che indica alle donne d’oggi la strada da percorrere per esprimere al meglio le loro potenzialità nascoste, a molti pare che questa strada sia in ogni caso parecchio discutibile e comunque piena di stereotipi.

Volete qualche esempio? Ecco i cinque più frequenti:

1) Lo stereotipo della donna che è er mejo, senza la quale il mondo intero crollerebbe

Se c’è un topos letterario che tende a triggherare pesantemente gli storici della Magia, questo è l’idea dei poteri magici che si trasmettono per via ereditaria di madre in figlia (e che, peraltro, non è mai stata presente nella concezione della magia occidentale. In Europa e nel bacino del Mediterraneo, nessuno e mai è mai stato accusato di avere poteri magici per il fatto stesso di averli ereditati da un parente: uno scenario che, fra l’altro, avrebbe anche frenato sul nascere qualsiasi velleità di far scoppiare una caccia alle streghe, perché se queste poverette vengono al mondo già tarate, con poteri magici che non hanno mai richiesto… con che cuore le autorità le potrebbero incarcerare? Semmai sarebbero tenuti ad aiutarle, come si fa con un disabile o con un posseduto da esorcizzare).

E invece, le streghe letterarie dei nostri giorni ereditano sistematicamente i loro poteri dalle loro antenate femmine, in una catena ininterrotta che, attraverso le generazioni, le ricollega alle grandi streghe del passato e che, in alcuni casi, addirittura non tiene conto degli eredi maschi, tristemente condannati dal destino a una vita ordinaria e grigia. Ma non solo: anche in quegli universi fantasy in cui i praticanti di magia sono equamente ripartiti tra maschi e femmine, state pur certi che, sotto sotto, a un certo punto salterà fuori che è sempre una donna quella che ha i poteri più grandi, l’intelletto più acuto e la capacità di salvare il mondo. Ultimamente, è molto raro che i predestinati siano maschi.
E persino nel mondo di Harry Potter, incentrato per definizione su un eroe di sesso maschile, ciò che davvero cambia le carte in tavola è lo spirito di sacrificio con cui una madre si annulla per suo figlio, dando per lui la vita: un sotteso che, recentemente, molti attivisti hanno definito “retrogrado” e “patriarcale” nelle polemiche seguite alle dichiarazioni di J.K. Rowling su temi cari al mondo LGBT.

Ma se le donne del mondo di Harry Potter si piegano a logiche retrograde e patriarcali per il solo fatto di amare i figli, non saprei francamente come definire le streghe che popolano altri universi di urban fantasy.

2) Lo stereotipo della strega femminista e sexy che però, sul lavoro, deve comportarsi come un maschio

Le femministe di inizio anni 2000 dovettero accogliere con vivo entusiasmo la serie televisiva Charmed (Streghe), creata da due pezzi da novanta: Constance Burge, la sceneggiatrice di Ally McBeal, e Aaron Spelling, produttore di Charlie’s Angel e Beverly Hills. In effetti, le speranze furono ampiamente soddisfatte, almeno all’apparenza: le protagoniste sono tre sorelle che scoprono e fanno maturare i loro poteri magici (naturalmente trasmessi loro per via ereditaria, e mille volte più potenti rispetto a quelli dei loro nemici), vivendo immerse in una quotidianità che le vede spaziare dai normali problemi di tutti i giorni alla necessità di salvare il mondo dalle forze del male.
Le tre sorelle sono donne forti e indipendenti, femminili e femministe al tempo stesso: essere le salvatrici dell’umanità non impedisce loro di camminare su tacchi a spillo, di avere un lavoro e di godere, nel tempo libero, di un’appagante e variegata vita sessuale. Per contro, le forze negative contro cui lottano le tre sorelle sono quasi sempre incarnate in demoni dall’aspetto maschile: ogni singola puntata della serie mette in scena una lotta tra il bene e il male che, di fatto, è al tempo stesso una guerra tra sessi.

Eppure, per altri aspetti, l’universo magico di Charmed presenta dettagli che hanno fatto storcere il naso a molte osservatrici e che, in certa misura, sembrano dirla lunga sul modo in cui l’Occidente anni ’90 guardava alle donne potenti e in carriera.
Per dirne una: nella serie, i subplot sentimentali occupano uno spazio di tutto rispetto e, soprattutto, risultano rilevanti nell’economia globale della trama. Affiancate da galanti angeli guardiani e sedotte da demoni sotto mentite spoglie, le tre protagoniste si trovano, inconsapevolmente, a scrivere il loro destino sulla base dell’individuo con cui scelgono di andare a letto. Le avventure romantiche che le vedono protagoniste sembrerebbero quasi la versione moderna dei sabba dell’immaginario cinquecentesco, là dove la strega acquisiva i suoi poteri solamente dopo essersi carnalmente concessa a Satana; e, curiosamente, sembra strizzar l’occhio al Malleus Maleficarum anche l’insistenza con cui gli sceneggiatori di Charmed sottolineano la pericolosità dell’emotività femminile, così potente eppure così dannosa per la pratica magica.

Se in balia di sentimenti troppo forti (per non parlare poi dell’attrazione sessuale nei confronti dell’uomo demone sbagliato), e talvolta messe a dura prova da questioni squisitamente ormonali come la sindrome premestruale, le potentissime streghe di Charmed perdono il controllo dei loro poteri, fanno danni senza volerlo, vedono drammaticamente inficiata la loro performance sul campo. La magia è sì un talento che scorre loro nel sangue, ma necessita di essere incanalata attraverso una cerimonialità che, se vogliamo, è molto più simile a quella che noi assoceremmo istintivamente a un mago maschio, tipo Gandalf o Merlino. Nulla di buono si ottiene senza un adeguato studio; e per funzionare, gli incantesimi pronunciati dalle sorelle debbono necessariamente essere scritti in un libro che le donne conservano gelosamente nella soffitta di casa loro. Se la nostra idea di strega è quella di una donna un po’ ribelle che vive in perfetta comunione con la natura e da essa trae la linfa che le permette di esprimere il suo potere, le streghe di Charmed hanno ben poco di stregonesco. Anzi: agli occhi di un esperto della materia, potrebbero sembrare la versione post-settantottina di un mago in gonnella e tacchi a spillo, con make-up marcato e fiori tra i capelli.

Diciamo pure che le tre protagoniste sono donne in carriera, eleganti e seducenti, che devono però abbandonare tutta la loro femminilità nel momento in cui entrano “nel mondo del lavoro magico”. In quel frangente, sarà molto meglio sopprimere le proprie emozioni (e persino la propria biologia) e adottare il modus operandi di un professionista maschio: solo in tal modo si riuscirà a prevalere, avendo la meglio sulla spietata concorrenza in cravatta.

3) Lo stereotipo della strega come donna traumatizzata che trae linfa dal dolore

Una visione completamente opposta della magia è quella che ritroviamo in The Magicians (I Maghi), una serie televisiva andata in onda dal 2015 al 2020 e ispirata all’omonimo romanzo di David Grossman (2009). Come spiega iconicamente il tormentato personaggio di Elliot Waugh, «essere buoni maghi non ha niente a che vedere col talento. La magia nasce dal dolore»: in questo universo fantasy, esistono sì dei poteri innati che devono essere coltivati e messi a frutto, ma sono le emozioni (meglio ancora se negative) il vero carburante che permette loro di funzionare.

In effetti, per la maggior parte dei protagonisti, sono traumi, lutti, shock, sindromi post-traumatiche e stati emotivi fortemente alterati a promuovere una improvvisa esplosione di potere che permette loro di progredire nella pratica. Il caso eclatante (e più disturbante) è quello di Julia Wicker – che naturalmente, essendo una donna, è uno dei più talentuosi maghi della serie. Ebbene: dopo molte difficoltà iniziali, Julia riesce finalmente ad attingere ai suoi poteri nel disperatissimo tentativo di difendersi da una violenza sessuale subita nei luridi bagni di un pub, durante la sua festa di compleanno. A perpetrare l’atto criminale è un suo amico (?) stregone, che con candore spiegherà poi di avere fatto ciò che riteneva necessario per sbloccare i poteri della ragazza (e si direbbe non del tutto a torto, a giudicare dai risultati. In effetti, neanche Julia mostra d’essersela presa troppo). Ma non finisce qui, anche perché ‘sta poveraccia subirà di lì a poco violenze sessuali ancor più gravi, finendo anche con lo scoprirsi incinta (e impossibilitata ad abortire, a causa del soprannaturale attaccamento alla vita mostrato dall’essere non-umano che porta in grembo).

Se la povera Julia ha palesemente vinto le olimpiadi della jella, non se la passino molto meglio gli altri protagonisti, quasi tutti alle prese con sensi di colpa, lutti mai risolti, dipendenze da alcool e psicofarmaci e situazioni psicologiche che certamente trarrebbero giovamento da una qualche seduta di terapia. Non a caso, alcuni educatori si sono anche chiesti fino a che punto sia positivo questo goduto indulgere in un clima da trauma-core per giustificare la crescita umana dei protagonisti, come se ogni loro singolo progresso dovesse necessariamente passare per un evento traumatico. Il singolare destino di Julia Wicker, poi, riflette un trend più ampio nell’urban fantasy contemporaneo, e cioè

4) La disturbante abbondanza di violenza sessuale a carico delle streghe nell’urban fantasy

«La notevole presenza di episodi di violenza sessuale nell’urban fantasy riflette la grande diffusione del dialogo circa la violenza sessuale che si registra attualmente nella cultura contemporanea occidentale» scrive Jo Hobson, richiamandosi per esempio alla grande popolarità del movimento Me Too e alla vocalità con cui molte donne hanno cominciato a condividere senza più vergogna gli episodi di violenza che le hanno viste protagoniste, per sensibilizzare l’opinione pubblica circa la pervasività del fenomeno.

Un fenomeno che sembra essere particolarmente pervasivo nell’urban fantasy: lì, le donne farebbero bene ad armarsi di spray al peperoncino tutte le volte che mettono il naso fuori da casa propria, a giudicare dallo sconfortante catalogo di violenze sessuali a danni delle streghe che Jo Hobson compila, passando in rassegna numerose serie di successo.

In alcuni casi, la disturbante facilità con cui le eroine si trovano oggetto di attenzioni sessuali non desiderate si lega a una curiosa visione della verginità intesa come uno status eccezionale che conferisce alle donne un surplus di potere. Questa implicita esaltazione della purezza fisica (simile a quella che ritroviamo in alcuni romanzi medievali incentrati sul ciclo del Graal) sembra a dir poco bizzarra in una società come quella contemporanea; eppure, evidentemente, riesce ancora a fare presa sugli spettatori, a giudicare dalla frequenza con cui la riscontra. Il caso eclatante è probabilmente quello di Fiji Cavanaugh, una delle protagoniste della serie televisiva Midnight, Texas: una strega potentissima per dono di natura, ma resa ancor più invincibile dal suo essere illibata. In effetti, i casi della vita hanno fatto sì che la donna arrivasse vergine a un’età piuttosto adulta. Ma quello di Fiji è un bonus pericoloso da possedere, perché un demone malvagio si mette alle sue calcagna, determinato a violentarla per farle perdere questo surplus di potere extra: quando ormai tutto sembra essere perduto e gli eserciti infernali incombono minacciosi, è più che altro il senso del dovere a far sì che un amico di Fiji si offra di risolvere il problema alla radice, fornendo alla strega una “prima volta” che tutto sommato non dispiace a nessuno dei due, se non fosse per il contesto apocalittico che inficia leggermente la serenità del momento.

Dopo quella notte d’amore, Fiji può finalmente dirsi al riparo dalle minacce del suo stalker demoniaco: ma a che prezzo? I suoi poteri, effettivamente, hanno subito un crollo verticale (divenendo però anche più controllabili. Ci avrà fatto un affare?).

5) Il topos della strega ribelle che non ha paura di far paura

Le terrificanti avventure di Sabrina, andate in onda dal 2018 al 2020 come reboot in chiave dark-fantasy del ben più allegro Sabrina, vita da strega (1996-2003) passeranno probabilmente alla storia per l’essere la serie che ha procurato ai suoi produttori una denuncia da parte del Tempio di Satana, i cui leader spirituali si sono ritenuti lesi dai toni eccessivamente cupi con cui Netflix ha dipinto i movimenti satanisti.

Tralasciando l’ironia dell’intera situazione, ci sarebbe quasi da dire che, in effetti, vien da capirli: Sabrina Spellman vive immersa in un universo così cupo da sembrare fuoruscito dagli incubi di un inquisitore cinquecentesco particolarmente paranoico, in cui la malvagità dei servi di Satana si combina a un atteggiamento fortemente maschilista (più volte, nel corso della serie, i poteri magici delle donne vengono definiti di livello inferiore, buoni solo a preparar pozioni e poco altro). Naturalmente, l’intrepida Sabrina non si piega ai diktat che arrivano dall’alto, in questa cupa società misogina e patriarcale: rifiutandosi di vendere la sua anima al diavolo, come le streghe dovrebbero fare al compimento dei sedici anni, rifiuta al tempo stesso di piegarsi a quella che sarebbe la soluzione ragionevole in quel contesto, cioè scappar via fortissimo e cercare di far perdere le sue tracce. E invece no: Sabrina lotta per poter frequentare in ogni caso la diabolica scuola di magia per streghe e stregoni. Si mette in diretta concorrenza con i colleghi maschi e afferma il suo potere nonostante (e anzi: grazie a) episodi di vessazione pubblica da parte dei crudeli professori. A tratti, sembra di scorgere l’eco di alcuni topoi tipici del martirio delle sante dei primi secoli, laddove Sabrina si sottopone volontariamente a persecuzioni ingiuste, con irriducibile fermezza d’animo, finendo col procurare numerose “conversioni di cuore” tra i compagni di classe, che cominciano a guardare con occhi diversi a lei e a tutte le altre donne con poteri magici.

Non lo fa, però, con la dolcezza muliebre di una verginella che lotta contro le forze del male nel suo candido vestito bianco: Sabrina è una strega moderna e cool, che veste minigonne e abiti pieni di trasparenze e mostra molta disinvoltura nel muoversi in un mondo oscuro pieno di ceri scuri, teschi animali, pentacoli capovolti e altre simbologie inquietanti (così tanto da aver inquietato pure il Tempio di Satana, stando a quanto si legge nella denuncia), che attingono a piene mani al più cupo immaginario legato al mondo della magia nera.

In fin dei conti, anche questa scelta stilistica riflette un trend che si registra realmente tra molte adolescenti contemporanee: lo spiegava bene, qualche tempo fa, Laurie Penny, firmando un articolo eloquentemente titolato Witch Kids of Instagram. Taking the measure of the boom in online occultism (…e correva l’anno 2017. L’autrice non aveva ancora avuto modo di assistere al boom dell’occultismo su TikTok, là dove la stregoneria adolescenziale è davvero un trend emergente).

A giudizio della giornalista, «un generale senso di impotenza in una società competitiva e caotica, accompagnato al rinato interesse per forme di femminismo in cui le attiviste non si fanno problemi nell’intimorire i loro interlocutori, potrebbe spiegare il crescente appeal che la stregoneria sembra esercitare su molti giovani, sia dal punto di vista strettamente pratico che da quello legato a una estetica culturale. La passione per la stregoneria ostentata […] con teschi, budella e corvi neri usati a mo’ di paraphernalia, sono nulla più di una uniforme che queste giovani donne indossano per indicare il loro intento. Non sono una brava ragazza sorridente, non sono una principessina che risponde agli ordini: sono qualcosa di diverso, di più oscuro e minaccioso. Ce ne sono altre come me, là fuori. Fareste meglio a prepararvi».

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Insomma: per essere icone femministe, queste streghe letterarie del terzo millennio risultano essere figure fortemente stereotipate (non so cosa ne pensiate voi, ma io trovo francamente svilenti una buona parte degli scenari qui riassunti, e se mai dovessi mettermi in testa di scrivere un romanzo fantasy avrei cura di tenermi ben lontana da questi improbabili ritratti di donna). Però, per certi versi, trovo molto interessante analizzare il modo in cui questi personaggi femminili, potenti e di successo, vengono presentati al grande pubblico (che, in effetti, riesce anche a farseli piacere). Probabilmente, anche questa è una lezione sul modo in cui il mondo contemporaneo occidentale guarda alla femminilità ribelle e all’essere donne di successo.


Per approfondire:

  • Amanda Jo Hobson: Bewitching Bodies. Sex, Violence, and Magic in Urban Fantasy, in: Gender Warriors. Reading Contemporary Urban Fantasy (Brill, 2019)
  • Miranda Corcoran, Teen Witches. Witchcraft and Adolescence in American Popular Culture (University of Wales Press, 2022)
  • Laurie Penny, Witch Kids of Instagram. Taking the measure of the boom in online occultism (The Baffler, 2017)
  • Marley Stuever-Williford, Hex Appeal. The Body of the Witch in Popular Culture (Bowling Green State University, 2021)

8 risposte a "La strega come simbolo del potere femminile nell’entertainment dell’Occidente contemporaneo"

  1. Umberta Mesina

    Il termine “icone” è appropriatissimo perché tutte le icone sono stereotipate. A me, infatti, alcuni di questi personaggi sembrano noiosi da morire.

    Ti dico una cosa che forse non sai. In letteratura, il primo testo di mia conoscenza in cui è presente una strega che eredita i suoi poteri dalla madre è del 1911: è un lavoro teatrale di Hans Wiers-Jenssen, in inglese si intitola “The Witch”. Chesterton ci scrisse un articolo, “Witches and Modern Sin” (sono almeno sei anni che vorrei tradurlo ma non mi ci metto mai).

    La considerazione interessante che fa GKC è che le “vecchie” streghe erano tali perché erano libere di esserlo: era una scelta loro. Invece le streghe “nuove” non possono scegliere, sono schiave dell’ereditarietà. Rimasi molto colpita quando scopersi questo articolo, perché anch’io mi ero chiesta più volte da dove venisse l’idea dei poteri ereditati, quando la nostra tradizione aveva sempre parlato di un libero contratto, diciamo. Chesterton non dice che questa sia la prima volta in cui appare un simile personaggio, ma si potrebbe pensarlo dal modo in cui si esprime; dopotutto, era un grande conoscitore di letteratura europea.

    Chissà se queste icone femminili nascono da un sentimento di poca libertà, che va in giro da un secolo e mezzo?

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  2. Lurkerella

    Incidentalmente la stregoneria non funziona, come hanno ampiamente dimostrato le manifestazioni di streghe contro Trump (sarà forse protetto da poteri più malev ehm forti?). Le streghe americane, tipo Wicca, sono anche molto attive a favore del clima, con scarsa efficacia, il che non impedisce un prospero commercio di cristalli, erbe e accessori per la strega trendy
    Almeno non fanno parte di quelle orribili sette pseudo cristiane che fustigano i bambini perché “lo dice la bibbia”
    Solo io sono stufa marcia del trauma come motore unico di qualsiasi trama?

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    1. Lucia Graziano

      Fun fact: secondo una strega/influencer piuttosto popolare negli usa (la Witch of Southern Light), le maledizioni contro Trump hanno funzionato male o a scoppio ritardato (in effetti non è stato rieletto, ahò! 😅) perché si focalizzavano troppo sulla componente di odio, laddove invece sarebbe stato molto più efficace fare come ha fatto la nostra amica, che si è concentrata su magie A FAVORE di Biden (e dei candidati che via via voleva far eleggere nei singoli Stati membri). In ogni caso (dice lei) oggi Trump non è più al potere, ma le streghe che hanno raggiunto questo risultato hanno operato in maggior sicurezza (alcuni filoni di neopaganesimo afferenti alla Wicca vecchio stampo parlano della “regola del tre”, secondo cui tutto quello che fai tramite la magia ti torna indietro maggiorato di tre volte. Quindi è rischioso *maledire* qualcuno; meglio benedire il suo avversario, dice lei).

      Comunque sì, oggi alcuni gruppi di streghe (e anche di maghi, per così dire) sono molto attivi nel campo politico / di attivismo sociale, ambientale, etc 😅

      (No, anche io sono stufa marcia del trauma come motore unico di qualsiasi trama, perché anche basta a ‘na certa. Mi sembra anche un espediente fin troppo facile, dal punto di vista narrativo. Più difficile descrivere la crescita di uno con una vita normale).

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  3. zimisce

    Ciao, ho una curiosità che forse potrebbe fornirti uno spunto per un post (o anche due o tre). La stregoneria c’entra solo alla lontana con la vicenda, ma mi ci ha fatto ripensare.
    Il tema è trito e ritrito: il divorzio di Enrico VIII. Ho cercato di seguire la storia del suo primo matrimonio, quello con Caterina d’Aragona, ma le notizie su internet, soprattutto nelle pagine italiane, sono molto scarne e ripetitive.
    Ciò che non sono riuscito a capire bene è tutta la questione delle dispense, e in particolare:
    1) Enrico (o meglio i suoi tutori dato che lui era un ragazzino) ha avuto bisogno di una dispensa papale per sposare Caterina, in quanto vedova di suo fratello, perché la Bibbia vieterebbe di sposare la vedova del fratello. Ma era davvero così? Ma non era questa piuttosto la norma, sia nella società antica, sia nelle prescrizioni bibliche? E se davvero questa era legge della Chiesa, da quando a quando è stata attiva?
    2) da adulto Enrico avrebbe fatto partire un’altra richiesta di dispensa papale, per sposare Anna Bolena, ma… con Caterina era ancora in vita… E ricevette… risposta positiva? Cioè, parallelamente al processo di annullamento, aveva richiesto anche la dispensa per sposare Anna per dopo? E avendola ricevuta, non c’è da stupirsi che si aspettasse che anche la sentenza sull’annullamento gli fosse favorevole.
    3) Ma poi, annullamento a parte, perché avrebbe avuto bisogno di una dispensa per sposare Anna Bolena? Non era parente (o almeno non nel caso che richiedeva una dispensa papale), né era stata sposata con un suo parente.

    Insomma prima o poi mi piacerebbe saperne di più sia su questo divieto di sposare vedove/i di fratelli (la cosa mi riguarda un po’ come storia familiare, dato che mio nonno nacque dal matrimonio del mio bisnonno con la moglie del fratello ucciso nella prima guerra mondiale, che aveva già avuto un figlio che crebbe insieme agli altri fratelli-cugini che vennero dopo), sia sull’uso/abuso di dispense papali in queste situazioni. Enrico VIII aveva qualche chances di ottenere l’annullamento per una causa (cioè l’essere sposato con la vedova del defunto fratello) per la quale aveva già avuto una dispensa?

    Scusa la confusione, come vedi l’argomento è intricato e ha molti fattori in gioco.

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    1. Lucia Graziano

      Uuuuhh, effettivamente questione complessa e non sempre ben spiegata dai libri di Storia. Diciamo innanzi tutto che la prima grande cosa da capire, senza la quale non si capisce niente di tutto il resto, è che: in quell’epoca storica, i rapporti di consanguineità tra individui erano date dalla discendenza diretta (cioè, se sei figlio di X) e dai rapporti sessuali consumati con qualcuno. Vale a dire: se un uomo e una donna si sposavano, ma poi non consumavano rapporti sessuali, non erano da considerarsi consanguinei nonostante il loro stato civile. Se un uomo e una donna consumavano rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, per ciò stesso erano da considerarsi consanguinei, con tutte le conseguenze del caso.

      Quindi nel caso di Enrico VII abbiamo questo scenario:

      – Caterina d’Aragona si sposa per procura con Arturo Tudor nel 1499: i due ragazzi sono ancora molto giovani, e hanno un’età in cui, a norma di legge, non è ancora consentito loro consumare il matrimonio. Come spesso capita a molti aristocratici nella loro situazione, dopo il matrimonio vivono separati per alcuni anni, ognuno a casa dei suoi genitori. Dal vivo, si incontrano solamente nel novembre 1501 (raggiunta appunto l’età legale per consumare), e cosa facciano a quel punto in camera da letto non lo sappiamo. Di lì a poco scoppia una epidemia e Caterina d’Aragona rimane vedova. Giura di non aver mai consumato il matrimonio con Arturo e di essere ancora vergine, cosa che effettivamente le permetterebbe di andare in sposa ad altri membri della stessa famiglia.

      – Perché sì, all’epoca esisteva norma canonica (entrata in vigore durante la riforma gregoriana) in virtù della quale non era possibile sposarsi con i consanguinei dei propri parenti stretti. In effetti non so con esattezza quando la norma sia stata ammorbidita (non so onestamente se rientri tra le tante modifiche al matrimonio entrate in vigore dopo il Concilio di Trento. Attualmente il canone 1092 del CIC parla solamente di “affinità in linea retta”, devo guardare). Se Caterina avesse avuto rapporti sessuali con Arturo, sarebbe diventata consanguinea di Enrico e di tutti i suoi parenti stretti (figli, cugini fino al terzo grado, etc). Ma poiché Caterina giura di non aver mai consumato il matrimonio (e poiché ai Tudor ovviamente faceva comodo tenersi in casa la sua cospicua dote), ci sono le basi per procedere. Visto che comunque Caterina e Arturo erano stati sposati per anni, e formalmente la dispensa è necessaria, il papa la garantisce per permettere a Enrico e Caterina di sposarsi in tutta sicurezza.

      – Quando, anni dopo, Enrico chiede la dichiarazione di nullità, lo fa proprio sul presupposto che la dispensa non avrebbe mai dovuto essere concessa in primo luogo. Dichiara di essere certo che Caterina gli abbia mentito, proclamandosi vergine anche se in realtà aveva già consumato il matrimonio con suo fratello. Dal suo punto di vista, annullare il matrimonio vuol dire porre fine a una situazione sacrilega nella quale lui è stato trascinato per inganno, e ripristinare lo status quo.

      – Mentre a Roma si valuta la possibilità di dichiarare nullo il primo matrimonio, Enrico NON chiede una dispensa per sposare Anna Bolena esplicitamente, ma sottopone a Roma una vasta casistica di casi umani che lui vuole essere certo di poter affrontare nel modo giusto per non ritrovarsi più nella brutta situazione di prima. In realtà, molto probabilmente, lo scopo di questa richiesta era proprio quello di mascherare la sua relazione con Anna, lasciando intendere che, sì, naturalmente lui stava pensando di risposarsi dopo la dichiarazione di nullità (eh beh, del resto gli serviva un figlio), ma non aveva ancora in mente una candidata e nel dubbio voleva portarsi avanti capendo come muoversi qualora la sua futura-ipotetica-vaghissima fidanzata si fosse trovata in circostanze canonicamente problematiche. Ne elenca parecchie, tra le quali effettivamente figura anche quella in cui si trova Anna Bolena, chiedendo al papa un “nulla osta” per ognuno di tutti questi ipotetici casi.

      – I problemi che, in assenza di dispensa, avrebbero potuto ostacolare il matrimonio tra Enrico e Anna Bolena erano sostanzialmente due. Uno (il principale): come era noto a tutti, Enrico aveva avuto rapporti sessuali con Maria, la sorella di Anna (dunque era diventato suo consanguineo, dunque non avrebbe potuto sposarne la sorella). Due (ma meno grave): come era noto a tutti, Anna aveva avuto rapporti sessuali con Henry Percy, cugino di Enrico, col quale era anche stata brevemente fidanzata (dunque era diventata sua consanguinea, dunque non avrebbe potuto sposarne il cugino). Chiaramente si trattava di ostacoli così labili da sembrare risibili agli occhi di noi moderni, quindi il papa concesse preventivamente una dispensa a sposare qualsiasi donna rispetto alla quale il re si fosse trovato nella stessa situazione (il nome specifico di Anna Bolena NON fu mai fatto né da una parte né dall’altra. Poi, che il papa probabilmente sapesse benissimo dove si stava andando a parare è un altro discorso; ma in punta di diritto si espresse in termini generali).

      Il paradosso (e dunque la fonte della grande cautela giuridica di Enrico) era che lui stava chiedendo la nullità di un matrimonio, partendo dal presupposto che era sacrilego sposarsi con una donna che aveva già avuto rapporti sessuali col proprio fratello.
      Ma, al tempo stesso, voleva sposarsi con una donna con la cui sorella lui aveva già consumato rapporti sessuali (ci aveva pure fatto un figlio, a ben vedere), ancorché illecitamente.

      Donde, tutto il giro di dispense. In realtà in punta di diritto non ci fu alcun abuso delle dispense papali; si fece tutto come doveva essere fatto 🙂

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      1. zimisce

        Grazie, quanti dettagli. Ma sul variare della regola “non sposare la vedova di tuo fratello”, la mia impressione è che non solo sia stata ammorbidita, ma proprio che ad un certo punto si sia tornati alla posizione “è buona cosa sposare la vedova di tuo fratello”, (almeno fino al cambiamento culturale del dopoguerra, oggi ovviamente ci sembrerebbe strano). Anche perché i brani biblici, mi pare, vanno più in questa direzione; mentre il divieto, da quanto mi dici, nasceva più da un prendere -molto- sul serio il “saranno una carne sola” nei casi di rapporti carnali.

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  4. Berlicche

    Se posso permettermi, prima di “Vita da Strega” c’è stata “Una strega in Paradiso”, film del 1958 con James Stewart, Kim Novak e Jack Lemmon, non proprio mezze tacche, molto divertente.

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