Il colore di san Patrizio? In origine, era il blu!

Il colore tradizionalmente associato a san Patrizio? Tenetevi forte: secondo l’araldica, è il blu: per la precisione, quella sfumatura di blu indicata dal codice esadecimale #23297A e definita “St. Patrick’s blue” dai libri di grafica. Giusto per capirci: quel tono blu che appare sullo stemma nazionale della Repubblica d’Irlanda e sullo stendardo presidenziale di chi la governa. Questo:

In un’epoca in cui siamo così abituati ad associare san Patrizio all’immancabile verde acceso di i molti pub si tingono il 17 marzo, potrà stupire venire a sapere che il vero colore associato al santo ha una tinta completamente diversa. Eppure, è così: ed è tutta moderna anche la mania di dipingere san Patrizio in cinquanta sfumature di verde, giacché fin dai tempi antichi

La prima raffigurazione nota di san Patrizio, da un manoscritto del XII secolo (Huntington Library)

fino a quelli più recenti

Un santino del tardo XIX secolo

il patrono dell’Irlanda è stato quasi sempre raffigurato con abiti di colore blu (o, alternativamente, con i classici paramenti vescovili dai toni rossastri tipici dell’iconografia di molti santi). E qui, il lettore comincerà naturalmente a chiedersi: ma perché proprio blu, e da quando proprio il verde? Insomma: qual è la storia che si cela dietro a questa destabilizzante confusione cromatica?

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La nostra storia inizia più di mille anni fa, tra il X e il XI secolo, periodo in cui la letteratura locale comincia a utilizzare il termine Gormflaith come appellativo per indicare un buon vasto di regine irlandesi (equamente distribuite tra quelle di natura dichiaratamente mitologica e quelle che teoricamente dovrebbero essere esistite davvero, in epoche remote). L’aggettivo è interessante perché si compone di due termini distinti: flaith, che nell’idioma dell’epoca veniva utilizzato per esprimere concetti di dominio, e gorm, che stava a indicare il colore blu. In buona sostanza, la letteratura irlandese del pieno Medioevo parlava con frequenza di regine “della monarchia blu”, quasi ad alludere a un colore dinastico.

Non abbiamo idea del perché di questa associazione, che per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere nata senza motivi particolari, per l’estro di uno scrittore che fu poi copiato da molti colleghi. In ogni caso, entro la fine del Medioevo, queste regine irlandesi “a tinte blu” avevano lasciato il segno nell’immaginario collettivo; e (come talvolta capita, per quegli strani scherzi che sono propri della Storia) erano riuscite a trasformare la leggenda in realtà. Entro il 1270, una raccolta di stemmi araldici dei principali nobili europei, nota col nome di Armoriale di Wijnbergen, attribuiva al re d’Irlanda uno scudo araldico che è in tutto e per tutto identico a quello che oggi sfoggia il presidente della nazione: un’arpa dorata, su sfondo blu.

Insomma: il blu era realmente diventato il colore araldico dei re d’Irlanda – e, per estensione, dell’Irlanda stessa. Fu all’incirca in quel periodo storico che san Patrizio, suo patrono, cominciò a indossare il colore nazionale nei dipinti che lo raffiguravano: e la situazione restò tale fino al tardo XIX secolo, quando il nazionalista William Drennan riuscì, inaspettatamente, a cambiare colore all’Irlanda nell’immaginario collettivo. Tutto iniziò nel 1884, quando il letterato pubblicò sul The Cabinet of Irish Literature una poesia titolata When Erin First Rose. Nei primi versi del carme, che suggestivamente echeggiano i primi passi del libro della Genesi, leggiamo che, al momento stesso della creazione del mondo, «Dio benedisse l’isola verde e vide che era cosa buona; e lo smeraldo d’Europa splendette e brillò». Il paragone suggestivo contribuì al successo della poesia, e il successo della poesia contribuì a diffondere il paragone: entro pochi decenni, l’Irlanda cominciò a essere poeticamente chiamata “isola di smeraldo”, in omaggio al verde acceso dei suoi prati selvaggi e sconfinati.

Ma se il verde, nell’immaginario collettivo, era diventato di per se stesso sinonimo di Irlanda, il santo patrono della nazione non aveva altra scelta che adeguarsi. E così, abbandonati i suoi vestiti blu ormai fuori moda, san Patrizio s’affrettò a unirsi al nuovo trend iniziando a indossare i paramenti del tempo ordinario il nuovo colore preferito dei suoi connazionali.

Prove tecniche di cambio look, in un santino di inizio XX secolo

Fu un cambio di guardaroba piuttosto indolore, accolto di buon grado dalla popolazione. In fin dei conti, la festa di san Patrizio cade a metà marzo, proprio nel momento in cui la natura si risveglia e il mondo sembra rinascere a primavera: i paramenti verde acceso del buon vescovo presentavano somiglianze suggestive con le lussureggianti chiome degli alberi, che presto sarebbero tornate a riempirsi di fiori e frutti.

Inoltre, se fino a quel momento storico l’Irlanda e il suo patrono era stati tradizionalmente associati al colore blu, è pur vero che il verde era ormai da secoli vessillo di una specifica componente della nazione irlandese: quella di confessione cattolica. E dunque, a rigor di logica, quella per cui il buon san Patrizio avrebbe dovuto avere maggiori simpatie. Forse.

Tutto era cominciato nel 1642, quando il colore verde era stato inserito nello stemma araldico che vedete sopra: quello della nascente Confederazione Cattolica Irlandese, un governo composto da esponenti dell’aristocrazia locale che, dopo una serie di rivolte, era riuscito a instaurare un governo de facto in numerose zone dell’Irlanda, affrancandole così dall’odiato dominio inglese. Era stata un’autonomia di breve durata, che Oliver Crowmell aveva avuto cura di affogare nel sangue nel 1649; ma, nonostante la disfatta politica, da quel momento in poi il colore verde continuò a essere associato ai movimenti indipendentisti, che spesso sfruttavano la fede cattolica come elemento identitario del popolo irlandese, da contrapporre alla religione protestante dell’odioso dominatore straniero.

Nell’anno 1680, il viaggiatore britannico Thomas Dinley aveva modo di testimoniare l’abitudine, evidentemente già diffusa in Irlanda, di indossare sui cappelli coccarde e fiocchetti di colore verde nel giorno della festa del patrono nazionale: un gesto che, quell’altezza cronologica, aveva ben poco a che vedere con la devozione ma era da intendersi come l’espressione di un ideale politico ben preciso.

Un ideale politico che, fra parentesi, aveva tutto l’interesse a ostentare una improvvisa devozione nei confronti del patrono nazionale, giacché nel 1695 il parlamento britannico aveva impedito a tutti i suoi sudditi di organizzare manifestazioni pubbliche in occasione del 17 marzo (e in altre trentotto giornate considerate “politicamente a rischio”), proprio a causa del valore che questa data stava assumendo agli occhi degli indipendentisti. Insomma: a partire dal 1695, e fino alle prime decadi dell’800, gli Irlandesi furono costretti a festeggiare il loro santo patrono in forma privata, sottotono (o alternativamente nell’illegalità). E sarebbe superfluo sprecare parole su ciò che normalmente accade quando un governo odiato cerca di vietare per decreto un festeggiamento che è caro al popolo: il popolo ci si affeziona ancor di più, in virtù di quell’antico concetto evidentemente ignoto ai legislatori che molti chiamano “fascino del proibito”.

In una cartolina postale di inizio XX secolo, la giovane irlandese che indossa abiti verdi sventola la bandiera con lo stemma araldico di Eoghan Ruadh Ó Néill, il condottiero indipendentista che nel 1642 si pose a capo dell’esercito della Confederazione Cattolica Irlandese

Le gerarchie ecclesiastiche, per il momento, cercavano di tenersi lontane dall’agone politico: non erano le parrocchie e i sagrati delle chiese a riempirsi di coccarde di colore verde. Idealmente, quel tono di colore rappresentava solamente una delle due anime del popolo irlandese, come ben espresso dalla bandiera nazionale che ancor oggi viene utilizzata dalla Repubblica d’Irlanda: la banda di colore verde (vessillo della componente cattolica-indipendentista) e quella di colore arancio (omaggio ai protestanti filo-britannici riunitisi attorno William d’Orange, divenuto re d’Inghilterra e Irlanda nel 1689) erano significativamente legate da una fascia di colore bianco, simbolo di pace e distensione. Ed era proprio su quella sottile linea di confine che si muoveva, in punta di piedi, la Chiesa cattolica in Irlanda, avendo ben cura di non parteggiare con i movimenti indipendentisti (o almeno, non apertamente), per non inimicarsi il governo locale. Nessun vescovo, all’epoca, avrebbe avuto l’ardine di vestire san Patrizio con i colori di un partito politico ben preciso (e con una certa tendenza alla lotta armata anche violenta). La consuetudine di ostentare accessori verdi il 17 marzo non nacque tra i banchi delle chiese, ma nelle case del popolo animate da odio anti-britannico; e tra il popolo si consolidò e diffuse, diventando per molti Irlandesi una tradizione annuale sentita e immancabile.

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Storia insegna che gli Irlandesi sono persone che tendono a mostrare un forte attaccamento al loro patrimonio culturale, soprattutto quando il destino li spinge a migrare all’estero. E infatti, quando gli Irlandesi cominciarono a imbarcarsi su navi dirette verso il Nuovo Mondo, ebbero cura di mettere in valigia alcune tradizioni folkloristiche proprie della loro terra: Halloween, naturalmente, come ben sappiamo; ma anche il St. Patrick’s Day. Che, oltretutto, in terra americana poteva essere festeggiato in tutta la sua gloria, e con maggior grado di rilassatezza.

In fin dei conti, gli immigrati di seconda o terza generazione tendono a curarsi ben poco delle beghe politiche che si svolgono in una madrepatria lontana, che forse hanno già smesso di considerare tale: agli occhi dei giovani Irlandesi made in USA, la festa di San Patrizio era semplicemente l’occasione per alzare il gomito con gli amici seguendo una antica tradizione di famiglia. Indossare accessori di colore verde il 17 marzo era una consuetudine eccentrica e simpatica, venata da vaghi richiami a un orgoglio patrio che ben pochi ormai avrebbero saputo definire con più precisione.

Paradossalmente, la festa di san Patrizio per come la conosciamo oggi prese forma sulle coste statunitensi: significativamente, non fu Dublino, bensì Boston, a ospitare nel 1737 la prima parata di san Patrizio della Storia. Che (ancor più significativamente), fu organizzata da gruppo di expat irlandesi che professavano confessione protestante: quella festa così divisiva in terra patria aveva perso ogni sfumatura politica nella sua traversata transoceanica, diventando una semplice ricorrenza dal vago sapore identitario.

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Tenuto conto del fatto che l’Irlanda impiegò circa duecento anni per mettersi in pari con gli Stati Uniti (la prima di san Patrizio tenutasi in Ulster ebbe luogo a Dublino nel 1931, e fu comunque un evento sottotono rispetto a quanto ormai accadeva annualmente in numerose città americane) possiamo ben dire che il moderno St. Patrick’s Day è una tradizione statunitense di ritorno. O per meglio dire: una tradizione irlandese, esportata oltreoceano, e lì evolutasi e così profondamente da risultare quasi irriconoscibile nel momento in cui ritornò in patria, grazie alla globalizzazione. Storia già nota, in fin dei conti. Come evitare un paragone con la festa di Halloween?

Ma fu negli USA (e non certo in Irlanda) che la gente cominciò a vestirsi di verde il 17 marzo per il semplice gusto di farlo, senza voler trasmettere con questo gesto alcun tipo di messaggio politico. Fu negli USA (e non certo in Irlanda) che cominciarono ad apparire disegni e illustrazioni in cui san Patrizio indossava allegri abiti di colore verde, in omaggio a quella buffa tradizione che le comunità di expat portavano avanti con tanto ardore.

Certo: pian piano, questo nuovo trend arrivò anche in Irlanda; ma lo fece lentamente, a piccole tappe, tra la fine dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento. E fu solamente negli anni del boom economico che la festa di san Patrizio per come la conosciamo oggi cominciò a essere realmente festeggiata in Europa, in un tripudio di coccarde verdi e di tovaglie smeraldine.

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Ma, oggigiorno, qual è il valore semantico che la nostra società tende a dare al verde di san Patrizio? Per noi Italiani, si tratta solamente d’una tradizione estrosa che ci piace portare avanti col sorriso sulle labbra: oltremanica, inevitabilmente, la situazione è un po’ diversa. E, per esempio, esistono ancora dei contesti in cui questo colore assume sfumature politiche e indipendentiste; un esempio eclatante (eppure, non unico) si è registrato nel maggio 2011, in occasione di una contestatissima visita a Dublino portata avanti dalla regina Elisabetta d’Inghilterra. Lungo le strade della città, in segno di protesta, si radunarono molti irlandesi che sfoggiavano cartelli con lo slogan “Britain out Ireland”:

E certo non è un caso che la parola “Britain” fosse colorata coi toni arancio (anticamente associati al partito monarchico e protestante), e che fossero invece i toni del verde (oggi identitario; anticamente, cattolico e indipendentista) a tingere orgogliosamente i caratteri che della scritta “Ireland”. Gli indipendentisti seicenteschi sarebbero stati fieri dei loro pronipoti: quel verde aveva un valore politico in tutto e per tutto identico a quello che gli era stato dato nel corso della prima età moderna.

Dal punto di vista ecclesiale, la Chiesa cattolica ha accolto di buon grado l’improvvisa ondata di popolarità che s’accompagna alla figura del santo vescovo, partendo probabilmente dal presupposto per cui tutto fa buon brodo per evangelizzare i giovani. E così, mentre parroci e catechisti ammiccano sorridenti al pensiero delle serate al pub organizzate in onore del santo, il verde imperante ha finito con l’influenzare anche la pastorale e la divulgazione, dando una improvvisa (e ingiustificata) celebrità all’unico episodio della vita di san Patrizio che potrebbe avere una vaga attinenza con l’erba e la vegetazione. L’aneddoto del vescovo che evangelizza gli Irlandesi avvalendosi di un trifoglio (uno e trino al tempo stesso, proprio come la Santa Trinità) non aveva un ruolo di particolare rilievo nel corpus agiografico medievale dedicato a san Patrizio (anzi: in buona parte delle agiografie d’antan, non compariva proprio). La sua popolarità è cresciuta esponenzialmente solo in epoche recenti, in risposta al bisogno di trovare un qualche addentellato agiografico che permettesse di sfruttare nella catechesi questa onda verde di popolarità globale.

…anche se, a dirla tutta, la cattolicità non è coesa nel modo in cui guarda alla moderna festa di san Patrizio. Se in Italia (così come negli Stati Uniti) prevale l’attitudine per cui è molto cool poter vantare un santo così universalmente popolare, che permette ai cattolici di sentirsi davvero sale (e luppolo) della terra, in Irlanda sta rapidamente crescendo tra i fedeli una certa antipatia per il St. Patrick’s Day dei giorni nostri. Ne danno buona testimonianza Mike Cronin e Adair Daryl, autori del saggio The Wearing of the Green: se l’Irlandese-medio tende a dirsi orgoglioso di questa festa così popolare, i cattolici praticanti (specie se consacrati) tendono a guardare con un certo astio ai festeggiamenti collettivi del 17 marzo, che secondo loro hanno finito col ridurre a macchietta un santo di cui si potrebbero narrare cose stupefacenti, e che invece adesso è stato ridotto a “tizio di verde, col birrozzo in mano e il leprecauno ai piedi”. E devo ammettere che io mi sento di concordare.

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In effetti (diciamolo pure), il St. Patrick’s Day si sta rapidamente avviando a diventare una festa commerciale come tante, grazie a una aggressiva campagna pubblicitaria avviata dalla Guinnes nei tardi anni ’80, cui si sono ben volentieri aggregate una infinità di altri brand. Come scrive Frédéric Armado, «ai nostri giorni, un nuovo cambiamento semantico sta iniziando a emergere: il colore verde ha cominciato a essere utilizzato per scopi commerciali, a fini di marketing. Il giorno di San Patrizio e il colore del giorno di San Patrizio sono diventati mezzi per vendere e promuovere: in ogni angolo del pianeta, magliette verdi, scarpe verdi, cappelli verdi, bagel verdi, pretzel verdi, birre verdi, palloncini verdi nella forma di un trifoglio e molto altro sono messi in vendita in questa data». In anni recenti, la maggiore sensibilità ecologica di una crescente fetta di consumatori ha permesso ai pubblicitari di piegare il colore alla moda del momento: «virtualmente ogni oggetto può trasformarsi in un’occasione per ripetere lo slogan ecologista “go green”, specie quando si tratta di vendere un prodotto (non necessariamente eco-sostenibile) come un videogame, una bevanda alcolica, una T-Shirt con disegni ironici o un leprecauno di peluche».

Personalmente, non sono molto convinta che tutto questo sia particolarmente elogiativo nei confronti di san Patrizio (e ritengo che i catechisti avrebbero mille altri modi più efficaci per renderlo accattivante agli occhi dei giovani: ché la vita del santo è piena di episodi eclatanti che sarebbero veramente degni di un fantasy. Che davvero nessuno è capace di andare oltre alla birrozza con amici da bere al pub in onore del vescovo?).
Ma ehi: ognuno ha le sue preferenze; e ovviamente anche questo è un interessantissimo e rispettabile sviluppo nella storia della devozione al santo evangelizzatore.

E dunque, a chiunque oggi festeggi: Sláinte! Così come vuole la (recentissima) tradizione.


Per approfondire:

  • Frédéric Armado, The Color Green in Ireland: Ecological Mythology and the Recycling of Identity, in: Environmental Issues in Political Discourse in Britain and Ireland a cura di Gilles Leydier (Cambridge Scholars Publishing, 2013)
  • Mike  Cronin e Adair Daryl, The Wearing of the Green (Taylor and Francis, 2004)

3 risposte a "Il colore di san Patrizio? In origine, era il blu!"

  1. Celia

    Certo che quello stemma della Confederazione Cattolica, tanto somigliante ad un disegno infantile, non è un bel vedere…
    … il tuo racconto invece, come sempre, è istruttivo senza pedanteria. Ti invidio!

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